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ROBERTO MARIA GRIPPO

SCHERZI DELLA MEMORIA

Le Fantasie del Pavone Bianco

2020 By Roberto Maria Grippo Edito dall’Autore il Pavone Bianco

Prima edizione

Stampa - distribuzione - Amazon ISBN 9798644757060

INDICE

Prefazione 4

Vuoti di memoria 9

Memoria di massa 39

Memorie di famiglia 86

La memoria di un figlio 129

Dediche e ringraziamenti 168

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Prefazione

Questi quattro racconti sono un prodotto della fantasia alle cui carezze spesso mi lascio andare, magari pochi minuti prima di abbandonarmi alle lusinghe del sonno;

capita che prima di dormire io mi racconto un frammento di una storia, una favola, che il giorno dopo cerco di ricordare ma devo sempre ricominciare daccapo perché perdo il filo e non so mai come finisce poiché mi addormento sempre prima che la storia prenda una qualche consistenza.

Così ho deciso di dedicare qualche ora della lucidità diurna per fissare quei frammenti di racconti, dandogli uno svolgimento ed una fine che, in verità, non ho mai presente quando comincio a scrivere ma viene da se, come dire, in corso d’opera.

Il viaggio nella memoria è il filo conduttore delle quattro storie, nella

consapevolezza che la nostra memoria sia l’essenza della nostra esistenza.

I vuoti di memoria disegnano un problema che molti di noi sperimentano:

non riuscire a ricordare; ma il nostro protagonista della storia ha problemi più grossi perché non trova quello che ricorda ci debba essere.

La memoria di massa è un viaggio fantasioso nei meandri del cervello per scoprire alla fine che noi siamo quello che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria.

In Memorie di famiglia cerchiamo di capire quanto pesa la nostra storia nel presente: solo curiosità, folclore ? Oppure condizionamento del presente. Dipende.

Infine, nell’ultimo racconto: La memoria di un figlio scopriamo che anche i sentimenti dipendono dalla memoria e senza memoria non si sente nulla se non la razionalità arida ed a volte inutile.

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Qualcuno mi ha chiesto quanto c’è di me stesso in queste storie e fino a che punto sono inventate, ovvero, se non siano proprio autobiografiche.

Potrei rispondere, con il dovuto rispetto e fatte le debite proporzioni, come Flaubert che disse madame Bovary c’est moi.

Si... i personaggi spesso si comportano come mi comporterei io e riconosco che è stato più facile prendere spunti dal mio modo di essere piuttosto che inventare.

Ma a parte questo le storie sono libera espressione della fantasia dell’autore che, magari, avrebbe davvero voluto viverle nella vita reale.

Le storie nascono da uno spunto o da da un avvenimento realmente accaduto.

Ad esempio il racconto “Vuoti di memoria” è un sogno, ovvero, un incubo che mi ha fatto svegliare nel cuore della notte quando ho sognato che non avevo più una famiglia.

Ma, in quella occasione, mi è stato sufficiente allungare la mano per sentire il corpo addormentato di mia moglie per tranquillizzarmi e continuare a dormire.

“Memoria di massa” nasce anch’esso da uno spunto reale: una volta, da giovane, mi capitò di uscire da una tenda di campeggio, di notte, per soddisfare un naturale bisogno fisiologico.

Nell’uscire dalla tenda ho visto tra gli alberi un grande ed enorme disco di luce in movimento.

Premesso che sono fortemente miope e sono uscito dalla tenda senza i miei occhiali posso aver visto qualsiasi cosa ma io mi sono convinto che fosse un UFO ed ho pensato che mi avrebbe fatto piacere un incontro ravvicinato con gli extra terrestri.

“Memorie di famiglia” nasce dai

“cazzeggi” tra parenti sugli antenati comuni che in gran parte sono defunti e che non abbiamo mai conosciuto.

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Ci sono frammenti di storie, aneddoti, notizie imprecise e generiche che si tramandano di generazione in generazione e che mai potranno essere verificate per cui bisognava lavorare di fantasia.

Infine, “La memoria di un figlio” trae spunto da un fatto capitato ad un mio amico che scopre, da grande, di essere il frutto di un amore passeggero fra un militare americano e sua madre durante l’occupazione alleata.

Un fatto abbastanza consueto e per nulla eccezionale come tanti ma il mio amico si fissò che doveva conoscere il suo vero padre che aveva moglie e figli in America e così nonostante lo sconsigliassi vivamente di andare a sconvolgere la tranquilla vita di quella famiglia è voluto partire lo stesso per l’America dove è stato accolto - dice - con entusiasmo e perciò ogni anno fa questo pellegrinaggio alle sue radici, portando fiori alla tomba del padre americano ed alla sua famiglia biologica

che, secondo me, non sa come fare per liberarsi dell’importuno visitatore.

Vuoti di memoria

Enrico si svegliò come al solito alle sette e trenta ed iniziò la giornata con la precisa ritualità che definiva la procedura per uscire di casa.

Perciò anche quella mattina fu rispettata la sequenza bagno-sigaretta-caffè-sigaretta- bagno.

In verità quella mattina Enrico aveva avvertito, al risveglio, qualche cosa di strano che non sapeva definire e su cui rimuginò a lungo mentre sorseggiava il

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suo caffè accompagnato dall’immancabile sigaretta.

Caffè e sigaretta erano elementi essenziali della procedura mattutina perché potesse uscire dallo stato catatonico del risveglio e potesse affrontare la giornata con la necessaria energia.

Questa parte del rito doveva essere abbastanza lungo e lento perché le sostanze - caffeina e nicotina - riuscissero a dispiegare il loro effetto benefico; perciò si era sempre alzato dal letto per tempo contrariamente al resto della famiglia che invece continuava a poltrire fino all’ultimo minuto utile per non fare ritardo.

La strana sensazione del risveglio non passò mano a mano che le sostanze necessarie ad Enrico per essere efficiente cominciavano a fare effetto, anzi la sensazione sgradevole si faceva più forte e sfociava in una vera e propria ansia che non aveva mai provato.

Cosa era che non quadrava quella mattina ?

Enrico ritornò in camera per svegliare la moglie Elvira e condividere con lei lo stato di malessere che a questo punto avvertiva molto distintamente senza avere la benché minima idea di cosa fosse;

magari Elvira lo avrebbe rassicurato e gli avrebbe fornito qualche idea o qualche buona ipotesi riguardo alle origini di quel male oscuro.

Ma in camera Elvira non c’era, sembrava che si fosse già alzata anche lei e poiché non era venuta in cucina doveva essere al bagno.

Nel richiudere la porta della stanza da letto la sensazione che aveva provato al risveglio si accentuò ulteriormente tanto che rimase fermo con la mano sulla maniglia della porta e non poté fare a meno di riaprire la porta e guardare all’interno della camera.

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Aveva capito cosa c’era di strano e l’occhiata che diede nuovamente alla stanza confermò la sua idea.

Il posto nel letto dove aveva dormito Elvira era “stranamente“ ordinato mentre, di solito, al risveglio della moglie la parte del letto che le spettava era un agglomerato di lenzuola e coperte attorcigliate.

Sembrava quasi che Elvira non avesse dormito in quel letto.

Enrico sorrise rigettando subito l’ipotesi che aveva appena preso in considerazione;

ricordava benissimo che erano andati a letto tardi per vedere un programma in televisione e che avevano dovuto affrontare una spiacevole discussione riguardo ad una nota che il figlio Carlo aveva riportato dalla scuola e che richiedeva un rimprovero o, addirittura, una punizione da parte dei genitori.

Dopo il consueto scambio di reciproche accuse è colpa tua, è colpa mia Elvira si

era addormentata dopo aver deciso che avrebbero preso una decisione l’indomani mattina.

E n r i c o l ’ a v e v a v i s t a d o r m i r e saporitamente nel letto e caso mai era lui s t e s s o c h e a v e v a f a t i c a t o a d addormentarsi.

Evidentemente era al bagno e quindi ritornò in cucina dove, nell’attesa, accese l’ennesima sigaretta e si versò ancora un goccio di caffè.

Ma Elvira non compariva in cucina.

Andò allora a bussare alla porta del bagno ma nessuno rispose così decise di aprire la porta ed entrare pensando che magari Elvira si fosse sentita male; ma con grande sorpresa dovette constatare che nel bagno non c’era nessuno.

Ritornò nella camera da letto dove tutto era come lo aveva lasciato ma questa volta l’occhiata che diede fu più approfondita a cominciare dall’armadio dove con sempre crescente sorpresa non c’era neppure uno

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straccio che facesse pensare alla presenza di Elvira o di qualunque altra donna in quella casa.

