%.
COLLEZIONE
DI
OPUSCOLI DANTESCHI
INEDITI RARI
DA G. L. PASSERINI
VOLUME OTTAVO
CITTA DI CASTELLO
S.
LAPI TIPOGRAFO-EDITORE
1894
|9ìd
raTìt
C.
DE ANTONELLIS
riciPi Bi 11 Piiii
OHE
SICONTENGONO
MBLLA/
'
DIVINA COMMEDIA
CON PREFAZIONE
E A CURA
DELL'AW. VALERIO
SCAETTA
CITTÀ DI CASTELLO
S.
LAPI TIPOGRAFO-EDITORE
1894
PROPRIETÀ
LETTERARIA
PREFAZIONE
Che
si trovinopene
e delitti registrati nel testo della divinaCommedia, non
è a dubitare;ora l'autore dell'opuscolo che, ad istanza del di- rettore,
ristampiamo
in questa Collezione diopu- scoli danteschi inediti o rari, vuol riguardare il testomedesimo come
fonte di diritto penale,e sipropone
di dimostrare che siaveramente
tale,cioè un'opera fecondissima dei principi di legi- slazione penale, e che in ciò il poeta abbia pre- ceduto, di circa cinque secoli, 1'odierna codifica- zione. L'autore trae questo
convincimento
po-nendo mente
alla gradazione dellepene
nell'In- fernomessa
in rapporto colla scala dellepene
nei nostri codici, e riflettendo alla giustezza lo- gica con chevennero
dal poetaapplicate ai dan- nati, anorma
dei lor malefizì; e, senz'altro, rav- visa nel poeta stesso ilprimo
legislatore penale che in Italianon
solo,ma
in tutta Europa,nella presente civiltà, sia stato.La
base della giustizia penale secondo l'auto- re seguita dal poeta, è quella della legge morale rivelataci dalla coscienza, per cui all'uomo sono note le regoleimmutabili dei propri doveri, e per cuiegli sente laresponsabilità delleproprie azio- ni se ingiuste e dirette almale
; nel qual sistema lapena
e essenzialmente lariparazione diun
do- vere violato, la retribuzione delmale
pel male,ed ba
per scopo la conservazione dell'ordine so- ciale.La
punizione diviene legittima per l'in- trinseca immoralità del fattocommesso,
e per la perversità dell'agente.La
rigenerazionemo-
rale dell'uomo è lo scopo del
poema,
e per di-mostrare che questo sia, nell'opuscolo in
esame
si passano in rivista quasi tutte le terre d'Ita- lia piene di tiranni, a cui il poeta rimprovera
il
mal
vivere, ilmal
governo, la discordia, laguerra aperta o subdola regnante fra essi. Ciò premesso, l'autore considera che nella divina
Commedia,
fin dalprimo
canto, siha
la nozione del reato, che è il trasgredimento diuna
legge penale, nel verso:Perch'i' fui ribellante alla sua lepfge, /»/.,I, 125.
che sarebbe poi confermata nell'aggiunta che questo trasgredimento sia, in pari tempo, contra- rio alla conservazione e tranquillità del corpo sociale nel verso del canto successivo:
Che hannopotenza di far altrui male.
In/., II, 89.
Ogni
reato,generalmente, sicompone
didue
elementi: del doloe deldanno
; e questo sarebbe palese nel testo ai versi :D'ogni malizia, ch'odioin cielo acquista, Ingiuria è il fine, ecc.'
In/., XI,22-23.
La pena
consiste in dolore, o privazione diun
bene, diun
diritto: e quinon
èmestieri ad- durre esempi ^^^ testo, cheognuno può da
sé vedere:ma
per la privazione d'un bene, diun
diritto, basti il verso 126 deìVInfertio
immedia- tamente
successivo a quello succitato, 125:Non
vuol che insua città perme
si vegna.L'applicazione della
pena
è giudicata colla presenza del reo,come
si dimostra con Minosseal canto
V
deìVInferno,né
colpisce, odeve
col- pire, che la sola individualità del malfattore.Cosi si
deduce
dal verso relativamente al de- litto del conte Ugolino:Non doveitu i figliuoi porre a tal croce.
In/., XXXIII, 87.
Dopo
ciò, l'opuscolo si trattiene a mostrare che, all'inverso dei nostricodici, lepene
da lievi si fannogradatamente
più gravi, che sono pro- porzionate ai reatigiusta il verso:' Confr. col verso65, Par., IV:
Ha menvelen,perocché sua malizia;
ecoi versi 43-45, Par., VII:
Ecosìnullafudi tanta ingiura Guardandoalla persona chesofferse Inche era contratta tal natura.
Perchèsia colpae duol d'una misura;
Purg.,XXX,108.
e giusta il terzetto che:
Vuomo
....in sua dignità mai non riviene, Se non riempie dove colpa vota, Contramal dilettar con giuste pene.
Par., VII, 82-84.
Ritornando
sullapena
del conte Ugolino, l'autorene deduce
Vimputabilità riguardo al conte, lamancanza
d'imputabilità per l'età, ri-guardo
i figliuoli o i nepoti che Innocenti facea l'etànovella.In/., XXXIII, 88.
Accenna
che l'imputabilitàmanca,
per timore e per necessità della giusta difesa;ma
qui gliesempì
che l'autoreadduce
coi passi da lui ci- tatinon parmi
confortino troppo la sua tesi.Altrettanto devesi dire per
quanto
egli aggiunge per dimostrare chenelladivinaCommedia
siparli pure del tentativo (pag. 73); e, certo, più felice è il resoconto che nell'opuscolo vien fatto circa alla complicità, dacché questatraspare,certamen-te, sia in
Guido da
Montefeltro (Inf.,XXVIl)
sia in Curio e nel
Mosca
([nf.,XXVIII)
sia in maestroAdamo
nellasa
relazione coi conti diRoména
(Inf.,XXX).
