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La Magistratura di Sorveglianza e il nuovo Codice di Procedura Penale

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Indice

- Quaderno n. 46, La magistratura di sorveglianza e il nuovo codice di procedura

penale 3

- Calendario dei lavori 6

- Parte I - RELAZIONI 10

«Gli aspetti normativi (nuove competenze; nuove procedure; nuovi

problemi del ruolo)>>, (Mario Canepa) 12

- «Gli aspetti organizzativi» , (Luigi Vittozzi) .29 - «Giurisprudenza dei Tribunali e dei magistrati di sorveglianza. Questioni

emerse dopo la legge Gozzini e col nuovo C.p.p. Effetti della sentenza

4.7.1989 della Corte Costituzionale» (Salvatore lovino) 39

- (Replica del relatore) 52

- (Pietro Fornace) 61

- (replica del relatore) 143

- (Francesco Maisto) 146

«Misure alternative e permessi: preparazione, decisione, esecuzione.

Problemi relativi ai profili penitenziario, giudiziario, territoriale», (Giancarlo

Zappa) .162

- (Repliche del relatore) 185

- (Vito la Gioia) 190

- (Replica del relatore) ... 209

«Il problema della discrezionalità nelle decisioni della magistratura di

sorveglianza», (Federico Palomba) .214

(2)

- (Alessandro Margara) ... 224

«Circolarità dell'informazione per i provvedìmenti di sorveglianza e

informatizzazione degli uffici di sorveglianza», (Antonio Solinas) 236

- (Replica del relatore) ... 241

- Parte II - INTERVENTI 246

- (Roberto Cigarini) 248

- (Luigi Daga) 2 53

- (Vgo De Carlo) 260

- (Francesco Forlenza) 263

- (Marcello Maddalena) 268

- (Maria Rosaria Marino) 270

- (Alessandro Mariotti) 280

- (Franco G. Prampolini) 283

- (Stefano Racheli) 297

(3)

INCONTRI DI STUDIO E DOCUMENTAZIONE PER I MAGISTRATI

LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA E IL NUOVO CODICE

DI PROCEDURA PENALE

ROMA 17 - 19 novembre 1989

(4)

QUADERNI DEL

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 1991, N. 46

Pubblicazione interna per l'Ordine Giudiziario

diretta dall'ufficio Studi e Documentazione

(5)
(6)

Nei giorni dal 17 al 19 novembre 1989 si è svolto in Roma !'in- contro di studio sul tema «La magistratura di sorveglianza e il nuovo c.p.p.».

I lavori si sono articolati nelle seguenti relazioni:

«Gli aspetti normativi (nuove competenze; nuove procedure; nuo- vi problemi del ruolo»)) (relatore: Mario Canepa);

«Gli aspetti organizzativh) (relatore: Luigi Vittozzi);

«Giurisprudenza dei Tribunali e dei magistrati di sorveglianza.

Questioni emerse dopo la legge Gozzini e col nuovo c.p.p. Effet- ti della sentenza 4.7.1989 della Corte Costituzionale)) (relatori: Sal- vatore Iovino, Pietro Forn~ce e Francesco Maisto);

«Misure alternative e permessi: preparazione, decisione, esecuzio- ne. Problemi relativi ai profili penitenziario, giudiziario, territo- riale» (relatori: Giancarlo Zappa e Vito La Gioia);

cdI problema della discrezionalità nelle decisioni della magistra- tura di sorveglianza)) (relatori: Federico Palomba e Alessandro Mar- gara);

«Circolarità dell'informazione per i provvedimentidi sorveglianza)) (relatori: Liliana Ferraro'" e Antonio Solinas);

Gli argomenti, sviluppati nelle varie relazioni, sono stati ulterior- mente approfonditi in ampie discussioni, nel corso delle quali i partecipanti hanno portato il contributo delle rispettive esperien- ze.

I lavori sono stati coordinati dai componenti del Consiglio Supe- riore della Magistratura Giuseppe Borrè, Pietro Calogero, Gian Carlo Caselli, Marcello Maddalena e Franco Morozzo della Rocca e seguiti, per l'Ufficio Studi e Documentazione, dal dotto Vincen- zo Maccarone. Magistrati segretari: dottori Ippolisto Parziale e Do- menico Carcano.

"n testo della relazione non

~

pervenuto in tempo utile per la pubbliL:azione.

(7)

Hanno partecipato i seguenti magistrati:

dotto Antonio BARSOTTI, mago sorv. Trib. Pisa

dott.ssa Tiziana BELGRANO, mago sorv. Trib. Alessandria dott.ssa Serenella BELTRAME, mago sorv. Trib. Trapani dott.ssa Letizia Anna BRAMBILLA, mago sorv. Trib. Torino dotto Delio CAMMAROSANO, mago sorv. Trib. Siena

dotto Guglielmo CARISTO, mago sorv. Trib. Roma dott.ssa Adriana CARTA, mago sorv. Trib. Nuoro

dott.ssa Elvira CASTELLUZZO, mago sorv. Trib. Avellino dotto Roberto CIGARINI, mago sorv. Trib. Mantova dott.ssa Pierina CONSOLI, mago sorv. Trib. Salerno dott.ssa Beatrice CRISTIANI, mago sorv. Trib. Perugia dotto Ugo DE CARLO, mago sorv. Trib. Livorno

dott.ssa Giuliana DEIANA, mago sorv. Trib. Sassari dotto Enrico DELEHAYE, mago sorv. Trib. Roma

dott.ssa Teresa FERRARI DA PASSANO, mago sorv. trib. Cuneo dotto Francesco FORLENZA, mago sorv. Trib. Trento

dotto Marcello GALASSI, preso Trib. sorv. Ancona dott.ssa Laura GAY, mago sorv. Trib. Brescia

dott.ssa Maria Cristina GOBBO, mago sorv. Trib. Padova dott.ssa Emanuela GORRA, mago sorv. Trib. Milano dott.ssa Vincenzina GRECO, mago sorv. Trib. Agrigento dotto Antonio GIUSTAPANE, mago sorv. Trib. Modena dott.ssa Luisa LEONE, mago sorv. Trib. Trapani

dott.ssa Caterina LOMBARDO PIJOLA, mago sorv. Trib. Padova dotto Nicola MAIORANO, mago sorv. Trib. Roma

dott.ssa Lionella MANAZZONE, mago sorv. Trib. Udine dotto Francesco MANCUSO, preso Trib. sorv. Messina dotto Pasquale MENGONI, preso Trib. sorv. Trieste

dott.ssa Maria Gabriella MARIANI, mago sorv. Trib. Novara dott.ssa Maria Rosaria MARINO, mago sorv. Trib. S.Maria C. Ve- tere

dotto Alessandro MARIOTTI, mago sorv. Trib. MassalLa Spezia dotto Antonio MASTROPAOLO, preso Trib. sorv. Campobasso dotto Giuseppe MATTINA, mago sorv. Trib. Catania

dotto Nicola MAZZAMUTO, mago sorv. Trib. Palermo dotto Flavio MONTELEONE, mago add. Ministero G.G.

dott.ssa Susanna NAPOLITANO, mago sorv. Trib. Bologna dotto Giuseppe ORIO, mago sorv. Trib. Genova

dott.ssa Maria Concetta PAGANO, mago sorv. Trib. Bari dott.ssa Cristina PALMESINO, mago sorv. Trib. Torino dotto Marco PANICUCCI, mago sorv. Trib. Genova dotto Roberto PASCA, mago sorv. Trib. Pescara

dotto Sergio PICCINI LEOPARDI, mago sorv. Trib. Milano dotto Francesco PINELLO, mago sorv. Trib. Palermo dotto Piero POGGI, preso Trib. sorv. Perugia

dotto Franco Giovanni PRAMPOLINI, mago sorv. Trib. Bologna dotto Carlo Alberto PRESTA, mago sorv. Trib. Trieste

dott.ssa Elisabetta PUGLIESE, mago sorv. Trib. Foggia dotto Bruno RIZZO, preso Trib. sorv. Salerno

dotto Giovanni ROSSI, mago sorv. Trib. L'Aquila

dott.ssa Alessandra SCARZELLA, mago sorv. Trib. Genova

8

(8)

dott.ssa Zaira SECCHI, mago sorv. Trib. Ancona dotto Bendetto SIMI, mago sorv. Trib. Pavia

dott.ssa Vittoria STAFANELLI, mago sorv. Trib. Bari dott.ssa Elisabetta TAROZZI, mago sorv. Trib. Bologna dotto Stefano TRAPANI, mago sorv. Trib. Min. Napoli dotto Angiolo VERINI, preso Trib. sorv. L'Aquila dott.ssa Monica VITALI, mago sorv. Tri\>. Milano

Invitati:

dotto Giuseppe DE SANTIS, in rappresentanza del Min. G.G.

dotto Luigi DAGA, mago sorv. Trib. Roma

dotto Marcello ALBINO, direttore Casa Circo Isernia

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PARTE I

RELAZIONI

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GLI ASPETTI NORMATIVI

(nuove competenze; nuove procedere; nuovi problemi del ruolo)

Relatore:

dotto Mario CANEPA

presidente del lribunale di Sorveglianza di Genova

Appunti per dare ragionata occasione al dibattito.

