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Rassegna Stampa CORRIERE DELLA SERA LA VERITA IL GIORNALE AVVENIRE LA SICILIA BRESCIAOGGI ROMA LA VITA CATTOLICA CORRIERE SALUTE LA REPUBBLICA

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RASSEGNA STAMPA

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Rassegna Stampa

CORRIERE DELLA SERA

«Nuova piena in arrivo Noi medici siamo pochi, stanchi e preoccupati»...3

LA VERITA’

Nuove valutazioni per i soccorsi basati su triage e tabella...5

IL GIORNALE

Piano per le rianimazioni: «Il paziente non risponde? Subito le cure palliative»...6

AVVENIRE

Gli anestesisti: l’età non è un criterio per l’accesso alle cure...8

LA SICILIA

Gli anestesisti: l’età non decide l’ingresso in rianimazione...10

BRESCIAOGGI

Per la terapia intensiva l’età non è l’unico criterio...11

ROMA

Gli anestesisti: «L’età non è criterio per decidere la priorità delle cure»...12

LA VITA CATTOLICA

«Il respiratore va dato a chi ne ha più bisogno, non a chi è più giovane»...13

CORRIERE SALUTE

Saper usare le parole giuste L’importanza di un’efficace comunicazione...15

LA REPUBBLICA

Giarratano “Vi spiego perché i decessi non calano”...17

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CORRIERE DELLA SERA

«Nuova piena in arrivo Noi medici siamo pochi, stanchi e preoccupati»

Corriere della Sera 15/01/2021 – pag. 15 Giarratano: i rinforzi non sono arrivati di Margherita De Bac

«La paura è che gli ospedali non riescano a reggere l’urto con il secondo picco della seconda ondata», preferisce indicarla con questa numerazione anziché come «terza», Antonino Giarratano, presidente designato di Siaarti, la società italiana di anestesia e rianimazione, capo del dipartimento di emergenza e urgenza al policlinico di Palermo.

In Sicilia i posti letto intensivi occupati a novembre da pazienti con Covid erano 280, sono scesi nelle settimane successive fino a 180 (il 4 dicembre) e sono tornati a crescere. Attualmente sono 215.

Aspettate la nuova piena?

«Sì, da noi come in tutte le Regioni il nuovo aumento è il risultato delle zone gialle autorizzate a macchia di leopardo e continuamente cambiate sulla base dei parametri utilizzati per distinguere i livelli di rischio. Il colore giallo, a mio parere, equivale a un liberi tutti nella mentalità dei cittadini, così viene percepito. E porta inesorabilmente a crescita di contagi, crescita di ricoveri nei reparti e crescita di vittime».

Siete rassegnati a subire l’alzata di testa dell’epidemia?

«Noi stiamo già navigando sulla cresta di una nuova ondata. Che sia la seconda o la terza il risultato non fa nessuna differenza. L’impatto sul sistema sanitario non cambia. E purtroppo non siamo cambiati neppure noi».

Che vuole dire?

«Gli anestesisti-rianimatori non sono una figura intercambiabile. Per assistere pazienti critici che hanno bisogno di essere ventilati in modo intensivo sono indispensabili competenze che non si costruiscono dall’oggi al domani. I nostri organici erano già in sofferenza nell’epoca pre-Covid e la situazione non è molto migliorata».

Uno dei parametri per misurare la capacità di resilienza degli ospedali è la percentuale di posti letto occupati che dovrebbe tenersi al di sotto del 30%. Quale realtà le viene riferita dai colleghi italiani?

«Io credo che quel 30% sia stato di gran lunga superato, con alcune differenze, ovviamente, tra le Regioni. L’equivoco di fondo è che questo parametro viene calcolato in base ai posti letto dichiarati sulla carta. Ma c’è una profonda differenza tra letti intensivi strutturali e operativi».

Che differenza c’è?

«L’assistenza in rianimazione non è fatta di macchinari e tecnologie. È fatta dagli operatori, da organici composti da medici e infermieri. Da quando l’emergenza è cominciata in Lombardia, non abbiamo vistoirinforzi che ci sarebbero voluti. Per formare un anestesista ci vuole una preparazione adeguata. Ecco perché le ho detto che siamo sempre gli stessi, stanchi e preoccupati».

Che cosa prevede per le prossime settimane?