Questo,quanto
acom-
plicità morale: dacché la materiale é rilevata sui reato attribuito a
Venedico
Caccianimico(Inf.,
XVIII).
Il
De
Antonellis crede, inoltre, di rinvenireil
cambiamento
di gravezza inuno
stesso reato9 per effetto di circostanze attenuanti (pag. 79), cioè
una
scusa nelle parole notissime di Fran- cesca:Amor
che a cor gentil ratto s'apprende, In/., V, 100.ed
una
provocazione nel verso:Ed è chi peringiuriaparch'adonti, Purg., XVII, 121.
come un
aggravante per pubblica violenza relati-vamente ad
Attila che fu flagello in terra e rela- tivamente a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,Chefecero alle strade tanta guerra.
In/., XII. 138.
Crede
pure che vi sia la circostanza aggra- vante del valore deltempo
e del luogo relati-vamente
aCaco
neidue
versi:Per lo furar fraudolente ch'ei fece Del grande armento ch'egli ebbe a vicino.
Inf., XXV, 29-80.
Se non
che, nel presente passo, lapena
è più grave perchè alla violenza, di cui erano rei tuttii Centauri, s'aggiungeva, per Caco, il furarfrau- dolento.
Passando
innanzi circa la recidiva, chenon
so
come
possa aver luogo nella divinaComme-
dia, e la reiterazione, nella qual
sembra
incorsa Semiramide, col verso:A
vizio di lussuria fu si rotta, /"/., V,55.l'autore specifica i reati che a lui paiono espli-
10
citamente contemplati neìVInferno dantesco, cioè contro la religione, per divulgazione di
massime
tendentiad
alterarne idogmi
(Farinata eMao-
metto, /w/*.,X
eXXVIII)
per sacrilegio(Vanni
Fucci, Inf.,XXIV,
ladro allasacrestia dei belli arredi), per bestemmia (Capanèo, Inf.,XIV)
per disturbo alle divine funzioni (Guido diMonforte, Inf,XII,
119-120):....colui fesse in grembo a Dio Locorche suinTamigi ancorsicòla,
Reati contro lo stato, e la sicurezza interna e la esterna di esso sono quelli puniti al fondo della ghiaccia:
ov'è il punto
Dell'universo in su che Dite siede.
/«/„XI, 64-65.
A
questi reatisi coordinano quelli dicalunniae di falsa testimonianza [il falso Sinone, e l'ac- cusatrice di
Giuseppe
ebreo (Inf,XXX)],
gli abusi dell'autorità pubblica, estorsione, corru- zione [Ciampoloe frateGomita
(Inf,XXII)]
fal- sità di monete, di metalli, di scritture per sup- posizione di persone [Capoccliio, maestroAdamo,
Mirra,
Gianni
Schicchi (Inf.^XXIX
eXXX)].
Reati contro l'ordine delle famiglie, adulterio, stupro, sodomia, lenocinio [Francesca e Paolo, Giasone, Brunetto Latini e il succitato
Venedico
Caccianimico (Inf, V,XV
e XVIII)]; e, final-mente,reaticontroparticolari:omicidi,furti, frodi, di cuigli esempì si hanno, ritornando, fraaltri, ai già mentovati
Caco
eGuido
di Monforte.11
A
questa breve rassegna dell'opuscolo, po- trebbesi aggiungere che il poetacontempla
al- tresìcoloro in cui s'accumulano più reati e, quin-di, è dataloro
una maggior pena
: e ciò richiama espressamenteSinone quando
dice a maestroAdamo:
son qui perun fallo
E
tu per più che alcun' altro dimonio;Inf., XXX, 116-117.
e che la pena, nel
mondo
defunto, oltre che giu- sta, si manifestaanche
pronta,come
dev' essere secondo il E,omagnosi.E
ciò si evince daAn-
fiarao a cui
S'aperse agli occhi dei Teban la terra, In/.,XX, 32.
e da
Branca
d'Oria chelasciò un diavolo in sua vece Nel corpo suo,
Inf., XXXIII,145-146.
tosto che operò il
tradimento
di cui si èmac-
chiato. Nell'opuscolo poi
non
s'accenna a pre- scrizione dellapena
o del reato e così di propo-sito
non
siaccenna né
all'indulto oal condono,ne
alla grazia sovrana o all'amnistìa,ma
sola-mente
pare si tocchi della riabilitazione a pro- posito di re Manfredi, citando il versetto del Purg., Ili, 118-120 (pag.83
di questo opuscolo).Non
sipuò
negare che lamaggior
parte di quanto ilDe
Antonellis riscontròneW
Inferno dantesco, rispetto al diritto di punire, e secondola codificazione odierna,ivi effettivamente
non
si12
palesi:
ma
è certo che i codici odierni riguar-dano
la colpa insensopuramente
obbiettivo, cioè considerano la colpacome un
debito, chesi paga obbiettivamente colla pena, che è temporanea,e, scontata questa, il reo rientra neisuoi diritti, e nella dignità di prima.
