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La pandemia da Sars-Cov-2

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La pandemia da Sars-Cov-2

1. Le fallacie dell’informazione. Una lettura critica dei “numeri”

Amedeo Vittorio Bedini 24 gennaio 2021

1.

Sommario

1

2.

Premessa

1

3.

Strumenti tecnici di Lettura

2

3.1 I dati grezzi 2

3.2 Elaborazioni dei dati grezzi 2 3.3 Elaborazioni “cosmetiche” 3

3.4 Tempi di osservazione 4

4. La Mala-Informazione

5

5.

Conclusioni

12

6. Bibliografia

14

7.

Prossimamente …

15

(2)

1. Sommario

I dati grezzi di mortalità richiedono elementari elaborazioni per offrire una decifrazione della pandemia da Sars-Cov-2 e del suo andamento. Esse consentono non solo una corretta interpretazione dei numeri, ma possono anche individuare ambiti di approfondimento utili per valutazioni di qualità. I media spesso non seguono corretti metodi per costruire l’informazione che, conseguentemente, si distorce con

argomentazioni e asserzioni fallaci. Si prende come esempio un articolo del Corriere della Sera per discutere del rilievo che rivestono gli strumenti culturali di base per lo studio e la lettura dei dati.

2. Premessa

La fine del 2020 è occasione per tracciare un bilancio sull’evoluzione della pandemia; gli eventi che si sono concretizzati nell’ultima parte dell’anno passato e sviluppati in quello in corso consentono inoltre di prefigurare gli scenari di prossimo sviluppo.

Non possiamo ovviamente prescindere da una lettura critica dei “numeri”. Vengono

quotidianamente comunicati sintetici dati grezzi, molti dei quali non idonei per interpretazioni accurate. In particolare quelli forniti sui tamponi, somministrati con discontinuità e senza specificazioni sull’indicazione, non consentono ai ricercatori indipendenti -e tantomeno al pubblico- di sviluppare analisi di sorta1.

I ricoveri in terapia intensiva possono eventualmente essere più indicativi della situazione, ma non si prestano a confronti affidabili fra le due ondate, dato che la precoce saturazione delle risorse disponibili nel corso della prima ha determinato un tetto agli accessi, per tempi prolungati. L’unica informazione che registra più attendibilmente l’andamento della pandemia, pur con latenza di circa due-tre settimane, riguarda il numero dei decessi.

Quanto ci viene somministrato quotidianamente dai bollettini sono dati grezzi che richiederebbero almeno elementari elaborazioni per consentirne l’interpretazione. Questi vengono solitamente rilanciati dagli organi di informazione senza previa preparazione. Quando viceversa ciò accade, frequentemente si riscontrano grossolani errori nella metodologia di sviluppo dei numeri, tali da indurre a fallacie

interpretative o, nel peggiore dei casi, a permettere il loro uso strumentale. Inutile sottolineare le negative conseguenze che questi tipi di informazione sono rispettivamente in grado di suscitare nel pubblico:

reazioni di sfiducia aprioristica o plagio, con effetti contagiosi.

In questo elaborato voglio indicare un percorso di valutazione critica dei dati pandemici di mortalità, allo scopo di precisare gli strumenti di base utili per respingere l’informazione persuasiva, ma logicamente viziata. Penso possa costituire un ausilio alla lettura dei dati europei e italiani che ho in animo di presentare prossimamente.

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3. Strumenti Tecnici di Lettura

3.1. I dati grezzi. Appena rilevati, i numeri sono denominati “grezzi”. Nel caso della mortalità possono essere considerati sia sul singolo intervallo di registrazione (giorno, settimana, mese) che in addizione tra loro, per fornire il totale dei decessi (mortalità cumulativa). Nella prima riga della Tabella 1 sono inclusi i numeri dei casi rilevati giornalmente; nella seconda ogni casella contiene la somma dei due numeri contigui, iscritti rispettivamente sopra e a sinistra. I numeri tabellari possono essere

- - -

mortalità 01-gen 02-gen 03-gen 04-gen 05-gen 06-gen 07-gen 08-gen 09-gen 10-gen 11-gen 12-gen 13-gen 14-gen

d'intervallo 1 3 2 5 0 1 4 8 2 1 7 7 6 4

cumulativa 1 4 6 11 11 12 16 24 26 27 34 41 47 51

Tabella 1. Vedi testo

- - - tradotti in immagini per l’informazione visuale, in modo da renderli rapidamente leggibili con maggior impatto. Il grafico a linee viene comunemente utilizzato costruire le cosiddette curve di mortalità d’intervallo e cumulativa. Nella figura 1 si riportano i numeri rappresentati in tabella.

