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Immigrazione

IMMIGRAZIONE? NON E' TUTTO BIANCO O NERO

di Riccardo Puglisi 17.10.2008

L'immigrazione è un tema che suscita forti divergenze d'opinione. Per questo è molto usato in campagna elettorale. Alcuni studi sono utili a sfatare diversi miti: ad esempio non è detto che un forte flusso migratorio abbia ricadute su salari e occupazione della popolazione nativa. Altre ricerche aiutano a comprendere i fattori che influenzano la nostra percezione degli immigrati: dipende

soprattutto da grado di istruzione, crescita del reddito e mezzi di informazione di riferimento.

L’immigrazione è un tema che divide, non soltanto a livello politico. Ad esempio, vi sono poche questioni su cui esiste un divario così ampio tra l’opinione media del pubblico e il giudizio da parte della stragrande maggioranza degli economisti: questi ultimi sono convinti del fatto che un’apertura delle frontiere ai movimenti delle persone produca benefici a livello aggregato, a motivo

dell’aumento del potenziale produttivo dell’economia che accoglie gli immigrati. Si dà però il caso che benefici positivi a livello macroeconomico possano nascondere un panorama eterogeneo di vincitori e vinti al livello individuale. In particolare, un afflusso sproporzionato di lavoratori poco qualificati danneggia le prospettive in termini di salario e occupazione dei lavoratori nativi con qualifiche ugualmente basse, in quanto aumenta la concorrenza per un numero di posti di lavoro che nel breve periodo è dato. Tuttavia, nel medio e lungo periodo la domanda aggiuntiva per beni e servizi creata dagli immigrati potrebbe compensare del tutto questo aumento dell’offerta di lavoro.

La questione deve essere dunque risolta dal punto di vista empirico.

SALARI E ISTRUZIONE

Come racconta Roger Lowenstein sul New York Times Magazine, il dibattito è esemplificato dalle diverse posizioni di George Borjas e di David Card. (1) Secondo Borjas, l’evidenza a livello

aggregato mostra come negli Usa durante gli anni Ottanta e Novanta l’immigrazione di individui con basse qualifiche abbia aumentato la differenza tra i salari dei laureati e di chi non ha completato gli studi superiori di almeno il 5 per cento: un effetto non immenso, ma sostanziale. Al contrario, Card prende in esame un caso specifico, quello dei cosiddetti “Marielitos”, i 125mila rifugiati cubani che nel 1980 sono approdati a Miami, dopo che Fidel Castro aveva inaspettatamente aperto le frontiere.

L’episodio assomiglia a un esperimento in ambito sociale, poiché le cause dello sblocco improvviso delle frontiere poco o nulla avevano a che fare con le condizioni sul mercato del lavoro negli Usa.

Card confronta le dinamiche di salari e occupazione a Miami con quanto avvenuto in altre città Usa, comparabili per composizione etnica e dimensioni, ma non oggetto di un flusso simile di nuovi immigrati. Se è vero che a Miami è cresciuta la disoccupazione tra gli immigrati cubani precedenti, i salari e l’occupazione degli altri gruppi di lavoratori non qualificati non hanno praticamente risentito del maggior flusso di immigrati: l’economia della città è riuscita ad assorbire un aumento

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complessivo del 7 per cento della forza lavoro.

Resta da vedere se l’opinione degli individui a proposito dell’immigrazione dipenda dalla propria posizione sul mercato del lavoro, così come suggerito dall’analisi economica. Ad esempio, un recente contributo di Giovanni Facchini e di Anna Maria Mayda mostra come nei paesi in cui gli immigrati hanno qualifiche più basse della popolazione originaria, i cittadini sono tanto più favorevoli a una limitazione del numero di immigrati quanto più il loro livello di istruzione è basso. (2) Nel contempo, l’avversione nei confronti dell’immigrazione cresce al crescere del reddito individuale: ciò può essere spiegato dal fatto che con un sistema tributario progressivo il finanziamento di

un’espansione dello stato sociale a vantaggio degli immigrati ricade in misura maggiore sugli individui più ricchi.

IL FATTORE MEDIATICO

E i fattori culturali? La diffidenza verso gli immigrati come individui “diversi” potrebbe essere meno intensa, quanto più elevato il livello di istruzione. Ma Facchini e Mayda evidenziano come la relazione tra istruzione e sentimenti anti-immigrazione diventi positiva quando gli immigrati hanno qualifiche più elevate della media della popolazione. A prescindere da ciò, è difficile ritenere che gli aspetti culturali siano del tutto ininfluenti: i mass media potrebbero giocare qui un ruolo importante, tenuto conto del fatto che il tema dell’immigrazione non è politicamente neutro, ma tipicamente favorisce i partiti conservatori. Giornali e televisioni i cui proprietari hanno una collocazione ideologica a destra potrebbero essere indotti ad aumentare la copertura mediatica del tema

dell’immigrazione durante la campagna elettorale, affrontandolo con toni sistematicamente negativi e spostando in questo modo i voti a destra. D’altro canto, non si può escludere l’ipotesi più benigna, secondo cui i cittadini stessi scelgono di ricevere le notizie dai media a cui sono ideologicamente più vicini: non persuasione ma libera scelta di mercato. In ogni caso, un’analisi preliminare che sto conducendo con Facchini e Mayda su dati raccolti negli Usa durante la campagna elettorale del 2006, mostra la presenza di correlazioni importanti tra il canale televisivo preferito e le opinioni sul tema specifico dell’immigrazione clandestina. Ad esempio, chi guarda abitualmente Fox News, il canale televisivo di Rupert Murdoch, ha il 16 per cento in più di probabilità di essere a favore di una legislazione intransigente contro i clandestini, rispetto ai telespettatori abituali di Cbs, Abc o Nbc.

Ciò vale anche controllando per altri fattori confondenti, come il reddito, l’istruzione e la collocazione politica stessa della persona intervistata.

(1)Roger Lowenstein, “The Immigration Equation”, New York Times Magazine, 9/7/2006

(2)Giovanni Facchini e Anna Maria Mayda, “Individual attitudes towards immigrants: Welfare-state determinants across countries.” Di prossima pubblicazione su Review of Economics and Statistics.

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