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La Terra brucia Usa e Cina insieme per forza

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Academic year: 2022

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La Terra brucia Usa e Cina

insieme per forza

da Nera York MASSIMO GAGGI

iviamo in un'era se- a da crisi profon- de: epidemie, un am- biente che rischia di diventare assai poco vivibile, un'evoluzione tecnologica rapi- disshna e incontrollata che offre grandi opportunità, ma comporta anche enormi rischi. Non sono sicuro che troveremo le soluzioni giuste per uscirne, ma penso che proprio la gravità di questi problemi ci costringerà ad affrontarli sul serio.

Non credo, ad esempio, che ci siamo or- mai rassegnati ai mutamenti climatici sottovalutandone l'impatto».

Iatn Bremmer per anni ha analizzato ïl disfacimento del sistema di relazioni in- ternazionali costruito dopo la Seconda guerra mondiale, descrivendo, poi, a tin- te fosche il mondo da lui definito G-Zero:

quello in cui, finita l'era della contrappo- sizione Usa-Urss, venuto meno lo scena- rio dell'America «poliziotto del mondo»

e con l'ipotesi di un nuovo condominio Usa-Cina che non ha mai preso quota, ognuno gioca la sua partita e nessuno tenta di ricostruire un sistema di equili- bri multilaterali. Ora il politologo fonda- tore e capo ciel think-tank Eurasia descri- ve in Il potere della crisi uno scenario in.

cui è la stessa gravità dei problemi. che in- combono su tutti che alla fine convincerà le potenze ciel mondo, pur aspramente divise, a collaborare, almeno su alcuni ta- voli, «La Lettura» lo intervista mentre sta partendo per il Giappone, felice di tona- re in uno dei Paesi piì.r importanti per la sua attività di analista dopo un isolamen- to durato oltre due anni, causa Covid.

Il ritorno alla collaborazione tra Pae- si divisi da contrasti profondi sembra più una speranza che uno scenario probabile. Basti pensare che durante l'ultima crisi economica planetaria, quella seguita alla Grande recessione del 2008, Cina, Stati Uniti, Europa e an- che gli altri Paesi cooperarono per tro- vare una risposta comune. Mentre og- gi, con l'inflazione rampante, la reces- sione alle porte negli Usa e in Europa e anche la Cina in forte difficoltà, ognu- no va per la sua strada. E il conflitto in Ucraina rende tutto più complicato.

Nel rispondere Bremmer parte proprio dall'aggressione russa all'Ucraina che, pure, non è nel suo saggio, scritto prima ciel conflitto (pubblicato negli Usa un pa- io di mesi fa, arriva nelle librerie italiane in questi giorni): «Non tutte le crisi sono uguali e alcune possono evolvere in un modo che ne cambia la percezione. Cre- do non sia azzardato paragonare l'emer- genza climatica a quanto sta accadendo tra Occidente e Russia. Nel 2008, quando Mosca invase la Georgia, la violazione del diritto internazionale fu chiara a tutti, ma la reazione fu blanda: un Paese molto lontano, instabile, di scarso interesse per gli Usa e anche per. l'Europa, mentre i rus- si lo consideravano il cortile di casa.

«Nel 2014, quando Putin si prese la Crimea e i suoi green men (soldati russi senza divisa, ndr) invasero il Donbass, l'attacco fu percepito come strategica- mente assai più pericoloso, ci furono an- che grandi proteste, la Russia venne col- pita da sanzioni, ma nessuno volle arriva- re a uno showdown brutale: l'Ucraina era vista come un Paese debole e corrotto, il Donbass poco rilevante per l'Occidente. E poi Putin si era mosso anche per reazio- ne alla cacciata di un presidente filorus-

so: ora, anche se mutilata, l'Ucraina aveva un governo filo-occidentale. Nel 2022,

però, tutto è cambiato: Putin ha aggredi- to un Paese ormai percepito come parte integrante dell'Europa, massacrando ci- vili e puntando sulla capitale Kiev. Que- sto ha provocato una reazione dei governi e dei popoli occidentali molto più forte. I Paesi della Nato si sono ricompattati co- me non era mai avvenuto prima e l'Alle- anza atlantica ha avuto uno straordinario rilancio. Per i mutamenti climatici credo si possa fare un ragionamento in un certo senso simile: il problema lo conosciamo da molto tempo, ma fino a 20 anni fa lo percepivamo come relativamente remo- to, come la crisi del 2014 in Crimea.