1) La normativa introdotta con il nuovo Codice di Procedura Pe- nale nonché con atti comunque successivi alla legge 663/86 investe il magistrato di sorveglianza ed il tribunale di sorveglianza di nuovi compiti che possono essere specificati:

quanto al MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA:

a) per l'art. 660, comma 2, c.p.p. nella conversione pene pecu- niarie «previo accertamento dell'effettiva insolvibilità del condanna- to», con specifica determinazione del dettaglio operativo agli artt. 181 e 182 D. Att. e all'art. 30 Reg. Att. e conferimento, all'art. 660, com- ma 3, c.p.p. del potere-dovere di disporre la rateizzazione del dovu- to ovvero il differimento del pagamento;

b) per l'art. 679 c.p.p. nel dovere di provvedere sempre in mate- ria di misure di sicurezza con procedimento di sorveglianza previo accertamento in concreto della pericolosità sociale attuale; tanto, a definizione processuaIe dei principi introdotti dalla legge 663/86 (c.

d. legge Gozzini);

c) per l'art. 672 c.p.p., comma 2 nell'intervento in materia di mi- sure di sicurezza in caso di applicazione di amnistia o di indulto;

d) per l'art. 684, comma 2 c.p.p. nell'intervento in via immedia- ta e con provvedimento interlocutorio in materia di differimento del- l'esecuzione della pena;

e) per l'art. 681, comma 2 e 3, c.p.p. nell'attività di istruzione

delle domande di grazia presentate da detenuti o da internati non-

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ché delle proposte di grazia formulate dal Consiglio di disciplina de- gli istituti penitenziari;

t) per l'art. 127 c.p.p., comma 3, in relazione a tutti i procedi- menti in camera di consiglio, nell'audizione dell'interessato, che ne faccia richiesta, non detenuto nella sede del giudice che procede;

g) per l'art. 101 D. Att., in relazione a procedimenti per il riesa- me. delle ordinanze dispositive di misure coercitive (art. 309 c.p.p.) nell'assunzione delle dichiarazioni dell'imputato, ristretto in sede di- versa da quella del Giudice, previo tempestivo avviso al difensore; di- chiarazioni, la cui trasmissione al Giudice competente ha efficacia, tra l'altro, sul permanere della misura coercitiva;

h) per l'art. 489, comma 3, c.p.p., nell'acquisizione delle 'dichiarazio- ni del condannato in contumacia - con garanzia di assistenza del di- fensore - nel corso dei giudizi di revisione e nella fase dell'esecuzione;

i) per l'art. 5 legge 257/89 (ratifica della Convenzione di Stra- sburgo) nell'acquisizione della dichiarazione di assenso all'estradizio- ne del cittadino straniero;

1) per l'art. 240, comma 2, D. Att. nell'emissione di formale provve- dimento di revoca della disposizione di ricovero in luogo esterno di cura.

quanto al TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA:

a) per l'art 683 c.p.p. nella competenza in materia di concessio- ne e revoca della riabilitazione con istruzione d'ufficio delle istanze;

b) per l'art. 680, comma 2, c.p.p. nella competenza in tema di impugnazione di provvedimenti concernenti le misure di sicurezza anche in relazione a pronunzie del giudice ordinario;

c) per l'art. 684, comma 1, c.p.p. nell'estenzione della facoltà di di- sporre la sospensione dell'esecuzione delle pene anche alle sanzioni so- stitutive (previo intervento di urgenza del magistrato di sorveglianza);

d) per l'art. 236 D. atto e 676 c.p.p. nella formale competenza al- la declaratoria di estinzione delle pene all'esito di liberazione condi- zionale o di affidamento in prova al servizio sociale.

2) La nuova normativa ed il procedimento di sorveglianza.

TI procedimento è ora regolato dall'art. 678 c.p.p. sulla base del

richiamo al procedimento di esecuzione (art. 666 c.p.p.) integrato,

14

(14)

~

l ,

• ,

tuttavia, dalla facoltà di acquisire la documentazione e di avvalersi della consulenza dei tecnici del trattamento «quando si proceda nei confronti di persona sottoposta a osservazione scientifica della per- sonalità» e, in ogni caso, di richiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni opportune e necessarie e con la pos- sibilità ulteriore di assumere prove in udienza nel rispetto del con- traddittorio.

In relazione alle impugnazioni trova applicazione la normativa generale.

Appare utile richiamare la nuova normativa in punto dichiara- zione di inammissibilità della richiesta (art. 666, comma 2, c.p.p.) per sottolineare, con accento critico, nel raffronto con il disposto del- l'art. 71 sexies O.P., gli elementi negativi derivanti dalla ricorribilità per cassazione del provvedimanto in luogo dell'agile e rapido stru- mento dell'opposizione, che nulla toglieva alla tutela dell'interessato dal momento che l'obbligatoria pronunzia collegiale conseguente al- la cennata opposizione era, essa stessa, pur sempre ricorribile per cassazione.

Alcune telegrafiche considerazioni problematiche su punti speci- fici:

l) legittimazione alla richiesta (art. 678, comma 1, c.p.p. «a ri- chiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di uf- ficio» );

a) legittimazione dei prossimi congiunti: il problema si pone in relazione al disposto dell'art. 57 O.P., norma non compresa nel capo II bis O.P. ~ggetto di esplicita abrogazione ad opera dell'art. 236 D.

Att.. :Lart. 57 O.P. è certamente norma a contenuto processuale e, pertanto, può ritenersene la sopravvivenza in relazione al dettato del- l'art. 236 citato. Non sembra di potersi parlare di abrogazione taci- ta o implicita, mentre deve essere messa in evidenza la grande rile- vanza che, nella pratica della gestione degli affari di pertinenza del- la magistratura di sorveglianza, ha assunto la formulazione delle i- stanze da parte dei prossimi congiunti;

b) istanza formulata dal difensore: affermata la legittimazione del difensore a formulare la richiesta, si apre il problema di indivi- duare la persona del difensore che alla richiesta stessa è legittimato:

- non può trattarsi certamente del legale che ha assistito il sog- getto nel procedimento che si è ormai concluso con la pronunzia de- finitiva di condanna;

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- non sembra possa farsi riferimento al difensore di ufficio no- minato dal P.M. in fase di emissione dell'ordine di esecuzione ai sen- si dell'art. 655, comma S, c.p.p.. Tale designazione appare limitata alla tutela del soggetto in funzione degli atti strettamente connessi all'attuazione dell'ordine di esecuzione. Diversamente argomentando, non avrebbe senso e spazio di applicazione la norma che attribuisce al magistrato di sorveglianza e al presidente del tribunale di sorve- glianza l'obbligo di designare un difensore d'ufficio a chi ne sia pri- vo (art. 666, comma 3 c.p.p.);

- certamente è legittimato all'istanza il difensore nominato dal- l'interessato agli specifici fini del procedimento in questione.

Si pone, allora, il problema di individuare le modalità di tale no- mina a difensore di fiducia:

a) in base all'art. 96, comma 2, c.p.p. è forma normale di desi- gnazione quella effettuata con atto reso nella cancelleria dell'ufficio;

b) può, tuttavia, verificarsi che la designazione sia resa in altra sede e trasmessa alla cancelleria (art. 96 c.p.p.) ovvero allegata all'i- stanza.

Occorre porre mente a talune disposizioni normative ed, in par- ticolare:

- all'art. 27, punto c, D. Att. che abilita il difensore alla certi- ficazione di conformità della «copia della nomina». Non ritengo che questa disposi,zione possa condurre alla soluzione del problema, che si cristallizza nella individuazione dello strumento di nomina e non già nell'acquisizione delle copie originali di tale strumento non an- cora individuato;

- all'art. 39 D. Att. che, con disposizione di portata ·generale, a- bilita il difensore all'autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali il codice prevede tale formalità.