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«Durante le feste di Natale e Capodanno e nei giorni precedenti c’è stato un generale rilassamento di comportamenti di cui cominciamo a vederne gli effetti. Negli ospedali vengono segnalati focolai portati da pazienti ricoverati per altre patologie e anche da operatori che, pur osservando tutte le precauzioni nella vita privata, hanno comunque vissuto in ambienti dove il virus circolava. Il personale che si ammala è anche una sottrazione di forze».

Che cosa pensa delle zone di rischio a colori?

«La zona gialla non funziona ai fini del contenimento dell’epidemia. La sua istituzione è devastante sul piano delle conseguenze. Nell’immaginario collettivo equivale a un liberi tutti.

Vanno meglio le zone arancioni. Le Regioni che si sono mantenute al difuori del rosso hanno visto una crescita di contagi esponenziale che ha portato in certe zone all’intasamento delle terapie intensive, guardiamo ad esempio il Veneto».

È d’accordo con il ritocco restrittivo delle soglie che portano al cambio di colore?

«Era necessario. Il giallo è stato un insuccesso».

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LA VERITA’

Nuove valutazioni per i soccorsi basati su triage e tabella

LA Verità 17/01/2021 – pag. 6

Dopo le polemiche sulle linee guida per la cura dei pazienti Covid stilate da Siaarti ne marzo del 2020, la Società di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva ha prodotto un nuovo studio che indica i criteri con cui scegliere i pazienti a cui dare priorità in baso di scarse risorse.

E’ ora indicato come necessario il triage anziché il criterio cronologico (ordine di arrivo) o casuale (sorteggio). I sanitari dovranno valutare caso per caso chi ha più possibilità di farcela, mentre “l’età deve essere considerata (solo) nel contesto della valutazione globale della persona malata”. Vengono inoltre indicati strumenti come l’indice di “comorbilità di Charlson”, una tabella che assegna un punteggio ad ogni patologia pregressa, per stabilire una gerarchia chiara e scientifica delle possibiltà di ogni paziente.

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IL GIORNALE

Piano per le rianimazioni: «Il paziente non risponde?

Subito le cure palliative»

il Giornale 19/01/2021 – pag. 13

Timori di nuova ondata. Le nuove linee guida degli anestesisti per evitare il blocco dei ricoveri

Maria Sorbi

Se un malato di Covid ricoverato in terapia intensiva non risponde al trattamento o si aggrava seriamente verrà dirottato sulle cure palliative, senza aspettare, senza accanimenti inutili.

Questo uno dei passaggi più delicati del nuovo documento Siaarti, il vademecum etico con cui gli anestesisti si preparano a dover affrontare decisioni drastiche in caso di carenza di posti letto in rianimazione durante la terza ondata della pandemia.

«La decisione di interrompere le cure intensive e di rimodularle verso le cure palliative non deve essere posticipata» si legge nel testo messo a punto dagli esperti della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva assieme ai colleghi della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni.

Rispetto allo scorso marzo, quando si era scelto di dare la priorità ai contagiati più giovani e con più possibilità di guarire, il testo (a cui nessun medico vorrebbe mai far riferimento, nemmeno durante la più crudele delle emergenze) è stato affinato e reso più dettagliato. Alle spalle i medici hanno quasi un anno di esperienza nella gestione dei malati di Covid e hanno capito cosa correggere e cosa conservare nel protocollo che decide chi salvare e chi no, se mai dovesse servire.

Di fatto non viene più ammessa «la prosecuzione di trattamenti non appropriati o sproporzionati». Quindi, si legge nel testo, «è opportuno che, al momento del ricovero in terapia intensiva, la persona malata (quando in grado di recepire l’informazione), gli eventuali rappresentanti legali e i familiari siano informati della eventualità di rimodulazione dei trattamenti in caso di mancata riposta. In caso di decisione di limitare le cure intensive per mancanza di appropriatezza clinica, proporzionalità o a seguito di valutazione comparativa in corso di triage - suggeriscono gli specialisti - il medico deve comunicare la tipologia di trattamenti appropriati nel caso specifico, da ricevere in ambiente non intensivo, incluso il domicilio quando possibile». Con il paziente o con i suoi familiari verrà discussa anche la possibilità di rimodulare i trattamenti verso le cure palliative, «inclusa eventualmente anche la sedazione palliativa, cure che devono essere prontamente disponibili, in ambiente intensivo o altro ambiente adeguato».