«Distruzione delle foreste, rischio di sparizione di isole tropicali per l'innalza- mento dei mari, estati più calde: minacce che non ci sembravano troppo vicine o troppo gravi. A parte gli ambientalisti, pensavamo di risolvere tutto col riciclag- gio e, magari diventando vegetariani per una settimana. Oggi il problema si è ag- gravato e la nostra percezione è cambia- ta: l'emergenza per alluvioni, siccità, in- cendi e altro è arrivata ovunque, in Cali- fornia come in India, in Texas come in Italia. Ora sappiamo che la temperatura del pianeta è già salita di 1,2 gradi e che se non freniamo questa crescita andremo incontro a una catastrofe climatica. Non.

c'è più spazio per le fake news o lo scetti- cismo: la realtà è davanti ai nostri occhi e stiamo investendo massicciamente, nel solare come nei veicoli elettrici e anche nel nucleare, per cambiarla».

Una scossa sufficiente? Gli accordi di Parigi sul clima faticano a trovare at- tuazione anche al di là dell'atteggia- mento degli Stati Uniti, usciti dal patto con Trump e poi rientrati con Biden.

«I governi delle grandi potenze conti-

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nipoti ormai rifiutano i combustibili fos- sili. Se il governo federale di Washington non interviene, lo faranno quelli locali della California o del Texas. E intanto si muovono gli imprenditori che stanno in- vestendo massicciamente nelle nuove tecnologie a basso impatto ambientale.

Nei miei ultimi libri ho descritto il mon- do G-Zero, la recessione geopolitica nella quale viviamo. Ne Il potere della crisi cer- co di capire come le emergenze planeta- rie di oggi possano aiutarci a uscire da questa situazione, ricreando l'infraslrut- Una per un nuovo ordine del XXI secolo».

t

Ma cosa le fa pensare, ad esempio, che la Russia abbia voglia di collabora- re, anche solo sul piano climatico? C'è chi dice che l'aumento delle temperatu- re renderà la Siberia coltivabile.

«E vero che la Russia può trarre benefi- cio dal climate change. Non tanto sul pia- no agricolo, visto che secondo molti la qualità del suolo della taiga siberiana rende problematico un suo sfruttamento agricolo, quanto nei trasporti e nello sfruttamento del sottosuolo: con lo scio- glimento dei ghiacci avremo un Mare Ar- tico navigabile con la possibilità di creare rotte molto più convenienti verso i vari continenti e sarà più facile perforare i fondali marini per raccogliere risorse mi- nerarie. Ma il punto non è quello di van- taggi e svantaggi per i singoli Stati: ïl punto è che abbiamo ormai capito che il futuro non è nei combustibili fossili mentre, per fare un esempio, in America siamo ormai consapevoli che, se non vo- gliamo farci scavalcare dalla Cina, dob- biamo investire nelle energie rinnovabili come fanno loro. Quindi avremo ancora competizione e diffidenza tra Cina e Stati Uniti, ma ciò servirà a fare progressi ver- so la trasformazione energetica del mon- do. Non sarà la ricetta magica che risolve i problemi di chi soffre per le devastazio- ni dovute ai mutamenti climatici, ma è la via per cercare di ricostruire un sentiero comune dopo che le grandi istituzioni in- ternazionali — la Nato, il Fondo moneta- rio o il Wto per il commercio mondiale hanno smesso di funzionare. Per riat- tiarle serve lo choc delle crisi».

Discorso pieno di fiducia, ma nel suo libro leggiamo anche che «a dirla tutta non è detto che il nostro pianeta so- pravviverà ai prossimi 5o anni». E, an- cora, visto che è improbabile che il no- stro sia l'unico pianeta dell'universo in grado di ospitare la vita, forse «siamo temporaneamente soli perché dal mo- mento in cui la vita comincia a formarsi

struggerla. Per 8o anni siamo riusciti a evitare che la proliferazione nucleare producesse danni irreparabili. Avremmo potuto fare meglio, ma ce la siamo cava- ta. Oggi, però, abbiamo nuove, potenti tecnologie disruptive, come algoritmi basati sull'Intelligenza artificiale che ren- dono impossibile distinguere un indivi- duo da un essere umano fake, un bot che lo replica. Per non parlare di droni auto- nomi o di armi biologiche, fino al quan- tum computing. Fin qui i governi del mondo non si sono preoccupati di iden- tificare queste tecnologie e di assicurarsi che non producano danni irreparabili».

Come uscirne?

