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MATERIALI CERAMICI TRADIZIONALI

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MATERIALI CERAMICI TRADIZIONALI

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I NTRODUZIONE E CLASSIFICAZIONE

I manufatti in materiale ceramico sono largamente diffusi non solo nell’ambito industriale, anzi, è possibile osservare innumerevoli oggetti costituiti in materiale ceramico nella normale quotidianità;

basti pensare a:

 Mattoni: sia i laterizi usati per l’edilizia (costruzioni in muratura e rivestimento di pareti), sia i mattoni refrattari usati come rivestimenti interni per i forni, grazie alla loro capacità di resistere alle altissime temperature.

 Manufatti ornamentali: come vasi e statue.

 Porcellane: cinesi o europee.

 Tegole

 Stoviglie

 Piastrelle

 Sanitari

Meno comuni ma pur sempre in materiale ceramico sono anche:

 Vetri

 Calcestruzzo: consente di ottenere soluzioni architettoniche eccezionali.

 Componenti di uso tecnico: i materiali ceramici speciali sono utilizzati per valvole, rotori e componenti dell’ingegneria meccanica in generale.

I materiali ceramici sono molto comuni e tutti associano ad essi l’argilla che è, difatti, la materia prima con cui si realizzano i materiali ceramici tradizionali (MCT); questa è dotata di proprietà molto particolari, prima tra tutte la plasticità, che la rende molto simile alla plastilina. Un materiale ceramico deve essere cotto e chiunque saprebbe elencare alcuni oggetti in ceramica come mattoni, tegole, oggetti sanitari, porcellane, piastrelle, stoviglie e oggetti ornamentali. Quello che invece non tutti sanno sono le proprietà di cui godono tali materiali.

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In generale un materiale ceramico gode delle seguenti proprietà caratterizzanti:

 Inerzia chimica: particolarmente utili per la conservazione di alimenti e adatti alle applicazioni di laboratorio

 Bassa densità

 Refrattarietà: resistono alla fiamma; le proprietà meccaniche di un acciaio, invece, crollano verso i 300°C

 Basso coefficiente di conducibilità termica

 Basso coefficiente di dilatazione termica: resistenza elevata agli shock termici

 Basso coefficiente di conducibilità elettrica: la porcellana è stato il primo isolante

 Alta durezza superficiale

 Alta resistenza meccanica: è notevole se consideriamo una grandezza specifica, per unità di volume

 Rottura fragile: non sopportano carichi improvvisi

S TORIA E A TTIVITÀ PRODUTTIVA ODIERNA

Dopo aver imparato a usare, sfruttandone le specifiche proprietà, i materiali messi a disposizione dalla natura (pietre, argilla, legno, vegetali ecc.) l’uomo tecnologo ha prodotto il primo materiale artificiale: la ceramica.

La ceramica tradizionale viene ottenuta dall’argilla la quale gode di proprietà che nessun altro materiale ha in natura; essa infatti non solo è facilmente formabile, ossia subisce facilmente variazioni di forma, ma soprattutto mantiene la forma impartita, si può quindi affermare che questa abbia proprietà plastiche proprio come la plastilina con l’unica differenza che si tratta di una materiale naturale. L’argilla risulta essere plasmabile se umida e solida in seguito ad essicazione.

Sfruttando la plasticità dell’argilla e la permanenza della forma a secco (proprietà non presente nella sabbia che quando secca perde la sua forma), l’uomo è passato dal disegno religioso, i graffiti nelle grotte, alla scultura in modo da risolvere il problema della terza dimensione. Nella repubblica Ceca sono state rinvenute figurine in terracotta databili tra 29000 e 25000 anni a.C., per fare un paragone l’età del rame inizia nel 5000 a.C. e quella del ferro nel 1300 a.C. I materiali ceramici fanno quindi parte del nostro patrimonio culturale da tempi antichissimi anche se nell’accezione attuale del termine i materiali ceramici sono relativamente più recenti.

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Ultima parte della preistoria è il neolitico la cui data di inizio è comunemente accettata essere intorno al 10000 a.C. , tale data coincide con l’introduzione di tre importanti cambiamenti nella vita dell’uomo dovuti alle seguenti invenzioni:

1. Agricoltura 2. Allevamento 3. Ceramica

Difatti in Giappone e in Cina sono stati ritrovati reperti risalenti a 10000 anni a.C. , ma non è solo la presenza di tale materiale a cambiare la vita dell’uomo, la vera innovazione è stato lo sviluppo di una produzione sempre più significativa e diffusa nel mondo tra 8000 e 7000 anni a.C.

Negli anni si è osservato che l’argilla se cotta a seguito dell’essiccazione, risulta meno permeabile e molto più resistente; la cottura rende irreversibile il processo di perdita di plasmabilità. Anche con l’argilla cruda ma secca è possibile realizzare oggetti ma il problema risiede nel fatto che se ripresa con acqua ritorna plastica in quanto il processo è reversibile, mentre nel momento in cui viene cotta ciò non è più vero. La prima tecnologia di cottura sono i falò, il pezzo viene posto su di un’asta che viene poi posta in rotazione sul fuoco.

Dall’uso dell’argilla allo stato crudo e dalla tecnica del “falò” si passa ad una vera tecnologia di produzione che si sviluppa attraverso: la scelta di argille adatte, la ideazione di opportune tecniche di formatura, la cottura in forni scavati nel terreno e ricoperti con il combustibile, la copertura del substrato, l’arte della decorazione, aspetto introdotto nelle civiltà assiro-babilonesi. Nel giro di mille anni si è avuto un enorme progredire di innovazioni anche in termini di tecniche di formatura e l’interesse era sempre più orientato all’ottenimento di elevate temperature di cottura al fine di ottenere prodotti di qualità sempre più elevata.

Si passa dalla produzione di oggetti a carattere religioso e votivo, a quello di oggetti funzionali (ad es.: vasi), a quello di componenti strutturali (mattoni cotti). Volendo continuare questo excursus si potrebbe giungere anche ai moderni scudi termici dei velivoli spaziali; i punti più sollecitati da un punto di vista termico devono essere infatti realizzati in refrattario e vengono quindi ricoperti con piastrelle ceramiche.

Dall’analisi storica appena proposta si può notare come la produzione di manufatti ceramici sia iniziata come un’attività individuale che richiede manualità ed esperienza. Solo in seguito si è passati ad un’attività artigianale nella quale si afferma la figura dello specialista dunque si richiede una competenza tecnologica e non più solo manuale. Accanto all’attività artigianale nasce, molti secoli dopo, quella industriale basata su una forte produttività per cui è necessario un forte e continuo dialogo tra tecnologia e scienza; tale dialogo è infatti alla base del progresso. L’uomo nasce tecnologo: prima inventa qualcosa e poi si cerca di capirne il perché tramite la scienza; la tecnologia pone infatti le domande cui la scienza prova a rispondere. Qualunque sia il tipo di attività di cui ci si occupa, si tenga sempre presente che il requisito dell’esperienza risulta imprescindibile e fondamentale, nel campo dei ceramici infatti piccolissime variazioni nel processo comportano enormi variazioni nel manufatto, per cui viene massimizzata la possibilità di scarto del pezzo.

Questo spiega perché ciascuna industria usa sempre le stesse materie prima, messo a punto un determinato processo produttivo si è restii nel cambiarlo. I materiali ceramici sono infatti “materiali a memoria lunga” per cui errori nel ciclo tecnologico non solo si riscontrano nel prodotto finale ma sono anche irrimediabili; in un materiale metallico ciò non è vero in quanto tramite trattamenti

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termici i difetti possono essere rimediati. Il manufatto ceramico ottenuto da un lotto produttivo è inoltre classificato in base alla qualità e poi venduto a prezzi diversi.

Data la loro antichità i manufatti ceramici sono prodotti e diffusi su tutto il globo, questo porta ad enormi problemi nella denominazione; non solo è possibile incorrere in nomi diversi in diverse regioni della terra ma anche all’interno della stessa nazione a causa delle scarse comunicazioni nel passato; ad esempio a Napoli le maioliche sono dette rigiole.