Nell’armadio c’erano solo vestiti maschili.

I suoi.

Sorpresa ed ansia crescevano di minuto in minuto mano a mano che si faceva più approfondita l’esplorazione di quella che era fino alla sera prima la loro camera da letto.

In quella camera non c’era più nulla che fosse riconducibile ad Elvira; neppure la fotografia di Elvira e dei figli che, ricordava bene, era stata sistemata sul suo comodino accanto alla sveglia in modo che fosse la prima cosa che avrebbe dovuto vedere al risveglio; ma non c’erano neppure i tanti quadri che avevano comprato insieme e che gli era toccato appendere sotto lo sguardo attento della moglie che impartiva direttive come un generale di corpo d’armata.

A questo punto era chiaro cosa fosse quella sensazione di disagio che aveva provato al risveglio: nella camera da letto non c’era alcuna traccia di Elvira e ad una più attenta esplorazione non c’era traccia di Elvira in alcun punto della casa.

Restava da esplorare la stanza dei figli che aveva lasciato per ultima non sapendo francamente cosa avrebbe detto e quale spiegazione avrebbe dato riguardo alla sparizione della madre.

Non era in grado di fare alcuna ipotesi su quello che poteva essere successo e la speranza che i figli potessero aiutarlo a capire erano davvero minima.

Così suo malgrado si decise a svegliarli perché era ormai ora che si vestissero per andare a scuola.

Carlo il primogenito aveva undici anni e faceva la prima media; Paolo aveva nove anni e faceva la quarta elementare; gli edifici dove erano situate le due scuole

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erano vicini e contigue per cui i ragazzi potevano andarci tranquillamente a piedi.

La casa dove abitavano era stata scelta proprio per la sua vicinanza alle scuole che avrebbero frequentato i ragazzi.

Enrico andò nella camera dei ragazzi e quello che vide non lo turbò più di tanto quasi si aspettasse che quella assurda mattinata gli potesse riservare ancora sorprendenti scoperte.

Nella camera dei ragazzi non solo non c’erano i ragazzi ma non c’era neppure la camera con i due letti a castello e l’endemico disordine che solo due ragazzini riescono ad accumulare in uno spazio così piccolo.

La stanza era ordinatissima e c’era la sua scrivania e la sua libreria piena zeppa di libri; quello era in tutta evidenza il suo studio non certo una camera da ragazzi.

Neppure c’era possibilità d’errore la casa aveva un soggiorno, una cucina e tre

camere con un solo servizio; totale novanta metri quadrati.

Già, nell’enumerare le camere della casa, ricordava tre camere ma quella mattina dalla casa mancava pure una camera: la stanza dei ragazzi; quella che aveva visto pensando fosse la camera dei ragazzi era il suo studio così come lo ricordava con un divano letto che consentiva di utilizzarlo come stanza per gli ospiti.

Dunque, da quella casa quella mattina mancavano una moglie, due ragazzi ed una camera; mancava inoltre ogni riferimento alla presenza di altre tre persone.

Enrico per la sua formazione culturale - laurea in ingegneria - e per la sua attività professionale sostanzialmente di controllo dei processi produttivi era abituato alle metodiche del problem solving.

Così appurato che c’era un problema si comportò come un idraulico che vede gocciolare un rubinetto di casa e, per

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prima cosa, andò a prendere la cassetta degli attrezzi.

Nello specifico la sua cassetta consisteva in un foglio di carta e una matita.

Tracciò una linea sul foglio e lo divise così in due metà.

Scrisse “sogno” nella prima metà e “son desto” nella seconda.

Stava cominciando a formulare delle ipotesi che potessero spiegare quello che gli stava succedendo a partire dalle prime due che gli erano venute in mente sviluppando le quali con altre ipotesi subordinate avrebbe cercato di dare e darsi una spiegazione.

Subito si rese conto che la prima ipotesi non produceva altre ipotesi e in effetti era più che sufficiente a spiegare la sparizione della sua famiglia; magari, c’era da capire perché avesse fatto quel sogno.

Ma se stava sognando non c’era altro da fare che aspettare il risveglio oppure fare in modo di provocare il risveglio perché

la sensazione di vera e proprio angoscia c h e l o a t t a n a g l i a v a e r a d a v v e r o insopportabile.

Si sforzò di capire allora se davvero stesse sognando. Era un altro problema. Come si fa a capire se si sta sognando?

Poteva procurarsi una bruciatura con la sigaretta e siccome la sigaretta non è reale non darà alcun dolore perciò avrà la certezza di essere dormiente e sognante.

Provò ad accostare la brace della sigaretta alla mano ed il dolore ci fu provocando un istintivo allontanamento della mano dalla fonte del dolore.

Era sveglio dunque ? Non è detto. A pensarci bene ricordava sogni erotici più piacevoli che nella realtà. Pertanto se il sogno poteva trasmettere piacere poteva anche trasmettere sensazioni di dolore al cervello.

Si era al punto di partenza.

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Non c’era altro da fare che aspettare il risveglio naturale e vivere il sogno come se fosse realtà.

Perciò decise di dare un parvenza di normalità alla sua giornata recandosi al lavoro; d’altra parte, se stava sognando avrebbe trovato sul lavoro una qualche conferma della situazione che si era determinata, oppure, se era sveglio, avrebbe potuto chiedere a qualcuno lumi e conferme rivolgendo a qualche collega la seguente domanda: scusa, ma io sono sposato ed ho dei figli ?

Per carità. A pensarci bene non era proprio il caso di fare domande del genere che lo avrebbero squalificato e fatto passare per una persona con disturbi mentali.

In ufficio si era tutti sul piede di guerra perché la crisi aveva fortemente ridotto le commesse e pertanto tutti erano a rischio di licenziamento per la conseguente necessaria riduzione degli organici; la sua posizione professionale in azienda era

abbastanza solida ma bastava un nulla per scivolare nella lista nera di coloro che avrebbero pagato la crisi.

Perciò era tassativo nascondere il suo disagio e la sua angoscia, almeno, nell’ambiente di lavoro che, per altro, poteva rappresentare una buona occasione per distrarsi dai suoi pensieri ed aspettare che la situazione si chiarisse in un modo o nell’altro.

Prima o poi si sarebbe svegliato e magari avrebbe scoperto di essere una donna o un vecchio pensionato o chissà chi oppure di essere proprio quello che pensava di essere nel sogno ritrovando, finalmente, la moglie Elvira ed i suoi figli.

Ma, di contro, se era desto, avrebbe dovuto affrontare la situazione in altro modo e formulare altre ipotesi.

La giornata di lavoro sembrò non finire mai.

Anche nel suo ufficio nessuna traccia di moglie e figli come ad esempio una

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fotografia della famiglia che molti dei colleghi avevano sulla propria scrivania, nulla nei cassetti come bigliettini o appunti oppure oggetti che potessero in qualche modo ricordare un momento familiare.

Inutile dire che nessuno gli chiese della famiglia e lui si guardò bene dal porre la fatidica domanda.

Tutto come al solito con un tempo dilatato che poneva forti dubbi riguardo alla domanda principale: sto sognando ? Possibile che un sogno sia così nitido e ricco di particolari e con tanti personaggi ? Non ricordava di aver mai fatto un sogno così.

In verità, ripensando ai suoi sogni passati non poteva ignorare quanto fossero reali e ricchi di sensazioni.

Un paio di volte aveva sognato che stava imparando a volare. Era cominciato con dei salti, prima bassi, poi sempre più in alto aumentando ogni volta il tempo di

ricaduta e quindi di sospensione in aria finché non aveva scoperto di poter rimanere a lungo per aria e di potersi spostare anche il orizzontale e non solo in verticale.

La sensazione era bellissima anche considerato che Enrico detestava prendere l’aereo e forse proprio per questo il suo inconscio gli suggeriva che volare poteva essere persino bello.

Fatto sta che al risveglio ricordava tutto e rimpiangeva di essersi svegliato e di non avere più il dono di poter volare.

C’era un altro sogno ricorrente che invece gli procurava ansia per delle decisioni che avrebbe dovuto prendere.

Il sogno riguardava la proprietà di un immobile.

Nel sogno Enrico era proprietario di un appartamento. Non era la casa dei sogni, come si suol dire, ma una casa modesta di circa sessanta metri quadri, situata in un a n o n i m o q u a r t i e r e p o p o l a r e ,

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completamente arredata con mobilia modesta ed essenziale.

La casa del sogno non era la sua casa perché non era abitata. Ogni tanto ci andava per fare qualche pulizia e per farla arieggiare.