I trattamenti in terapia intensiva «devono essere assicurati al maggior numero possibile di pazienti che ne possano trarre benefici». In quest’ottica, l’età non è più un criterio per decidere la priorità di ricovero, ma va considerata assieme ad altri parametri medici. Insomma, bisogna considerare il quadro complessivo.

Non si terrà in nessun modo conto dell’ordine di arrivo dei pazienti, nè ci saranno sorteggi, come purtroppo avviene nelle più estreme emergenze sanitarie. Per quanto possibile, si cerca un ordine nel disordine, evitando impatti ingestibili nei reparti. Obbiettivo è mantenere e, se

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possibile ridurre, il numero di decessi che, in media si aggira sul 25-40%, con una variabilità comprensibile, nei reparti meglio attrezzati. Quelli cioè che hanno macchinari adatti e personale specializzato e non devono rimediare ai buchi nella turnazione del personale con medici e infermieri che provengono da un altro percorso professionale.

La speranza è che il documento resti lettera morta chiuso in un cassetto. Ma se mai i numeri della terza ondata dovessero intasare nuovamente i reparti con casi gravi, allora servirà a prendere decisioni che altrimenti sarebbero impossibili.

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AVVENIRE

Gli anestesisti: l’età non è un criterio per l’accesso alle cure

Avvenire 19/01/2021 – pag. 7

Nel documento firmato dalle società scientifiche dei rianimatori e dei medici delle assicurazioni viene confermato il criterio dell’«appropriatezza» clinica e della

«valutazione globale di ogni singola persona malata». No alle scorciatoie FRANCESCO OGNIBENE

Lo «squilibrio tra domanda di assistenza sanitaria e risorse disponibili, con particolare riferimento alle cure intensive», è uno scenario ricorrente dall’inizio della pandemia, con il quale gli operatori sanitari hanno dovuto fare i conti, talora drammaticamente. Torna a occuparsene ora un nuovo documento, firmato congiuntamente dalla Società italiana di Anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) e dalla Società italiana di Medicina legale e delle assicurazioni (Simla). Le 28 pagine del documento uscito dal confronto tra le loro esperienze e domande («Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia di Covid19») segue di pochi giorni la polemica accesa dal trapelare della prima bozza del nuovo Piano pandemico nazionale nella quale si legge che

«quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità» è possibile «fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne beneficio». Parole in attesa di essere riviste, ma che hanno riportato in luce un nodo sciolto sul campo da medici e infermieri sempre considerando la reale situazione di ogni singolo paziente assai più che compulsando manuali e istruzioni per l’uso. L’esperienza ha mostrato che con tutti i suoi limiti il Sistema sanitario italiano non abbandona nessuno, com’è purtroppo accaduto altrove.

Il nuovo documento di Siaarti e Simla – che giunge dopo i chiarissimi testi prodotti lungo i mesi della pandemia da Comitato nazionale per la bioetica, Istituto superiore di Sanità, Federazione nazionale dei medici Fnomceo insieme alla stessa Siaarti, che ha così chiarito le sue posizioni iniziali, non prive di seri interrogativi – si colloca dentro questa cornice umanistica che adotta come riferimento la condizione reale di ciascun paziente per decidere la strategia terapeutica più adatta al suo caso. E dunque, come riassumono le due società mediche, «i trattamenti di supporto vitale devono essere assicurati al maggior numero possibile di pazienti che ne possano trarre benefici», ma «i criteri cronologici di accesso o casuali non sono eticamente condivisibili»

mentre «l’età non è un criterio, ma va considerata nel contesto della valutazione clinica globale della persona malata».

È il punto fermo del "beneficio" per il paziente a guidare le scelte di chi lo prende in cura. Quindi

«la precedenza al ricovero in terapia intensiva deve essere data in base a criteri di appropriatezza e di prospettiva prognostica», cioè strettamente clinici, mentre si «dovrà procedere basandosi sulla valutazione globale di ogni singola persona malata attraverso i seguenti parametri: numero e tipo di comorbilità; stato funzionale pregresso e fragilità rilevanti rispetto alla risposta alle cure; gravità del quadro clinico attuale; presumibile impatto dei trattamenti intensivi, anche in considerazione dell’età del/la paziente; volontà della persona malata riguardo alle cure intensive, che dovrebbe essere indagata prima possibile nella fase

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iniziale del triage». Evidente che «dai criteri di triage sono esclusi il criterio cronologico (ordine di arrivo) e quello casuale (sorteggio) in quanto non eticamente sostenibili».