La necessità di esperienza rende però poco esportabile tale tipo di produzione per cui esistono particolari paesi in cui la produzione di materiale ceramico di alta qualità è sviluppata; l’Italia è uno dei paesi più importanti per la produzione dei così detti materiali ceramici tradizionali, prodotto di punta sono le piastrelle in grés porcellanato (nel 2006 il 67.37% della produzione di piastrelle in ceramica era in tale materiale); le bicotture sono invece il prodotto più antico ora molto poco utilizzato. La zona di principale produzione per le piastrelle sono le provincie di Modena e Reggio Emilia, mentre per la ceramica sanitaria, altro vanto per la nazione, spicca la provincia di Viterbo.

Esistono due tipologie di ceramica sanitaria: fine fire clay e fire clay, che sono più economici e meno prodotti. Di tale produzione il 70% è destinata all’esportazione, tanto che tali settori hanno risentito poco della crisi economica del secondo decennio del XXI secolo.

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D EFINIZIONI

I materiali ceramici sono una categoria molto vasta di materiali, per cui sono possibili diversi livelli di classificazione, la più ampia definisce un materiale ceramico come:

materiali inorganici non metallici

In questa categoria vengono esclusi i metalli e i polimeri, mentre rientrano: materiali ceramici tradizionali (MCT) e speciali (MCS), i leganti, i vetri e i materiali lapidei. Tale definizione è però troppo ampia in quanto non è possibile assimilare un vetro ad un ceramico in riferimento all’esperienza di durezza. Un definizione più restrittiva è la seguente:

prodotti ottenuti da materiali inorganici non metallici formati a freddo e consolidati mediante riscaldamento ad elevata temperatura

L’introduzione della tecnologia esclude da questa definizione molti materiali comunque considerati ceramici, sopravvivono: MCT, MCS e le ceramiche tecniche che sono una transizione trai suddetti.

La precedente definizione fa riferimento quindi alla composizione, al modo in cui si devono lavorare e formare le materie prime e a come queste devono essere stabilizzate. Se si vuole definire un materiale ceramico tradizionale allora è necessario focalizzarsi non solo sul processo produttivo ma anche sulle materie prime, per cui un CERAMICO TRADIZIONALE è definito come:

prodotti ottenuti da materiali argillosi, con o senza aggiunta di altre sostanze, formati a freddo e consolidati mediante riscaldamento ad alta temperatura

Possiamo quindi suddividere in prima analisi i materiali ceramici in base a materie prime e processo produttivo, in quest’ottica abbiamo:

MCT: Materia prima: argilla

Ciclo di produzione: 1-Formatura: impasto acqua argilla

2-Essiccazione (fino al 2% di umidità): si allontana l’eccesso di acqua necessario alla formatura

3-Cottura (detta anche bicottatura)

A queste fasi fondamentali possono seguire altre fasi facoltative:

-Copertura: permette una riduzione della permeabilità riducendo la porosità superficiale (anche detta aperta) del manufatto, rendendolo quindi impermeabile ai liquidi e ai gas.

La polvere che copre il materiale deve vetrificare per cui è sempre necessaria una seconda cottura durante la quale il vetro fonde e si espande sulla superficie che quindi diviene vetrificata e impermeabile.

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-Decorazione: viene effettuata non necessariamente a seguito della copertura mediante pigmenti inorganici, anche questi stabilizzati con un’ulteriore cottura.

MCS: Materia prima: prodotti di sintesi

Ciclo di produzione: 1-Sintesi della polvere

2-Compattazione (sinterizzazione)

3-Trattamento termico: rende efficace la sinterizzazione

Vetro: Materia prima: silice (SiO2)

Ciclo di produzione: 1-Fusione della silice 2-Formatura (es. soffiatura)

3-Raffreddamento (consolidamento)

Rispetto ai MCT la formatura viene dopo il trattamento termico.

Leganti: Materia prima: argille e calcare

Ciclo di produzione: 1-Macinazione grossolana 2-Cottura

3-Macinazione fine (si ottiene un cemento)

4-Impasto con acqua: si dona plasticità alla polvere 5-Messa in opera (formatura)

6-Indurimento: avviene per reazione chimica con l’acqua, in un tempo caratteristico.

Per quanto riguarda le materie prime sono simili a quelle dei ceramici tradizionali ma il processo produttivo è ben diverso. Rispetto ai MCT, l’acqua non solo dona plasticità ma partecipa alla reazione di indurimento, che avviene tramite un processo chimico in cui l’acqua non deve evaporare ma svolge un ruolo chiave; la cottura serve solo ad attivare l’argilla portando questa in una condizione di fuori equilibrio termodinamico e quindi ottenere un materiale chimicamente attivo. Nel caso dei ceramici tradizionali l’acqua invece ha l’unica funzione di plasticità.

La suddetta classificazione viene riportata riassunta nel seguente diagramma:

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Diagramma 1.1

V ETRINATURA E MONOCOTTURA

Il processo di produzione dei MCT precedentemente descritto non entra nel dettaglio soprattutto delle lavorazioni successive alla prima cottura a seguito della quale è possibile trattare la superficie del manufatto con due diversi tipo di sostanze:

 Vetrine: sono trasparenti e per questo motivo il supporto resta visibile ma impermeabile;

vengono solo chiusi i pori superficiali senza nascondere il colore

 Smalti: mediante ossidi metallici (es. ossido di stagno) la vetrina diviene opaca ed è possibile aggiungere anche un colorante

La vetrina è formata da silice, carbonato di calcio e di sodio fusi e poi successivamente temprati in acqua fredda. La materia prima è la stessa del vetro ed il fuso viene temprato in acqua in modo da automacinare il vetro. Il forte shock termico provoca infatti un’automacinazione grossolana, la polvere ottenuta viene in seguito rifinita e poi dispersa in acqua. Tale sospensione acquosa viene applicata alla superficie e tramite cottura il film liquido si deposita sul supporto e vetrifica in fase di raffreddamento. È dunque necessaria una cottura affinché l’acqua evapori e il vetro si spalmi sulla superficie per poi solidificarsi solo in fase di raffreddamento.

L’impasto di argilla ed acqua a seguito dell’essiccazione ha 2 diverse possibilità:

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1. Se il manufatto deve essere poroso e non smaltato allora si esegue la cottura.

2. Se il manufatto deve essere smaltato vi sono ancora due possibilità:

 Prodotti vetrinati (o smaltati) in bicottura: a seguito di una prima cottura sul manufatto viene applicata la vetrina cruda, l’acqua viene assorbita dal supporto. Si passa poi ad una seconda cottura che produce la fusione della polvere e la formazione del film vetroso impermeabile.

 Prodotti vetrinati (o smaltati) in monocottura: la vetrina è applicata sul manufatto crudo, la cottura del substrato e della vetrina viene fatta in un unico step.

Il processo è osservabile dal seguente diagramma:

Diagramma 1.2

Il processo di monocottura nasce negli anni ’70 e consente di ottenere in un unico ciclo il prodotto finito; questo ha rappresentato una vera rivoluzione tecnologica nella produzione delle piastrelle ceramiche, assieme a:

 L’utilizzo di impasti speciali

 La pressatura automatica

 L’uso di forni a tunnel su nastro i quali permettono cicli di produzione continui in cui non è necessario variare la temperatura del tunnel. Risulta quindi fondamentale una corretta regolazione della velocità di trasporto sul nastro in quanto è questa che determina il tempo di permanenza ad una certa temperatura. Tali forni sono fissi e sempre in funzione ed il

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prodotto è in moto su nastri trasportatori che consentono il passaggio dello stesso lungo tutto il tunnel la cui parte centrale è quella a temperatura maggiore mentre in ingresso ed in uscita siamo a temperatura ambiente.

Le principali sfide da superare per la messa in pratica di tale processo produttivo sono state:

 Compatibilità supporto-vetrina: difatti la temperatura di cottura del primo deve essere paragonabile a quella di fusione del secondo. Inoltre i due componenti non devono essere troppo differenti in termini di espansione termica, altrimenti sono probabili fessurazioni e laminazioni.