Non
così è,—
e altri-menti non
potrebb'essere,—
nella divinaCom- media: dove
pare si punisca subbiettivamente l'individuo e lapena
o èeternamente
duratura, o eternamente sirinnova ed è tale che raggiunge l'estremo limite dell'afflizione, vale a dire lamorte
delreo, che virtualmente si ripete suesso senza fine.Ancora
iltormento
lede l'integrità del corpo del reo, cosa che per punizione, se-condo
i nostri codici,non
avviene, senon
ri-guardo
al patrimonio se si tratti dimulta
o di altrapena
pecuniaria.Di
più, i codici odiernicontemplano sempre un
fatto dell'agente, chenuoce
altrui, o trasgredisceun
ordine emanato.Non
cosi presso il poeta nostro; secondo cui cer- tamente,o, almeno, apparentemente, nulla fecero dinocumento
altrui o di trasgressioni agli or- dini, i neghittosi, i relegati nel limbo, i lussu- riosi (liberi della loro persona), i golosi, i pro- dighi e gli avari e gli stessi iracondi.A
que-sti potrebbero aggiungersi
anche
gli eretici o,meglio, gli eresiarchi, che, se ebbero credenze contrarie alle comuni, pare le abbiano avute
semplicemente
per conto proprio enon
perac- quistare seguaci. Dagli eretici in poi pare solo si puniscano i delitticommessi
in senso ob-13 biettivo,
ma sempre con una pena
che è sub- biettiva, perchè eterna. Perciò è che il profes- sore di diritto penale, EnricoAbegg,
che per sollecitudine delWitte
scrisse in questo riguardo inuno
dei trevolumi
1866, '66,'67 editi dalla ces- sata Dante-Gesellschaft di Sassonia,un
dottoarti- colo,concluse, chenon
si troverebbe nella divinaCommedia un
sistema che possa avere relazione direttacon
quello seguito nei codici nostri.Nondimeno,
il presente opuscolopuò
farsi utileunendovi
l'altro dello stesso autore e che esso richiama a pag. 58, intitolato: Riflessioni sulla divinaCommedia
qual precipuo fonte della presente legislazione penale, e del quale peraltro nel presentesembra
abbiaegli trascrittonon
poca parte;può
farsi utile dico, confrontando inol- tre ciò che nell'argomento fu scritto dall'Orto- lan, dal professore Carrara, dal Carmignani, dal Nicolini e dal succitato professorAbegg, non
ohe irecenti studi inseriti sul benemerito Gior- nale dantesco del conte Passerini, intorno alla struttura morale dell'Inferno(1,341 e segg.).Bisenti, febbraio 1894.
Valerio
Scaetta.AL CAVALIERE
VINCEiNZOLOMONACO per lettere
efilosofiachiarissimo
della
storiadel
diritto scrittoresolenne
maestrato per mente
eper cuore
impareggiabile
nelle
virtùdomestiche
a niuno
secondo
questotenue lavoro
nuovo
tributo all'opera divina dell'IMMORTALE
ALIGHIERIl'autore
offre
econsacra
PEEFAZIONE DELL'AUTORE
La
divinaCommedia va
per lemani
di tuttii cultori de'
buoni
studi per sublime poesia, per profondi pensieri e per miracolo in fatto di lin- gua.Fin
da che comparve,ebbe
cattedre e co- menti, e molti illustri italiani si fecero a dino- tarne le bellezze, dimodo
che a di nostrinon
vi è più chi tale libro
non
abbia insomma
ri-verenza.
Per quanto
peròne
sappiamo, ninno di tali spositori l'ha
guardatacome
fonte di diritto penale: il cheè nostroproponimento
di-mostrare nel breve
cenno
che orane
diamo, e fare apertocome
l'ira del ghihellin fuggiasco, in tempi di tanta ignoranza, quali erano quelli in cui si appalesò, produsse un'opera fecondis- sima de' principi di penale legislazione; principi' Allaprimaedizionenapoletana(stamp.HéVVIride) del1880, in-ie", di pagg. 118. (V.S.).
2
—
Opuscoli Danteschi.18
che, se da
prima
fossero stati avvertiti, ci avreb- be preceduto di cinque secoli l'incivilimento.Forse a taluno parrà, che la
smania
che siha
ora a prò' degli autori del trecento, voglia far venire l'Alighieri innominanza anche
di le- gislatore:ma
se si porràmente
alla gradazione dellepene
nel suo ideato Inferno^ e si metterà in rapportocon
la scala delle nostre pene, e si rifletteràcon
quanta giustezza di logica, quel- l'anima sdegnosa cacciò nell'inferno i suoi ne- mici, ene
fece strazio anorma
de' lor malefizì, è certo che la maraviglia cesserà, edognuno
co- noscerà nell'Alighieri ilprimo
legislatorpenale, che in Italianon
solo,ma
in tuttaEuropa, nella presente civiltà, sia stato.Che
se questo nostro scoponon
sarà raggiunto, certamente ilbuon
volere starà.5>equantoin Anoaquidi luisidice Posse conchiasotutto inunaloda.
Pocosarebbe....
Par.,XXX, 16-18.
I.
È
proprio dell'uomo, dotato d'intelligenzae di ragione, di elevarsi a' primi principi delle cose, di mettere adesame
tutto quello che esi- ste nella vita, e di rintracciare in qualmodo
debbansi stabilire le relazioni tra gli uomini, perchè siano conformi alla verità, al
bene ed
alla giustizia.