Questo era il problema con l’ansia che ne derivava. Cosa fare della casa?

Utilizzarla per se stesso, ma la casa non gli piaceva; affittarla con il rischio poi di perderla e non poterla più vendere.

L’utilizzo più semplice ovvero metterla in vendita e con il ricavato farci quello che gli pareva non era mai considerato nel sogno ed infine quando si svegliava doveva faticare non poco per far mente locale che non aveva alcuna proprietà immobiliare.

Oltre alla casa in città - in una città ed in un quartiere mai esplicitato nel sogno - alle volte sognava di essere proprietario di una casa al mare.

Per la casa al mare il posto ed il paese erano ben riconoscibili; la casa era situata su di un promontorio a picco sul mare, all’interno di una pineta, in un complesso residenziale di villette a schiera.

Peccato che su quel promontorio non esisteva, in realtà, nessuna casa e nessuna villetta a schiera; solo pineta.

Tuttavia, questo sogno aveva qualche aggancio con la realtà e l’ansia scaturiva sempre da una scelta da compiere, questa volta molto più razionale, tra il vendere la casa o andare ad abitarci dopo qualche lavoro di ristrutturazione necessario dopo il lungo abbandono dell’immobile.

Anche per questo immobile, al risveglio, rimaneva per un po’ l’aura del dubbio: ma sarò davvero il proprietario di quella casa ?

Era chiaro, perciò, che il realismo del sogno, se sogno era, aveva dei precedenti;

ma c’era il problema dei tempi: possibile che il dato temporale fosse così dilatato da

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far ritenere di aver trascorso una intera giornata di lavoro nello spazio comunque ristretto di un sogno.

Era passato troppo tempo da quando si era posto la domanda se sognasse oppure no;

perciò doveva necessariamente dedurre che fosse perfettamente sveglio, cosciente, consapevole che una parte dei suoi ricordi erano spariti.

Immaginò, infatti, che fosse successo qualche cosa, di cui aveva perso memoria, che gli aveva tolto moglie e figli.

Pensò ad un divorzio, drammatico e molto conflittuale per cui Elvira con i figli se ne erano andati portandosi via anche fotografie e ricordi di qualsiasi genere.

Per le fotografie effettivamente ricordava di aver sentito che in caso di separazioni dolorose e conflittuali la prima cosa che si fa è cancellare l’immagine dell’altro, cercando in qualche modo di annullarlo.

Ma c’era, comunque, qualche cosa che non quadrava; possibile che l’evento che

aveva fatto sparire la famiglia dalla sua vita e di cui aveva perso memoria avesse realmente cancellato ogni traccia della sua famiglia ? Possibile che fosse sparita persino una stanza intera, quella dei ragazzi? Quando era successa questa cosa che gli aveva portata via la famiglia ?

Prima di formulare ipotesi bisognava accertare, senza ombra di dubbio, quale fosse il dato di realtà.

L’unico modo era parlare con qualcuno che lo conosceva bene ed al quale poteva raccontare senza peli sulla lingua quello che gli stava succedendo.

Per fortuna il qualcuno c’era ed era Alfredo, l’amico del cuore, un fratello, con il quale aveva condiviso praticamente tutto sin dalle scuole medie.

Fece, allora, l’unica cosa sensata di quella mattinata e chiamò Alfredo al telefono;

dopo i soliti convenevoli lo invitò a casa sua per la sera: “ho bisogno urgente di parlarti; ho un problema e solo tu puoi

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aiutarmi; vediamoci stasera a casa mia per favore.”

Alfredo capì che c’era qualche cosa di grave che affliggeva l’amico ma rinunciò a chiedere un’anticipazione del problema ed assicurò immediatamente che sarebbe venuto verso le otto e trenta della stessa serata; “porterò delle pizze che prendo alla pizzeria sotto casa tua, tu occupati delle birre” Conclusero la telefonata con un

“ok”, “ a stasera”.

Neanche Alfredo, durante i consueti convenevoli di rito, gli aveva chiesto nulla di Elvira.

Strano per un verso ma, poi, pensandoci perché avrebbe dovuto chiedergli della moglie se ormai questa moglie, per un motivo o per un altro, non esisteva più.

Le domande da fare ad Alfredo erano s o s t a n z i a l m e n t e d u e : “ i o h o u n a famiglia” ? “che fine ha fatto la mia famiglia” ?

Completò le cose che stava facendo per il lavoro, mise in ordine la scrivania come era solito fare e si avviò verso l’uscita salutando durante il tragitto alcuni colleghi che si erano attardati in ufficio.

Ricordò l’entusiasmo di alcune sere prima nel lasciare l’ufficio perché avrebbe trovato all’ingresso Elvira, elegantissima, per una serata al ristorante preferito dopo aver sistemato i ragazzi dai nonni.

Era tutto così reale e preciso il suo ricordo; come era possibile che qualcosa o qualcuno avesse immesso nel suo cervello quella montagna di fatti, sensazioni, avvenimenti, ragionamenti sui fatti stessi, che gli appartenevano ed erano fino a quel momento elemento imprescindibile della sua personalità.

Chissà che spiegazione gli avrebbe dato Alfredo dopo aver appreso quello che gli stava succedendo.

Arrivò a casa verso le sette e si gingillò un po’ con il telecomando della televisione,

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saltando di canale in canale, in attesa dell’amico che a questo punto aspettava come un oracolo.

Smise di fare ipotesi e supposizioni di qualsiasi tipo rimandando il tutto al dopo cena che immaginava sarebbe stato lungo.

Avrebbero passato buona parte della serata e della nottata a discutere, come una volta.

Alfredo arrivò alle 8,45 con un po’ di ritardo dovuto alla lentezza con cui gli avevano preparato le pizze da asporto.

Una vegetariana per lui ed una classica Margherita per Enrico.

Qualche cazzeggio di rito ma nessuno dei due ebbe il coraggio di affrontare immediatamente la questione anche se entrambi, per un verso o per l’altro, erano curiosi ed avevano aspettative diverse dall’esito dell’incontro.

Mangiarono per un po’ in silenzio ma poi Alfredo sbottò “madonna che faccia da funerale che hai; che c’è? mi hai accennato ad un problema che non ho

voluto approfondire per telefono, però adesso parla, dimmi di che si tratta, che è successo ?”

Enrico mandò giù il boccone e bevve un sorso di birra. Guardò l’amico e poi abbassò gli occhi e pose le fatidiche domande.

Alfredo rimase a bocca aperta.

Enrico spiego quello che gli era successo, di come si era svegliato la mattina con il ricordo nitidissimo di una moglie di nome Elvira e di due figli di cui non c’era alcuna traccia in casa.

Raccontò delle ipotesi che aveva formulato e della sua impellente necessità di sapere in realtà come stessero le cose.

Tacque in attesa che Alfredo si riprendesse dallo stupore e gli dicesse qualche cosa;

bevve ancora un sorso di birra.

Alfredo dopo lo stupore sorrise sconsolato scuotendo la testa a destra e sinistra.

Ancora con questa storia di Elvira - disse.

Ma allora Elvira esiste ? - chiese Enrico -

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che cominciava ad intravedere qualche spiraglio di luce.

Certo che esiste ! - rispose Alfredo - ed aggiunse: Elvira è la tua ossessione; siete stati insieme per tre mesi durante l’ultimo anno del liceo; poi ti lasciò e ne facesti una malattia; per sei o sette mesi non facevi altro che parlare di Elvira cercando una spiegazione - che non c’era - al fatto che ti avesse lasciato; sei caduto in depressione ed hai anche perso un anno di scuola; possibile che non ti ricordi ? Dicevi che sarebbe stato molto bello sposarla e mettere su famiglia con lei;

avresti voluto fare almeno due figli - concluse Alfredo.

Allora mi sono immaginato tutto; non ho mai spostato Elvira e non ho mai avuto figli con lei? - disse - Enrico deluso ed ancora più preoccupato.

Dunque questo era il dato di realtà. Non esisteva alcuna famiglia ed era tutta una immaginazione causata da una delusione

amorosa giovanile che evidentemente non era mai stata risolta. Quello che preoccupava Enrico era la nitidezza del r i c o r d o e l a m o l t e p l i c i t à d e g l i avvenimento che avevano per protagonisti la sua inesistente famiglia.

Capì che la questione era grave e che avrebbe dovuto recarsi da uno psichiatra.