 Sviluppo di gas: il carbonato di calcio ad alte temperature sviluppa anidride carbonica, per cui durante la cottura si formano bolle che, non potendo fuoriuscire a causa della presenza della vetrina, provocano il distacco della stessa dal supporto.

Per evitare i problemi di cui sopra nel passato si preferiva eseguire prima la stabilizzazione del supporto e solo successivamente la vetrinatura. Oggi invece, a livello industriale, le piastrelle sono ormai interamente prodotte in monocottura, questo infatti ha una serie di vantaggi:

 Abolizione delle giacenze dei semilavorati in fase di raffreddamento e liberazione degli spazi necessari

 Abbreviazione dei tempi di processo

 Minori costi di produzione (risorse umane ed energetiche)

 Maggiore produttività

 Miglior controllo automatico del processo, per cui maggiore affidabilità

 Migliore qualità dei prodotti

 Maggiore resa della produzione

 Eliminazione di alcune fasi di lavorazione

C LASSIFICAZIONE

Come già più volte detto la classificazione dei materiali ceramici è molto complessa, esistono diverse strade da poter seguire ad esempio i ceramici tradizionali (MCT) possono essere classificati commercialmente in base all’impiego in modo da facilitarne la vendita, si veda tabella 1.4 .

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Tabella 1.4

Classificazioni tecniche tengono invece conto di:

 La natura della materia prima costituente il prodotto (ceramiche a base argillosa e ceramiche a base non argillosa);

 La dimensione dei granuli costituenti la struttura del corpo ceramico (ceramica grossolana o fine, a seconda che i granuli sono o no visibili);

 La percentuale di acqua assorbita dal cotto (la ceramica fine è densa o porosa a seconda che l'assorbimento sia o no minore del 2%; per la ceramica grossolana questo limite è portato al 6%);

 La temperatura di cottura (es.: porcellana tenera 1200°C e dura 1500°C);

 Il colore del cotto (bianco o colorato);

 La presenza o meno di un rivestimento con successiva diversificazione a seconda del tipo di rivestimento (vetrinate, smaltate o ingobbiate; le ingobbiate sono trattate con una sospensione acquosa di argilla a cottura bianca che copre il colore del supporto. Questa è l’alternativa antica alla vetrinatura, di non facile esecuzione.).

In generale la classificazione dei materiali ceramici parte dalla porosità, dividendo i manufatti in:

 A pasta porosa: permeabili ai gas e ai liquidi, presentano frattura terrosa (la superficie di frattura è irregolare e sono ben visibili i grani cristallini che si sono separati), e sono scalfibili dall’acciaio.

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 A pasta compatta: impermeabili e vetrificati, assolutamente non scalfibili. La frattura è vetrosa per cui le superfici sono lisce.

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M ATERIE PRIME NEI MCT

La qualità di un manufatto in ceramico, dipende fortemente dalla qualità delle materie prime. In genere si distinguono tre diversi tipi di materie prime:

1. Fondamentali: Argille, donano plasticità e refrattarietà al manufatto

2. Secondarie: Le argille non sono sempre utilizzabili esse infatti possono essere:

 Troppo refrattarie: la formazione di fusi avviene a temperature tecnologicamente non accettabili.

 Troppo plastiche: non mantengono la forma.

 Troppo magre (poco plastiche): difficilmente lavorabili.

L’ottimizzazione della materia prima viene effettuata creando una miscela con altri componenti, ne esistono di due tipologie:

 Smagranti: Correggono l’eccessiva plasticità.

Sono in genere o silice o chamotte. La silice presenta polimorfismo accompagnato da variazioni dimensionali che possono compromettere il processo di cottura; essa inoltre è un ossido acido per cui è chimicamente attivo e dunque partecipa a tutte le reazioni che avvengono nel manufatto rendendo così incontrollabile la cottura, soprattutto le frazioni più fini che presentano più superficie specifica.

La chamotte è invece argilla preventivamente cotta e poi macinata, in modo da eliminare i problemi relativi alla silice. La chamotte non subirà più trasformazioni chimico- fisiche, risultando così inerte durante tutto il processo a causa della stabilizzazione termica; anche le variazioni dimensionali non saranno osservate.

 Fondenti: Correggono l’eccessiva refrattarietà che crea problemi

tecnologici associati alla difficoltà di raggiungimento di temperature necessarie per l’ottenimento delle quantità di fasi fluide richieste.

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Permettono la formazione di buona quantità di fase fusa a livelli accettabili per le tecnologie a disposizione.

Uno dei fondenti più antico è il calcare (CaCO3), questo è molto abbondante in natura e quindi molto usato nel passato. Abbassa di molto il punto di fusione, permettendo di raggiungere eutettici intorno ai 900°C, formando l’ossido di calcio (CaO) che è un ossido basico altamente reattivo con la silice, producendo basso fondenti.

Alternativa odierna sono i feldspati, soprattutto per le ceramiche a pasta compatta e le porcellane; oppure il talco, che presenta natura argillosa, e la dolomite (miscela di carbonati di Ca e Mg molto abbondante in natura).

3. Complementari: vengono aggiunti solo se si vuole rivestire o colorare il manufatto, per cui le materie prime fondamentali e secondarie sono sufficienti per prodotti non ricoperti porosi

Possono essere di due tipi:

 Rivestimenti: possono essere vetri (trasparenti) o smalti (opachi)

 Coloranti: pigmenti inorganici (ossidi metallici) utilizzati per decorare

L’elenco appena fornito può essere schematizzato come segue:

Diagramma 2.1

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F ONDENTI

Un impasto ceramico decente contiene oltre all’argilla anche altre sostanze che correggono il comportamento dell’impasto.

Diagramma 3.1

La cottura ha lo scopo di trasformare la massa plastica in un corpo monolitico dotato di resistenza meccanica e compattezza. La trasformazione può avvenire attraverso:

 sinterizzazione: saldatura fisica di particelle inizialmente indipendenti.

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Figura 3.1

Durante il trattamento termico spontaneamente il sistema fa evolvere il punto di contatto in una superficie la cui estensione cresce al crescere di tempo e temperatura. Tale metodo è l’unico possibile per compattare una polvere.

 formazione di nuove fasi cristalline: si generano microcristalli che spontaneamente

sinterizzano formando uno scheletro rigido nel corpo ceramico. Il prodotto cotto non ha nulla a che vedere con le materie prime in quanto si crea un intreccio tra fasi cristalline di neo formazione.

 formazione di fasi fuse più o meno abbondanti a seconda del tipo di ceramico le quali:

 favoriscono l’addensamento delle particelle solide sfruttando fenomeni di capillarità, difatti il liquido espandendosi all’interfaccia comprime le fasi solide. Osserviamo che anche una sabbia diminuisce di volume se bagnata a causa della formazione di un film capillare che addensa le diverse particelle.

 favoriscono le reazioni in cottura e la precipitazione di fasi microcristalline di neoformazione; le reazioni chimiche avvengono solo se i reagenti sono in contatto, per cui avvengono male in fase solida difatti la formazione di un prodotto inibisce la reazione riducendo tale contatto, in quanto si forma all’interfaccia tra i reagenti. Le fasi fuse sono capaci di portare in soluzione i reagenti e accelerano la cinetica di reazione.

 favoriscono la formazione di microcristalli soprattutto se la soluzione è sovrassatura

 riempiono le cavità interparticellari diminuendo la porosità;

 contribuiscono alla saldatura tra le particelle. La fase fusa infatti evolve nel raffreddamento in una fase vetrosa intercristallina.

I fondenti dunque permettono di ottenere la ceramizzazione a temperature più basse di quelle richieste da argille refrattarie. I fondenti possono essere già presenti nelle argille naturali o devono essere aggiunti in modo da rendere l’impasto ottimale.

Di seguito viene descritta l’azione di due fondenti molto diffusi carbonato di calcio e feldspati.