Questa
sua suscettibilità lomette
acima
degli esseri creati sulla terra, e lo ren- de capace di estendere le sue cognizioni sututti gli ordini delle cose, e dirigere la sua attività morale e fìsica su tutti idomini
dellaesistenza.E
tal facoltà di rimontare ai primi principi delle cose,non doveva
venirmeno
in fatto di giu- stizia penale; imperocché le ricerche scientifiche sull'idea del diritto,come
principio generale del- la vita sociale, surserocon
lafilosofia, che tutto riconduce ai semplici e primi principi, e se co-me
per l'ordine fisico vihanno
de* primi prin- cipi e delle leggi generali, così per l'ordine morale e sociale esistono de' principi e delle20
leggi che, lungi dall'essere
una
creazione arbi- traria dell'umana volontà, derivano dalla natura stessa dell'uomo, e sono le regole salutari e giu- ste, cuideve
uniformare le sue azioni;onde
ilLerminier
trattò della influenzadella filosofiasu la legislazione.Non
è nostro intendimento però di mettere a rassegna le svariate teorie sulle quali diversi autorihan
cercato stabilire i principi del diritto penale, perchè lunga opera sarebbe, increscevole e fuori lo scopo. De' tre ultimi sistemi sola-mente
faremo motto, perchè, esclusi idue
pri- mi, e, ritenendo il terzo, sul quale poggiatutto l'edifìcio della divinaCommedia,
possaconchiu- dersi,come dicemmo
nella precedente prefazio- ne, ohe l'Alighieri, in fatto di penalità, aveva preceduto di cinque secoli l'incivilimento.Verso
lametà
del secolo passato surseuna
scuola chiamata filosoficaastratta, che, conside-^rando
la societàumana come
lo effetto diuna
convenzione della volontà libera e collettiva, tutte le instituzioni civilifacevaconseguenza
diuna
tal convenzione. Q-li uomini, dice Becca-ria,
dapprima
indipendenti ed isolati, si raccol- sero in società, facendo il sacrifizio diuna
por- zione della loro libertà, pergoderne
la rima- nentecon maggior
sicurezza.La
baseadunque
della giustizia punitiva è il diritto di legittima difesa esercitata dalcorpo sociale. Mably,Rous-
seau, Blakstone, Briganti e molti altri, adotta- rono, sino agli ultimi tempi,
una
tal teoria.Ma
21
un
simile contrattonon
è cheuna pura
finzione.Dove
equando ha
esistito?Dopo quanto ne ha
scritto il nostro
Romagnosi, non
più si parla della dottrina dello stato naturale.La
esistenza sociale è lo stato naturale di tutti gli uomini.Si consulti la storia, e questo principio si ve- drà proclamato in tutt'i tempi.
Ma,
d'altronde,il diritto alla difesa cessa al cessare dell'immi- nente pericolo.
Quando non
vi è più aggres- sione,quando
l'ordine è rientrato nella società,il diritto alla difesa sarebbe inutile, e
non
ap- plicabile alla giustizia penale.Il secondo sistema è quello di
Bentham,
ilquale, seguitando i principi di
Cameade,
diEpi- curo, di Machiavelli e diHobbes
sull'utile, l'ap- plicòmetodicamente
alla legislazione.Per
que- sta dottrina l'utilità generale costituisceil prin- cipio: la idea che vipredomina
è lo scopoma-
teriale della pena, ossia l'effetto di questa sula moltitudine, perchè, egli dice, la
pena
è giusti- ficata dalla sua utilità maggiore.Non guarda
se la distribuzione delle
pene
siaconforme
alle regole della giustiziaintrinseca: l'unico fine chesi propone la legge penale è quello d'imprimere nelle popolazioni il timore della pena, siccome
le sue incolpazioni
hanno una
sola base, quella cioè dell'interesse dellamaggioranza
socialeperla repressione degli atti qualificati
come
reati.^'Bentham, Teoricadellepeneedelle ricompense.
—
Chauvkau, Teorica delcodice penale.22
Ma
l'interessenon può
giustificareuna
puni- zione, perchè varia secondo i climi, le abitudini ed i costumi delle nazioni.Non potendo
quindi esserben
determinato^ si potrebbero, sottoun
tale pretesto, giustificare le più assurde atrocità.
D'altronde
Bentham,
definendo l'utile per ciò che procura ilmassimo
de' piaceri^ e questies- sendo delle interne afi'ezioni difficili a conoscersi, variabilissime daun
individuo adun
altro,non
possono tali affezioni addivenire principi gene-rali per la legislazione.
Eliminati cosi i
due
precedenti sistemi,ne
viene l'ultimo fondatoda
Pellegrino Rossi nel suo Trattato del diritto penale.Ha
egli nella legge morale, rivelataci dalla coscienza, cercatoil principio e la ragione della giustizia penale.
Le
regole immutabili de' propri doveri sono al- l'uomo disvelate da questo tribunale della co- scienza, che separa ilbene
dal male, il giusto dall'ingiusto, e lo convince della responsabilità delle proprie azioni. Questi doveri morali, e questa responsabilità dell'essere libero ed intel- ligente sono la base della giustizia penale.Secondo
questo sistema, lapena
è essenzial-mente
la riparazione diun
dovere violato, la retribuzione delmale
pel male.Perchè sia colpa e duol d'una misura.
Purg., XXX,108.
Cosi s'osservain
me
lo contrappasso.Ih/.,
XX
Viri, 142.23 Ed in sua dignità mai nonriviene,
Se non riempie dove colpavota, Centra mal dilettar, con giuste pene.
Par., VII, 82-84.
Questo principio,
combinato con
l'altro dello scopo della pena, cioè la conservazione dell'or- dine sociale,formano
le regole fondamentali delle teorie del Rossi: nella intrinsecaimmora-
lità del fatto, nella perversità dell'agente, la punizione rinviene tutta la sua legittimità. Il castigo
non ha
diritto, dice Guizot, che soltan- to sulla colpa.E
queste teorie si trovano oraadottate da quasi tutti i pubblicisti, e,
con
ta-lune modificazioni che
non
alterano il sistema, sono di guidanon
solo agliscrittori,ma
ancoraai legislatori in materia penale.
II.
Stabiliti così i principi del diritto penale, se-
condo
gli ultimi progressi della scienza, se ci verrà fatto dimostrare che questi stessi principisi
contengono
nella divinaCommedia,
si sarà raggiunto lo scopo. Il fine di questoimmortale
lavoro dell'Alighieri è la rigenerazione morale dell'uomo.Quel
Veltro, di cui si è tanto scritto e che, perbuona
fortuna,non
interessa saper chisia,*
ma
chedoveva
dar salute a quest'umile1Secondo me, ilveltroè lostesso poetadopofornitoedivul- gatoilsuopoema. Vedil'operadel conte EoggibroDbl,i.a Torbe daltitolo: T?oeta-V<iltfo, Cividale, 1887-1890, ovesiè corcato dare le prove diquest' interpretazione.(V.S.)