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LA SICILIA

Gli anestesisti: l’età non decide l’ingresso in rianimazione

La Sicilia 19/01/2021 – pag. 6

Tabella e punti per il triage per garantire l’appropriatezza della cura adeguata a seconda delle condizioni

ADELE LAPERTOSA

ROMA. Se in una pandemia di Covid non si può garantire a tutti i malati il trattamento in terapia intensiva per saturazione delle risorse, si deve ricorrere al triage per garantire i trattamenti di supporto vitale al maggior numero possibile di pazienti che ne possa trarre beneficio e avere una possibilità di sopravvivenza accettabile. L’età non è quindi un criterio con cui si può decidere l’ingresso in rianimazione, ma va considerata nel contesto di una valutazione clinica globale del paziente. Lo precisa il documento della Società italiana di Anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) e Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (Simla) sul sito dell’Iss.

Un tema già affrontato dalla Siaarti con un altro documento il 6 marzo 2020, che aveva suscitato molte polemiche, in cui si diceva che nell’emer - genza coronavirus poteva «rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente utilitaristiche, ma di dedicare risorse che sono preziosissime e non estendibili all’infinito (pur se aumentate) a chi ha più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone». Ma, come precisa all’Ansa Flavia Petrini, presidente della Siaarti, «qui non facciamo nessun dietrofront. In questi mesi abbiamo lavorato con la Fnomceo e il contributo di giuristi e della medicina legale con un unico obiettivo: rendere omogeneo il comportamento dei colleghi, offrendo loro uno strumento per svolgere la loro attività. Sarebbe stato utile averlo prima della pandemia». Nel nuovo documento, in cui sono pubblicate anche tabelle con punteggi su fragilità, presenza di più malattie e rischio di morte (in uso da tempo negli ospedali), si spiega che nel considerare il caso «bisognerà procedere basandosi sulla valutazione globale di ogni singola persona malata valutando come parametri il numero e tipo di altre patologie presenti, lo stato funzionale pregresso e fragilità rilevanti rispetto alla risposta alle cure, la gravità del quadro clinico attuale, il presumibile impatto dei trattamenti intensivi, anche in considerazione dell’età del paziente, e infine la volontà della persona malata (espressa anche tramite dat) riguardo alle cure intensive, che dovrebbe essere indagata prima possibile nella fase iniziale del triage». Dai criteri di triage sono esclusi l’ordine di arrivo e il sorteggio in quanto non eticamente sostenibili, «e previsti invece in altri Paesi stranieri - continua Petrini -.

È inevitabile che la malattia, la fragilità e la probabilità di morte peggiorino con l’età, che però è uno dei criteri da considerare. Se l’intensiva non è indicata per quel malato, si procederà con cure semi-intensive o palliative. Il criterio da seguire dev’essere quello dell’appropriatezza della cura».

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BRESCIAOGGI

Per la terapia intensiva l’età non è l’unico criterio

Bresciaoggi 19/01/2021 – pag. 6

GLI ANESTESISTI. La decisione dipende da una valutazione complessiva

Se in una pandemia di Covid non si può garantire a tutti i malati il trattamento in terapia intensiva per saturazione delle risorse, si deve ricorrere al triage per garantire i trattamenti di supporto vitale al maggior numero possibile di pazienti che ne possa trarre beneficio e avere una possibilità di sopravvivenza accettabile. L'età non è quindi un criterio con cui si può decidere l'ingresso in rianimazione, ma va considerata nel contesto di una valutazione clinica globale del paziente. Lo precisa il documento appena pubblicato dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) e Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (Simla). Un tema già affrontato dalla Siaarti con un altro documento uscito il 6 marzo 2020, che aveva suscitato molte polemiche, in cui si diceva che nell'emergenza Coronavirus poteva «rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente utilitaristiche, ma di dedicare risorse che sono preziosissime e non estendibili all'infinito (pur se aumentate) a chi ha più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata». Ma, come precisa all'ANSA Flavia Petrini, presidente della Siaarti, «qui non facciamo nessun dietrofront. Inquesti mesi abbiamo lavorato con la Fnomceo e il contributo di giuristi e della medicina legale con un unico obiettivo: rendere omogeneo il comportamento dei colleghi che lavorano in sistemi sanitari diversi, offrendogli uno strumento per svolgere la loro attività.