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3.1.1 C

ARBONATO DI

C

ALCIO

Il carbonato di calcio (CaCO3) è il fondente più antico, esso infatti è presente già nell’argilla naturale. Per capire vantaggi e svantaggi di tale composto si propone un’analisi delle reazioni che avvengono durante la cottura di un ceramico partendo da un impasto naturale per cui:

● Il carbonato di calcio è presente assieme al carbonato di magnesio.

● L’argilla contiene anche quantità di ioni ferro +3.

Figura 3.2

Le materie prime dell’impasto si trasformano all’aumentare della temperatura in modo diverso:

o L’argilla è il componente fondamentale fino alla fase di essiccazione, dopo la quale perde completamente la sua funzionalità all’interno dell’impasto diventando solo fonte di altre materie prime. Difatti ad una certa temperatura si decompone liberando gruppi ossidrili sottoforma di vapor d’acqua, si ottengono così ossidi acidi di alluminio, di ferro (ossido ferrico Fe2O3, dove il ferro è sicuro presente in quanto lavoriamo con materiali naturali) e silice sottoforma di tectosilicati (complesse strutture tridimensionali). L’argilla è quindi fonte di silice e allumina ed una volta distrutto il reticolo i tectosilicati che si formano non hanno nulla a che vedere con le strutture lamellari precedentemente descritte; la reazione è irreversibile.

o Il carbonato di calcio a circa 800°C si decompone perdendo CO2 lasciando l’ossido basico.

o La sabbia agisce invece da smagrante rilasciando silice sotto forma di quarzo la quale fonde solo a 1750°C, il liquido che si ottiene è però troppo viscoso e dunque poco lavorabile, questo implica che bisogna lavorare a temperature inferiori ai 2000°C. Il quarzo passa indenne al trattamento termico in quanto i tempi e le temperature del precedente non sono sufficiente a far avvenire le trasformazioni polimorfe del quarzo; quest’ultimo si ritroverà quindi nel prodotto finale in cui si osserva silice preesistente che non ha subito modifiche.

Frazioni fini di silice, più reattive, potrebbero reagire con l’ossido di calcio ma ciò non sempre avviene.

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102 L’aumento di temperatura permette un’interazione tra le fasi di neoformazione: l’ossido di calcio (basico) reagisce con gli ossidi acidi derivanti dall’argilla, formando nuove fasi cristalline (alluminati silicati e ferriti di calcio) alcune delle quali a composizioni eutettiche; queste forniscono la formazione di fasi fuse che risultano essere le uniche presenti in questa fase. I silicati, alluminati e/o ferriti di calcio che si formano hanno basso punto di fusione (1200°C) per cui a T>1200°C fondono in modo istantaneo e improvviso, danno luogo a liquidi a bassa viscosità per cui provocano una perdita della forma impartita, rendendo i 1200°C un limite tecnologico invalicabile. A queste temperature solo le composizioni eutettiche fondono ma queste sono in percentuale troppo bassa per cui il corpo ceramico risulta inevitabilmente poroso; difatti tra stato secco e stato cotto la resistenza meccanica aumenta ma non vi sono significative variazioni in termini di porosità.

Riassumendo:

 Si formano nuove fasi cristalline che intrecciandosi conferiscono resistenza meccanica al manufatto.

 Le fasi vetrose derivanti dalle fasi fuse (poco abbondanti) contribuiscono alla compattezza del corpo ceramico e riempiono solo in parte la porosità.

 I composti cristallini che si formano durante la cottura sono caratterizzati da fusione improvvisa a temperature relativamente elevate (circa 1200°C) con formazione di una fase liquida a bassa viscosità.

 La temperatura di cottura deve essere quindi inferiore al punto di fusione dei composti di neoformazione.

 I prodotti presentano inevitabilmente notevole porosità aperta ma presentano anche un ritiro minimo o addirittura nullo in cottura.

 Vengono usati per produzioni che richiedono temperature di cottura al di sotto di 1200°C:

terrecotte, faenze, terraglie tenere, laterizi (800-900 °C). In genere tali materiali risultano porosi e colorati e per avere un ceramico compatto è necessario variare fondente.

Usare il carbonato di calcio come fondente ha come vantaggio la possibilità di utilizzare temperature di cotture basse, questo implica non solo un prodotto a basso costo ma anche la possibilità di ottenere biscotti leggeri e facilmente smaltabili perché porosi. Il biscotto è un prodotto poroso proveniente dalla prima cottura ed essendo tale il vetro o lo smalto si insinua nei pori aggrappandosi alle pareti di questi per effetti di capillarità, questo permette di stendere in modo ottimale il rivestimento, e inoltre perché il biscotto presenta caratteristiche dilatometriche compatibili con i rivestimenti vetrosi, questo evita la formazione di crepe o effetti di delaminazione.

D’altra parte sono presenti anche degli svantaggi per l’uso di tale fondente:

• Porosità residua notevole.

• Bassa resistenza meccanica dei prodotti.

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• Scarsa resistenza agli sbalzi termici (diverso da refrattarietà, resistenza alle alte temperature): questo dipende dai coefficienti di dilatazione termica differenti tra le fasi cristalline di neoformazione. La presenta di differenti coefficienti di dilatazione termica può provocare lo scollamento e quindi un danneggiamento interno che può verificarsi anche a livello macroscopico

• Non sono adatti alle produzioni in monocottura in quanto lo strato vetroso impedirebbe l’allontanamento in fase gassosa dell’anidride carbonica derivante dalla decomposizione dei carbonati. Nella monocottura infatti con una sola passata si cuoce il supporto e la vetrinatura e poiché il carbonato rilascia anidride carbonica, la cui fuoriuscita viene impedita dal rivestimento stesso, si incorre in formazione di scollature in superficie.

3.1.2 R

OCCE FELDSPATICHE

Le rocce feldspatiche, rocce ignee abbastanza diffuse in natura, sono silicoalluminati che inglobano ioni alcalini e alcalino terrosi. Presentano una struttura a collo di cigno, in cui l’unità fondamentale è il tetraedro silicio ossigeno; questi si uniscono dai vertici per formare maglie ad anello in cui si hanno quattro tetraedri silicio – ossigeno di formula: Si4O8, nei quali uno o due ioni Si+4 vengono sostituiti da altrettanti ioni Al+3. Queste sostituzioni parziali generano eccessi di carica negativa che vengono neutralizzati dalla presenza negli interstizi della struttura tectosilcatica di uno ione alcalino o alcalino terroso: se c’è stata una sola sostituzione si trovano ioni alcalini, se due alcalino terrosi. I più comuni sono:

 feldspato potassico: K(AlSi3O8) ortoclasio

 feldspato sodico: Na(AlSi3O8) albite

 feldspato calcio: Ca(Al2Si2O8) anortite

 feldspati misti di calcio e sodio plagioclasi

Figura 3.3

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104 Come per i carbonati osserviamo cosa accade durante la cottura di un manufatto ceramico nel cui impasto i fondenti sono feldspati, dato che questa miscela non è già presente in natura è ovvio partire anche da un’argilla più pregiata nella quale vi sono percentuali di ferro trascurabili.

Figura 3.4

Come nel caso precedente l’argilla è fonte di ossidi di alluminio e silicio e poiché si usano argille più pregiate l’ossido di ferro tra i prodotti dell’argilla può essere trascurato in quanto presente in minime quantità. Diverso è il comportamento del fondente dal quale deriva una miscela di allumina silice e ossido del catione che compensa l’eccesso di carica, se consideriamo il felpato sodico (albite) avremo l’ossido di sodio. Tale miscela è un sistema vetrificabile ossia non presenta una fusione improvvisa ma una graduale trasformazione da solido a liquido senza discontinuità in viscosità, per cui non esiste un’unica temperatura a cui avviene la transizione, ma un intervallo in cui la viscosità (parametro che meglio descrive la vetrificazione) passa in modo continuo dai valori tipici di un solido a quelli tipici di un liquido; tale intervallo è trai 1200 e i 1550 °C, dove l’estremo superiore è un vincolo in genere di tipo economico. Gli ossidi alcalini infatti riducono la temperatura di rammollimento della silice, ottenendo vetri però aggredibili che opacizzano nel tempo. La fase fusa partecipa direttamente alle trasformazioni mineralogiche formando nuove fasi sia interagendo col quarzo della silice sia con gli ossidi acidi derivanti dall’argilla (Al2O3 e SiO2).