24
Italia,
non doveva
aver cupidigia di ricchezza;
Questi non ciberà terra né peltro,
Ma
sapienza e amore e virtute.Inf., I. Kfò-lOl.
E
questo sapiente, virtuoso e disinteressatodoveva
cacciare nell'infernoLà onde invidia primadipartilla, Ivi,IH.
quella che
.... ha naturasi malvagia e ria,
Che mai non empie la bramosa voglia,
E
dopo il pasto ha più fame che pria, Ivi, 97-99.e che gli avea fatto
tremar le vene e i polsi.
Ivi, 90.
Chi non comprende
che lo scopo della divi-na Commedia
fu di richiamare l'uomo allamo-
rale?E
che questone
sia stato il fine princi- pale si scorgeanche
fin dai suoi primi versi,quando
Nel mezzo del cammin di nostra vita,
cioè nell'età
quando cominciano
le passioni a declinare, ^' Secondome, l'interpretazione oomuuequi riportata dele.I del poema, non corre. Lostesso M. G. Pohtanelsuostudiosul- l'età cheilpoeta raffigura nelsuo poema,ripubblicato dal Gioja, (Torino, Roux, 1891)trovòunadifficoltàinquesta interpretazione al detto suostudio. Quelverso devesignificare ohetraidiversi cammini della vita (vedi Oonv., oap. 12o, Tr. IVinfine) ilpoeta
si trovavasul veracissimoquandosi smarrì perunavalle.
—
Sic-comecon questanuovainterpretazioneandrei contro l'altraco-
munementeesempre accettata, né qui è il luogo di dimostrare ohe iosianel vero, cosi mi riservo di farlo inuno scritto sepa- rato. (V. S.).
Miritrovai per una selva oscura,
cioè tra i vizi e la corruzione del secolo,
non
potendovi essere felicitàove non
sono buoni icostumi;
Ohe la diritta via era smarrita.
Ivi, 1-3.
E
qui giova osservare che niuno, meglio diDante, con questo verso, e
con
l'altro:Ohe menadritto altrui per ogni calle Ivi, 18.
aveva
dato la vera definizione del diritto,come
quello che indica l'andare dirittamente allo sco- po, perchè il francese droit, l'italiano diritto, l'inglese righi
esprimono
il rapporto più diretto delle cose, a differenza de' giureconsultiromani
che lo facevano derivare daun comando,
a ju- bendo, rapporto tutto esteriore e secondario.Che
Dante, nell'usare il linguaggio poetico,si abbia servito delle allegorie,
non
viha
dub- bio alcuno,quando
egli stesso lo manifesta:O
voi che avete gl'intelletti sani, Mirate ladottrina che si asconde, Sotto '1 velame degli versi strani./«/., IX,61-63.
Ma
più d'ogni altro si scorge il fine morale delladivinaCommedia, quando
si osserva quello che dice aicompagni
di Ulisse.Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma
per seguir virtute e conoscenza.In/., XXVI, 118-120.
26
Ed anche
lasciando leallegorie, a dimostrare che l'oggetto delpoema
sia di richiamare l'uo-mo
alla morale, èda
osservarsi, che l'unico al- tro scopo che potrebbe addursi, sarebbe l'ira del ghihellin fuggiasco, per fareuna
vendetta de' suoi nemicicon
assegnar loro le diverse bol- ge di quel baratro infernale.Questa
supposi- zione perònon
regge, perchèda
quasi tutti co- loro chehanno
scritto la vita diDante
siha
che ilpoema
in parola era stato dall'Alighieri ideatoprima
del suo esilio, ed il Boccaccio che fuprimo
a spiegare dalla cattedra quel divino lavoro, eBenvenuto
da Imola, manifestarono chiaramente cheben
sette cantiprima
del detto esilio erano già completi: che seanche
fattiav- venuti posteriormentesi trovano colà registrati, ciòavvenne
perchè il poetanon
cessava di to- gliereed
aggiungere in quel suopoema
che per più anni l'aveva fatto macro.Ritenuto quindi che il
poema
era stato ideato ed incominciatoprima
dell'esilio,non può
più dirsi che lo scopo fosse stato di volersi vendi- care de' suoi nemici,ma
bensì la rigenerazione morale dell'uomo.III.'
A
viepiù dimostrarecome uno
scopomo-
rale indusse l'Alighieri a metter
mano
a cielo e'Per conferma edillusfcrazioue di questo edel seguenteca- pitolo IV gioverà confrontare il ilanuale di storia del Diritto
27 terra in quel suo
poema,
è d'uopo farun cenno
dello stato d'Italia a quell'epoca.Non
è però di nostro intendimento discendere ai minuti par- ticolari della storia,ma
farne solamenteuno
schizzo,
onde
togliere ogni dubbiezza sultema
propostoci.
Nel
regnodominavano
gli Angioini, e già re Carloaveva
dimostratoquanto
pesi ai vinti ladominazione
straniera: i vespri sicilianine
fu- ronoconseguenza
trista ememoranda.
Carlo secondonon
fu migliore del padre^, e Roberto, letterato,non
seppe profittare delle favorevoli circostanze che, sfuggiteuna
volta,non
piùri-tornano. In
Roma
iColonna
e gli Orsini de- vastavano il territorio,ne
partivano i cittadini, tuttomettevano
a sacco e a ruba, e sacrilegamano
stendevano, orribile a dirsi, sulsupremo
gerarca della chiesa.Non
è nostro proponi-mento
però descrivere gli orrori degli Ezzelini daRomano,
e quantoavvenne
inMilano
tra iTorriani ed i Visconti, e
come Matteo
diman- datoquando
sarebbe ritornato in patria, rispose"
quando
i peccati de' Torriani avrebbero sor-" passato i suoi„: e cosi fu.