Alfredo continuò: è durata sette o otto mesi la depressione ma poi l’hai superata;

hai recuperato l’anno perso ed hai avuto altre storie, brevi, all’inizio ma poi sempre più lunghe tanto che più volte ti ho sentito parlare di matrimonio perché secondo te la ragazza del momento era quella giusta;

poi, senza sapere come o perché la fidanzata spariva ed eri tu a lasciarla annullando il progetto di matrimonio che, l’ultima volta, appena due mesi fa, sembrava davvero che dovesse arrivare in porto; avevate fissato la data e lei aveva comprato l’abito da sposa. Si certo - interruppe Enrico - ma è stato prima che

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sposassi Elvira; ricordo perfettamente t u t t e l e m i e f i d a n z a t e e r i c o r d o perfettamente che Elvira era stata con me al liceo, poi mi aveva lasciato ed ero stato molto male; ricordo tutto e ti ringrazio per essermi stato così vicino e prezioso allora;

ma poi Elvira l’ho incontrata dopo qualche anno e ci siamo rimessi insieme e ci siamo sposati; possibile che mi sia immaginato tutto come in un sogno ?

Non so che dirti Enrico; Elvira, intanto, è improbabile che tu possa averla incontrata dopo qualche anno da quando ti ha lasciato perché la ragazza era figlia di un diplomatico e dopo la licenza liceale è partita con la famiglia per l’Australia, dove ha studiato e si è laureata; si è sposata con un australiano ed ha tre figli almeno da quello che risulta sul suo profilo facebook; ripeto: l’ultima tua fidanzata con la quale ti stavi per sposare risale ad appena due mesi fa; Elvira non

la vedi e non la senti da vent’anni visto che adesso hai quarantuno anni”.

Enrico non ebbe altro da replicare;

finirono la pizza; quindi cominciarono a discutere su di una possibile spiegazione senza fare passi decisivi in avanti; l’unica immagine che veniva in mente ad entrambi era il miraggio nel deserto che produceva allucinazioni.

Convennero, entrambi che l’unica cosa saggia da fare era andare da un medico, uno specialista, uno psichiatra perché oltre che spiegare l’accaduto c’era soprattutto da curare ed alleviare lo stato di sofferenza che l’allucinazione provocava.

Enrico, nonostante sapesse, ormai, quale fosse la realtà continuava a sentirsi come uno che ha perduto la propria famiglia.

Si salutarono con un grosso abbraccio e con la promessa che il giorno dopo Enrico avrebbe preso un appuntamento con uno psichiatra.

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Decise che non era il caso di rivolgersi alla ASL perché non si fidava dei loro livelli di privacy e per il lavoro era assolutamente necessario che la cosa rimanesse riservata; oltre tutto quello che gli stava succedendo lo faceva stare male ma non interferiva con le sue prestazioni professionali; perciò meglio che la cosa rimanesse segretissima.

Trovo sulle pagine gialle uno psichiatra molto referenziato ed ebbe conferma, sui social, delle ottime referenze che vantava il professore Annibali.

Perciò telefonò e prese un appuntamento con la segretaria che gli confermò la possibilità di essere visitato già il giorno dopo nel primo pomeriggio perché un altro paziente aveva appena disdetto il suo appuntamento.

Il giorno dopo Enrico non si recò al lavoro lamentando un forte mal di schiena che gli impediva qualsiasi movimento.

La mattinata passò poltrendo a letto e rimuginando per mettere a punto la storia che avrebbe raccontato al medico; non aveva alcuna intenzione di passare per pazzo e voleva un rapporto paritario con lo psichiatra; soprattutto voleva che gli desse una cura per alleviare i sintomi di ansia che continuava a procurargli quella situazione ancorché ormai chiarita nelle sue linee essenziali.

Per pranzo mangiò un panino, si vestì con cura e ricercatezza e si recò dal medico nel primo pomeriggio; la segretaria gli aveva chiesto di portare la cartella clinica dei precedenti ma lui non aveva alcun precedente e portò solo il risultato delle analisi del sangue che aveva fatto due mesi prima su consiglio del suo medico di base.

Fu fatto accomodare in sala di aspetto dalla segretaria del professore e dopo cinque minuti poté entrare nello studio del medico che sorprendentemente lo

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apostrofò: allora che c’è ingegner Borrelli ? avevamo detto di rivederci il mese prossimo ed intanto lei avrebbe dovuto fare le sedute con lo psicoterapeuta che le avevo consigliato; ma l’altro giorno mi ha chiamato per dirmi che non c’è mai andato! Non va bene così ! Almeno spero che abbia preso gli ansiolitici che le avevo prescritti.

Enrico restò basito e son seppe che rispondere al suo medico che a quanto pare lo conosceva bene.

Non c’era bisogno di raccontargli alcuna storia.

MEMORIA DI MASSA

Il disco volante era esattamente come ce lo aspettavamo: perfettamente rotondo appena appiattito ai bordi, esattamente come il disco del Discobolo di Atene, privo di qualsiasi apparente apertura verso l’esterno.

Aveva attraversato l’atmosfera in una frazione di secondo, appena percepita dai radar, ed era atterrato in mezzo al Mediterraneo, in acque internazionali, senza alzare neppure uno spruzzo d’acqua.

L’unica cosa che non tornava erano le dimensioni veramente inimmaginabili.

In tutta la letteratura ed in tutta la filmografia fantascientifica non si era mai sentito parlare di una astronave grande quanto l’isola Elba.

Il disco volante aveva un diametro di una ventina di chilometri e, ai bordi che apparivano più sottili, si ergeva sul mare

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all’incirca per venti metri il che faceva pensare che al centro fosse alto almeno quaranta metri.

I n u t i l e d i r e c h e u n e v e n t o c o s ì straordinario quale l’arrivo di quello che era, senza ombra di dubbio, un oggetto proveniente dallo spazio, opera di una intelligenza superiore alla nostra, attirò l’attenzione generale in ogni parte del mondo.

Le trasmissioni televisive del pianeta e r a n o c o s t a n t e m e n t e p o l a r i z z a t e dall’evento e non parlavano d’altro.

In verità c’era ben poco da parlare perché i dati erano molto scarni.

Si sapeva delle dimensioni del disco;

dell’enorme velocità con cui si era mosso e della sua capacità di fermarsi ad un pelo dall’acqua senza alzare neppure uno spruzzo.

Infine, si sapeva che nessuno mezzo aereo o navale - prontamente inviati sul posto - era risuscito ad avvicinarsi all’oggetto

oltre una cinquantina di metri di distanza;

i mezzi arrivati a quella distanza semplicemente si fermavano perché i motori cessavano di funzionare insieme a qualsiasi altro dispositivo di bordo; inoltre i mezzi navali ed aerei ricevevano una piccola spinta come se avessero toccato un tappeto elastico invisibile e appena rimbalzavano indietro di qualche metro ecco che tutto tornava a funzionare perfettamente per cui gli aerei potevano riprendere quota senza precipitare.

Insomma il disco volante aveva uno scudo di protezione assolutamente invisibile ad u l t e r i o r e c o n f e r m a d e l l ’ a l t i s s i m a tecnologia che la sua stessa presenza nel Mediterraneo lasciava immaginare.

Perciò, in assenza di notizie e dati su cui ragionare, si poteva solo porre la seguente domanda: che sono venuti a fare e soprattutto che intenzione hanno ?

Inutile dire che le citazioni dal film la Guerra dei Mondi del 2005 di Spielberg e

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dalla beffa radiofonica del 1938 di Orson Welles la facevano da padroni.

In verità il ricordo di Orson Welles lasciava una qualche speranza che il fatto non fosse vero e che si trattasse ancora una volta di uno scherzo; di qui dibattiti infiniti sulle possibilità di organizzare una beffa di quelle dimensioni.

Qualcuno diceva che non c’erano le prove obiettive che l’UFO potesse essere davvero quello che sembrava; dove sono i tracciati radar ?

Chi ci garantisce che non sia un video taroccato divenuto virale fino al punto da pensare che sia vero ?

Ma le navi e gli aerei ? Si ma dove sono i rapporti, i documenti ufficiali di quello che è successo ?

Magari c’è dietro un complotto per cui molti si sono messi d’accordo per farci credere che sono arrivati i marziani.

Questo il tenore dei dibattiti sull’ipotesi dello scherzo alla Orson Welles ma in

verità a meno che non si fosse tutti vittima di un miraggio collettivo la presenza di una nuova isola nel Mediterraneo era testimoniata da migliaia e migliaia di foto e video dei curiosi che avevano voluto raggiungerla con la propria barca, grande o piccola che fosse considerato che il mare in quel periodo era assolutamente calmo.