Figura 1. Vedi testo

3.2. Elaborazioni dei dati grezzi. I numeri grezzi devono essere sottoposti a elaborazioni per essere appropriatamente letti e resi utilizzabili per un approfondimento d’indagine. Nella figura 2 si presentano le curve di mortalità cumulativa di Belgio (11,8 milioni di abitanti) e Germania (83 milioni) costruite, a titolo esemplificativo, su dati grezzi ipotetici. Nella figura 3 i medesimi sono stati “aggiustati” per numerosità della popolazione. Classifiche basate sui dati grezzi non offrono alcuna possibilità di lettura critica e non possono essere impiegati per costruire un’informazione di approfondimento: devono essere sempre rapportati a un denominatore sensato.

Figura 2. Vedi testo

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Figura 3. Vedi testo

3.3. Elaborazioni “cosmetiche”. Alcuni Paesi rilasciano i propri numeri con discontinuità, Spagna e Svezia su tutti (entrambe mai di sabato e domenica e la Svezia anche di lunedì, oltre che in altri giorni: nel mese di dicembre il Paese scandinavo non ha emesso bollettini per complessivi quindici giorni),

sottoponendoli a frequenti correzioni successive. La mortalità giornaliera di Spagna e Svezia degli ultimi mesi del 2020 viene rappresentata da curve di aspetto “sismico”, come da figura 4. Gli andamenti sono

quasi illeggibili e si richiede un’ulteriore elaborazione dei dati per poter allestire un’informazione visuale adeguata, specie se impiegata per mettere a confronto realtà diverse. A tale scopo un’opzione è offerta dal computo del numero dei casi su base settimanale (eventualmente divisi per sette allo scopo di fornire la media giornaliera, per ottenere un ordine di misura standard), poi aggiustati per numerosità della popolazione. Il risultato, riferito ai medesimi dati della figura 4, viene rappresentato in figura 5. Anche se non vengono del tutto annullati gli effetti degli intervalli privi di aggiornamento dei dati, la lettura risulta decisamente più agevole.

Figura 5. Vedi testo

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3.4. Tempi di osservazione. Propongo questo esempio unicamente per porre l’attenzione su un punto che invita a correggere la percezione ricavabile dall’osservazione dei dati grezzi a una data.

Su una sponda del Naviglio alcuni giovinastri, alle 23:00, decidono di ridurre in cocci le bottiglie del locale che li ospita. Sulla riva opposta un altro gruppo di facinorosi si entusiasma all’idea ed entra in gioco alle 23:30 nella birreria da loro frequentata, per competere con i dirimpettai. A mezzanotte l’intervento delle forze dell’ordine mette fine alla tenzone. Il bilancio: il primo drappello di vandali ha frantumato 1.000 bottiglie, il secondo 700. A chi va la vittoria? Se si vuole meramente considerare il numero totale delle bottiglie, chi ha iniziato il gioco può vantare il primato. Per misurare tuttavia l’efficienza dell’azione

distruttrice, bisognerebbe introdurre il fattore tempo. Il primo gruppo è riuscito a distruggere 16,6 bottiglie al minuto, il secondo23,3: un’ora è stato il tempo di osservazione delle pratiche degli ideatori del

passatempo, 30 minuti quello riservato agli emuli.

Allo stesso modo, un Paese con ingresso nella pandemia a una data antecedente a quella di un altro, potrà intestarsi un numero di morti superiore, variabile in relazione all’entità del differenziale di osservazione e anche correlato al momento di osservazione: il rilievo in corso di ondata o di una fase di quiescenza comporta la registrazione di numeri di entità ben differente.

Per offrire una più completa visione degli aspetti che influenzano l’osservazione della pandemia e dei relativi dati dovrei aggiungere che per meglio calzare il paragone avrei dovuto considerare anche altri fattori oltre al tempo:

l’entità numerica e la composizione dei due gruppi (costante vs. variabile, maniscalchi vs. fantini), la fragilità delle bottiglie (di Coca-Cola da 200 ml vs. ampolle di cristallo per grappe), i materiali d’arredo (imbottiti e moquette vs.

metallo e granito), la capacità di dissuasione e interdizione del personale dei locali. Ogni fattore è preso a simbolo di determinate caratteristiche della guerra alla pandemia e sarebbe da ponderare nelle indagini più approfondite. In questa sede mi limito però a circoscrivere la discussione alle più basilari regole di elaborazione dei dati e di loro lettura critica.