Sarebbe stato utile averlo prima della pandemia»

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ROMA

Gli anestesisti: «L’età non è criterio per decidere la priorità delle cure»

Roma 19/01/2021 – pag. 10

LA SIAARTI: «I TRATTAMENTI DI SUPPORTO DEVONO ESSERE ASSICURATI»

MILANO. «I trattamenti di supporto vitale» in terapia intensiva «devono essere assicurati al maggior numero possibile di pazienti che ne possano trarre benefici». In questo quadro generale, «l’età» più o meno avanzata «non è un criterio» per decidere la priorità di ricovero in questi reparti, «ma va considerata nel contesto della valutazione clinica globale della persona malata». E «dai criteri di triage sono esclusi il criterio cronologico (ordine di arrivo) e quello casuale (sorteggio), in quanto non eticamente sostenibili». Lo chiariscono gli esperti della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), che insieme ai colleghi della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (Simla) hanno messo a punto il documento “Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia di Covid-19”. L’obiettivo generale del testo è «offrire ai professionisti sanitari uno strumento idoneo a rispondere in modo appropriato alla pandemia di Covid-19, nel caso in cui si verificasse uno squilibrio tra domanda di assistenza sanitaria e risorse disponibili, con particolare riferimento alle cure intensive». La finalità è stata anche quella di «garantire la trasparenza delle scelte e la chiara esplicitazione dei criteri decisionali, salvaguardando così il rapporto di fiducia tra cittadini, sanitari e Ssn durante l’emergenza».

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LA VITA CATTOLICA

«Il respiratore va dato a chi ne ha più bisogno, non a chi è più giovane»

La Vita Cattolica 20/01/2021 – pag. 6

IL DISCUSSO PIANO PANDEMICO. Parla Gianluigi Gigli, direttore della Neurologia di Udine

Non si possono «selezionare i cittadini escludendo aprioristicamente qualcuno dal diritto alle cure, un diritto costituzionale». Con queste parole, Gianluigi Gigli, direttore della Clinica neurologica e della scuola di specializzazione in Neurologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine, esprime la sua preoccupazione nei confronti di alcune espressioni contenute nella bozza del «Piano pandemico nazionale 2021-2023» trapelata in questi giorni. Il documento – che dovrà sostituire quello del 2006, con nuove indicazioni in particolare «contro i virus influenzali a potenziale pandemico» – sta già facendo molto discutere laddove afferma che

«quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio».

«Innanzitutto, questo piano già nasce male – premette Gigli – giungendo dopo una polemica a causa di un presunto aggiornamento fittizio del precedente piano ad opera di Ranieri Guerra, a lungo direttore generale del ministero della Salute prima di passare all’Oms, una questione che, secondo alcuni, sarebbe causa non ultima delle carenze nella risposta italiana alla pandemia. Al di là di queste vicende passate, di cui si stanno occupando i mezzi di informazione e la magistratura, il testo della bozza presenta un problema di natura bioetica. La bozza sembra avere assunto più le linee della Siaarti, la Società degli anestesisti e rianimatori, che non quelle del Comitato nazionale di bioetica che l’8 aprile era intervenuto in maniera precisa sul tema e aveva ribadito i principi fondamentali che regolano la materia in Italia. Il Comitato ha affermato che nell’allocazione delle risorse sanitarie debbono essere rispettati i principi di giustizia, equità e solidarietà ed ha esplicitamente riconosciuto come nel contesto della pandemia il punto di riferimento più adeguato resta il criterio clinico, mentre vanno respinti tutti gli altri criteri di selezione basati su sesso, età, razza, ruolo sociale, costi».

Cosa si intende per «criterio clinico»?

«Vuol dire che noi dobbiamo dare al paziente ciò che è possibile, valutando in termini di risposta ciò che possiamo ottenere da lui rispetto a ciò che gli chiediamo di sopportare».