Così, attorno alla nuova isola c’era un traffico di barche che al confronto la barcolana di Trieste faceva ridere; un traffico che aveva già provocato incidenti fra le barche e la Guardia Costiera di tre Paesi era costantemente impegnata a dirigere e disciplinare il traffico.

Un noto conduttore di talk show aveva sistemato nello studio televisivo un grande plastico del disco volante ed insisteva per sapere dagli ospiti, che aveva convocato per discutere dell’evento, da dove si entrasse in quella astronave perfettamente liscia e priva di qualsiasi fessura.

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I l p o v e r o i n g e g n e r e a s t r o n a u t i c o convocato non sapeva che dire salvo che le nostre astronavi, quelle terrestri per intendersi, erano molto diverse; erano piccole navicelle che venivano portate in orbita da missili che si staccavano mano a mano che si consumava l’ingente quantità di carburante che serviva per staccare la navicella dalla forza di gravità terrestre.

Azzardò che il disco volante forse usava proprio l’energia della forza di gravità per muoversi ma se questo spiegava la grande velocità con la quale era arrivato sulla terra non spiegava come mai non fosse sprofondato in mare sollevando una onda di tsunami che avrebbe provocato danni sulla fascia costiera dei Paesi che affacciavano sul Mediterraneo.

L’esperto di strategia militare si trovava più a suo agio ed ipotizzava che le enormi d i m e n s i o n i d e l l ’ a s t r o n a v e n o n promettessero nulla di buono; è chiaro che dentro c’è un esercito; ci saranno migliaia

di piccole astronavi che attaccheranno ogni punto della terra; e poi? dopo averla conquistata? chiedeva il conduttore visibilmente preoccupato.

Nessuno sapeva e poteva rispondere.

Può darsi che avessero bisogno di materie prime e quindi potremmo aspettarci che ce le chiedano con le buone o le cattive;

questo spiegherebbe - diceva uno degli ospiti del conduttore - l’enormità delle dimensioni dell’astronave; è chiaro è un cargo da trasporto spaziale diceva un altro.

In ogni caso - diceva l’ospite esperto in scienze politiche - è un bel problema perché siamo completamente alla loro mercé considerato che sono in possesso di una tecnologia che neppure ci sogniamo e mi pare evidente che se non ci fanno neppure avvicinare a loro figurarsi attaccarli o difenderci dai loro possibili attacchi.

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In realtà il più recente film di Spielberg

“La guerra dei mondi” - continuamente citato - portava a disegnare scenari agghiaccianti.

In quel film gli extraterrestri attaccavano ed invadevano la terra unicamente per nutrirsi dei terrestri stessi così come un grosso tapiro aspira le formiche da un alveare.

I terrestri non potevano fare nulla come non possono fare nulla le formiche attaccate dal tapiro.

Poi tutto finisce bene perché gli extraterrestri si beccano un virus che per loro è sconosciuto e quindi mortale.

Sull’interrogativo “come finirà ?” finiva la trasmissione programmata per dar seguito immediatamente ad uno speciale del telegiornale che continuava a discutere con altri esperti in studio che finivano per dire le stesse identiche cose di quelli precedenti.

Questo avveniva in Italia che era una delle nazioni più vicina all’astronave ma era uguale in ogni parte del mondo perché era chiaro che non si trattava di un problema dell’Italia ma dell’intero pianeta.

Così furono gli stessi marziani a farsi vivi e a dare qualche risposta ai nostri interrogativi.

L’incontro ravvicinato avvenne per vie telematiche e non ci fu alcun contatto fisico.

Era evidente che il loro livello tecnologico gli consentiva qualsiasi cosa e così ad una certa ora in contemporanea bloccarono tutti i programmi televisivi in corso ed apparve in video il portavoce dei marziani che con un largo sorriso chiese scusa per l’interruzione ed annunciò che avrebbe dovuto fare una breve comunicazione.

La cosa più sorprendente - come si constatò successivamente - fu che il marziano non solo parlava correttamente nella lingua della nazione cui apparteneva

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la televisione che aveva interrotto ma aveva anche un aspetto assolutamente normale per il territorio in cui avveniva la comunicazione; così in Europa il lo speaker dei “marziani” aveva un aspetto assolutamente europeo di razza bianca; in africa aveva la carnagione di un bel colore ambrato ed i capelli crespi; in Cina aveva gli occhi a mandarla e nessuno avrebbe dubitato che non fosse un cinese: anche gli abiti erano conformi alla tradizione culturale del Paese dove compariva nel piccolo schermo.

Il comunicato dello speaker marziano - uguale in ogni parte del mondo - fu il seguente:

“Abitanti del Pianeta terra chiediamo scusa per l’interruzione delle trasmissioni televisive che stavate vedendo ma è necessario darvi qualche rassicurazione sulla nostra visita che per voi è imprevista ed improvvisa ma per noi è stata da tempo programmata.

In primo luogo vogliamo rassicurarvi sulle nostre intenzioni che sono assolutamente pacifiche e siamo pronti ad incontrare una Autorità che rappresenti tutte le nazioni del pianeta terra.

Avremmo già contattata tale Autorità se esistesse ma non ci risulta che abbiate mai nominato un rappresentante del pianeta che possa dialogare con eventuali visitatori provenienti dallo spazio.

Noi sappiamo molto del pianeta terra lo abbiamo studiato attraverso i documenti presenti sul vostro Internet che per noi è stata una vera fonte di conoscenza che ci ha indotto ad organizzare una visita per i molti punti di contatto che abbiamo intravisto tra la nostra civiltà e la vostra.

Veniamo da un pianeta molto simile al vostro ma molto distante; noi abbiamo impiegato duecento anni, con la nostra tecnologia, per arrivare da voi che impieghereste ben duemila anni per

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restituirci la visita con la tecnologia di cui oggi disponete.

Io scopo della nostra visita è l’amore per la conoscenza, in sostanza siamo dei turisti spaziali desiderosi di ammirare le vostre bellezze e, soprattutto, conoscere i terrestri al di la di tutto quello che abbiamo trovato sul web che ci ha incuriosito ma ha anche sollevato molti interrogativi che solo il contatto diretto potrà sciogliere.

Ben inteso, noi ricerchiamo la vostra collaborazione spontanea e se non ci sarà data non succederà nulla di spiacevole per voi ma ce ne andremo molto delusi.

Infine, nel salutarvi, vorremmo ribadire che siamo venuti in pace e non ci aspettiamo, da parte dei terrestri, comportamenti aggressivi che non avrebbero alcun effetto su di noi che siamo dotati di una tecnologia di duemila anni più avanti della vostra.“

Seguivano saluti augurali e festosi secondo la cultura dominante in ciascuna area geografica del globo e sugli schermi oscurati apparve per qualche secondo una scritta che diceva; “Abbiamo aperto un sito vocidallospazio.com in cui potete trovare il messaggio appena trasmesso e tutte le indicazioni necessarie per mettervi in contatto con noi.”

Le trasmissioni ripresero da dove si erano interrotte ma in molti paesi furono subito interrotte dalle edizioni straordinarie dei telegiornali.

Ricominciò la passerella di esperti di tutto e di niente e si incrociarono i collegamenti con le grandi capitali nel mondo con gli inviati cui veniva chiesto di riferire sulle reazioni dell’opinione pubblica.

Dalle chiacchiere nei salotti televisivi non uscì nulla di più di quello che tutti avevano sentito e capito: venivano dichiarate intenzioni pacifiche ma non consentivano a nessuno di avvicinarsi alla

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loro astronave ed avvertivano che erano pronti a rispondere ad eventuali azioni aggressive nei loro confronti.

Quanto al motivo dichiarato della visita era tutto da ridere; come dire che noi andiamo sulla Luna o su Marte per fare turismo spaziale.

Era chiaro che il rappresentante degli extra terrestri aveva voluto rassicurarci utilizzando tutte le tecniche della comunicazione di massa, ma la cosa più importante era la richiesta di nominare un rappresentante del pianeta terra intero con il quale parlare, ovvero, avanzare richieste che chiaramente riguardavano tutta la terra ed eventualmente aprire una trattativa.

Era chiaro, inoltre, che lo speaker comparso sui teleschermi era una i m m a g i n e v i r t u a l e c o s t r u i t a c o n l’obbiettivo, pienamente centrato, di essere accattivante e molto simile a noi.

Fra le sciocchezze sentite nei vari talk show si era sentito anche un intervento

ragionevole di un sociologo il quale semplicemente aveva osservato che in passato si erano sprecate ore ed ore di discussioni sull’esistenza degli UFO ma nessuno si era posto il problema sul che succede se arrivano; adesso che sono arrivati ce ne dobbiamo occupare ed elencava alcune questioni.