Per cui nel corpo ceramico confluiscono:

 fasi cristalline derivanti dall’argilla

 fasi fuse derivanti dai feldspati

 fasi cristalline ottenute per reazioni con lo smagrante (silice)

Il corpo ceramico ottenuto risulta compatto poiché la fase vetrosa riempie i pori (greificazione), per cui il manufatto è formato da una matrice vetrosa in cui è dispersa una fase cristallina; evidenza di ciò la si riscontra nelle porcellane le quali se affettate in spessori molto sottili sono translucide, risultando quindi molto simili ad un vetro.

Si vuole sottolineare come sia la presenza di fasi fuse ad aumentare la qualità del manufatto, queste infatti:

 favorisce la formazione di nuove fasi cristalline

(21)

105

 riempie le cavità fra le frasi cristalline fornendo prodotti a porosità aperta bassa o nulla (greificazione)

 in fase di raffreddamento il liquido genera una matrice vetrosa continua che ingloba le fasi cristalline.

Per cui i feldspati fungono di per sé tutte le funzioni necessarie all’ottenimento di un corpo ceramico di qualità; inoltre non ci sono decomposizioni in gas per cui è possibile ottenere il pezzo per monocottura. Risulta evidente la differenza sostanziale tra i due fondenti descritti.

Dall’analisi del processo di cottura si è notato che la miscela feldspato silice reagisce formando una fase fusa, per cui risulta necessario studiare tali miscele mediante diagrammi di stato bicomponenti, dove l’asse dell’ascisse rappresenta l’eccesso di silice rispetto al minerale.

Partiamo dallo studio del sistema albite (feldspato sodico) – quarzo, figura 3.5, questo presenta un eutettico a circa 1100°C, e per bassi contenuti di silice la fusione avviene in un intervallo di rammollimento di soli 10°C.

Figura 3.5

(22)

106

Figura 3.6

La leucite, figura 3.6, forma un composto intermedio al 20% in silice: feldspato potassico o feldspato K. Tale composto ha fusione incongruente, per cui a 1150°C circa fonde formando un solido (leucite) e un liquido a composizione diversa da quella di partenza; difatti il liquido risulta ricco in silice, questo però si impoverisce di tale componente al crescere della temperatura. Se si considera la composizione peritettica si osserva come il feldspato K scompare a 1150°C e la fase solida ottenuta dalla fusione incongruente (leucite) fonde a 1550°C, per cui l’intervallo di rammollimento è di circa 400°C. Oltre al peritettico tale sistema presenta un eutettico a composizioni superiori al 50% in silice e temperatura di circa 990°C; dunque il feldspato potassico genere fasi fuse da 990°C a 1530°C, questo permette una cottura graduale e controllata.

Per riassumere:

Feldspato sodico:

• Fonde a circa 1120°C

• Forma un liquido relativamente viscoso in grado di solubilizzare gli altri componenti dell’impasto.

• La presenza di quarzo abbassa la temperatura di fusione a 1065 °C, per formazione di un eutettico al 30% di silice.

(23)

107 Feldspato potassico:

• Fonde circa 1180 °C

• Forma un solido meno ricco in silice (leucite) e un liquido viscoso più ricco in silice.

• Solo a 1530°C il materiale fonde completamente.

• Tra 1180 e il 1500 °C si ha la progressiva dissoluzione del solido, il corrispondente aumento del volume di liquido e la diminuzione della sua viscosità.

• La presenza di un eutettico con il quarzo 990°C allarga ulteriormente l'intervallo di esistenza della fase fusa.

Nel passare da una trattazione teorica all’esperienza pratica, si vuole sottolineare che:

 La presenza di impurezze riduce le temperature di fusione aumentando l’intervallo di rammollimento.

 In natura si trova quasi sempre una miscela di K e Na per cui il comportamento del feldspato è intermedio rispetto ai due descritti, in genere si tende a prediligere percentuali di potassio maggiori.

3.2 S MAGRANTI

Gli smagranti, o sgrassanti, sono componenti inerti che hanno come scopo principale quello di ridurre l’eccessiva plasticità in quegli impasti che mostrano difficoltà a mantenere la forma.

L’azione sgrassante si esplica attraverso:

 granulometria: la dimensione grossolana dei granuli di inerte interrompere la continuità della massa plastica e quindi il suo uniforme scorrimento. Inoltre le particelle d’inerte interrompono i capillari riducendo l’adesione in modo proporzionale alla loro dimensione;

 forma delle particelle: le particelle sono non lamellari e irregolari, per questo meno idonee all’allineamento e allo scorrimento reciproco;

 minore attitudine ad assorbire e trattenere acqua, ossia bassi riscaldamenti fanno perdere grandi quantità di acqua.

 riduzione percentuale del componente plastico: si riducono le proprietà globali della miscela.

Gli inerti hanno anche altri effetti:

 Maggiore velocità di essiccazione

(24)

108

 Maggiore permeabilità dell’impasto che facilita la fuoriuscita delle fasi gassose e del vapore che si liberano durante la cottura. Questo è dovuto alla forma e alla granulometria, difatti le sabbie non sono comprimibili e lasciano spazi vuoti.

 Minore ritiro e quindi minori rischi di rottura e di deformazioni in essiccazione

 Formazione di uno scheletro portante responsabile della resistenza meccanica del cotto, tale scheletro è responsabile anche dell’aumento della resistenza meccanica in crudo

Lo smagrante tipico è il quarzo (silice), in genere usato sottoforma di sabbia quarzifera; questo è sempre stato considerato chimicamente inerte, da cui il nome di inerte, ma si è osservato che anche se in minima parte è anch’esso dotato di una reattività. Il comportamento inerte nel quarzo dipende:

• dalla granulometria del minerale: frazioni fini sono in grado di reagire con i carbonati ad esempio (figura 3.2).

• dalla presenza o meno nell’impasto di fondenti e altri minerali in grado di reagire con la silice.

• dalla temperatura di cottura: l’attività chimica cresce al crescere della temperatura.

Per cui la silice è veramente inerte solo quando:

• ha volumetria grossolana

• non ci sono fondenti

• la temperatura di cottura è bassa.

Fuori da tali condizioni lo smagrante cessa la sola azione meccanica e partecipa alle reazioni dell’impasto.

Uno dei principali problemi della silice è il suo polimorfismo, difatti prima di diventare vetro di silice, il quarzo diviene, al crescere della temperatura, prima tridimite e poi cristobalite. Nei MCT a pasta porosa temperatura e tempo di cottura non permettono tali trasformazioni per cui nel manufatto finale si ritrova quarzo, il quale però presenta una trasformazione displasiva reversibile da forma α a forma β; a circa 573°C avviene un riarrangiamento della posizione relativa di Si e O, tale trasformazione è reversibile a causa della bassa energia d’attivazione. Il valore 573°C è un valore così fisso che viene usato per la taratura di strumenti per analisi termiche.

Nota sulle trasformazioni allo stato solido

Le trasformazioni dello stato solido sono di due tipi: diffusivo e displasivo.

Nelle trasformazioni diffusive la nuova fase si forma attraverso il movimento di atomi, su distanze relativamente lunghe. La diffusione a lungo raggio è necessaria perché la nuova fase ha composizione chimica differente dalla matrice dalla quale si genera. L’avanzamento della trasformazione dipende da tempo e temperatura.

Le trasformazioni displasive non richiedono tali movimenti, gli atomi si riarrangiano in modo cooperativo in una nuova struttura cristallina, senza cambiare la composizione chimica della fase di

(25)

109 partenza. Visto che non servono migrazioni atomiche, le trasformazioni displasive avanzano indipendentemente dal tempo. Sono anche dette trasformazioni atermiche, poiché la quantità di nuova fase presente dipende solo dalla temperatura raggiunta e non da quanto dura la permanenza isoterma. Le trasformazioni martensitiche sono di tipo displasivo.