Invece il piano cosa prevede?

«Afferma che “durante le situazioni di crisi i valori etici fondamentali consentono alcune azioni che non sarebbero accettabili in circostanze ordinarie”. Si tratta di una frase estremamente pericolosa perché anche nelle situazioni non ordinarie non ci può essere una sospensione dell’etica. La situazione particolare può cambiare la disponibilità dei mezzi, la possibilità di avere più o meno strutture preparate a rispondere, ma non cambia il modo in cui le scelte vanno fatte».

Concretamente ciò cosa significa?

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«Che, ad esempio, non può essere stabilito che scelgo a chi dare un respiratore in base all’età del paziente, ma in base al giudizio clinico. Ovvero: quanto beneficio quello specifico paziente può ottenere da quel respiratore? Le faccio un esempio teorico: se mi trovo nel deserto con un paziente disidratato certo nessuno mi potrà imputare di non aver fatto il meglio per assisterlo se non l’ho idratato perché non avevo nulla per farlo. Ciò non toglie, però, che quel paziente io non lo considero perso, cerco ugualmente di fare il massimo nelle circostanze date per alleviare le sue sofferenze».

Ma se nel deserto ho due pazienti, uno più giovane e uno più vecchio, e un solo strumento, chi favorisco?

«Chi se ne può giovare di più e non è detto necessariamente che sia il più giovane, per questo non può essere deciso a tavolino».

Nella bozza si parla di «cure a chi ha maggiore probabilità di trarne il beneficio».

«Il problema è proprio questo. Non si tratta di probabilità, ma del massimo beneficio possibile per ciascun paziente. Non si deve fare un calcolo probabilistico di natura teorica. Sappiamo tutti che i vecchi, i disabili, gli obesi sono in generale più fragili rispetto all’aggressione del virus, ma non può essere questo il criterio di appropriatezza, che dev’essere invece, ripeto, il massimo beneficio possibile per lo specifico paziente che ci sta di fronte. Tuttavia, c’è un altro aspetto di cui tenere conto: prima di arrivare alla scelta su chi curare, chiediamoci se abbiamo veramente questa limitazione».

Che cosa intende dire?

«Che se noi oggi potessimo, organizzando la sanità in modo diverso, avere a disposizione più personale e più risorse per i pazienti che rischiano di perdere la vita per il Covid togliendole da altri settori a minor rischio e non lo facessimo, faremmo qualcosa di disdicevole dal punto di vista etico».

A Udine come ci si sta comportando?

«Al momento il nostro ospedale sta facendo un grosso sforzo per orientare le risorse sanitarie verso chi ne ha più bisogno. Ma questo è stato oggetto di critiche: qualcuno ha detto che abbiamo ricoverato troppi pazienti in rianimazione. In realtà ciò è stato reso possibile ritardando giustamente interventi che possono aspettare, per recuperare così anestesisti- rianimatori per le terapie intensive. Serve una valutazione d’insieme dal punto di vista organizzativo. C’è, infine, un’ulteriore scelta di ordine superiore che il piano pandemico e anche la politica non possono dimenticare».

Quale?

«Stupisce che stiamo a discutere sul piano pandemico, sul dare il respiratore o il letto all’uno o all’altro e poi non vogliamo fare ricorso al Mes con il quale dall’Europa ci potrebbero arrivare 36 miliardi per la sanità. Ci sono, quindi, tre diversi livelli a forte impatto etico: il criterio clinico nella scelta individuale, l’organizzazione sanitaria, le scelte della politica. Il piano pandemico deve tenere conto di tutti e tre».

Prof. Gigli, all’ospedale di Udine è già necessario dover decidere chi è possibile curare e chi no?

«Per ora si sta cercando di curare tutti al meglio e l’indisponibilità delle risorse in alcuni momenti è stata supplita con i trasferimenti. Una più ampia collaborazione tra le diverse realtà territoriali ed una riflessione di tipo organizzativo sarebbero tuttavia auspicabili, soprattutto se in futuro ci dovesse venire addosso l’impatto delle varianti del virus più infettanti, come quella brasiliana e quella sudafricana».