La prima: sono ammarati in acque internazionali per cui non hanno violato alcuna sovranità nazionale e secondo il diritto internazionale una imbarcazione che si trovi in acque internazionali è soggetta solo alle leggi dello stato di cui porta la bandiera; questo vale anche per imbarcazioni extra terrestri ?

La seconda: i “marziani” hanno chiesto di parlare con un rappresentante delle nazioni terrestri; è una richiesta che ancora una volta ci coglie impreparati; noi non abbiamo un rappresentante che possa decidere per tutti; noi siamo abituati ai vertici dei grandi della terra che

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rappresentano solo interessi economico- militari e possono quindi solo accordarsi per tenere in equilibrio tali interessi mentre tutti gli altri si dovranno semplicemente adattare alle conseguenze derivanti dalle decisioni prese dai grandi.

Ora sembra che sia arrivata sulla terra una potenza più potente di tutte le altre messe insieme; siamo sicuri che questo sia un male ?

La terza: loro ci hanno studiati e sanno tutto di noi; noi non sappiamo niente; non sarà il caso di chiedere la reciprocità delle conoscenze prima di fare alcunché ?

Quest’ultima osservazione era finalmente una prima indicazione sul cosa fare: porre delle domande ai marziani e pretendere delle risposte.

Insomma secondo il giornalista di grido bisognava trattare l’evento come qualche cosa di normale ancorché straordinario e quindi chiedere semplicemente ai marziani di organizzare una conferenza stampa con

tutti i giornalisti per rispondere alle loro domande.

I marziani, per altro, sembravano padroneggiare perfettamente i social e così si trovarono a gestire milioni e milioni messaggi che gli arrivavano da tutte le parti del mondo ed in tutte le lingue; dovevano avere un software potentissimo per gestire tante richiese e rispondere in tempi rapidissimi anche se l e r i s p o s t e e r a n o c h i a r a m e n t e standardizzate e fornivano pochi elementi di conoscenza; ad esempio la domanda principe “come siete fatti” riceveva sempre la stessa risposta sibillina:

potremmo essere in mezzo a voi senza che v i a c c o r g i a t e d e l n o s t r o e s s e r e extraterrestri.

E’ chiaro che non avevano risposto atteso che non avremmo potuto accorgerci di loro in mezzo a noi per infinite ragioni e di fatto non ci dicevano come erano.

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Invece alla seconda domanda più diffusa, quella del “da dove venite” fornivano una risposta tecnica che la gente comune non era in grado di capire ma gli astrofisici confermarono quello che lo speaker aveva detto per raggiungere il loro pianeta ci sarebbero voluti duemila anni viaggiando alla velocità della luce.

Alla domanda di molti giornalisti di organizzare una conferenza stampa risposero negativamente motivando il rifiuto con ragioni organizzative; si sarebbero dovuto invitare molte migliaia di giornalisti e ne sarebbe uscita una gran confusione (in verità dissero casino); al contrario erano disponibili a rilasciare i n t e r v i s t e a s i n g o l i g i o r n a l i s t i e chiedevano di presentare specifiche richieste corredate da un curriculum.

In poche ore arrivarono centinaia di migliaia di richieste da tutto il mondo ed è facile immaginare che molte di queste richieste fossero di agenti dei servizi

s e g r e t i m o s s i d a c u r i o s i t à b e n comprensibile.

La risposta fu rapidissima ed indicò un giornalista italiano di una piccola televisione locale, con grande disappunto di tanti giornalisti che godevano di maggior fama e che si precipitarono a contattare il giovane prescelto - Alfredo Reali - per accaparrarsi una esclusiva dell’intervista.

Di fatto fu lanciata una vera e proprio asta e dopo due ore dall’annuncio c’era già chi era disposto a pagare dieci milioni di dollari per l’esclusiva.

Ma Alfredo Reali spense tutti gli entusiasmi e dichiarò che avrebbe dato l’intervista a tutti quelli che lo avessero chiesto per soli diecimila dollari.

Gli extraterrestri spiegarono le ragioni della scelta: avevano bisogno anche loro di fare qualche domanda alla gente comune e il giornalista prescelto si avvicinava molto alla loro idea di

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rappresentante della gente, inoltre ci sarebbero state altre interviste con giornalisti di altri Paesi, sempre scelti con gli stessi criteri.

A Reali era stato dato un codice di accesso riservato ad un canale di contatto con i

“marziani” per accordarsi sulle modalità di svolgimento della intervista.

Reali avrebbe potuto portare solo un operatore che avrebbe provveduto a registrare l’intervista ed anche loro, come era immaginabile, avrebbero provveduto a registrare tutto.

Il giornalista doveva arrivare all’astronave con una sua imbarcazione e giunto nei pressi avrebbe dovuto alzare una bandiera con il codice che gli era stato dato; in questo modo avrebbe potuto attraccare senza essere respinto dallo scudo di protezione. L’imbarcazione sarebbe rimasta attraccata e lo scudo si sarebbe richiuso finché il giornalista non fosse

tornato a bordo della sua imbarcazione per compiere il tragitto inverso.

L’intervista sarebbe durata due ore circa ed era fissata per il giorno dopo alle 15,00.

Reali si attenne alle istruzioni ricevute e non ebbe alcuna difficoltà a reperire l’imbarcazione che gli fu messa a disposizione dalla Guardia Costiera.

Inutile dire che l’equipaggio era costituito da agenti dei servizi che in questo modo avrebbero potuto avvicinarsi all’astronave per fare qualche rilievo.

Reali partì alle otto del mattino dal porto di Trapani con una motovedetta della guardia costiera ed impiegò cinque ore di navigazione per raggiungere l’astronave;

per fortuna il mare era calmo e lui non soffriva il mal di mare.

Come stabilito nelle istruzioni fece alzare la bandiera con il numero di codice e l’imbarcazione poté toccare la parete dell’astronave che si ergeva una ventina di

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metri sopra l’acqua senza mostrare alcun tipo di apertura verso l’esterno; Reali non fece a tempo a chiedersi da dove lo avrebbero fatto entrare che dalla parete dello scafo era spuntato dal nulla un braccio meccanico che si avvicinò subito al ponte dell’imbarcazione dove il giornalista aspettava; all’estremità del braccio spuntò una piattaforma circolare sulla quale poté salire agevolmente insieme all’operatore con tutta la sua attrezzatura. Sulla piattaforma i due si trovarono praticamente incollati al pavimento ed impediti nei movimenti come se fossero legati da cinture di sicurezza; il braccio rientrò nell’astronave insieme alla piattaforma senza capire come dato che la parete si era comportata come se fosse liquida e quindi il braccio era entrato dentro l’astronave come un oggetto caduto in acqua.

Ua volta all’interno i terrestri si trovarono come in una grande cattedrale con una

struttura alveolare, lungo tutte le pareti, a sezione ottagonale; anche il tetto ed il pavimento, sul quale non posavano i piedi perché erano ancora sulla piattaforma, presentavano la stessa struttura alveolare;

sembrava proprio di essere all’interno di un alveare.

Il braccio meccanico indirizzo la piattaforma verso una della aperture ed i nostri si trovarono in una normale stanza molto grande con un gran tavolo rotondo al centro ed alcune poltroncine; la piattaforma si poggiò sul pavimento ed i nostri si sentirono liberi di muoversi non più incollati o trattenuti da cinture invisibili.

Scesero e Reali disse all’operatore di preparare le attrezzature per la ripresa perché era evidente che quella era il locale dove si sarebbe svolta l’intervista; mentre l’operatore lavorava e sistemava le apparecchiature Reali fece quattro passi per la stanza che era priva di aperture

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tranne quella da cui erano entrati e che si era richiusa come se fosse l’otturatore di una vecchia macchina fotografica; le pareti erano semplicemente bianche e disadorne; mentre il pavimento era grigio scuro; le luci erano diffuse ma non si capiva quale fosse la sorgente o lampada che produceva tale luminosità.

Il comandante dell’astronave entrò da una delle pareti che apparivano prive di porte;

in pratica si materializzò nella stanza e venne incontro ai suoi ospiti con la mano tesa ed un largo sorriso stampato in faccia.

Era un bell’uomo sulla cinquantina con il capello già brizzolato e fluente; indossava una tunica lunga fino ai piedi bordata con un nastrino rosso porpora ed oro. Si muoveva con solennità sacerdotale.

La stretta di mano fu vigorosa ma anche calorosa sia per il Reali che per il suo collaboratore ed invitò entrambi ad accomodarsi.