E' pur vero che il codice, nel quadro del procedimento di sorve- glianza, non richiede l'autenticazione della sottoscrizione della richie- sta effettuata direttamente dall'interessato. Tuttavia, poiché la nomi- na del difensore riflette un atto negoziale a forma libera, il disposto dell'art. 39 in esame può offrire lo strumento per l'autenticazione, da parte del difensore, dell'atto di nomina di se stesso a difensore di fi- ducia, pervenendosi, in tal modo, ai risultati che sarebbe stato più agevole ed opportuno ottenere richiamando o ripetendo la norma del- l'art. 83, comma 3, codice di procedura civile;

- ammessa la legittimazione del prossimo congiunto a presen-

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(16)

tare l'istanza, non può contestarsi la facoltà dello stesso di designa- re il difensore ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.p.

2) Noti{zeazioni. E' evidente l'estrema rilevanza dell'abolizione del sistema di comunicazione degli atti alla persona ai sensi dell'art. 645 codice abrogato ad è rilevante l'estensione delle questioni discutibili in relazione all'adottato sistema di notificazione anche per interpo- sta persona con effetti, in taluni casi, di dirompente portata;

3) - Designazione del difensore di uffìcio in relazione agli elen- chi di cui all'art. 97 c.p.p., elenchi fissati di intesa con il presidente del tribunale ordinario. Problema del vincolo a tali elenchi dei giu- dici di sorveglianza;

4) Disamina critica della portata della locuzione «procede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l'esa- me dei testimoni e l'espletamento della perizia» (art. 185 D. Att. in relazione all'art. 666, comma S, c.p.p.);

5) Affermazione della natura giurisdizionale del procedimento per la concessione della riabilitazione. Tale concessione cessa, come era considerato per il passato, di esaurirsi in un procedimento di volon- taria giurisdizione. E' divenuta, per l'utilizzazione del procedimento di sorveglianza, atto conclusivo di uno schema tipico di pronunzia in contraddittorio.

Pertanto, sotto il profilo della normativa di transizione, resta fer- ma la competenza del giudice investito dell'istanza anteriormente al 24/10/89 (Core d'Appello) per il disposto dell'art. 260 D. Att.. E' pro- babile che si renda necessaria l'instaurazione di conflitti di compe- tenza.

3) Nuova normativa ed esecuzione dei provvedimenti.

La nuova normativa consente di superare le controversie insor-

te, nel passato, circa l'esecuzione dei provvedimenti. Si pensi, ad e-

sempio, alle questioni sorte in relazione ai comma 3 e 4 dell'art. 69

O.P. statuente che il magistrato di sorveglianza «sovraintende all'ese-

cuzione... » e, in particolare, «provvede...all'applicazione , esecuzione,

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trasformazione o revoca» delle misure di sicurezza.

E' chiaro, ora, che il P.M. assume la posizione centrale di orga- no dell'esecuzione dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza e del tribunale di sorveglianza (artt. 659 c.p.p. e 189 D. Att.).

Può affermarsi, quale principio di generale portata, che tale P.M.

è quello istituito presso il giudice che ha emesso il provvedimento di condanna (giudice dell'esecuzione).

Principio contenuto nella norma statuente (art. 659 c.p.p.) che

«quando deve essere disposta la carcerazione o la scarcerazione del condannato, il P.M. che cura l'esecuzione della sentenza di condan- . na emette ordine di esecuzione... »

Fa eccezione al principio generale, e nel contempo lo conferma, il disposto della seconda parte del comma l dell'art. 659 c.p.p. che attribuisce al P.M. presso il magistrato di sorveglianza o presso il tri- bunale di sorveglianza il potere, «nei casi di urgenza», di «emettere ordine provvisorio di esecuzione, che ha effetto fino a quando non provvede il P.M. competente».

Eccezione vera e propria al principio generale si ha nell'esecu- zione dei «provvedimenti relativi alle misure di sicurezza diverse dal- la confisca» (art. 659, comma 2, c.p.p.), i quali sono eseguiti dal P.M.

presso il giudice di sorveglianza che li ha adottati (magistrato di sor- veglianza ovvero tribunale di sorveglianza in sede di appello)'. E' pe- rò, fatto sempre obbligo di comunicazione del provvedimento (art.

189 D. Att.) al P.M. competente per l'esecuzione della sentenza di condanna.

Si pone il delicato problema dell'esecuzione dei provvedimenti di affidamento in prova al servizio sociale e di ammissione alla de- tenzione domiciliare.

Si deve considerare se:

a) in caso di affidamento di persona in stato di detenzione, deb- ba richiedersi ordine di scarcerazione del P.M. ovvero, considerando- si la prosecuzione della pena in forma alternativa, possa provveder- si, come di norma è avvenuto sino ad ora, con ordine di dimissione dall'istituto della persona emesso dal magistrato di sorveglianza (fer- mo il dovere di comunicazione informativa al P.M.dell'esecuzione);

b) in caso di affidamento in prova dallo stato di libertà (artt. 47 bis e 47 cor:nma 3 e 4 O.P.) - ipotesi che, per volontà di norma, ha decorrenza dalla sottoscrizione del verbale di determinazione delle prescrizioni (art. 91, comma 4, reg. esec. O.P.) - debba .comunque

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richiedersi un ordine di esecuzione al fine di fissare esattamente non tanto la data iniziale dell'espiazione della pena in forma alternativa (data, si è visto, determinata dalla norma), quanto quella finale del- la pena stessa, ovvero debba semplicemente trasmettersi al detto P.M.

copia dell'ordinanza e degli atti consequenziali ai fini informativi;

c) in caso di detenzione domiciliare, la dimissione dall'istituto penitenziario del detenuto debba attuarsi per ordine di scarcerazione ai sensi dell'art. 659, comma 2 c.p.p., ovvero con provvedimento di traduzione ex loco ad locum del tribunale di sorveglianza;

d) in caso di detenzione domiciliare concessa a soggetto in sta- to di libertà, sia riproponibile l'ipotesi alternativa sub b) dal momen- to che la misura ha effetto, per volontà di norma, dal momento del- la notificazione del provvedimento (art. 91 ter reg. esec. O.P.);

e) in caso di sospensione dell'esecuzione della pena (da parte del magistrato di sorveglianza in via di urgenza o del tribunale di sor- veglianza in via definitiva) la «liberazione del detenuto» (art. 684, comma l e 2, c.p.p.) comporti, dopo la pronunzia del giudice, un provvedimento esecutivo del P.M.. E non dovrebbe dubitarsi della so- luzione positiva al quesito, ove si faccia riferimento al principio ge- nerale più sopra enunciato e si consideri che la gran parte dei prov- vediementi della magistratura di sorveglianza implica una forma di liberazione del soggetto;

f) nelle ipotesi dell'art. 51 ter O.P., debba intervenire o meno il provvedimento esecutivo del P.M.. In questo caso, si deve porre men- te al testo della norma secondo cui il magistrato di sorveglianza «or- dina l'accompagnamento del trasgressore in istituto» per escludere la necessità di tale intervento del P.M., fermo il dovere di pronta comu- nicazione informativa. Si deve rammentare, inoltre, che, nell'applica- zione dell'art. 51 bis O.P., l'art. 92 bis reg. esec. O.P. impone l'imme- diata e rapida informazione al P.M..

In definitiva, qualunque sia la soluzione che si voglia adottare in relazione ai proposti quesiti, resta evidente il fatto che il P.M. pres- so il giudice dell'esecuzione deve in ogni caso, o per diretto interven- to operativo o per dovuta informazione di atti eseguiti da altri, esse- re posto in grado di avere costantemente il quadro rappresentativo del- l'esecuzione in corso. E, ciò appare tant.o più evidente e necessario 0-

ve si consideri la nuova disciplina in materia di computo della cu-

stodia cautelare e delle pene espiate senza titolo (comprensiva anche

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delle misure di sicurezza non utilmente sofferte) dettata dall'art. 657 c.p.p. (fungibilità), con conseguente necessità di consentire all'orga- no dell'esecuzione il pronto aggiornamento della situazione della pe- na sia nei riflessi quantitativi sia per gli aspetti della modalità del- l'attuazione.

4) - Nuovi problemi del ruolo.

La nuova normativa ha certamente potenziato la figura del ma- gistrato di sorveglianza: sempreché, per potenziamento, si intenda l'attribuzione di nuove competenze.

Tuttavia, il potenziamento del ruolo che i magistrati di sorveglian- za si attendono non discende tanto dal concetto sopra espresso, quan- to dalla incrementata ed effettiva possibilità di incidere significativa- mente sulla gestione delle pene e sul corretto rapporto tra Stato ed individuo assoggettato a privazione o limitazione della libertà perso- nale.

n problema, quindi, non si pone soltanto in relazione al poten- ziamento del ruolo ma, soprattutto, in funzione della possibilità di esercitare in modo adeguato le attribuzioni.