La presenza di quarzo, non prodotto in fase di cottura, comporta problematiche relative all’aumento di volume che si associa alla trasformazione polimorfa dalla forma α a quella β a 573 °C, sia in fase di riscaldamento sia in fase di raffreddamento. Per cui si susseguono una dilatazione in riscaldamento (α→β) e una contrazione in raffreddamento (β→α), questo genera uno stato tensionale causa di microfrattura soprattutto nella fase di raffreddamento in cui l’impasto ha perso la sua plasticità.

Materiali ceramici a pasta compatta permettono invece la formazione di tridimite e cristobalite, durante i processi come fasi di neoformazione o dovuti alla trasformazione del quarzo in presenza di mineralizzatori; anche queste presentano variazioni di densità con la temperatura per cui possono dare problemi in relazione alle azioni volumetriche che accompagnano le loro trasformazioni polimorfe; bisogna però sottolineare che la loro trasformazione è irreversibile per cui si ritrovano nel manufatto finale e non variano in significativamente in volume durante il raffreddamento.

Figura 3.7

Nota su forme polimorfe della silice:

Dal diagramma di stato della silice si rileva che a temperatura ambiente la forma stabile è il quarzo-α, tale forma a 573°C si trasforma in quarzo-β in modo rapido e reversibile; tale trasformazione conserva i legali Si-O ma la nuova disposizione meno impaccata provoca un leggero aumento di volume. Il quarzo-α passa a quarzo-β solo mediante una leggera rotazione dei tetraedri l’uno rispetto all’altro, questo dimostra l’enantiotropia della trasformazione.

(26)

110 Il quarzo-β a 870°C dovrebbe trasformarsi in tridimite (per l’esattezza nella forma α della tridimite), tale trasformazione prevede però la rottura di legami tra silicio e ossigeno per cui non avviene alla sua temperatura di equilibrio neanche per riscaldamenti prolungati; bisogna infatti portare il pezzo a 1200-1400°C in presenza di impurezze e di agenti mineralizzatori per osservare questa transizione. Analogo discorso viene fatto per la trasformazione tridimite-α a cristobalite-α . Queste trasformazioni sono accompagnate da variazioni di volume del circa 4%, difatti si formano strutture ad anello molto più aperte rispetto quelle del quarzo, per cui altamente non indicato per i prodotti.

Sia la tridimite che la cristobalite sono forme stabili del quarzo per cui le loro trasformazioni sono irreversibili e dunque una volta formate si ritrovano nel prodotto finale. In realtà rispettivamente a 230°C e 163°C, cristobalite e tridimite passano dalla struttura α a quella β, per la tridimite è possibile anche una fase γ ottenuta per riscaldamenti al di sotto dei 117°C.

Soluzione alla silice è la chamotte ossia il prodotto della cottura preventiva di argille a temperature uguali o superiori a quelle di cottura dell’impasto. L’argilla è così inerte chimicamente e stabile termicamente, difatti ha già subito tutte le trasformazioni chimiche fisiche e mineralogiche, questo conferisce agli impasti comportamento dilatometrico regolare e uniforme in un ampio intervallo di temperatura, garantendo notevole resistenza alle escursioni termiche durante la cottura. In genere il materiale viene anche macinato in modo da controllare la granulometria. Altra possibilità per ottenere chamotte è utilizzare scarti di lavorazione soprattutto nel caso di ceramici tradizionali, questo permette una riduzione delle perdite di costo.

(27)

111

C APITOLO 4

P ROCESSO DI PRODUZIONE DI MCT

4.1 I NTRODUZIONE

Nel presente capitolo verranno illustrate nel dettaglio le diverse fasi che caratterizzano il processo di formazione di un materiale ceramico tradizionale, nel diagramma 4.1 è riproposta una schematizzazione di tale processo.

Diagramma 4.1

Nota sull’approvvigionamento delle materie prime

Prima di preparare l’impasto è necessario reperire i diversi costituenti che ne fanno parte. Estratta l’argilla è necessario eseguire una serie di esami per caratterizzare il minerale predominante. Tali esami possono essere distinti in due categorie:

1. Determinazione della composizione e delle struttura 2. Valutazione del comportamento tecnologico

Alla prima categoria appartengono:

• Analisi chimica e razionale: definiscono il rapporto silice/allumina, forniscono la natura

(28)

112 chimica delle impurezze e forniscono una misura quantitativa del componente argilloso rispetto gli inerti.

• Analisi roentgenografica: fornisce lo spettrogramma di raggi X e dunque il tipo di minerale predominante e la percentuale di cristallinità.

• Analisi ottica: eseguite o al microscopio o in luce polarizzata consentono di definire le caratteristiche ottiche del minerale.

• Analisi termica e determinazione della capacità di scambio ionico.

Alla seconda categoria invece appartengono le misure atte a rilevare: il potere fluidificante, il pH, la plasticità e la refrattarietà del minerale.

Dopo essere state analizzate si è soliti trattare le materie prime con processi di purificazione, questi però comportano un incremento nel costo per cui sono riservati alle argille per ceramiche fini.

4.2 P REPARAZIONE DELL IMPASTO

Per la produzione industriale di un manufatto di una certa affidabilità, non è possibile usare le materie prime tal quali, per cui è necessario, mediante ricetta, preparare un impasto ad hoc ottenuto non solo purificando le materie prime ma anche aggiungendo opportune quantità di altri elementi in modo da ottimizzare le proprietà del prodotto finale e da ridurre al minimo lo scarto della partita di produzione. Le fasi di questo primo processo sono:

Riduzione granulometrica delle materie prime (macinazione) Nota sulla macinazione

Al fine di aumentare l’efficienza dei mulini di macinazione, talvolta si è soliti precedere tale operazione con una frantumazione in frantoio.

Mulini e frantoi sono scelti in funzione del tipo di materiale da macinare ad esempio le masse bianche usate per porcellane e terraglie vengono lavorate in mulini rivestiti con piastre di porcellana o pietre di silice o con corpi macinati dello stesso materiale, in modo da evitare l’inquinamento del ferro metallico.

La polvere ottenuta viene poi vagliata in modo da eliminare le frazioni a granulometria elevata.

Purificazione delle argille: allontanamento delle impurezze e delle fasi più grossolane. In genere tale fase, detta lavaggio, viene eseguita preparando sospensioni acquose le quali

(29)

113 vengono lasciate sedimentare, in modo da separare per via del diverso peso frazioni a diversa densità.

Miscelazione delle materie prime: fase presente solo per gli impasti di II categoria, le miscele sono studiate a seguito di una caratterizzazione termica reologica e mineralogica di tutti i componenti. Le proporzioni sono ottenute a seguito di studi sperimentali, come ad esempio la prova di Norton.

Si vuole però specificare che la miscelazione può avvenire o a umido, ottenendo quindi una barbottina che poi può o essere usata direttamente oppure regolata, oppure a secco. La miscelazione a secco è usata molto nei MCS in cui è necessario introdurre additivi e altri liquidi, ad esempio acetone, che poi evaporano per volatilità. Nei MCT la miscelazione a secco si fa solo se il manufatto deve essere formato per pressatura a secco, come ad esempio le piastrelle; questo rende inutile l’istallazione di forni per l’allontanamento d’acqua riducendo la spesa energetica e di conseguenza i costi.

Diagramma 4.2

Omogeneizzazione delle materie prime: tale fase avviene contemporaneamente alla miscelazione; è infatti necessario che la concentrazione sia la stessa in ogni volume infinitesimo dell’impasto, in questo modo non esistono gradienti di concentrazione interni

Regolazione del contenuto d’acqua: tutte le fasi precedenti avvengono in eccesso d’acqua il quale deve essere regolato in relazione al metodo di formatura; ossia se si lavora per colaggio è necessario diluire ancora la soluzione aumentando il contenuto di acqua, se invece si vuole lavorare per deformazione plastica è necessario ridurre tale eccesso in modo da rendere l’impasto lavorabile.