Egli stesso si mise a sedere in una delle poltroncine e cominciò a presentarsi:

sono il comandante dell’astronave il mio n o m e n o n è i m p o r t a n t e p e r c h é sicuramente nessuno mi conosce su questo p i a n e t a e p o i è a s s o l u t a m e n t e impronunciabile nella vostra lingua perciò mi potete chiamare Nemo come il personaggio di un noto romanzo del vostro Jules Verne; mi pare un nome appropriato per la situazione che stiamo vivendo.

In effetti, pensò Reali, il comandante assomigliava molto ad Omar Sharif che era stato uno degli attori che aveva impersonato il personaggio del capitano Nemo nella cospicua filmografia ispirata ai romanzi di Verne.

Reali chiese all’operatore che già stava riprendendo l’intervista di fare una panoramica della stanza e concludere con un primo piano del comandante.

Poi, rivolto allo stesso comandante gli partecipò la sua impressione riguardo alla

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somiglianza che aveva riscontrato anche se il Capitano Nemo indossava di solito una divisa di foggia militare o sfoggiava un abbigliamento sportivo almeno per quanto gli sembrava di ricordare nel film che aveva visto; proseguì dicendogli che la tunica che indossava faceva pensare più ad un senatore dell’antica Roma o ad un religioso.

Capisco la sua perplessità - rispose il Comandante - ma, vede, la nostra civiltà ha molti punti di contatto con la vostra;

anche per noi questa vestitura riprende un modello antico di circa diecimila anni che abbiamo ricominciato ad usare da poco e soprattutto nei momenti di relax quando togliamo la tuta che di solito indossiamo e ci ritroviamo nel calore della nostra casa anche per ricevere gli amici.

Sono contento che abbia notato il mio vestito e spero che, appunto, contribuisca a farla sentire a suo agio.

Chiese, ancora se volessero gradire un the o altro.

Reali non poté fare altro che registrare la grande padronanza del comandante nel destreggiarsi fra le implicite allusioni storico culturali della conversazione che si stava svolgendo fra di loro.

A questo punto ci stava una delle domande che si era preparato e disse: mi pare di capire e soprattutto vedere che siete simili a noi ed avete una storia che assomiglia molto alla nostra; potrebbe darmi qualche delucidazione in merito, dato che è la domanda più frequente che ho sentito porre in questi giorni, ovvero, come siete fatti e quali sono le cose che avete in comune con noi terrestri?

Si - rispose il Comandante - siamo come voi; abbiamo subito una evoluzione simile alla vostra, discendiamo anche noi dalle scimmie, abbiamo avuto una età della pietra poi quella del bronzo e così via via sviluppando sempre più la nostra

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tecnologia come avete fatto voi; il vostro stadio tecnologico noi lo abbiamo r a g g i u n t o c i r c a d u e m i l a a n n i f a ; immaginate quindi di fare un viaggio che vi porti al vostro anno zero, secondo il vostro calendario, ed avrete una idea di come ci siamo sentiti noi quando abbiamo scoperto, qualche anno fa, un pianeta simile al nostro che ha avuto la nostra stessa evoluzione.

Capisco - rispose Reali - ma non pensate che l’incontro con noi possa essere una grave minaccia al di là di quelle che possano essere le vostre intenzioni; mi pare di aver capito che abbiate studiato il nostro pianeta e la sua storia quindi sapete benissimo che nel mille e cinquecento la scoperta dell’America da parte degli Europei, che erano più evoluti rispetto ai nativi, comportò la scomparsa di quelle civiltà e questo è successo tutte le volte che c’è stato un incontro con civiltà meno evolute della nostra quindi i vostri duemila

anni di vantaggio tecnologico sono per noi fonte di grande preoccupazione.

La ringrazio per le sue osservazioni che mi danno la possibilità di fugare ogni dubbio - rispose il Comandante Nemo - noi conosciamo la vostra storia e sappiamo cosa succede quando due civiltà ad un diverso livello di sviluppo s’incontrano; ma c’è una differenza sostanziale tra lo spirito di Cristoforo Colombo quando scoprì l’America ed il nostro; i conquistatori spagnoli volevano qualche cosa dai selvaggi nativi; noi non vogliamo niente perché non abbiamo bisogno di niente; ho sentito parlare di un cargo spaziale che dovrebbe caricare materie prime sulla terra ma noi non abbiamo bisogno di materie prime né di nutrirci perché non ci nutriamo; l’unica esigenza che abbiamo è l’energia per far funzionare questa macchina ma questa ce la procuriamo da soli con il sole, sfruttando l’energia gravitazionale e con

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altre forme di energia che per voi sarebbe difficile comprendere.

Inoltre, caro Reali, abbiamo deciso di non avere contatti ravvicinati con il pianeta terra e ci siamo fermati in acque internazionali a rimarcare la nostra indipendenza e la nostra espressa volontà di non invadere la terra; abbiamo chiesto d’incontrare un rappresentante delle nazioni del Pianeta perché ci sono delle cose che non capiamo e perciò vogliamo fare delle domande. Tutto qui. Quando avremo soddisfatto le nostre curiosità andremo via e probabilmente non ci saranno altre visite.

La domanda successiva venne spontanea ripensando a quanto aveva detto il Comandante perciò Reali chiese: lei ha detto che non avete bisogno di nutrirvi;

mi può spiegare come fate a non nutrirvi perché proprio non riesco a capire e forse ho capito male io magari avete un altro sistema di nutrizione.

Vede Reali - rispose il Comandante - la risposta che le darò dovrà essere necessariamente complessa altrimenti non capirebbe.

Dobbiamo fare un po’ di storia.

Circa duemila anni fa il nostro pianeta contava dieci miliardi di abitanti; c’erano tante nazioni in competizione tra di loro;

un po’ quello che succede sul vostro pianeta oggi.

Le tensioni fra gli Stati finirono per sfociare in una guerra che coinvolse tutti ma soprattutto gli Stati che si erano dotati di armi di distruzione di massa.

Il conflitto durò un paio di mesi e causò immediatamente almeno otto miliardi di morti; i superstiti che avevano assorbito tante radiazioni morirono nei due o tre anni successivi.

Gli abitanti del pianeta si sarebbero estinti completamente se non fosse stato per una piccola comunità di ventimila persone, circa, abitanti di una vallata che grazie ad

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un particolare gioco delle correnti fu preservata dall’inquinamento radioattivo come se fossero in una bolla chiusa ed autosufficiente perché il ricambio dell’area avveniva grazie alla fitta vegetazione ed il riscaldamento faceva evaporare i due laghi presenti nella zona p r o v o c a n d o p i o g g e l o c a l i ; p e r i l particolare gioco delle correnti e dei venti le perturbazioni passavano alte sopra la valle che sembrava avere una sua atmosfera non inquinata.

Se volete quella valle potete chiamarla la valle dell’Eden, fatto sta che la vita intelligente ed anche molte specie animali sopravvissero grazie al microclima di quella valle.

Passarono alcuni secoli e la radioattività diminuì; inoltre la natura - senza il suo principale manipolatore ed inquinatore - riprese il sopravvento grandi città furono assorbite dalla vegetazione e divennero rigogliosi giardini ove non era più

possibile vedere e riconoscere i manufatti sbriciolati dall’invadenza delle radici di piante enormi.

Gli abitanti della valle dell’Eden erano raddoppiati e godevano della ricchezza che riserve ormai inutilizzate ed inesauribili gli davano; la tecnologia riprese a svilupparsi ed il governo della piccola comunità decise che era bene non fare crescere la popolazione oltre certi valori.

Il governo era costituito dai notabili locali, come in qualsiasi piccola comunità; una cinquantina di persone che detenevano il potere politico e quello economico con le loro fabbriche, le loro attività economiche ed il possesso dei mezzi di produzione, ovvero, dei robot che già esistevano quando scoppiò il conflitto planetario cui sopravvissero perché non avevano bisogno di respirare o di mangiare.

I robot furono ulteriormente perfezionati e duecento anni dopo il conflitto erano

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talmente simili agli umani che bisognò i m p i a n t a r g l i u n a p i c c o l a l u c e lampeggiante per distinguerli.

Gli esseri viventi intelligenti non avevano alcun lavoro manuale da compiere perché ci pensavano i robot ed avevano a disposizione cibo e quanto altro senza limitazioni; potevano passare il tempo come meglio credevano, anche lavorando, perché il lavoro intellettuale e creativo era comunque appannaggio degli esseri intelligenti ed il lavoro intellettuale consisteva nel pensare e realizzare qualche cosa d’innovativo che mai le macchine avrebbero potuto pensare e riprodurre.

