di Redazione
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Decontribuzione Sud: un’altra pronuncia del TAR Lazio sospende le indicazioni Inps di Redazione
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Gli effetti del Decreto Dignità sotto la lente della Fondazione studi di Redazione
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Generica dichiarazione di rinuncia: valida solo se è accertata la volontà dispositiva di Redazione
SPECIALE DELLA SETTIMANA
Obbligo di vaccinazione COVID e licenziamento: il punto di vista di Uneba di Luca Degani - presidente Uneba Lombardia -, Simona Bosisio
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Cig COVID: le istruzioni Inps sul differimento dei termini decadenziali disposto dal Milleproroghe
di Redazione
L’Inps, con messaggio n. 1008 del 9 marzo 2021, ha offerto chiarimenti operativi riguardo al differimento dei termini decadenziali relativi ai trattamenti di integrazione salariale connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19, disposta dal Decreto Milleproroghe. In particolare, l’articolo 11, comma 10-bis, D.L. 183/2020, differisce al 31 marzo 2021 i termini decadenziali di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all’emergenza da COVID-19, di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies, D.L. 18/2020, e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi scaduti entro il 31 dicembre 2020.
Rientrano nel differimento al 31 marzo 2021 tutte le domande di Cigo, Cigd, assegno ordinario (Aso) dei Fondi di solidarietà bilaterali, Fis e Cisoa connesse all’emergenza da COVID-19, i cui termini di trasmissione sono scaduti al 31 dicembre 2020. Pertanto, possono beneficiare della moratoria dei termini decadenziali le domande di trattamenti connessi all’emergenza
epidemiologica da COVID-19 riferite a periodi del 2020 fino a novembre 2020 compreso.
Beneficiano del regime di differimento anche le trasmissioni dei dati necessari per il
pagamento diretto o per il saldo dei trattamenti connessi all’emergenza da COVID-19, a mezzo modelli “SR41” e “SR43” semplificati, i cui termini di decadenza sono scaduti entro il 31
dicembre 2020, pertanto il differimento al 31 marzo 2021 riguarda le trasmissioni riferite a eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa connessi all’emergenza
epidemiologica da COVID-19 terminati a novembre 2020 ovvero a quelli la cui autorizzazione è stata notificata all’azienda entro il 1° dicembre 2020.
L’Istituto chiarisce che i datori di lavoro che, per i periodi oggetto del differimento, non avessero inviato istanze di accesso ai trattamenti, potranno trasmettere domanda entro e non oltre il termine del 31 marzo 2021. A tal fine, dovranno essere utilizzate le medesime causali relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19, già istituite con riferimento alle singole discipline, come riepilogate nell’allegato n. 1 al messaggio.
Infine, viene precisato che, per quanto attiene alle domande di accesso ai trattamenti già inviate e respinte con una motivazione riconducibile alla sola tardiva presentazione della domanda, i datori di lavoro, ai fini del riconoscimento dei periodi ricompresi nelle domande trasmesse, non dovranno riproporre nuove istanze. Invece, per le domande già inviate e accolte parzialmente per i soli periodi per i quali non era intervenuta la decadenza, i datori di lavoro, ai fini dell’accoglimento anche dei periodi decaduti e rientranti nel differimento dei
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Decontribuzione Sud: un’altra pronuncia del TAR Lazio sospende le indicazioni Inps
di Redazione
Il TAR Lazio, Sezione Terza Quater, con ordinanza pubblicata il 4 marzo 2021, accogliendo l’istanza cautelare promossa dall’Ancl, ha sospeso nuovamente l’efficacia del messaggio Inps n. 72/2021, nella parte in cui, al punto 4, stabilisce che “la Decontribuzione Sud può trovare applicazione sulla tredicesima mensilità limitatamente ai tre ratei maturati nel periodo ottobre 2020 – dicembre 2020. I datori di lavoro interessati, che avessero già calcolato ed esposto l’esonero in argomento sull’intera tredicesima mensilità, procederanno alla rideterminazione dell’importo spettante alla luce delle precisazioni sopra esposte”, e del successivo messaggio Inps n.
170/2021.
Il Tribunale sospende l’efficacia degli atti impugnati fino alla definizione nel merito del ricorso, per il quale è stata fissata l’udienza pubblica del 18 maggio 2021.
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Page 4/10Gli effetti del Decreto Dignità sotto la lente della Fondazione studi
di Redazione
La Fondazione studi consulenti del lavoro, con approfondimento del 9 marzo 2021, ha tracciato un bilancio degli effetti prodotti sul mercato del lavoro dal Decreto Dignità (D.L.