E come vennero
a guerra i pisani co' genovesi e nella battaglia navale alla Meloriane
restarono de' primisedici mila prigionieri per dieci anni; equanto
pra- ticarono il conteUgolino
e l'arcivescovoRug-
italiano dell'iUustre professoreFkancbsco Schopfkr, Città diCa- stello, Lapi,1892 6preoisameateillibro2"di detto maauale inti- tolato: VEpocaneo'latina.(V. S.).
28
gieri; e
come
Q-enova cominciò la sua guerra di rivalitàcon
Venezia; e la prigionìa di Vit- torioAmedeo
e quella delmarchese
di Monfer- rato; e '1tramutamento
della sede pontificiainAvignone,
che fu chiamata la schiavitù di Ba- bilonia; e le guerre degli Angioini con gli Ara- gonesi in Sicilia; ecome
in Firenze lacittàfu partita tra guelfi e ghibellini per il fatto dei Bondelmonti, ed in Pistoja tra lefamiglieCan-
cellieri bianchi e Cancellieri neri, e
come
per tal fatto, condotte quelle famiglie a Firenze, siaccrebbero le ire tra i Cerchi ed i Donati; e
come
i popolani grassi esclusero i nobili di Fi- renze e diGenova
dalle cariche.Ma
per cono- scere le vere condizioni diquell'epoca, è d'uopo dareuno
sguardo a coloro che, elevatisi sopragli altri cittadini, signoreggiavano le diverse città italiane, e,
con
la guida degli storici con- temporanei, considerare in quali tristi condizioni leavevano
ridotte, ecome ne venivano mano-
messi i costumi e la morale.A Milano dominavano
pria i Torriani, poi iVisconti, indi gli Sforza: nella
Marca
Trivigianai famosi Ezzelino da
Romano:
aLodi
i Vesta- rini, i Firaga, i Vignati: aCrema Venturino Benzone:
aComo
iBusca;
aPavia
i Beccaria eLangosco
: aBergamo
i Suardi: a Brescia iMaggio
e i Brusati: aCremona
i Pelavicini, iCavalcabò, i Correggio, Cabrino
Fondalo
: aMan-
tova ilPasserini, iBonacolsie iGonzaga
: aNo-
vara i Tornielli: ad AlessandriaFacino Cane
: aSan Donnino
i Pelavicini: aTreviso i daCami-
no, Feltre e Bellario: aVerona
gli Scaligeri: aPadova
i Carrara: aPiacenza
gli Scotti: a Par-ma
i Rossi e Correggio: alla Mirandola i Pico:a Pisa e
Lucca
Castruccio Castracane: aRaven-
na Paolo Traversar! ed i Polenta: aFermo
iMigliorati, Gentile da
Magliano
e gli Sforza: aMassa
iMalaspina
; aMonaco
i Grimaldi: a Ri- mini i Malatesta: aBologna
i Pepoli: aUrbino
i Montefeltro: a Forlì gli Ordelaffi; ad
Imola
gli Adilosi: a Cortona i Casali: aFaenza
iMan-
fredi; i Calboli a Brettinoro: i Gabrielli a
Gub
•bio: i
Cima
a Cingoli: iVico
e gli Annibaleschi a Viterbo; i Moldecchi (forse Monaldi) ad Or- vieto: i Chiavelli aFabriano
: gli Ottoni aMa-
telica: i Salimbeni a Radicofani; i Simonetti a Jesi: i
Malucca
aMacerata
: i Brancaleoni aUr-
bania:gliAlti a Sassoferrato:iMontorio
aAquila;i
Varano
aCamerino
: i Baglioni aPerugia
; i Vi-telli a Città diCastello: i del
Pecora
aMontepul-
ciano: nel Lazio i Savelli: aPreneste iColonna:
alle paludi Pontine iFrancipane: i Farnesi verso
illago di Bolsena: al sud della
Toscana
gli Al- dobrandini, ecc.,onde Dante ebbe
a dire:Che le terre d'Italia tutte piene Son di tiranni, ed un Marcel diventa Ogni villan che parteggiando viene.
rurg., VI, 124-126.
Ed
eccocome
ilSismondi
descrive lo stato di quell'epoca. "Le
città del centro diLom-
"bardia erano allora senza alcun dubbio, le più
30
"infelici dell' Italia.
Governate
dauna mano
"di ferro dai signori di
un
giorno, chenon
pote-"
vano
inspirare che l'orrore o il disprezzo, vede-"
vano
incessantemente il loro territorioin pre-" daalleguerre civili.
Molte
castellaerano aper-"
tamente
in rivoltacon
la capitale. Gli emi-" grati che vi sierano rifugiati,
ne
sortivano per" depredare le
campagne
e bruciare le mèssi, e si"trovava più facile punire queste rapine
con
le"rappresaglie che
con
reprimerle.Non
si cono-" sceva 1'esempio di
un
signore, chenon
fosse"stato spodestato pria di essersi
mantenuto
dieci" anniin
una
città;e ciascunarivoluzione, prece-" duta
da un
combattimento, che costava la vita^ di
un gran numero
di cittadini, era accompa-"guata dall'esilio e dallarovina di tutto
un
par-" tito, di cui i beni erano confiscati, e le case
"spianate„
.
"
Le
passioni più impetuose,—
dice in altro"luogo,
— davano campo
nel secolo decimoterzo" agliattentatipiù frequenti,elamoltiplicità degli
" stati indipendentifacilitava la fuga de' colpe-
" voli, di
modo
che l'esercizio della giustiziapu-"nitrico
sembrava
ilcompito
più importante del"
governo
e lo scopo unico della suaistituzione." Bentosto il desiderio di
comandare
si uni al bi-" sogno di reprimere i reati, e si
avevano nuovi
" magistrati,
meno
per assicurare la prosperità" dellanazione, che per soddisfare l'ambizione di
"
un
piùgran numero
d'individui. I delitti par-"ticolari diedero principio ad
una
folla d'inimi-81
" cizie da famiglia a famiglia; l'elezione alle
ma-
"gistrature fu l'origine d'
una
gelosia costante"tra casta e casta.