Lo sviluppo tecnologico era impetuoso e non si faceva in tempo ad adattarsi ad una nuova scoperta che ne arrivava un’altra.

Non sto qui ad illustrare quello che potevamo fare con la nostra tecnologia perché non potreste capire i principi su cui si basano; credo che un giorno ci arriverete anche voi.

Ma il principale filone di ricerca s c i e n t i f i c a e r a q u e l l o r e l a t i v o a l prolungamento della vita intelligente.

Così si arrivò ad avere una età media di circa duecento anni.

L a s c i e n z a m e d i c a c o n s e n t i v a d’intervenire per qualsiasi malattia; si trattava di cure che, in parole povere, r i c o s t r u i v a n o l ’ o r g a n o m a l a t o o malfunzionante e ne facevano un organo sano attraverso l’innesto di cellule specializzate che eliminavano le cellule vecchie dell’organo e si sostituivano ad esse.

C o n q u e s t a t e c n i c a , p e r a l t r o assolutamente indolore, si poteva fare un

“tagliando” ogni cinquant’anni ed avevi sempre un corpo in perfetta efficienza.

Ma questa tecnica che consentiva una longevità veramente notevole aveva un suo limite ed un livello di inapplicabilità quando si “rompeva” il cervello; in teoria il cervello si poteva rifare come un

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qualsiasi altro organo ma alla fine della cura ti ritrovavi un essere vivente che non sapeva chi era e con una età mentale di un bambino di due anni.

C i v o l e v a n o d u e a n n i b u o n i p e r insegnargli tutto ed alla fine, comunque, avevi un individuo, che somigliava alla persona che avevamo conosciuto, ma era per il resto completamente diversa con altre abitudini, altro carattere, altra personalità.

Dopo alcuni interventi sperimentali visto che l’esito non era soddisfacente il gruppo di saggi che detenevano il potere vietò interventi radicali sul cervello; si poteva intervenire solo su piccole lesioni.

Quando il cervello si ammalava in modo irrimediabile per una delle sue forme tipiche di malattia veniva decretata la morte legale del soggetto dopo numerose analisi, accertamenti, consulti che c o m p o r t a v a o l a n e u t r a l i z z a z i o n e

attraverso l’ibernazione o la soppressione pura e semplice con metodi indolori.

Si continuò a studiare per risolvere il problema ma non ci fu verso.

Finalmente uno scienziato riuscì a far colloquiare un cervello vivente con un cervello artificiale e fu possibile trasferire il contenuto in una memoria di massa in modo da avere una copia perfetta di un cervello vivente.

Tuttavia, non era possibile fare il contrario ovvero trasferire il cervello artificiale in un cervello vivente.

Allora, la copia fatta con l’intelligenza artificiale poteva imparare una nuova lingua molto velocemente ma non era p o s s i b i l e t r a s f e r i r e q u e s t a n u o v a competenza al cervello di cui era la copia.

Ci siamo quasi - disse il Comandante - e Reali mostrò di cominciare a capire come stavano le cose.

A questo punto il nostro scienziato - che chiameremo il Fondatore della nuova

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civiltà che nasceva dopo l’olocausto - fece una scelta estrema e decise di conquistarsi l’immortalità rinunciando al corpo vivente.

Fece alcune copie del suo cervello, si procurò dei robot che furono istruiti a proteggere in ogni caso il cervello artificiale e nascose una delle copie in un bunker sotterraneo a prova di bomba.

Quindi, ingurgitò una potente pozione velenosa ed in pochi minuti il suo cervello biologico ed il suo corpo morirono.

Il cervello artificiale prese il controllo della situazione e per prima cosa ordinò ai robot di fare sparire il corpo.

Non era utile in quella fase far conoscere alla comunità che non esisteva più come essere vivente.

Così continuò a farsi vedere in giro con la sua consueta immagine oleografica ed andò avanti così per molti anni.

Vede - continuo il Comandante - l’immagine oleografica tridimensionale,

quando diventò diffusa, rese del tutto inutili gli spostamenti fisici per cui, salvo rarissimi casi, la gente preferiva inviare la propria immagine oleografica piuttosto che recarsi di persona; perciò nessuno si pose il problema del perché il Fondatore non si era più visto.

Intanto, la pratica di farsi una copia di backup del proprio cervello da conservare in una memoria di massa, secondo la tecnica messa a punto dal nostro scienziato, si sviluppò nonostante fosse di scarsa utilità pratica visto che non c’era la possibilità di attivare una qualsiasi forma di ripristino nel cervello di cui era copia.

Tuttavia una qualche utilità c’era perché nel cervello artificiale si potevano fare ricerche approfondite su ricordi scomparsi dalla memoria o appena sfumati che erano stati registrati ma che era difficile riportare alla luce.

Quindi, se ho capito bene, - disse Reali - continuavate ad avere rapporti con lo

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scienziato come se fosse vivo ed invece parlavate con il suo cervello artificiale.

Esattamente - rispose il Comandante Nemo - proprio come sta succedendo a lei che pensa di parlare con me ed invece parla con il cervello artificiale che comanda questa nave; capisce, quindi, che non abbiamo bisogno di nutrirci o di altro perché, alla fine, abbiamo solo bisogno di un po’ di energia per fare funzionare il tutto; molto meno di quella che serve per spostare un automobile per cento metri.

Ma, allora - riprese Reali - lei non esiste è s o l o u n i m m a g i n e c r e a t a d a u n a macchina ? Ma come è possibile io ho sentito il calore della sua pelle quando ci siamo stretti la mano, il vigore della sua stretta, e persino l’odore del suo dopobarba, per altro, ottimo.

Il Comandante Nemo sorrise e continuò a spiegare: pensi che suo nonno, forse, conosceva ed usava il telefono ma provi ad immaginare come sarebbe rimasto se

gli avessero dato un cellulare moderno con la possibilità di vedere persino le persone in movimento e leggere il loro labiale.

Alla fine, l’immagine in movimento ed i suoni sono solo particelle che secondo un programma vanno a sollecitare gli organi sensoriali del ricevente che ricostruisce secondo il programma le particelle che gli sono arrivate; in sostanza, il telefono moderno ha aggiunto al telefono che usava suo nonno il senso della vista ma ve ne mancano ancora due, ovvero, il tatto e l’olfatto; è solo questione di tempo prima o poi avrete telefoni in grado di far sentite gli odori e di sollecitare il senso del tatto;

poi farete a meno anche dell’apparecchio ricevente perché sarete voi stessi dei riceventi; si ha capito bene - aggiunse il Comandante quando vide la faccia perplessa ed interrogativa del giornalista - se il segnale che trasmettiamo è abbastanza potente non c’è bisogno di un apparecchio ricevente; pensi ad una

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persona vicino a lei che le parla poi si allontana un po’ e per farsi sentire alzerà il tono della voce, poi, ancora più in la dovrà usare un megafono per farsi sentire e così via; questo non si può fare con le onde radio ma il principio è lo stesso anche se si tratta di altri fenomeni fisici che voi ancora non conoscete. Perciò, caro Reali, la mia immagine, quello che lei vede non esiste in natura; io avrei potuto scegliere q u a l s i a s i a l t r a i m m a g i n e o r a p p r e s e n t a z i o n e o l e o g r a f i c a p e r presentarmi a lei ma quando dico avrei potuto, dovrei dire piuttosto il vero Comandante Nemo avrebbe potuto scegliere e se ha scelto questa immagine è solo perché il computer ha elaborato i suoi d a t i d i c o n o s c e n z a p e r o t t e n e r e l’immagine più consona alla situazione e più rassicurante per lei.

Non a caso lei ha trovato una somiglianza con un famoso e popolare attore e la mia immagine è stata costruita in modo da

essere adeguata alla situazione ed al contesto secondo i vostri schemi culturali.

Si, devo riconoscere che avete fatto un buon lavoro per farmi sentire a mio agio ed il messaggio comunicativo non verbale è stato sicuramente molto efficace - disse il giornalista - ma mi consenta ancora un riepilogo per vedere se ho capito bene ed una domanda; dunque in questa astronave non ci sono essere viventi non è vero? e nel vostro pianeta è uguale non ci sono essere viventi ?

La risposta alla prima domanda è si; la risposta alla seconda è in parte si ed in parte no; vede - continuò il sedicente Comandante Nemo - la scelta del Fondatore della stirpe degli immortali fu portata a conoscenza dei notabili che governavano la nostra comunità circa cinquanta anni dopo la sua soppressione fisica e la notizia suscitò grande scalpore e molte discussioni; in sostanza si diceva se per cinquant’anni non ci siamo accorti

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