Sotto questo profilo. appare necessario:

a) sviluppare uno stretto rapporto di collaborazione e di infor- mazione tra magistratura di sorveglianza e Direzione generale IIP.P.

allo scopo dI evitare e di prevenire situazioni di possibile frizione (ad esempio: questione dei ricoveri ospedalieri effettuati direttamente dal- le forze di polizia in fase di esecuzione dell'ordine inerente pena de- tentiva nei confronti di soggetti che non vengono immatricolati ne- gli istituti penitenziari; problematica dei ricoveri degli affetti da sin- drome H.IV. nel rapporto tra istituti penitenziari, strutture sanitarie e magistrati competenti alla emissione dei formali provvedimenti di ricovero in luogo esterno di cura; problematica relativa alla possibi- le esclusione del piantonamento dei ricoverati in luoghi esterni di cu- ra);

b) pervenire ad una adeguata conoscenza della normativa peni- tenziaria da parte degli organi di pubblica sicurezza che, per molti aspetti, sono ormai divenuti veri e propri strumenti di esecuzione delle pene;

c) pervenire ad una generalizzata conoscenza della normativa pe- 20

-,

i ,

.

.'

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nitenziaria da parte di tutti gli uffici giudiziari competenti per affa- ri penali (difettosità assoluta, sul punto, del tirocinio degli uditori giudiziari ai quali tutti, e non soltanto ai futuri magistrati di sorve- glianza, deve essere riservata una adeguata preparazione in materia).

. d) favorire la conoscenza della materia da parte della classe fo- rense, che - sia detto senza offesa o malizia - vive ora, nella mag- gior parte dei· casi, a rimorchio delle informazioni sulla normativa e sulla impostazione degli affari captate, volta a volta, dal personale degli uffici e che non è aliena dal richiedere (sul presupposto «scu- si la mia ignoranza») una sorta di consulenza preventiva da parte del magistrato.

Nello specifico può dirsi:

- che il magistrato di sorveglianza viene ad assumere una po- sizione di centralità relativamente a tutte le questioni attinenti la po- sizione, anche giuridica, della popolazione detenuta (si consideri l'e- lencazione delle nuove competenze), con conseguente necessità di in- terventi numerosi ed a carattere di urgenza negli istituti; interventi che esigono, tra l'altro, quel potenziamento di personale, attrezzatu- re e strutture di cui, sino ad ora, si è constatata la modestia;

- che il magistrato di sorveglianza deve accentuare gli adempi- menti riservatigli in materia di sanzioni sostitutive.

Senza voler, in questa sede, profetizzare eventi connessi alla e- ventuale approvazione della legge Jervolino - Vassalli, resta il fatto che, al di là della abrogazione dell'art. 77 legge 689/81 e delle sue incidenze sugli uffici di sorveglianza, si deve segnalare il singolare onere derivante dai nuovi meccanismi di riscossione delle pene pe- cuniarie.

Sì è di fronte ad un sistema - quasi ispirato ai principi tecni- ci dell'orologeria - caratterizzato:

- dalla notificazione di precetto da parte della cancelleria del giudice dell'esecuzione, c.d. ufficio del campione penale (problema:

ci si chiede se il campione penale, che opera quale organo del mini- stero delle finanze, abbia o meno ancora il dovere di effettuare ac- certamenti sulla solvibilità del debitore e di procedere esecutivamen- te in caso di insolvenza) - art. 181 D. Att. - ;

- dalla trasmissione degli atti, in caso di mancato pagamento, dal predetto ufficio al P.M.;

- dalla trasmissione degli atti dal P.M. al magistrato di sorve-

glianza competente ai sensi dell'art. 677 c.p.p. (permane il problema

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della individuazione di tale magistrato; problema che ha già interes- sato la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione in sede di con- flitto di competenza) - art. 182, comma l, D. Att.;

- accertamento della solvibilità da parte dell'ufficio di sorve- glianza (art. 660 c.p.p. e art. 182 D. Att.) con conseguenze per cui:

- a) il soggetto risulta solvibile: restituzione degli atti al P.M.

che investirà il campione penale per la procedura di recupero (art.

30 Reg. Esec. c.p.p.);

- b) il soggetto risulta insolvibile: apertura del procedimento di sorveglianza per la conversione e per l'applicazione della libertà con- trollata;

- eventuale richiesta, nel corso del procedimento di sorveglian- za, di differimento per procedere al pagamento ovvero di rateizzazio- ne (art. 660 c.p.p.);

- nell'ipotesi di accoglimento dell'istanza di rateizzazione e di determinazione della stessa, restituzione degli atti, da parte del ma- gistrato di sorveglianza, al P.M. affinché ne investa l'ufficio del cam- pione penale per l'esazione nei termini fissati, con riflusso degli atti stessi al P.M. e, quindi, al magistrato di sorveglianza nell'ipotesi di mancato pagamento anche di una sola rata (art. 181, comma 3, D.

Att.). A questo punto si deve dare nuovamente corso a procedimen- to di sorveglianza per la conversione in libertà controllata dell'im- porto non pagato.

Come si vede, vivissima è stata la cura nel tutelare il debitore di pena pecuniaria.

Vi è da chiedersi se lo Stato, a fronte del posto del descritto mar- chingegno, non avrebbe avuto convenienza ad abolire le pene pecu- niarie ovvero se il magistrato di sorveglianza, in qualche caso augu- rabilmente limitato nel numero, non abbia interesse a pagare perso- nalmente il debito del terzo.

La velocità con la quale questo convegno è stato indetto, orga- nizzato e riunito non consente margini ad impostazioni teoriche da parte dei relatori.

Quindi, l'invito che poco fa mi rivolgeva Margara, come relato,,:, re anch'egli, di andare al sodo, di buttare li i problemi e di fare in modo che si sviluppi il dibattito, non cadrà certamente nel vuoto.

Mi corre, tuttavia, l'obbligo di fare una premessa prendendo spun-

to da quanto diceva Calogero in materia di tutela della libertà per-

sonale e, quindi, di delicatezza del ruolo che il magistrato di sorve-

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glianza è venuto ad assumere. La constatazione è questa: il proble- ma della libertà personale è gestito, per rilevanti aspetti dell'esecu- zione della sanzione penale, dal magistrato di sorveglianza e dal tri- bunale di sorveglianza, ma non è gestito soltanto da questi organi.

li problema è il riflesso di un complesso di norme rispetto alle quali i magistrati tutti del ramo penale sono strumenti operanti. Og- gi, il procuratore della Repubblica presso le preture, presso i tribu- nali e chi agisce nelle Procure Generali, cotne chi è al dibattimento penale, non può ignorare le norme dell'ordinamento penitenziario, non fosse altro che per l'elementare considerazione che infliggere u- na pena di tre anni e cinque giorni ad una persona è cosa diversa che infliggere una pena di soli tre anni.

Dico questo per sottolineare che, se viva è la gratitudine che dob- biamo al C.S.M. per aver consentito, a noi che ci occupiamo speci- ficamente della materia, di riunirci, di scambiarci le prime impres- sioni - diciamo, a leggi calde - resta il fatto che gli uditori giudi- ziari, tanto per citare un caso concreto, vengono, in materia peniten- ziaria, fatti oggetto di considerazione soltanto durante il tirocinio mi- rato. Quindi, soltanto per coloro che sono destinati alla magistratu- ra di sorveglianza si reputa l'opportunità della conoscenza della ma- teria. Coloro, invece, che si occuperanno per altri aspetti, ma sem- pre sulla base di quasta normativa, della libertà personale possono benissimo ignorarla.

Quante volte abbiamo insistito nel chiedere al C.S.M. di consen- tire a qualcuno di noi di illustrare a tutti i giovani colleghi i princi- pi generali dell'ordinamento penitenziario, anche per favorire quelle scelte che, spesso, vengono effettuate per motivi puramente logistici e che, poi, sfociano nell'avvincere completamente le persone che si

"

dedicano a questo settore. Non a caso vi sono persone con capelli bianchi che hanno fatto per tanti anni questo lavoro e continuano a farlo.

Ho buttato giù due righe di relazione, se vorrete cortesemente prenderne visione, nelle quali ho cercato di riassumere quali sono le competenze che vengono riservate alla magistratura di sorveglianza della normativa processuale appena entrata in vigore.