«Serve un organismo internazionale come quello sul clima capace di stabilire quali sono le tecnologie più pericolose per la nostra esistenza e in grado di avvia- re interventi coordinati. Cooperare per individuare i problemi come fummo ca- paci di fare con le armi nucleari durante la guerra fredda. A differenza di pande- mie e crisi climatica che sono già tra noi, quella delle tecnologie è un'emergenza che ancora non si è manifestata ma avan- za rapidamente. Possiamo lavorarci ma dobbiamo muoverci subito».

Sul controllo della tecnologia, oltre ai governi, un ruolo centrale devono averlo, secondo lei, le grandi imprese digitali, i veri gestori delle innovazioni.

Capitalismo da riformare?

«Abbiamo già visto col clima che, quando Trump si è tirato indietro, sono stati governatori, imprese e banche a de- cidere che gli Usa avrebbero continuato a puntare sulla transizione energetica. Nel mondo digitale abbiamo imprese che so- no attori sovrani, più potenti di molti go- verni. Vanno responsabilizzate e possono diventare protagoniste nelle nuove istitu- zioni internazionali: Google, SpaceX e i giganti tech cinesi a fianco dei governi in una nuova architettura più agile, ma an- che con le complessità di un simile cam- bio di paradigma».

@JBiP ODU'(IUNEpüPRVAIq

saggio Ian

Bremmer vede la gravità delle crisi in corso, specie quella climatica, come una valida.

opportunità:

benché divisi su molti temi, i giganti del mondo sono obbligati a collaborare, coinvolgendo le grandi imprese.

Ma anche il

progresso rapido della tecnologia presenta rischi immensi.

Non è detto che tra mezzo secolo il genere umano esisterà ancora

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L'immagine Namsal Siedlecki (Greenfield, Usa, 1986),

Nuovo vuoto (2022): fino al 20 novembre al Maxxi di Roma nella mostra dedicata ai tre finalisti del Maxxi Bulgari Prize 2022 (oltre a Siedlecki, sono Alessandra Ferrini e Silvia Rosi)

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La 'l'erra hilydi°,i Usa eCina insieme Per là yr•,

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Le superpotenze nella trappola della geopolitica

di IAN BREMMER

entiquattro secoli fa lo storico ateniese Tucidide fece un'osservazione che spesso ritorna nelle discussioni sull'attuale rapporto tra:Stati

uniti

e Cina: quando la potenza emergente di Atene spaventò la potenza egemone di Sparta, la guerra tra le due divenne inevitabile. L'idea che la potenza egemone ela sua sfidante siano destinate a,scontrarsi è nota come

«trappola.c.fiTucidide» e, benché i raffronti tra diverse dinamiche di potere ln diverse epoche storiche possano essere fuorvianti, il ragionamento di Tucidide calza alla perfezione per 11 XXI secolo.

La paura è avvertita da entrambi i Paesi. I leader statunitensi temono che la -Cina possa riscrivere le regole che hanno creato e protetto la supremazia americana nel post guerra fredda, e che le regole della Cina possano compromettere l'attrattiva mondiale della democrazia e della libertà individuale. Molti cinesi temano che gli Stati Uniti vogliano atutti i costi arginare la crescita naturale della Cina per proteggere tutti i vantaggi che derivano dal loro ruolo di

superpotenza, e che la Cina non potrà mai realizzare il suo pieno e legittimo potenelele in un mondo dominato dall'America. Gli ultimiee anni hanno registrato un bruscocambiainentO nell'equilibrio di potere tra la potenza egemone e quella emergente.

Dopotutto Sparta è uscita vittoriosa dalla Guerra del Peloponneso contro Atene, ma i costi sono stati disastrosi per entrambe.

Negli ultimi decenni, inoltre, è cresciuta l'interdipendenza che lega Cina e Stati Uniti. L'ascesa della Cina ha creato opportunità di profitto storiche per le imprese americane, prima come fonte di manodopera a basso costo, poi come gigantesco mercato di consumo

per i prodotti made in Usa. A fine enig circa 70 mila aziende americane facevano affari in Cina per svariate centinaia di miliardi di dollari. I cinesi, a loro volta, hanno beneficiato della stabilità creata dal sistema

internazionale.aguida statunitense per far crescere la loro economia ed espandere la loro influenza all'estero.

La Cina è stata un prestatore di vitale importanza per il governo Usa

attraverso l'acquisto di titoli del Tesoro americano. Non c'è simbolo più eloquente dell'interdipendenza Usa, Cina delle filiere produttive che collegano le due economie.