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4. La mala-informazione

Prenderò a esempio un corposo articolo apparso sul Corriere della Sera, il quotidiano nazionale di maggior diffusione, di elevata reputazione2-4, che l’11 dicembre 2020 pubblicava “Perché in Italia si muore più che altrove” 5, un approfondimento di due pagine sulla situazione pandemica. L’asserzione del titolo veniva giustificata dal testo del catenaccio sottostante: “L’età media non spiega tutto. Dietro ai numeri drammatici ci sono ritardi nelle decisioni e il disastro della medicina di base”. L’occhiello al titolo recitava:

“Secondo le proiezioni, nella seconda ondata supereremo il 40mila casi. E a breve il nostro Paese scavalcherà la Gran Bretagna nel conto totale”. A corroborare la titolazione e a favore dell’informazione visuale si riportavano due tabelle e un grafico, che producevano “numeri della pandemia”, con

osservazione chiusa al 9 dicembre (figura 1).

Figura 1. Particolare dell’intestazione di articolo pubblicato l’11 dicembre 2020 sul Corriere della Sera.

La tabella A rappresenta una classifica stilata sui morti totali registrati in alcuni Paesi europei (al primo posto la Gran Bretagna, al secondo l’Italia e, a seguire Francia, Spagna …). La tabella B introduce una graduatoria della mortalità cumulativa di alcuni Paesi europei ed extraeuropei, aggiustata per numerosità di popolazione (su 100.000 abitanti nello specifico). In queste, barre colorate identificano e mettono in risalto gli stati i cui esiti sono poi descritti, con curve di identico colore, nel grafico C. Questo illustra l’andamento della mortalità giornaliera per milione di abitanti, mediata su base settimanale, dall’esordio della pandemia fino al 9 dicembre.

Si poteva fornire una migliore informazione? Le cause che inducevano all’asserzione che “in Italia si muore più che altrove” potevano essere più puntualmente circostanziate? Utilizzerò i dati disponibili alla data del 9 dicembre sui siti dedicati6-7, includendo per le analisi i Paesi europei -comunitari e non- con popolazione di più di otto milioni di abitanti (tutti, non una selezione); li sottoporrò a elementari elaborazioni, che richiedono unicamente l’impiego delle operazioni di base, moltiplicazioni escluse.

Cominciamo a discutere i dati delle tabelle. Il numero totale dei decessi illustrato dalla tabella A fornisce un valore conoscitivo nullo, come già sopra messo in rilievo. Qualche informazione in più avrebbe potuto essere fornita dalla collezione dei numeri di tutti i giorni o di periodici intervalli di conteggio, per valutare gli esiti nel tempo mediante la costruzione di curve, come illustrato nella figura 2.

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Figura 2. Mortalità cumulativa (numeri grezzi) osservata nel periodo 15 febbraio - 9 dicembre 2020.

Sottolivellamenti delle curve (vedi quella spagnola) sono dovuti a correzioni in itinere.

L’informazione visuale permette di descrivere l’andamento pandemico, in cui si possono

identificare due fasi di crescita della mortalità (le due ondate), intervallate da un periodo di plateau. Può inoltre intuirsi un ingresso nella pandemia in tempi diversi per i vari Paesi, che si traduce in periodi di osservazione difformi. Nessuna ulteriore informazione può ricavarsi, complice anche l’affastellamento delle curve intestate agli stati meno popolosi, con numeri assoluti di minor consistenza.

La tabella B (figura 1) offre una classifica di mortalità cumulativa rapportata alla numerosità della popolazione (per 100.000 abitanti). I dati sono riferiti a Paesi collocati in aree territoriali diverse, selezionati sulla base di criteri ignoti, con tempi pandemici non omogenei e non dichiarati. Tramite la collezione dei dati seriali e la loro trasposizione in curve (figura 3), come sopra effettuato, si ottengono informazioni aggiuntive: anche dopo aggiustamento per numerosità di popolazione, molti Paesi si caricano di una mortalità estremamente contenuta nella prima fase pandemica. Tra questi si registrano peraltro crescite rimarchevoli nel periodo della seconda ondata, specie a carico della Repubblica Ceca, che alla data del 9 dicembre supera marginalmente la mortalità della Francia (viene tuttavia dimenticata nella tabella B del Corriere). Il grafico di figura 3 ribadisce ancora come l’ingresso nella pandemia abbia avuto tempi differenti.