Stefano Damiani

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CORRIERE SALUTE

Saper usare le parole giuste L’importanza di un’efficace comunicazione

Corriere Salute 28/01/2021 – pag. 6

Le incomprensioni che possono nascere tra familiari del paziente e personale sanitario rischiano di innescare il diniego al prelievo. Per questo serve una formazione molto specialistica

Non sitratta soltanto di chiedere un sì o un no, ma di armonizzare emozioni e valori tra più persone

Tra i motivi principali del«no»raccoltiinuno studio effettuato ormai nel lontano 2008 dal Centro nazionale trapianti sui colloqui in rianimazione, emergevano le incomprensioni nelle relazioni fra famigliari del paziente e personale sanitario. Bastano una parola fuori posto, uno sguardo mal interpretato e tutto va in fumo. Per questo è importante saper trasmettere i messaggi giusti nel modo giusto. Qualcuno possiede doti di comunicazione naturali, ma la maggior parte di noi può imparare a farlo. Medici e infermieri compresi.

«La formazione del personale sanitario impegnato nella donazione degli organi è sempre stata una priorità per il sistema trapianti e per il Centro nazionale trapianti in particolare — spiega il direttore, Massimo Cardillo — . Sin dagli anni ‘90 grazie al grande esempio portato dalla Spagna, ancora oggi nazione leader nel mondo per tassi di donazione in rapporto alla popolazione, sono iniziati anche in Italia i primi corsi di formazione, dedicati sia agli aspetti tecnico-organizzativi sia a quelli relazionali. Il Cnt vi ha dedicato molte risorse, realizzando un gran numero di corsi sull’intero territorio nazionale che hanno portato alla formazione di migliaia di operatori sanitari».

Che cosa si fa in concreto? «L’attività di formazione e aggiornamento sui temi di comunicazione clinica e di gestione delle relazioni con i familiari vede coinvolti professionisti della rete con corsi nazionali a carattere residenziale iniziati dal 1997 seguendo il modello spagnolo. Il corso di Transplant Procurement Management è un appuntamento regolare a cadenza semestrale della durata di quattro giorni che con una didattica attiva e il metodo delle simulazioni attraverso il modello del cooperative learning ha coinvolto quasi 3.500 professionisti», spiega Sara Mascarin, consulente del Cnt perla comunicazione nei trapianti. Negli ultimi dieci anni, molto è cambiato.

A partire dall’organizzazione stessa delle Rianimazioni. «L’accesso facilitato dei familiari per visitare il loro caro e la progressiva disponibilità del personale a comunicare già dall’ ingresso, influenzano fortemente la gestione del processo donativo — aggiunge Sara Mascarin —. La comunicazione è diventata competenza professionale, non più un atto di cortesia concesso a qualche famiglia da qualche medico disponibile». Basti ricordare, nella normativa recente, che la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) all’articolo 4 comma 8 recita espressamente: «Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura».

Occorre dunque essere pronti. «Indipendentemente dall’organizzazione del reparto, quando non è stata espressa una dichiarazione di volontà con le registrazioni del caso, la scelta di donare si costruisce attraverso un colloquio tra curanti e familiari», dice la specialista. «Si tratta di un

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raro evento in cui i curanti, attraverso l’ascolto attivo, accolgono una decisione del contesto famigliare. È un raro caso in cui medici e infermieri di adattano al tempo e alle sfumature dei valori di quella specifica famiglia. Questo colloquio può contenere conflitti decisionali, dubbi sul processo trapiantologico, paure pregresse. Non si tratta di chiedere un si o un no, ma di armonizzare emozioni e valori tra più persone in un tempo indefinibile e non programmabile».

«Un colloquio in cui il curante è un ascoltatore attento e autentico in un clima di dolore e con un atteggiamento di rispetto incondizionato delle scelte. Un importante studio australiano pubblicato nel 2017 ha analizzato il vissuto emotivo post donazione in 1.035 famiglie: emerge che i “familiari apprezzano un approccio informato e sensibile con un tempo appropriato in un contesto privato e informale”», aggiunge. Un aiuto prezioso nell’attività di formazione si sono rivelate anche le raccomandazioni sulle cure del fine vita e il passaggio di consegne che la Società italiana anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) ha scritto nel 2018.