Vorrei passare subito alla pura e semplice enunciazione di alcu-

ni problemi. Non ci interessa, ora, di dibattere se sia stato opportu-

no fare del procedimento di sorveglianza una sottospecie del proce-

dimento di esecuzione o se la primogenitura avrebbe richiesto una

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inversione della posizione. Il fatto è che il procedimento di sorve- glianza è stato regolamentato con il richiamo al procediemnto di e- secuzione ma, fortnnatamente, nell'ultima stesura, si è tenuta presen- te la necessità della magisratura di sorveglianza di acquisire non sol- tanto gli elementi propri dell'osservazione penitenziaria ma anche di disporre di tutti quei mezzi di prova reputati necessari per la deci- sione; non esclusa la perizia.

Salto a piè pari ogni considerazione circa la cura che il legisla- tore ha posto nell'evitare la presenza all'udienza dell'interessato. Di- rei che posso farlo perché, alla fine, è sempre in facoltà del giudice di disporre, ove lo ritenga, la traduzione dell'interessato.

E tale presenza diviene essenziale anche per la possibilità, che deve essere offerta agli esperti componenti del tribunale - sulla cui qualificazione professionale giustamente tanto insiste il C.S.M. - di guardare almeno in faccia la persona sulla quale devono esprimere la loro specialistica valutazione.

Altro problema: legittimazione alla formulazione delle richieste.

n codice di procedura penale stabilisce che il procedimento di sorveglianza è introdotto a richiesta del Pubblico Ministero, dell'in- teressato, del difensore e d'ufficio.

Che fine hanno fatto i prossimi congiunti? Eppure noi sappia- mo quante volte l'istanza presentata da costoro abbia risolto situa- zioni d'emergenza, consentendoci di anticipare all'essenziale i tempi di fissazione dell'udienza.

La cosa, tuttavia, non dovrebbe preoccuparci più di tanto per- ché il disposto dell'articolo dell'ordinamento penitenziario, che legit- tima il prossimo congiunto a presentare le istanze, non è compreso nel capo secondo bis dell'ordinamento stesso: capo espressamente a- brogato.

Si pone il problema di una eventuale abrogazione tacita o im- plicita: non direi però che la norma del codice di procedura penàle in esame abbia regolato interamente la materia o sia incompatibile con il contenuto dell'articolo 57 O.P..

A mio avviso, è opportuno sostenere la compatibilità e, quindi, la coesistenza delle norme per consentire la legittimazione all'istan- za del prossimo congiunto.

n difensore ~ stato, poi, espressamente legittimato a formulare le richieste.

E' ben comprensibile la facoltà di formulare istanze aggiuntive

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rispetto a quella originaria che abbia dato legittimamente corso al- l'instaurazione del procedimento. Per gli altri aspetti, richiamo la re- lazione scritta e sottolineo come sarebbe opportuno l'inserimento nel codice di procedura penale di una norma corrispondente a quella del- l'articlo 83, terzo comma, del codice di procedura civile.

Resta il fatto che noi non potremo dare corso a procedimento- di sorveglianza se non avremo verificato la veste effettiva di difenso- re agli effetti del procedimento stesso di chi formula !'istanza.

Non si può, da un lato, porre in dubbio la legittimazione del prossimo congiunto e, dall'altro, consentire ad un quivis de populo di autolegittimarsi all'atto introduttivo del procedimento.

La questione delle notificazioni. n vecchio codice, all'art. 645, dettava una norma di base per le comunicazioni, che dovevano es- sere effettuate con consegna dell'atto alla persona. Solo eccezional- mente, e con una serie di ricerche estremamente accurate, era pos- sibile l'utilizzazione del rito degli irreperibili.

Ora, con il desiderio di uniformare il più possibile gli istituti che ha lodevolmente mosso il legislatore, noi ci troviamo ad usare del si- stema ordinario delle notificazioni. Francamente, non so se sarà pos- sibile gestire correttamente, ad esempio, una revoca di affidamento in prova al servizio sociale con consegna dell'atto introduttivo a ma- ni del portiere.

Fortunatamente, l'art. 148, comma 2 C.P.P. ci dà la possibilità di disporre la notificazione a mezzo della polizia giudiziaria e credo che faremo larghissimo uso di questo strumento.

Si noti ancora che il codice prevede la notificazione degli atti in forma evidentemente semplificata e adatta alla condizione all'impu- tato detenuto: credo sia doverosa una interpretazione estensiva a ri- comprendere anche il condannato detenuto.

Ultimo problema che sottopongo, in tema di procedura, alla vostra attenzione è quello della natura chiaramente giurisdizionale assunta dal- la concessione della riabilitazione. Sino ad ora, il procedimento di ria- bilitazione era considerato un procedimento di volontaria giurisdizione.

Affermata, ora, la natura giurisdizionale del procedimento, con- segue, ai sensi dell'articolo 260 disp. attuazione C.P.P., che le Corti d'Appello dovranno dare corso alla trattazione degli affari giacenti presso di loro.

Un altro punto, penso, sarà oggetto del nostro dibattito: l'esecu-

zione dei provvedimenti.

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Ne abbiamo discusso tanto per il passato, abbiamo anche adot- tato delle soluzioni, diciamo cosi, immaginose in sede di emergenza.

Ad esempio. nell'affidamento in prova, la dimissione dall'istituto di- sposta dal magistrato di sorveglianza l'abbiamo inventata noi, nella pratica, ed è stata cosa utilissima.

Mi sembra di poter dire che il nuovo codice ha imperniato to- talmente l'esecuzione sulla figura del P.M. - quale organo presso il giudice che ha emesso la pronunzia in esecuzione - assume un ruo- lo di assoluta centralità. Ed era cosa indispensabile.

Si pensi, ad esempio, che viene ora considerata, a livello di e- spiazione di pena, anche la misura di sicurezza che sia stata appli- cata illegittimamente o che non sia stata seguita - se attuata in via provvisoria - da una affermazione di colpevolezza.

E', quindi, indubbiamente necessario individuare un organo che abbia il quadro completo dell'evolversi dell'esecuzione e nei confron- ti del quale i nostri uffici abbiano il dovere costante quanto meno di pronta informativa.

Nell'affidamento in prova, permane quella nostra facoltà di di- sporre la dimissione del soggetto dall'istituto; ma si consideri che non si è in presenza della cessazione della pena, e quindi di una scar- cerazione, ma di un semplice prosecuzione, in forma alternativa, del- la pena già posta in esecuzione dal P.M.

Più delicato il problema nei casi di affidamento richiesti ed ot- tenuti dallo stato di libertà, dal momento che la normativa è chiara nello statuire la decorrenza della misura - e, quindi, dell'esecuzio- ne della pena - dal giorno in cui il soggetto sottoscrive il processo verbale di determinazione delle prescrizioni. In questa ipotesi, non si tratta, non dico di incarcerarare, ma neanche di ordinare l'esecu- zione nei confronti di una persona, perché l'esecuzione inizia, per volontà di legge, cosi come avviene per il termine finale.

Resta il fatto che, in ogni caso, quando il tribunale di sorveglian- za avrà concesso tali ipotesi di affidamento in prova dallo stato di libertà, si dovrà pur sempre individuare un organo che, con un prov- vedimento formale di esecuzione, prenda atto dell'avvenuta conces- sione, dell'avvenuto inizio dell'affidamento e determini il termine fi- nale della pena alla data derivante dal materiale calcolo. E questo organo non può essere che il P.M..

Lo stesso discorso si può fare per la detenzione domiciliare.

In relazione ai casi di differimento dell'esecuzione delle pene, il

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legislatore ha disposto, all'art. 684, che il tribunale ordina, quando occorre, la liberazione del detenuto. Anche in questa ipotesi, si deve essere cauti nell'interpretazione, perché una cosa è statuire che il Giudice adotti provvedimento sulla libertà personale, altra cosa è provvedere materialmente a disporre la scarcerazione del soggetto.

Quindi, si ribadisce la posizione centrale del P.M. nella fase del- l'esecuzione.

Soluzione diversa dalle precedenti suggerirei in relazione all'art.

51 ter O.P.: sono i casi in cui il magistrato di sorveglianza sospende l'esecuzione della misura alternativa ed «ordina l'accompagnamento del trasgressore in istituto». Di fronte a questa testuale dizione, non vedo margine perché l'ordine di accompagnamento richieda ulterio- ri interventi esecutivi. E' chiaro, però, che, anche in questi casi, per- mane un dovere generale di informazione al P.M., sempre per con- sentire la disponibilità, a quest'organo, di quel quadro generale del- l'esecuzione di cui dicevamo.

Concludendo: al punto in cui siamo, tutti noi dobbiamo augu- rarci ed operare perché il nuovo codice di procedura penale, indi- pendentemente dalle personali opinioni, abbia successo. Perché ciò avvenga, è stato rilevato da molti, occorre che alla fase dibattimen- tale pervenga una minima parte dei processi e che la gran parte ven- ga definita nelle forme dei procedimenti differenziati.