(30)

114

4.3 F ORMATURA

La formatura comprende il complesso di operazioni che consentono di modellare gli impasti ceramici. Le tecniche di formatura dipendono dalla quantità di acqua residua nell’impasto, per cui:

 Stato secco (<5% di acqua):

● Pressatura unidirezionale

● Pressatura isostatica: sforzo applicato in modo omogeneo.

 Stato umido (15-20%):

● Tornitura

● Calibratura

● Estrusione

● Stampaggio

 Stato fluido (30-40%):

● Colaggio

Diagramma 4.3

Analizziamo nel dettaglio le diverse tecniche di formatura.

(31)

115

4.3.1 F

ORMATURA A MANO

È il metodo più antico e non necessità di eccessive spiegazioni, in generale l’impasto acquista una forma poiché cede sotto l’azione di forze compiute dal formatore. Il problema è la produzione di pezzi cavi, come ad esempio vasi o piatti, per questi si è diffusa a livello artigianale la tecnica del colombino: all’argilla è data forma di cilindro, il quale viene chiuso formando un anello, anelli di diametro diverso vengono sovrapposti e poi manualmente saldati in modo da ottenere pezzi cavi.

Figura 4.1

4.3.2 F

ORMATURA AL TORNIO

Una tavola rotante favorisce la formazione di forme cave e simmetriche. La rotazione della tavola è oggigiorno ottenuta per mezzo di motori elettrici ma anticamente era manuale. La facilità di formazione tende a crescere all’aumentare della velocità di rotazione.

Figura 4.2

4.3.3 C

ALIBRATURA

È una tecnica diffusa anche a livello industriale, si utilizza un doppio stampo e un tornio. La parte a contatto col tornio è il negativo del manufatto, l’eccesso che si forma viene allontanato mediante una spatola di forma positiva rispetto al manufatto.

(32)

116

Figura 4.3

4.3.4 S

TAMPAGGIO

L’impasto umido è posto tra due stampi che riproducono in negativo il manufatto, su tali stampi viene esercitata una forza che si trasmette in serie all’impasto, il quale fluisce riempiendo tutte le cavità dello stampo.

Figura 4.4

4.3.5 E

STRUSIONE

Si comprime una massa plastica attraverso una maschera che impartisce forma all’impasto. In genere è un processo usato per la produzione dei laterizi, la massa plastica viene estrusa in continuo e regolando la velocità di oscillazione di una lama si determina la lunghezza del laterizio. Variando la maschera è possibile ottenere sia laterizi pieni che forati.

(33)

117

Figura 4.5

4.3.6 P

RESSATURA A SECCO UNIDIREZIONALE

È concettualmente simili allo stampaggio, solo che viene usata per la formatura di polveri asciutte.

Il problema principale è l’estrazione del monolite.

Figura 4.6

Nota sulla pressatura:

Tale tecnica è particolarmente adatta per la formatura di pezzi di forma semplice con superfici orizzontali molto estese (piastrelle, mattoni pieni) per i quali è richiesta un’elevata compattezza al

(34)

118 fine di ottenere la massima resistenza a compressione dopo la cottura.

La macchina utilizzata è una pressa o statica o dinamica, quest’ultime sono anche dette magli.

4.3.7 P

RESSATURA ISOSTATICA

L’impasto è preformato in modo da essere nella sua forma definitiva, questo viene immerso in un bagno di olio sul quale si applica una pressione; la pressione è trasmessa all’olio che genera degli sforzi isostatici sull’oggetto. Tale tecnica prevede la totale assenza di gradienti di velocità interni al manufatto. In genere viene usata per gli MCS.

Figura 4.7

4.3.8 C

OLAGGIO

Si usa solo per argille in fase fluida (barbottina), la quale viene colata in stampi in gesso assemblabili mediante un sistema di avvitatura e bullonaggi. Lo stampo presenta una cavità che riproduce in negativo il manufatto che si vuole ottenere; per cui è necessario regolare la viscosità della barbottina in dipendenza dalla complessità della forma dell’oggetto.

Lo stampo viene riempito e lasciato stagionare, durante tale tempo il gesso poroso e igroscopico assorbe acqua dalla barbottina, per cui all’interfaccia si deposita uno strato di argilla plastica, di spessore proporzionale al tempo di stagionatura. Ottenuto lo spessore ottimale (questa fase ci permette di capire che è una delle tecniche di formatura delle porcellane) l’eccesso di barbottina viene allontanato dallo stampo , in genere, mediante una rotazione; questo può essere osservato in alcuni manufatti che nella parte inferiore (superficie d’appoggio) presentano dei fori, derivanti da una voluta discontinuità nello stampo poiché per ottenere un pezzo cavo è necessario avere uno sfogo. Eliminata la barbottina in eccesso bisogna attendere che il pezzo sia asciutto e solo allora si apre lo stampo e si estrae il pezzo il quale potrà procedere per le successive fasi.

(35)

119 Con tale tecnica si possono ottenere anche prodotti pieni in genere usati come preforma per altri processi.

Figura 4.8

Nota sul colaggio

Il colaggio è uno dei metodi più utilizzati per la produzione di manufatti ceramici; nonostante la sua bassa produttività e lo scarso controllo dimensionale, questo processo necessita di apparecchiature di basso costo.

L’oggetto estratto dallo stampo è ancora plastico e può quindi essere lavorato alle macchine utensili per migliorare l’accuratezza dimensionale e dotare il manufatto di alcune caratteristiche di forma.

Le tecniche di formatura sono ottimali per l’ottenimento di particolari prodotti, ad esempio le tegole essendo curve sono complesse da ottenere mediante estrusione per cui si preferisce utilizzare lo stampaggio; i sanitari hanno forme complesse e sono ottenuti sempre da argille magre, per cui si ottengono solamente mediante il colaggio.

(36)

120

Tabella 4.1

4.4 E SSICCAZIONE

L’essiccazione è un punto cruciale nel processo di produzione di un ceramico, e per questo deve essere condotto in modo ottimale. Durante l’essiccazione si cerca di abbassare il contenuto d’acqua dell’impasto, qualunque sia stata la tecnica di formatura, a valori inferiori al 2-3%, solo in qualche caso si possono accettare valori del 5%.

Lo scopo dell’essiccazione è duplice:

 deve rendere l’oggetto crudo sufficientemente manipolabile per le successive operazioni di vetrinatura, decorazione, trasporto, infornata ecc..

 deve evitare che l’evaporazione dell’acqua d’impasto si verifichi nel forno di cottura limitando la contrazione volumetrica o, al limite, evitando la disintegrazione dell’oggetto a causa delle sovrappressioni.

E’ un’operazione molto delicata perché le contrazioni volumetriche devono avvenire uniformemente in tutta la massa così da evitare la formazione di difetti quali fessurazioni, screpolature, distacchi ecc.. . Condizione necessaria affinché tale trasformazione avvenga in modo controllato è avere velocità di evaporazione di acqua dall’oggetto paragonabile a quella di diffusione dell’acqua nel manufatto.

(37)

121

Figura 4.9

Se invece la velocità di diffusione fosse inferiore a quella di evaporazione solo la superficie si asciugherebbe creando gradienti di concentrazione all’interno del corpo. Inoltre il cuore umido non si contrae come le superfici, per cui le parti superficiali si contraggono per effetto dell’essiccazione mentre le parti interne rimangono umide e dilatate. Il sistema presenta una deformazione superficiale vincolata dal cuore, che causa l’insorgere di uno stato tensionale a compressione contro l’interno e di trazione sulle superfici. Gli stati tensionali di trazione portano alla formazione di crepe superficiali.

Figura 4.5

L’essiccazione viene eseguita in maniera controllata ponendo gli oggetti in ambienti aperti, ventilati ma riparati dal sole e/o da altre fonti di calore. In tali capannoni viene eseguito un regolare controllo sull’umidità dei pezzi, in genere percuotendo l’oggetto e ascoltando il rumore che esso produce. Più sofisticati sono invece gli essiccatori, macchinari che controllano temperatura e umidità dell’ambiente; l’umidità elevata (dell’ambiente non del pezzo) rallenta l’evaporazione e le altre temperature accelerano la diffusione.