87/2018), che ha modificato la disciplina del D.Lgs. 81/2015 in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro. Il documento analizza in chiave
occupazionale i risultati ottenuti con questo provvedimento, mettendo in evidenza i limiti di un mercato del lavoro caratterizzato da una così forte rigidità in entrata e sottolineando l’esigenza di introdurre nuovi modelli organizzativi più flessibili.
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Generica dichiarazione di rinuncia: valida solo se è accertata la volontà dispositiva
di Redazione
La Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con ordinanza 14 gennaio 2021, n. 558, ha ritenuto che una dichiarazione di rinuncia riferita, in termini generici, a una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto può assumere il valore di rinuncia o di transazione alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati o obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di
transigere sui medesimi, posto che enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà
dispositiva dell’interessato.
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Page 6/10Obbligo di vaccinazione COVID e licenziamento: il punto di vista di Uneba
di Luca Degani - presidente Uneba Lombardia -, Simona Bosisio
In premessa di questa breve riflessione si ritiene doveroso ricordare che Uneba, acronimo di Unione nazionale enti di beneficenza e assistenza, è un’associazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo che associa oltre 900 enti no profit sul territorio nazionale, di cui una significativa parte gestisce Rsa, oggi tristemente note alla cronaca per essere state gravemente colpite dal COVID-19.
Uneba, che in questo momento storico si trova ad agire su più piani a sostegno dei propri associati, si è interrogata sul tema “caldo” del rifiuto alla vaccinazione opposto dagli operatori sanitari e sociosanitari, soprattutto alla luce dei numerosi pareri contrastanti pubblicati di recente da autorevoli giuristi.
Nel noto vuoto normativo in tema di obbligo vaccinale, alcuni autori hanno individuato le norme da invocarsi a favore del licenziamento del lavoratore renitente, altri, invece, hanno negato tale possibilità proprio in assenza di una norma che imponga ai lavoratori l’obbligo vaccinale.
Indubbiamente, in ambito sociosanitario e assistenziale è doverosa una riflessione ad ampio raggio, non potendosi dimenticare che gli enti hanno il contestuale obbligo di tutelare tanto i propri dipendenti, quanto l’utenza fragile loro affidata; per tale ragione il rifiuto di un
operatore che opera a contatto con tali soggetti costituisce una criticità di non poco conto.
Il datore di lavoro si trova, pertanto, nella necessità di comprendere se prevalga il diritto di scelta del singolo e se sia, dunque, obbligato a garantirgli la continuità del rapporto di lavoro, oppure se, ferma la libertà di scelta di ogni operatore, si ponga in capo alla struttura l’obbligo di allontanarlo dagli utenti e dai colleghi che hanno scelto di sottoporsi al vaccino.
Nella ricerca di una risposta a tale quesito non possiamo dimenticare un altro elemento
fondamentale, vale a dire l’aspetto organizzativo di ogni singola realtà, la cui attività potrebbe incontrare importanti difficoltà operative laddove il numero di lavoratori renitenti fosse
particolarmente elevato.
Dal momento in cui a livello collettivo si è sollevato il problema di cui ci stiamo occupando, Uneba ha ricevuto numerosi quesiti, in cui si sono evidenziate le più disparate esigenze
un intervento legislativo che ponga fine al dibattito, non è possibile trovare una soluzione univoca al problema del rifiuto dei lavoratori a sottoporsi alla vaccinazione anti-COVID.
Nello scenario sopra prospettato, ancor più forse che in altri settori, riteniamo non si possa prescindere dal ruolo del medico competente, il quale, in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 25, D.Lgs. 81/2008, nell’attuale momento pandemico, dovrà programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici, tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati.
Posto che la Sars-CoV-2, a mente della Direttiva UE 739/20, è stata inserita nel gruppo di rischio 3 degli agenti biologici, la contrazione del virus di cui si discute costituisce un rischio specifico all’interno dell’ambiente di lavoro in cui si svolge l’attività sanitaria e sociosanitaria.
Conseguentemente il medico competente, in ottemperanza alle previsioni del T.U. salute e sicurezza, dovrà valutare se aggiornare i protocolli di sorveglianza sanitaria inserendo il vaccino, accanto ai presidi già in uso, quale strumento di tutela della sicurezza sul luogo di lavoro. Laddove si proceda in tal modo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 41, D.Lgs.
81/2008, il medico competente dovrà valutare l’idoneità alla mansione specifica del lavoratore renitente.