E durante la pandemia? «La rete nazionale attraverso la formazione a distanza ha mantenuto il dialogo e l’aggiornamento anche divulgando il documento sottoscritto da quattro società scientifiche su “Come comunicare con i familiari in completo isolamento”. La pandemia ha creato distanze glaciali che hanno avuto ricadute anche sulle donazioni di organi. Le fatiche causate dalla comunicazione a distanza e dai numerosi “dolori congelati“ avranno bisogno di risposte e interventi che ad oggi non si possono immaginare. Ma i colloqui perle donazioni portano in sé una carica di umanità e di speranza che in prospettiva potranno essere elementi d’aiuto per tutti», conclude.

Ruggiero Corcella

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LA REPUBBLICA

Giarratano “Vi spiego perché i decessi non calano”

la Repubblica 03/02/2021 – pag. 5

Nell’ultima settimana quasi lo stesso numero di vittime dei primi quattro mesi di emergenza

Sul numero dei morti incide anche il fatto che le Terapie intensive sono sotto pressione, per questo ci vuole prudenza

di Giusi Spica

C’è un dato che più di altri dà l’idea del prezzo pagato dalla Sicilia alla pandemia. E’ la teoria dei morti: 283 fino al 14 luglio, ultimo giorno con decessi della prima ondata; più di 3.500 ad oggi, col record di 252 nell’ultima settimana. In 7 giorni quasi lo stesso numero di vittime dei primi quattro mesi. C’è un altro dato che spiazza gli addetti ai lavori: si muore di più soprattutto nelle grandi terapie intensive, dove muoiono tra sei e nove pazienti su dieci. Per i rianimatori è un dramma umano e professionale. Abbiamo chiesto perché al professore Antonino Giarratano, presidente Siaarti (Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva) e membro del cts siciliano.

Ci sono terapie intensive dove si muore di più per Covid?

«Il Covid porta a un’elevata mortalità rispetto a un’influenza complicata: si passa dal 15% al 40%. Ma se in terapia intensiva ammetto pazienti con insufficienza respiratoria moderata, in ventilazione non invasiva, mentre in un’altra ricovero pazienti in ventilazione invasiva e con 2 o 3 patologie pregresse, la mortalità attesa passa dal 20-25 % del primo caso al 75-90% del secondo. Ci sono poi altri fattori: uno studio inglese dice che una terapia intensiva Covid sotto pressione per più settimane, può avere il 19 % in più di mortalità».

Questo cosa comporta?

«In Sicilia e in larga parte di Italia c’è un fenomeno paradossale che stiamo verificando. Nelle terapie intensive dei grandi ospedali, anche se il tasso di letalità grezza resta al 5,08 per mille contagi, si registra talvolta una mortalità maggiore: il paziente Covid giunge in fasi di scompenso multiorgano molto avanzate, perché nei primi giorni gestito correttamente con ventilatori non invasivi in grandi subintensive respiratorie. Negli ospedali più piccoli, soprattutto se privi di subintensiva, il paziente viene solitamente gestito prima dall’anestesista. Queste Terapie intensive potrebbero registrare una mortalità anche inferiore di quelle teoricamente meglio attrezzate. Un’analisi sarà fatta appena avremo tutti i dati».

E allora come va interpretato questo dato?

«In una Terapia intensiva polivalente si trattano pazienti con scompensi multipli e contemporanei di tanti organi. A fare la differenza è la gravità all’ingresso, che si valuta attraverso lo score medio predittivo (un numero) che a livello internazionale indica la probabilità di decesso. Se in una terapia intensiva la mortalità è al 60 % e vengono curati pazienti con una probabilità di decesso pari all’80 %, sarà migliore di un’altra che ammette pazienti con probabilità di morte al 20% e magari ha un tasso di mortalità al 35 %».

Ci sono differenze di mortalità fra prima e seconda ondata in Sicilia?

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«Prima avevamo pochi pazienti e molti ammessi precocemente in Terapia intensiva, anche con mortalità prevista inferiore, mentre al Nord è stato il contrario. Ancora oggi ci troviamo di fronte a una malattia che non ha trattamenti scientificamente consolidati. Ecco perché noi clinici insistiamo negli inviti alla prudenza e alle chiusure o nel solleciare i servizi sanitari ad adeguarsi in ambiti come il tracciamento e la diagnostica, unici interventi che possono prevenire e ridurre contagi e ricoveri».

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