Nel
nostro secolo i misfatti,**che leleggi puniscono, si trovano quasi reietti
" dalla nascitae dallafortuna nelle ultime classi
"della società, di
modo
che le colpe sono vera-"
mente
personali: i loro parentinon hanno né
la"intenzione,
ne
la forza di difenderli durante la"loro vita,
né
di vendicarlidopo
la loro morte."
Nel
trecento al contrario, sicontavano
tanti" colpevolitra i grandi chetra ilpopolo. Questo
^
cambiamento
ne' nostri costumiha
reso le na-'' zioni piùfacili agovernarsi: ed è d'altronde la
"prova di
un
miglioramento nella morale pub-'^blica. I parenti, gli amici estranei alla colpa
"
non
erano estranei o alla difesa del colpevole"o allasua punizione; e l'autorità pubblica era
"incessantemente
chiamata
a spiegare tutta la"sua energia per reprimere i delitti che
smem-
"
bravano
l'intiero stato, perraggiungerei delin-"quenti che
un
potente alleato proteggeva „.Dice Giovanni
Villani, parlandoappunto
di quell'epoca: "Convien
cominciare ilduodecimo
"libro,però che richiede lo stile del nostro trat-
"tato perché
nuova
materia e grandi mutazioni," e diverse rivoluzioni
avvennero
in que'tempi
"allanostra città di Firenze per le nostre discor-
" die cittadine e '1
mal reggimento
de' Venti, co-"
me
addietroavemo
fattomenzione
; e fieno sì" diverse, che io autore che fui presente,
mi
fa" dubitare che per inostri successori
appena
sia-32
"
no
credute di vero; e furono pure cosicome
"
diremo
appresso „.Ed
altrovenel libro ottavo, capitoloprimo
: "Essendo
la città di Firenze" in
grande
e possente e felice stato intutte le"cose, ei cittadini di quella in
grande
ricchezza,"
ma non bene
in accordo, perocché lagrassezza"e soverchio del tranquillo naturalmente genera
"superbia e novità si erano i cittadini tra loro
" invidiosi e insuperbiti, e molti micidì, e fedite,
"e oltraggi facea l'uno cittadino all'altro, e mas-
"
simamente
i nobili detti grandi e possenti con-" troa' popolani
ed
impotenti; e cosi in contado"
come
in cittade faceano forza e violenza nelle** persone e ne' beni altrui occupandoli^
.
Dino Compagni
scriveva nellasuastoria: "Co-" si stala nostra città tribolata, cosi stanno i no-
"*stri cittadini ostinati in
mal
fare: ciò che si fa" l'uno di, si biasimal'altro
non
si fa cosa si^
laudabile, che in contrarionon
si reputi enon
"si biasimi. Gli
uomini
vi si uccidono: ilmale
"perlegge
non
sipunisce;ma come
il malfattore"
ha
degli amici opuò moneta
spendere, cosi è"liberatodal maleficio fatto„.
E
lo stessoautore diceva ai suoi concittadini: "Signori, perchè"volete voi confondere e disfare
una
cosibuona
"città? contro a chi volete
pugnare
? contro ai"vostri fratelli? che vittoria avrete?
non
altro"che
pianto „.Ed
altrove, parlandosempre
di quell'epoca; "Levatevi, omalvagi
cittadini,pieni" di scandali, e pigliate il ferro e il fuoco colle
" vostre mani, e distendete la vostra malizia, pa-
33
" lesate le vostre ini([ue volontà e i pessimi pro-
"
ponimenti
;non
penatepiù, andateemettete in"rovinale bellezze dellavostra città, spandete il
"sangue de' vostrifratelli, spogliatevi della fede
"e dell'amore, seminate le vostre
menzogne
„.Il Muratori, negli
Annali
d'Italia, nel descri- vere in quella stessa epoca quelle processioni, che passando da città acittà, che gl'imolesi por- tarono a Bologna, e ventimila bolognesi anda- rono successivamente aModena,
ed altrettantimodenesi
si recarono aReggio
ed aParma,
gri-dando
misericordia a Dio, e pace agli uomini, soggiunge " cosi ebbero principio lecompagnie
" de' Devoti e de' Battuti,
con
altri beni concer-" nentiil
miglioramento
dellapietàe de' costumi," troppo allora disordinati nelle città italiane„.
E da
ultimo ilDenina
nel libroduodecimo
delle Rivoluzioni d'Italia osserva: "
Ma
tutti gli" storici lombardi che scrissero
dopo
iltrecento"
come
RiccobaldiFerrarese,Rolandino,Galvano
"
Fiamma,
ed altrianonimi
scrittori diModena,
"diPadova, diPiacenza,tuttisiaccordano adire,
" che dal
tempo
de'padri e degli avi loro erano"icostumi
grandemente
trascorsi nel lusso e nel-"la
morbidezza
„.E
questo piccolo cenno, poggiato su l'au- torità di gravi scrittori, chehan
trattato delle cose d'Italia in quell'epoca, cisembra
sufi&cien- te, senza più oltre dilungarci, per conoscere in quali condizioni l'Italia si trovavaaltempo
di Dante.à ~ OpitacoU Danteschi.
34
IV.