Eppure l'apprensione degfiStati Uniti, suscitata dall'imponenza- del successo cinese e poi trasformatastin paura, ha portato leautorità arriericane

•a sfidare i metodi impiegati dalla Cina per assicurarsi quel successo duraturo.

Le lamentele statunitensi in ambito commerciale sono sostanzialmente tre: il governo cinese non intende • aprire tilterionnente 'propri mercati alle aziende estere, sovvenziona massicciamente le imprese cinesi conferendedoro un vantaggio iniquo sui concorrenti stranieri e si accaparra la proprietà intellettuale delle imprese straniere, costringendole a

condividerla in cambio dell'accesso ai consumatori cinesi o, semplicemente, rubandogliela. Ora che le nuove tecnologie trasformano velocemente l'economia globale e con essa l'equilibrio di potere, gli Stati Uniti e

altri Paesi hanno avvertito la Cina che non tollereranno più i furti di proprietà intellettuale su vasta scala perpetrati dalleimprese cinesi e agevolati dal governo. Negli Stati Uniti questo ammonimento può contare sul sostegno tanto dei democratici quanto dei repubblicani, per non parlare del numero crescente di aziende americane e di altri portatori di interessi. Fra questi ultimi, in molti hanno smesso di credere che i vantaggi creati dal fare affari con e dall'investire in Cina superino gli svantaggi.

Donai d Trump è stato il. primo

Washington e Pechino si stanno sganciando:

vanno in cerca di ogni mezzo in grado di ridurre la dipendenza reciproca

presidente dopo Lyndon Johnson a rifiutare un approccio alla Cina imperniato sulla «mediazione». Quella che a marzo del 2o18 è cominciata come un'azione statunitense contro l'acciaio e l'alluminio importati dalla Cina si è poi trasformata in centinaia di miliardi di dollari di dazi imposti su un'ampia gamma di prodotti cinesi.

Pechino ha risposto con la stessa moneta. I governi dei due Paesi avevano gia potenti incentivi economici a inasprire i toni con la controparte su tutte le dispute in corso. La guerra commerciale non ha fatto cheintensificare quegli incentivi e mostrare a entrambi governi che decenni di crescita dell'integrazione economica avevano creato delle vulnerabilità che l'altra parte avrebbe potuto sfruttare in caso di conflitti.

Questa presa di coscienza ha creato nuovi incentivi per una separazione.

Stati liniti e Cina si stanno ora eeganetando», andando in cerca di ogni mezzo in grado di ridurre la dipendenza economica, finanziaria e tecnologica di una parte dall'altra. Le loro relazioni peggiorano quasi su ogni fronte, e ciò rende più. difficile trovare un terreno comune proprio quando ne avrebbero maggior bisogno, per le sorti delle due nazioni e del mondo intero.

La Cina ha ancora bisogno di accedere agli investimenti, alla tecnologia cal consumatori statunitensi. Gli Stati Uniti

mantengono un vantaggio sufficiente in termini di potenza militare per impedire alla Cina di dominare l'Est e il Sudest asiatico e costringere gli alleati americani della regione a seguire la guida di Pechino. Ma nel 2030, quando la Cina probabilmente prenderà il postodegli Stati Uniti come prima economia mondiale per dimensioni, i vantaggi statunitensi sisaranno significativamente rimpiccioliti, e i.

futuri presidenti americani dovranno essere molto più flessibili e creativi quando si troveranno a negoziare con XI Jimeing o con il suo successore,

O nIPRODUZIONER,StRVAM

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IAN BREMMER Il potere della crisi

Wnve mimo. eli. m. *

IAN BREMMER Il potere della crisi.

Come tre minacce e la nostra risposta cambieranno il mondo Traduzione di Marianna Grimaldi EGEA Pagine 216, € 22,50 In libreria dall'8 luglio L'autore II politologo americano lan Bremmer (Baltimora, 1969;

qui sopra), esperto di rischi globali, è presidente e fondatore di Eurasia Group, una società di ricerca e consulenza con sede a New York ed è inoltre tra i fondatori della società di media digitali GZero Media.

Alcuni suoi libri sono stati tradotti in Italia: La curva 1 (Università Bocconi, 2008);

La fine del libero mercato (traduzione di Alfredo Guaraldo, Gruppo 24 Ore, 2010); Noi contro di loro (Università Bocconi, 2018)

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