Questa accelerazione dell'iter del procedimento non potrà che de- terminare un più immediato riflusso di affari sui tribunali di sorve- glianza.

E, ciò, accentua quegli aspetti della situazione di cui parlavo al- l'inizio: il problema dell'esecuzione delle pene non è più un proble- ma di agenti di custodia, di direzione generale degli istituti, di ma- gistrati di sorveglianza. E' divenuto un problema che investe tutti i magistrati del ramo penale e tutti gli organi della polizia. E sottoli- neo proprio che dobbiamo arrivare a far si che il rapporto con le forze di polizia sia ispirato ad una più approfondita conoscenza del- la normativa da parte delle forze medesime. Non entro nei dettagli, ma è certo che deve cessare l'attuale rapporto semplicemente riferi- to all'approfondimento, del tutto occasionale, tra magistratura di sor- veglianza ed organi di polizia di casi singoli.

Non si dimentichi che, ad esempio, questi organi sono diretta-

mente preposti all'esecuzione delle sanzioni sostitutive; sono divenu-

ti veri e propri organi di esecuzione delle pene.

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Non è ammissibile, quindi, che si continui a vivere in questa si- tuazione di incertezza negli orientamenti e nei rapporti tra magistra- tura di sorveglianza ed orgnai di polizia.

Per concludere, vorrei richiamare alla vostra attenzione quanto ho scritto in relazione alla normativa introdotta per l'esecuzione del- le pene pecuniarie. E' stato introdotto un meccanismo talmente com- plicato, un andirivieni degli affari da consentire l'impressione dell'e- sistenza di una danza dell'esecuzione e, in ogni caso, da far fonda- tamente dubitare che lo Stato italiano, inflitta una pena pecuniaria, abbia l'effettiva intenzione di percepire l'equivalente.

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GLI ASPETTI ORGANIZZATIVI

Relatore:

dotto Luigi VITTOZZI

presidente del 1Hbunale di Sorveglianza di Roma

Oggetto di questa ricerca, nel profilo organizzativo assegnatomi, è la definizione, in primo luogo teorica, degli assetti organizzativi strutturali che derivano alla magistratura di sorveglianza dalla nor- mativa del nuovo codice; e quindi, sul piano della ricerca operativa, di un modello o di moduli di gestione delle risorse - uomini e mez- zi materiali - che assicurino il raggiungimento dei fini dell'attività giudiziaria ad essa assegnata.

E direi di più: gestione operativa non soltanto delle risorse uma- ne e materiali, ma gestione delle stesse norme procedimentali, tecni- che e strumentali che, pur nella loro più corretta interpretazione, possono essere utilizzate con scelte di tempo, di luogo e dicoordi- nazione tali da portare a risultati diversi e quindi anche di reale ef- ficienza.

Ovviamente, di fronte ad obiettivi cosl vasti posso offrire solo osservazioni parziali; anche perché la concreta azione organizzativa è condizionata dalle dimensioni dall'ufficio che si gestisce, dal flus- so natura e preminenza del tipo degli affari, dalla stessa condizione logistica degli uffici.

Bene. Posso dire subito, allora, che il nuovo codice di procedu- ra, pur attraverso le numerose, svariate e talora massicce competen- ze ulteriormente attribuite, non ha portato innovazioni strutturali di- rette agli uffici di sorveglianza. Né, soprattu~to, innovazioni riferibi- li ad assetti organizzativi «tipicizzati»: per un certo modo di fare il processo, o di provvedere all'esecuzione della pena, o di seguire, mo- dificare e assecondare secondo i precetti costituzionali la fase espia- tiva della pena stessa.

Si pensi, invece, alle profonde differenze strutturali e organizza-

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tive che cqmporta il nuovo processo penale di cognizione, che inve- ste tutto: posizione e ruolo del Pubblico Ministero, soppressione del giudice istruttore, creazione di giudici per le indagini preliminari (G.I.P.), istituzione di procedimenti speciali con riti abbreviati imme- diati etc., articolato processo ordinario di tipo accusatorio.

In effetti, la magistratura di sorveglianza aveva già strutture e assetti organizzativi propri, nuovi ed anche originali. Quegli assetti che ho definito «tipicizzati» per determinate attività e in settori di- versi di intervento: dalla sorveglianza nel carcere, ai programmi di trattamento del detenuto; dai rimedi per il mantenimento delle con- dizioni di rispetto della persona umana e dei suoi diritti ordinamen- tali, agli incentivi di risocializzazione; dalla continua ridefinizione della pena con un giudizio a sostanziale natura cognitoria, che par- te dall'inizio dell'esecuzione per svolgersi nel corso della espiazione con un giudizio di riadeguamento in relazione all'evoluzione della personalità; alla verifica, infine, di un avvenuto ravvedimento o per converso di una persistente e aggravata pericolosità sociale, e cosi via.

Siffàtti assetti strutturali già per noi presenti e disegnati dalle ri- forme del 1975 e del '86 hanno dimostrato in tutta evidenza tanto di modernità e adeguatezza da resistere e da integrarsi armonicamente in una ondata cosi profondamente innovatrice, fino ad attirare nelle sue strutture altri istituti, che vengono ad avvalersi dei caratteri pro- pri e delle forme di tutela giurisdizionale del sistema di sorveglian- za. Quale l'istruttoria d'ufficio anche documentale e senza onere per la parte; e il giudizio con procedimento camerale in contraddittorio (anche quando prima mancava o si riduceva ad un inizio di contrad- dittorio scritto). Cosi com'è avvenuto, oltre che per le nuove misure alternative, per il differimento dell'esecuzione della pena e la libera- zione condizionale nel 1986; per la riabilitazione di cui all'art. 683 del codice (in ossequio alla direttiva 101 della legge delega del 1987);

per il completamento, col 2

0

c. dell'art. 680, della competenza gene- ralizzata e istituzionale della magistratura di sorveglianza in materia di misure di sicurezza; per l'istruttoria della domanda di grazia, etc..

E tutto ciò a parte i continui riferimenti e rinvii al magistrato di sorveglianza di cui il nuovo codice e le varie leggi speciali sono pieni.

E del resto la relazione al progetto preliminare del codice rico-

nosce a chiare lettere che l'ordinamento penitenziario, nella sua or-

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ganica rifonna, ha anticipato molte delle disposizioni già contenute nel progetto del 1973 e nelle direttive della legge delega.

E cosi, fenna la legge fondamentale del 1975-1986 per la parte normativa sostanziale e per i procedimenti speciali, di cui all'art. 14 ter (sorveglianza particolare, lavoro dei detenuti e azione disciplina- re), e della procedura per decreto ex art. 69 commi 5 e 7 (program- mi di trattamento e ammissione al lavoro esterno, permessi e licen- ze, modifiche delle prescrizioni), la disciplina processuale degli orga- ni di Sorveglianza entra a pieno titolo nel libro X del codice, secondo la direttiva 98 della legge delega che richiedeva un coordinamento dei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, anche attraverso u-

na nuova regolamentazione della competenza degli organi.

Ora, il titolo II regola l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizio- nali, operando anche una radicale scelta di fondo, che si presentava delicata proprio per i provvedimenti di sorveglianza, concentrando nel Pubblico Ministero presso il giudice della sentenza di condanna l'esecuzione di tutti i provvedimenti che incidono sullo stato di de- tenzione.

n titolo III, infine, sulla ATTRIBUZIONE DEGLI ORGANI GIU- RISDIZIONALI, pone una annonica disciplina della esecuzione, de- dicando il Capo I al Giudice dell'esecuzione e il capo II alla Magi- stratura di Sorveglianza, con regole comuni (poteri di iniziativa, in- tervento delle parti, termini e modalità di convocazione, forma del procedimento, impugnazione), mutuate in gran parte dal modello del- la legge penitenziaria, ivi compreso lo schema del procedimento di e- secuzione di cui all'art. 666 e il decreto di inammissibilità previsto dal 2

0

comma di detto articolo, e con disposizioni peculiari proprie di cia- scun organo.

Per quanto ci riguarda, il capo Il delinea alcuni significativi con- notati autonomi: il procedimento di esecuzione che è il procedimen- to di base, ex art. 666, arricchito nel procedimento di sorveglianza di cui all'art. 678 dal comma 2

0

che introduce, in coerenza con la materia, gli elementi relativi all'osservazione della personalità e alla consulenza dei tecnici del trattamento.