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Figura 3. Mortalità cumulativa per milione di abitanti osservata nel periodo 15 febbraio - 9 dicembre 2020.

l’Italia ha denunciato la prima morte per Covid-19 il 21 febbraio, Romania e Cechia il 18 marzo, quando nel nostro Paese si erano già contati quasi tremila decessi (49 per milione di abitanti). Il primo morto francese (15 febbraio) è rimasto unico caso per 10 giorni e complessivamente ne sono stati necessari 27 per raggiungere il tasso di mortalità di uno per milione di abitanti, più significativo indice della “densità”

dei contagi. Nei rimanenti Paesi europei selezionati sono stati invece sufficienti mediamente 9 giorni dal primo decesso per rilevare il medesimo tasso di mortalità. Sarebbe quindi opportuno computare le curve a partire da un valore-soglia di rilievo per minimizzare l’effetto di eventi o focolai isolati.

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Accogliendo tale principio, nella figura 4 le curve sono state sviluppate dal raggiungimento di un tasso di mortalità di uno per milione, che costituisce il “tempo zero”. La curva dell’Italia risulta più

sviluppata -o “lunga”- delle altre e conta 282 giorni di osservazione al 9 dicembre. Gli altri Paesi dimostrano una storia pandemica inferiore di 8-29 giorni (media: 17,2). L’intervallo temporale di 253 giorni è l’ultimo raggiunto da tutte le curve. Una “classifica” di mortalità per tutti gli stati dovrebbe essere stilata a questo momento. Comparazioni possono comunque essere condotte su campioni selezionati che hanno più prolungato -ma simile- tempo di osservazione. Le direttrici delle curve sono inoltre utili per formulare previsioni nel breve periodo. Agli acuti osservatori non sarà sfuggito che al termine della prima ondata, la mortalità dei soli Paesi con storia pandemica di diciotto o più giorni inferiore a quella dell’Italia si è contenuta al di sotto dei duecento morti per milione di abitanti. Un rilievo decisamente meritevole di approfondimento.

Figura 4. Mortalità cumulativa per milione di abitanti osservata nel periodo 15 febbraio - 9 dicembre 2020. Il

“tempo 0” indica il raggiungimento di un tasso di mortalità di uno per milione di abitanti. Gli intervalli temporali sono giornalieri. Il numero che accompagna l’etichetta dell’Italia indica il numero di giorni di osservazione. I numeri negativi che accompagnano gli altri Paesi indicano l’inferiore durata di osservazione in giorni, rispetto all’Italia.

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Il grafico C (figura 1) è di costruzione molto interessante. Descrive tramite curve l’andamento della mortalità, rapportata alla numerosità della popolazione (per milione di abitanti nel caso), riscontrata a ogni singolo intervallo temporale giornaliero (mediato sulla settimana). I dati intervallari vengono quindi indicati isolatamente e non addizionati a quelli riscontrati negl’intervalli precedenti, come per comporre la

mortalità cumulativa. Le curve pubblicate sul Corriere propongono gli esiti di alcuni Paesi europei compresi nella tabella B, selezionati sulla basse di criteri ignoti. Se il grafico fosse stato utilizzato al meglio delle sue potenzialità, avrebbe fornito chiavi di lettura con valore informativo decisamente più rilevante. Riporto in due distinte figure (5 e 6) le curve di mortalità d’intervallo, suddividendo i Paesi europei da me selezionati in base alla data d’ingresso nella pandemia (definita come il raggiungimento del tasso di mortalità di uno per milione), come suggerito dalle deduzioni formatesi sul grafico della figura 4. Ho pertanto incluso nel gruppo A (figura 5) i Paesi che avevano raggiunto il valore-soglia entro il 18 marzo, nel B quelli che vi sono

Figura 5. Mortalità d’intervallo (media giornaliera su base settimanale). La nascita della curva corrisponde al raggiungimento di un tasso di mortalità cumulativa di uno per milione di abitanti. Sono compresi i Paesi che avevano raggiunto tale valore-soglia entro il 18 marzo.

Figura 6. Mortalità d’intervallo (media giornaliera su base settimanale). La nascita della curva corrisponde al raggiungimento di un tasso di mortalità cumulativa di uno per milione di abitanti. Sono compresi i Paesi che avevano raggiunto tale valore-soglia dopo 18 marzo (21 marzo-1 aprile).