Va da sé che, nel momento in cui questi dovesse emettere un giudizio di inidoneità anche temporanea alla mansione, il datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 42, T.U. salute e sicurezza, dovrà attuare le misure indicate e, dunque, non potrà continuare ad adibire l’interessato alla mansione specifica, ma dovrà, ove possibile, adibirlo a mansioni equivalenti o, in difetto, anche inferiori. In assenza di qualsiasi alternativa, è di immediata evidenza che quel lavoratore non potrà trovare un’utile collocazione all’interno dell’organizzazione.
Tuttavia, Uneba non ritiene al momento percorribile la strada del recesso dal rapporto di lavoro, non solo in ragione dell’attuale blocco dei licenziamenti per gmo, tra cui (a torto o a ragione) si annovera anche il licenziamento per inidoneità alla mansione, ma anche in considerazione della presumibile temporaneità del giudizio di cui si discute.
Non da ultimo, allo stato attuale non ci si sente di sostenere la licenziabilità tout court, in quanto la nostra associazione, in collaborazione con le organizzazioni sindacali, ritiene che sia fondamentale raccogliere il maggior consenso dei lavoratori attraverso un’opera di moral suasion, rappresentando in primo luogo l’importanza di addivenire a una copertura vaccinale il più ampia possibile ai fini della tutela di tutta la collettività e, in ogni caso, finché è possibile, riteniamo che il licenziamento debba rappresentare davvero l’ultima ratio.
Pertanto, oggi, in luogo del recesso, laddove l’attività di formazione e informazione posta in essere dal medico competente unitamente a Rspp, Rls, direzione sanitaria, direzione generale, non desse esito positivo, si ritiene, pur con i rischi di impugnazione della scelta, che il datore di lavoro possa optare per la sospensione del lavoratore dichiarato inidoneo dal lavoro e dalla retribuzione.
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Page 8/10misure di protezione fino ad oggi adottate, quali mascherine, guanti, camici monouso, occhiali, visiere, etc..
In tal caso, si ritiene che il datore di lavoro – sul quale, a mente dell’articolo 2087, cod. civ., grava la responsabilità della tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori – dovrà decidere se uniformarsi alle valutazioni del medico competente e, dunque, lasciare che i lavoratori non vaccinati continuino ad operare a contatto dell’utenza, oppure se allontanare i predetti lavoratori non tanto a causa dell’inidoneità alla mansione, ma in ragione dell’obbligo di tutela nei confronti dei fruitori del servizio.
Come poc’anzi evidenziato, l’ente deve garantire ai propri utenti l’esecuzione della
prestazione nel rispetto delle regole della diligenza, da cui discende l’obbligo accessorio di eleminare, o almeno contenere, qualsiasi rischio di danno per gli stessi.
Non è, dunque, da escludere che la struttura possa ritenere che il lavoratore non vaccinato costituisca un rischio per l’utenza e, conseguentemente, possa ritenere necessario
l’allontanamento dello stesso dal contatto diretto con la popolazione accolta.
In tale ipotesi, si verificherebbe un oggettivo impedimento della prestazione per impossibilità sopravvenuta, con conseguente obbligo del datore di verificare la sussistenza di mansioni alternative a cui adibire l’operatore; laddove la verifica desse esito negativo, si andrebbe a delineare la possibilità di sospendere temporaneamente dal lavoro e dalla retribuzione il dipendente renitente.
Pur nella necessità di garantire la tutela nella modalità sopra evidenziata, Uneba non può dimenticare che molti enti hanno evidenziato l’oggettiva impossibilità di sospendere i
lavoratori, a fronte della necessità di garantire l’erogazione del servizio di competenza. In tale ipotesi, si ribadisce, a fronte dell’inesistenza di una norma che imponga ai lavoratori di
vaccinarsi, l’ente, nell’assumersi la responsabilità di assicurare la tutela della salute e
sicurezza dei luoghi di lavoro, deve dimostrare non solo di aver messo a disposizione i vaccini, ma anche di aver posto in essere una profonda attività di formazione e informazione sulla materia.
Uneba ritiene che in questo momento pandemico sia fondamentale il ruolo delle
organizzazioni sindacali nella campagna di informazione e sensibilizzazione dei lavoratori impegnati nelle strutture che erogano servizi sanitari e sociosanitari, per tale motivo ha invitato i propri associati a cercare l’appoggio dei sindacati territoriali e aziendali.
Uneba Lombardia, a riprova della profonda convinzione che il vaccino costituisca un fondamentale strumento di tutela per le realtà afferenti al settore che rappresenta, ha
di sensibilizzazione alla vaccinazione anti COVID-19.
In conclusione, ripetendo le parole di chi ha già analizzato la tematica qui affrontata, non si può che auspicare un intervento di un accorto Legislatore.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.
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