Ma
per sapere le condizioni diun
popolo inuna
data epoca, è mestieri d'altronde d'inter- narsi nella parte subiettivaed
obiettiva delme-
desimo, cioè nella filosofìa, nelle arti e nellale- gislazione di quel tempo, perchè su tre oggettisi svolge la
umanità
nel suo incivilimento, sul vero, sul bello e sul buono.Appartengono
alprimo
le scienze, al secondo le arti, ed al terzo le leggi. Il principal fondatore della specula- zionecristiana,cheinfluì efficacemente nelmedio
evo, fu sant'Agostino; sanTommaso,
sanBona-
ventura e sant'Anselmo lo seguirono.La
filoso- fiaadunque
altempo
diDante
fu tutta cristiana.E
costui che voleva migliorare l'uomocon
met- termano
a cielo e a terra, e racchiudere nel suoimmortale poema
tutte le cognizioni di quell'e- poca, e dareuno
slancio nell'avvenire,quando
queltempo
si sarebbe chiamato antico, scelseun
soggetto tutto eristiano alparagone del qualenon reggono
e '1 Paradiso perduto di Milton, e la Messiade di Klopstoc. Egli, per concetti filo- sofici, si elevò su tutti gli altri del suo tempo.Dante
Alighieri, dice l'annotatore di Stahl,^ forse fa l'ingegno più smisurato che sorgesse in Ita- lia, anzi nelmondo
:ma mentre
tutti ricono- scono in lui lagrandezza
del poeta,ben
pochi stimanoconvenientemente
lagrandezza
del filo-1 BAFFAEI.B Comporti. (V.S.).
36 sofo. Il lavoro di parecchi scrittori, e special-
mente
dell'Ozanam e del Giuliani, intesi a far rilucere la dottrina filosofica, che si asconde sot- to ilvelame
dell'immortalepoema,
dimostranocome Dante
dilunga
sopravvanzasse i suoi con- temporanei per concetti filosofici; e però s'in-gannano
coloro, i qualiunicamente
lo encomia- no, perchè cantò l'infernocon
la melodia del pa- radiso. "Ma
agrantorto s'appongono coloro,—
" diceCesare
Cantù
nella Storia degli Italiani,—
" che solo un'allegoria politica vogliono trovare
"in
un poema,
cui posemano
e cielo e terra. Il"
problema
cardinale che Eschilo presentiva nel" Prometeo, cheShakspeare atteggiò neìVAmleto,
" ohe Faust cercò spiegare
con
la scienza,Don
" Giovanni
con
la voluttà, Wertercon
l'amore, fu"r indagine di Dante,
come
di tutti i pensatori;" questo contrasto fra il niente e la immortalità,
"frale aspirazioni
ad un bene supremo
el'avvi-" limento di mali continui„.
Ritenuto adunque
cheDante ebbe una
filosofia, e questa,seguendo
le condizioni diquell'epoca, si
fondava
su quella dei santi padri, e perciò tutta cristiana, chi po- trà negare allamedesima uno
scopoimmensa- mente
morale?Come
imonumenti
indiani e le piramidi di Egittoesprimono
il pensiero filosofico diquelle nazioni, cosi le belle arti delmedio
evomani-
festano il pensiero cristiano di quell'epoca.Se
si percorrono tutte le città d'Italia,
anche
altempo
presente, dice ilBianco
nella sua opera36
DelVartee suo svolgimento nella storia, e s'inter- rogano tutte le sue magnificenze, si troverà che quasi tutte sursero nel
medio
evo.E Venezia
col suo
gran
porto, colfamoso
sanMarco, col pa- lagio delDoge,
coll'aeree torri; eGenova
e Pisacon
le loro maraviglie; e letombe
di Morreale;
e
Roma
e Napoli con le loro chiese e le guglie che si elevano al cielo, quasi indicanti il voto che migliaia di credenti innalzano all'Eterno; e Firenzecon
santa Croce, futuro tempio delle glorie italiane, e santaMaria
delFiore e il palaz- zo vecchio.E
se in talimonumenti
si osservanoi dipinti di
Cimabue
e di Giotto, amici diDan-
te, chi
non
conosce che tutte le arti belle di quell'epoca erano dirette dal sentimentoreligio- so?ondecohè
le condizioni d'Italia di allora tuttetendevano
alla creazione delpoema
sacro, all'epopeaumana
del cristianesimo.Più
di ogni altro però, le condizioni diun
popolo siconoscono
dalle sue leggi, perchè se queste sono formate dai costumi,come
dall'ef- fetto si conosce la causa, cosi dalle leggi sono quelli indagati; e perciò le leggi si potrebberochiamare
iltermometro
morale de' popoli, la espressione de' loro bisogni, delle loro passioni, delle condizioni di lor vita. Voler però discen- dereadun minuto esame
di tutte le leggi par- zialideitantimunicipi italianiall'epocadi Dante, pure andar analizzando e '1codice de' Visigoti, eV
Editto diTeodorico, e'1codice deiLongobardi
e quello degli
Alemanni,
e la legge Salica, e i37 Capitolari di Carlo
Magno
e Lodovico, sol per- chèhanno
avutoun tempo
lor sanzione nella penisola, sarebbe lavoro di molti volumi, e fuori deltèma
propostoci.Ma
se col Canciani eDo-
nato
Antonio
d'Asti, edultimamente
col tedescoSavigny
volesse sostenersi, che il dirittoromano
persisteva nel
medio
evo,uopo
è ripeterequanto un
nostro illustre scrittore, ilDe
Thomasis,ha
osservato su queste leggi. "Vi
erandunque
in"quella legislazione penale (nella
romana)
tutti i" vizi de' quali
un
codicepuò
essereaccusato:con-" fusi ed assimilati traloro i reati di differeutis-
" simanatura: caratterizzati
come
delitti i peccati" occulti: ninnaregola
con
laquale discernere la"
maggiore
ominore
gravità de' reati:ninna
prò-" porzione tra i reati e le
pene
: lepene commesse
"per Io più all'arbitrio de' giudici; e più o
men
" dure secondole condizionide'delinquenti: adot-
" tati in fine
come mezzi
di prova,i mezzi chela" ragione aborrisce e l'umanità respinge„, che se voglionsi considerare le Costituzioni di Federico
II,
come
quelle cheformavan
legge in tutte le città ghibelline d'Italia altempo
di Dante, ed iCapitoli angioini da Carlo I a Roberto, le os- servazioni del