(38)

122 Nota sugli essiccatori:

Nelle grosse produzioni industriali di manufatti che per economia di esercizio non potrebbero essere essiccati staticamente, si è soliti utilizzare essiccatori a tunnel. Questi sono costituiti da un lungo tunnel in muratura, termicamente isolato, percorso da binari sui quali scorrono vagoncini carichi di materiale da essiccare. Controcorrente, o da bocche laterali, è inviato un flusso d’aria calda. Temperatura e umidità variano gradualmente lungo il tunnel.

Un’essiccazione mal condotta produce danni irreparabili nel corpo ceramico, tali danni sono esaltati in fase di cottura e possono portare anche alla rottura catastrofica del pezzo.

4.5 T RATTAMENTI SUPERFICIALI

Questi possono essere eseguiti prima o dopo la prima cottura del manufatto e sono facoltativi. I principali trattamenti sono:

 Vetrinatura: viene solo ridotta la porosità senza nascondere il substrato, la vetrina è infatti trasparente.

 Smaltatura: viene nascosto il substrato, gli smalti sono opachi.

Sia smalti che vetrine possono essere addittivati con pigmenti inorganici (ossidi di metalli di transizione) per dotare la superficie di colore.

Gli scopi principali di tali trattamenti di copertura del supporto sono:

a) impermeabilizzare del supporto poroso;

b) aumentare la durezza superficiale: il corpo poroso è soggetto ad abrasione e scalfitture.

c) aumentare la resistenza chimica: i vetri sono attaccabili solo in soluzioni molto concentrate di basi forti (NaOH)

d) facilitare le operazioni di pulizia: una superficie liscia si pulisce meglio di una porosa e) a scopo ornamentale:

i) mascherare il colore del supporto ceramico;

ii) facilitare l’applicazione delle decorazioni.

La vetrinatura/smaltatura può essere effettuata sia sul prodotto crudo essiccato sia sul biscotto (prodotto di prima cottura).

(39)

123 Prima di passare alla fasi del processo di vetrinatura/smaltatura, vediamo come si ottengono tali sostanze partendo dalle materie prime:

o Silice: è il formatore di reticolo.

La silice fonde ma non cristallizza, in realtà non è corretto parlare di fusione ma più di rammollimento. Si ricorda invece che le temperature e i tempi di processo non sono sufficienti per osservare le trasformazioni polimorfe del quarzo.

La silice non può essere usata direttamente poiché le temperature di lavorazioni superano i 2000°C. Queste temperature sono ovviamente raggiunte solo nelle lavorazioni dei vetri ottici difatti solo in questo modo la formatura diviene semplice, inoltre è possibile allontanare le altre fasi presenti e ottenere un vetro con meno impurezze.

o Carbonato di sodio: (Na2CO3) è il fondente, difatti il sodio riduce molto la temperatura di fusione in base alla quantità di carbonato presente; nei vetri si riesce ad accettare temperature anche di 1400°C, nel caso delle vetrine (o degli smalti) tali temperature non sono ammesse, si ricorda infatti che a 1200°C si formano fasi fuse troppo fluide, per cui si cerca di portare il sistema ad una temperatura di cottura di massimo 1100°C. Non è possibile scendere troppo con la temperatura poiché altrimenti si otterrebbero per reazione chimica dei silicati di sodio solubili, che ridurrebbero la resistenza chimica del vetro.

o Carbonato di calcio: (CaCO3) è lo stabilizzante che aumenta la resistenza chimica della copertura.

Le materie prime sono miscelate tra loro e poi portate a fusione, il fuso viene poi temprato colandolo in acqua, questo ha due effetti: vetrificazione e macinazione. Il vetro infatti solidifica in molte parti di piccole dimensioni, per cui si ottiene un granulato. Durante tale colaggio si è soliti sentire un rumore caratteristico simile a quello della frittura, per questo motivo il granulato è detto fritta. La fritta passa poi ad una macinazione più fine in modo da poter preparare una sospensione acquosa la quale viene in genere stabilizzata con piccole aggiunte di argilla; la fase di macinazione è facilitata dalla premacinazione durante la tempra. L’aggiunta di argilla è necessaria per modificare le proprietà colloidali e far in modo che il sistema si mantenga il più a lungo possibile colloidale per poter essere applicato. La sospensione è quindi successivamente applicata sul supporto mediante diverse tecniche.

(40)

124

Diagramma 4.4

Le diverse tecniche con cui viene applicata la sospensione sono:

o Immersione: il pezzo è immerso nella sospensione, lo spessore dello strato di rinforzo è regolato dal tempo d’immersione e per cui è necessaria esperienza al fine di ottenere uno spessore ottimale.

o Aspersione: la sospensione viene versata sul manufatto, lo spessore è sempre regolato dall’esperienza dell’operatore.

o Spruzzatura: si utilizza un compressore che nebulizza tale sospensione o Spennellatura

Per effetto dell’adsorbimento dell’acqua da parte del supporto ceramico poroso, sulla superficie dell’oggetto rimane depositato uno strato di polvere di vetro. Tale polvere deve essere portata a fusione con la cottura; durante il trattamento termico la polvere di vetro fonde e il liquido si espande sul supporto ricoprendolo uniformemente. E’ possibile o cuocere il crudo e la vetrina assieme (monocottura) oppure eseguire due cotture differenziate. È importante che la sospensione bagni il supporto in modo da spandersi su questo e ricoprirlo uniformemente; in caso di non bagnabilità questa non si stende ma forma gocce isolate sulla superficie; bisogna quindi accertarsi della

(41)

125 compatibilità tra sospensione e supporto. In fase di raffreddamento il film liquido si trasforma in un sottile strato vetroso.

Figura 4.6

Nota sulla compatibilità rivestimento-substrato:

La scelta del rivestimento è spesso dettata, o limitata, dal tipo di manufatto che si vuole rivestire, difatti è necessario che il coefficiente di dilatazione termica del rivestimento sia il più prossimo possibile a quello del substrato; difatti:

 Se il rivestimento ha coefficiente di dilatazione superiore a quello della pasta, si può registrare l’inconveniente della cavillatura, ossia durante il raffreddamento il rivestimento si strappa.

 Se il rivestimento ha coefficiente di dilatazione inferiore a quello della pasta, si può osservare la scheggiatura.

L’accordo pasta rivestimento è in genere ottenuto modificando opportunamente la composizione della pasta. Ad esempio un aumento del tenore d’argilla o di feldspato diminuisce il coefficiente di dilatazione termica della pasta, mentre il quarzo finemente macinato e il calcare lo innalzano.

Parallelamente o a seguito del trattamento di copertura può avvenire un trattamento di decorazione sia sul biscotto che sul crudo. Partendo dal biscotto si può notare che la decorazione può essere applicata con diverso ordine rispetto alla copertura, analizziamo i diversi processi schematizzati nel diagramma 4.5:

(42)

126

Diagramma 4.5

1. Sopra coperta cotta: è il metodo più antico e prevede prima la deposizione del vetro e la sua stabilizzazione mediante una seconda cottura. Sull’oggetto cotto vetrinato viene poi applicata la decorazione che viene poi stabilizzata con una terza cottura.

Questa tecnica non richiede elevata compatibilità tra i componenti poiché sia copertura che decorazione sono fatte entrambe su supporti stabilizzati.

2. Sopra coperta cruda: Avviene la deposizione della polvere di vetro sul substrato, poi su questa patina si applica la decorazione, successivamente vetro e decorazione sono stabilizzati con una sola cottura. In questo caso quindi la decorazione è applicata su di un supporto non stabilizzato.

3. Sotto coperta: Si applica prima decorazione direttamente sul substrato e poi si applica la vetrina che deve essere ovviamente trasparente altrimenti si copre la

decorazione; con una sola cottura si stabilizza la decorazione e si crea la vetrinatura.

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