Nella materia delle misure di sicurezza, avverso il provvedimen-

to del magistrato di sorveglianza è previsto l'appello e non il solo ri-

corso per Cassazione (è il solo caso nei procedimenti di esecuzione),

ed è prevista «l'impugnazione» avverso ogni sentenza, anche di se-

condo grado, di qualsiasi giudice, purché non vi sia stato già un

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doppio giudizio di merito (interpretazioni prevalente, allo stato, sul 2

0

comma dell'art. 680 nuovo codice).

La riabilitazione è attribuita alla competenza del Tribunale nel- l'ambito dei procedimenti giurisdizionali di sorveglianza e con istrut- toria di ufficio, perdendo quel carattere di volontaria giurisdiziqne che aveva nella precedente normativa; e cosl via per gli altri istituti.

Altre definizioni normative verranno dal coordinamento tra gli istituti processualistici del codice e quelli dell'ordinamento peniten- ziario anche attraverso l'interpretazione giurisprudenziale e prevedi- bili interventi della Corte Costituzionale.

In proposito la relazione di Mario Canepa pone già una serie di interrogativi. Ad esempio, si prospetta l'esecuzione diretta nei casi di affidamento e di detenzione domiciliare alla luce delle disposizioni regolamentari, invece della esecuzione attraverso l'ordine del P.M., potendo considerarsi l'affidamento non sotto il profilo di un ordine di scarcerazione ma di prosecuzione della pena in forma alternativa.

Personalmente ritengo che ciò sia sostenibile nei soli casi di pas- saggio dalla detenzione carceraria alla misura alternativa; mentre nelle concessioni a soggetti in stato di libertà, e in via generale, reputo che il principio dell'unitarietà dell'esecuzione in capo al P.M. prevalga come esigenza di ordine formale e funzionale del sistema voluto dal legislatore, senza confusione di ruoli e di soggetti legittimati, come prefigurato nelle relazioni preliminari al Codice.

Mi rendo conto di avere compiuto qualche sconfinamento; ma le innovazioni del nuovo codice sono fascinose per gli aspetti sistematici e strutturali, che pongono finalmente anche la magistratura di sorveglianza e la sua attività in un assetto normativo armonico e coordinato, nel libro dell'esecuzione ma nel rispetto dell'autonomia del sistema di sorveglianza.

lo sono convinto che la legge di riforma penitenziaria del 1975 è stata una delle leggi più fortunate e più ricche di contenuti strettamente collegati a precetti costituzionali da realizzare, tanto da

trov~re sempre protezione e sviluppo nella giurisprudenza della Cor- te Costituzionale.

Ma è anche vero che quella iniziale larga posizione amministra·

tivistica del magistrato di sorveglianza e della sua attività ha richie-

sto una lunga marcia sulla via della giurisdizionalizzazione e di un

ordinato assetto giudiziario del magistrato di sorveglianza, che ora

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si realizza largamente nel nuovo codice e nella solenne articolazione dell'articolo l dell'Ordinamento Giudiziario, riformato con D.~R

22/9/1989 n. 449, ove si afferma:

La giustizia nella materia civile e penale è amministrata:

- dal Giudice Conciliatore - dal Pretore

- dal Tribunale Ordinario - dalla Corte di Appello

- dalla Corte Suprema di Cassazione - dal Magistrato di Sorveglianza - dal Tribunale di Sorveglianza

* * *

Ho già detto che a parte gli assetti sistematici della nuova nor- mativa che ho cercato di illustrare, il codice non ha portato inno- vazioni che implichino di per sé modificazioni organizzative. Nep- pure i rapporti con altri organi e specificamente con gli uffici del P.M. includono esigenze organizzative nuove.

TI problema organizzativo si pone, invece, e talora con aspetti complessi, in rapporto alle nuove attribuzioni e all'aumento delle competenze.

L'aumento del volume di lavoro, stimato in un primo calcolo in- torno al 35%, dopo il 500A, nel 1986, sembra ora nettamente irreali- stico e nello studio del gruppo Canepa si valuta già intorno al 45- 500A,.

Orbene, seppure tale stima fosse esatta nella situazione attuale e in condizioni statiche,va considerato sulla base dell'esperienza del- la riforma del 1986 che le nostre procedure, con istruttoria di uffi- do, senza formalità e spese di parte, con un procedimento in con- traddittorio snello ed efficace ma con piene garanzie giurisdizionali, porta ad una incentivazione e dilatazione della domanda: come già avvenuto per i differimenti dell'esecuzione della pena per infermità, per le detenzioni domiciliari, gli affidamenti da libero, per le libera- zioni condizionali, che hanno fatto registrare in questi tre anni in- crementi di oltre il 100%.

C'è inoltre un altro elemento che credo non sia stato valutato in alcuna sede istituzionale ai fini della predisposizione di organici e strutture.

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Noi avremo un ulteriore incremento di lavoro derivante non dal- le nuove competenze, ma come effetto diretto del nuovo processo pe- nale, con i suoi riti speciali, giudizi abbreviati, patteggiamento, etc., che, assieme ai giudizi pretorili, daranno una grande rapidità di de- finizione alla maggior parte dei processi. (I.:esperienze americana, per vari versi assimilabile alla nostra, fa registrare un ricorso al proces- so ordinario non superiore alI'8%, risolvendosi il resto in forme di- verse e con procedure brevi. Gli studiosi della materia affermano che il sistema è efficiente nelle attuali condizioni, mentre un aumento anche di 3-4 punti percentuali aprirebbe una cnsi suscettibile di bloc- care tutta l'attività giudiziaria).

Se ciò è vero, come dovrà essere vero - altrimenti, pur in pre- senza di una maggiore capacità di tenuta del sistema in Italia, _po- trebbe aprirsi tuttavia una crisi di sopravvivenza e di efficienza del sistema - effetto immediato sarà una grande massa di giudicati a breve, con pene largamente attenuate, con sanzioni sostitutive, e con un largo incremento del numero delle incarcerazioni sia pure su tem- pi più brevi.

Ne deriverà un immediato vasto ricorso alle misure alternative; ed anzi la prospettiva e la ricerca della misura alternativa sarà uno dei fattori della scelta di rito, e quindi di funzionamento del sistema.

I.:impatto sulla magistratura di sorveglianza non è calcolabile; ma è certo che aumenterà man mano che il nuovo sistema processuale a- vrà raggiunto piena funzionalità, e non diminuirà col tempo essendo legato al normale svolgimento delle nuove procedure, fino a nuovi li- velli che si stabilizzeranno su determinati limiti, sui quali incideranno anche gli effetti, fin qui non studiati, dei nuovi istituti processuali sul- -la recidiva, sulla prevenzione e sul piano criminogeno in genere.

In ogni caso dunque un impegno massiccio e permanente, nelle carceri, nelle misure trattamentali, nella tutela della salute, nella diffe- renziazione degli interventi, alternativi, protettivi, riabilitativi.

E con una prevedibile sicura divaricazione tra strutture esistenti e domanda di intervento e di giustizia.

In siffatta situazione di sovraccarico della domanda, che sembra

certa per le considerazioni fatte, e su cui è mancato ogni studio con

i noti criteri della scienza dell'organizzazione della «simulazione dei

fenomeni» e di accurate analisi dei flussi e delle tendenze, la Magistra-

tura di Sorveglianza viene a trovarsi in una condizione particolare,

differenziata e atipica rispetto ad ogni altro organismo giudiziario.

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E' noto che negli ultimi anni si sono intensificati gli studi sul- l'organizzazione della giustizia, cercando le compatibilità ed i modi di applicazione dei sistemi organizzativi propri dei settori produttivi economici ed aziendali.

La Conferenza Nazionale sull'Organizzazione di Bologna del 1986 segnò una tappa significativa ma di reale contrasto e incoerenza, sot- tolineandosi da un lato la peculiarità dell'azione giudiziaria come «i- stituzione» di giustizia insuscettibile di determinate compressioni e limitazioni, e dall'altro auspicandosi tuttavia la diretta trasposizione nella organizzazione giudiziaria di tecniche gestionali e di schemi di marcata impronta aziendalistica.

Caduto poi largamente questo tipo di soluzioni per la constata- ta profonda differenza dei diversi piani di istituzioni su cui operare, si sono andati ricercando, per il settore della giu~tizia in particolare soluzioni classicamente esterne e modelli gestionali propri e interni al sistema e alla istituzione.

Omettendo, per ragioni di tempo, le diverse proposte ed acqui- sizioni degli studi in corso, le più attuali conclusioni si incentrano sulla deflazione dei carichi giudiziari fino al limite possibile utiliz- zando i vari strumenti idonei allo scopo.

Una volta determinati i flussi e i carichi giudiziari effettivi, si ri- cercano soluzioni organizzative interne per alleviare il carico ponde- rale complessivo.

In questo duplice quadro si pongono, per un verso, le azioni or- mai classiche di deflazione esterne all'organizzazione giudiziaria e che appartengono più propriamente al potere politico, con una pon- derata e decisa opera di individuazione di aree di tutela da affidare ad organi diversi da quello giudiziario (depenalizzazione e simili); e con una ancora più delicata e complessa opera di interventi socio-e- conomici e politici di vario genere che incida a monte su ragioni e cause della devianza suscettibili di risentire in positivo di siffatti in- terventi; fino ad un più deciso e coordinato sforzo della magistratu- ra e delle forze di Polizia su tutto il territorio, ma su determinate a- ree territoriali in particolare.

Sono le voci che ormai si sollevano da più parti, dalla socie-

tà civile in genere nelle sue varie espressioni, alle stesse organiz-

zazioni degli addetti ai lavori che pongono il problema in termini

più generali di intervento socio-politico, non potendo trovarsi so-

luzione nei soli sistemi di controllo e di repressione affidati alle

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Forze dell'Ordine e all'apparato Giudiziario.

Al di là di siffatti tipi di intervento deflattivo, formatisi comun- que determinanti flussi di carico giudiziario, interviene, per altro ver- so, la ricerca di strumenti interni al sistema, come lo stesso nuovo codice di procedura, che tendono insieme ad affrontare e ad allevia- re il carico intrinseco con una serie di misure di accelerazione e di semplificazione dei modi e tempi di definizione.

Può cosl delinearsi un moderno e attivo modello operativo che si avvalga del supporto delle innovazioni tecnologiche applicabili, nel- l'ambito di moduli gestionali di tipo privatistico compatibili con le nostre forme, strutture e finalità istituzionali; nel mentre va appro- fondita la continua ricerca, organizzata ad ogni livello, sul piano giu- ridico, interpretativo, legislativo, dalle grandi riforme ai semplici prov- vedimenti organizzatorii.

• • •

In tutto ciò, la peculiarità e atipicità della nostra posizione - a parte la deflazione che derivasse dell'azione politica e sociale ester- na al sistema e che quindi è produttiva per tutti - sta nel fatto che noi non possiamo né auspicare. né operare per una diminuizione dei carichi giudiziali di nostra competenza, ·atteso che questi sono effet- to direttamente proporzionale all'efficienza degli organi di cognizio- ne e una loro diminuzione significherebbe la crisi dell'apparato co- gnitorio.

Sicché per l'efficienza del sistema dobbiamo attenderci l'incre- mento dei flussi per i nostri organi di sorveglianza.

E la nostra opera, nelle carceri, nelle attività processuali e trat- tamentali, non può essere indirizzata a compressioni e limitazioni, perseguendo fini di tutela della personalità, di umanizzazione della pena, di emenda e di recupero sociale; ed appartenendo, infine, il nostro giudizio al c.d. processo bifasico di definizione della pena, in correlazione alla previsione legislativa di irrogare misure alternative alla detenzione in carcere e di riduzione della pena a fini di reinse- rimento sociale.

La nostra prospettiva non può essere allora che un aumento dei

carichi di lavoro per ora incalcolabile. E la divaricazione tra doman-

da e risorse strutturali è perciò meno suscettibile di correzioni attra-

verso una organizzazione interna di tipo deflattivo.

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Ciò non significa, per altro, che si debba esigere soltanto l'au- mento delle risorse perché credo di poter dire, senza retorica e nel lavoro silenzioso di sempre, che noi siamo soprattutto pronti, prepa- rati psicologicamente e moralmente, a svolgere quella continua azio- ne organizzativa interna per la migliore efficienza del sistema, nei li- miti in cui non si compromettano quei valori che sono propri della nostra funzione.

E molto può ottenersi attraverso azioni e rapporti inter-istituzio- nali, migliorando ed esigendo la collaborazione con gli altri organi giudiziari ed amministrativi; e concentrando l'attenzione sugli «ap- parati di formazione» delle ragioni della decisione (direzioni e orga- nismi penitenziari, equipes di osservazione, Servizi Sociali, Organi di Polizia. Autorità locali, Enti territoriali, assistenziali, sanitari, etc.):

decisioni di cui abbiamo, giustamente, la responsabilità, ma i cui e- lementi si vanno formando attraverso un complesso di apparati e or- ganismi a vari livelli e attraverso il loro naturale filtro.

La prima esigenza è dunque una collaborazione ed una azione che incida sulle aree di efficienza e preparazione di apparati ed or- ganismi procedurali, tecnici e di servizio.

Tenendo presente che difficilmente l'efficienza è neutrale come difficilmente sono neutrali le scelte organizzative.

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GIURISPRUDENZA DEI TRIBUNALI E DEI MAGISTRATI DI SORVEGLIANZA. QUESTIONI EMERSE DOPO LA LEG- GE GOZZINI E COL NUOVO C.P.P. EFFETTI DELLA SEN- TENZA 4.7.1989 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Relatore:

dotto Salvatore IOVINO

presidente del1Hbunale di Sorveglianza di Napoli

1. Della pena detentiva

Pene detentive o restrittive della libertà personale sono per l'art.

18, 1

0

comma C.P. la reclusione, l'ergastolo e l'arresto.

Per ciascuna di esse è prevista la possibile estensione tempora- le (art. 22, lO c., 23, lO c., 25, lO c.) e sono fissati i canoni che ri- guardano l'obbligo del lavoro e l'isolamento notturno, con variabili collegate alla natura ed alla misura della sanzione.

Una definizione del contenuto della pena detentiva non viene det- tata né dalle norme del codice né nel coevo ordinamento penitenzia- rio al quale veniva rimessa (vedi relazione al codice) la fissazione dei limiti della custodia.

La pena detentiva importa la perdita della libertà di esercizio del diritto di movimento sul territorio. Le ulteriori limitazioni sono do- vute o all'impossibilità di esercizio di altri diritti, che presuppongo- no proprio la libertà di movimento sul territorio, o derivano dalla necessità di garantire una regolare vita negli istituti. Almeno le deli- mitazioni di queste ultime erano demandate all'amministrazione pe- nitenziaria.

La delega all'amministrazione di fissare le modalità di esecuzio- ne della pena finiva per riconoscere a questa il potere di determinar- ne il contenuto.

I.:entrata in vigore dell'art. 13 C. II della Costituzione (<<non è am-

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messa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione per- sonale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'A.G. e nei soli casi e modi previsti dalla leg- ge») poteva proporre il quesito se rimettere il contenuto della pena detentiva ad un atto amministrativo, fosse costituzionalmente corret- to. Eppure, il regolamento penitenziario del 1931 rimase in vita fino all'entrata in vigore della legge 25.7.75 n. 354.

Con la citata legge la materia penitenziaria venne assunta sotto forma legislativa e l'esecuzione della pena condotta nell'alveo costi- tuzionale. n legislatore mancava, però, l'occasione di determinare il·

contenuto della detenzione omettendo ogni specificazione dei diritti che in conseguenza della stessa vengono ristretti o limitati.

Se la libertà personale è rappresentata da più diritti, andavano individuati quelli che la detenzione direttamente o indirettamente sopprime o limita nel loro esercizio.

Dall'elencazione delle limitazioni sarebbe dovuto risultare il ri- conoscimento della libertà. Invece, la proclamazione di specifici di- ritti del detenuto, che non sembrano in alcun modo contestabili per effetto della esecuzione penale (vedi ad es. art. 1 c.4° della legge pe- nitenziaria «I detenuti e gli internati sono chiamati ed indicati con il loro -nome».), ci induce a pensare che il legislatore della riforma fosse ancora condizionato da una concezione della pena che ritene- va il detenuto un soggetto capace nei limiti riconosciuti dal regola- mento.

Una normativa che enumera libertà, diritti, modo di esercitarli, lascia ipotizzare un principio di limitazione generalizzato superabile solo da una norma autorizzativa, quando, invece, libertà è la norma, limitazione è l'eccezione.

Precedentemente alla entrata in vigore della legge 354175 l'unico elemento certo della pena detentiva era quello della restrizione in i- stituto. La detenzione integrava un rapporto detenuto-istituto che non veniva meno neppure nel caso di ricovero in pubblico ospedale o in una casa di cura (art. 107 regolamento) per effetto della sorveglian- za alla quale era sottoposto il detenuto da parte della scorta. La leg- ge penitenziaria allarga i termini del rapporto.

n permesso consente al detenuto di uscire (libero) dall'istituto,

ma nella persistenza di un legame con l'istituto rappresentato dall'o-

nere «revertendi». I.:interruzione del rapporto consegue non all'usci-

ta dall'istituto bensl alla sottrazione all'obbligo di rientrarvi. Anche

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