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10 pervenuti successivamente (fra il 21 marzo e il 1° aprile). Ammetto che per pura pigrizia non ho

riorganizzato il database e ho chiuso l’osservazione all’11 dicembre anziché al 9 (come per i numeri del Corriere), quindi i dati non coincidono con quelli del grafico C della figura 1 per due giorni: spero mi si perdonerà questa mancanza, che garantisco come ininfluente. Nei Paesi colpiti in anticipo dai contagi la prima ondata ha avuto impatto decisamente più grave. Negli altri, il ritardo di manifestazione della pandemia ha plausibilmente consentito di adottare per tempo strategie preventive efficaci (lockdown in primis) per il contenimento dei contagi e di conseguenza della mortalità. Analizzando la situazione italiana, peraltro su dati non ancora maturi, avevo già rilevato questa sorta di “effetto-epicentro”, segnalandolo in un mio precedente contributo8. Cumulando le curve dei due gruppi si ottengono quelle presentate nella figura 7.

Figura 7. Mortalità d’intervallo (media giornaliera su base settimanale). I Paesi-epicentro (Francia, Italia, Spagna, Svizzera, Regno Unito, Olanda, Svezia, Belgio) che avevano raggiunto avevano raggiunto un tasso di mortalità cumulativa di uno per milione entro il 18 marzo. Gli “altri” (Germania, Grecia, Austria, Polonia, Ungheria,

Portogallo, Serbia, Romania, Cechia) avevano raggiunto tale valore-soglia in tempi successivi (21 marzo-1 aprile).

Senza neppure l’ausilio di didascalie esplicative risulta di tutta evidenza che, a dispetto dei ben difformi esiti della prima fase, la seconda ondata ha avuto effetti simili in entrambi i gruppi. Si può dedurre che, una volta esaurito il primo attacco, la diffusione dei contagi si sia poi estesa più omogeneamente sui territori europei e abbia reso l’aggressione successiva di entità comparabile in tutti i Paesi. Questo è il solo significato che può attribuirsi alle curve di figura 7 che descrivono la mortalità correlata alla seconda ondata. Potrebbe infatti insinuarsi l’ipotesi che la forza di Sars-Cov2 sia tale da rendere ininfluente la qualità del sistema sanitario, sulla base della sovrapponibilità delle curve e del riscontro che un gruppo (A) include stati con sistemi sanitari avanzati, mentre i Paesi con assetti più fragili costituiscono la maggioranza dell’altro. Il grafico non è da me “autorizzato” a fornire una simile paralogica conclusione. Il tema è

importante, ma esula dagli scopi di questo elaborato e sarà affrontato in un prossimo contributo.

Per concludere il capitolo offro un ultimo (ma non ultimo) rilievo che già di per se avrebbe potuto motivare l’assertivo titolo del Corriere. Stupisce non poco che il più appariscente e macroscopico fattore che ha determinato la mortalità cumulativa italiana non sia stato individuato e segnalato (vedi figura 7). La quota totale dei decessi ufficiali viene formata per oltre 1/3 da quelli di regione Lombardia, che annovera il

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16% della popolazione italiana. Il consuntivo al termine della prima ondata (fine giugno) intestava alla Lombardia il 47,8% dei morti nel nostro Paese.

Figura 8. Vedi titolo

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5. Conclusioni

L’affermazione del Corriere che “in Italia si muore più che altrove” può essere in linea di principio condivisibile. Occorre però avanzare alcuni distinguo.

- Le “classifiche” che fissano gli esiti a un istante, su campioni non omogenei, sono frutto un non corretto metodo di valutazione. Se i numeri grezzi fossero non solo elaborati sulla numerosità della popolazione, ma anche valutati nell’andamento temporale e vincolati a un indice di diffusione dei contagi, permetterebbero non solo di individuare elementi di rilievo per esercitare una lettura critica, ma anche di formulare previsioni. A livello europeo, a poco più di un mese dalla pubblicazione dell’articolo, possiamo rilevare situazioni pandemiche modificate. Limitiamo qui l’osservazione all’ambito delle previsioni offerte dall’occhiello al titolo del Corriere: “Secondo le proiezioni … a breve il nostro Paese scavalcherà la Gran Bretagna nel conto totale”. La predizione si è avverata per il breve spazio temporale di qualche giorno. Poi, non solo il Regno Unito ha ripreso il comando di un’insensata classifica basata su dati grezzi, come si può osservare nella figura 9, ma ha anche superato l’Italia in quella rapportata alla numerosità della

.

Figura 9. Vedi titolo

popolazione. Questo tipo di esiti transitori (già peraltro palesatisi in passato) si stanno manifestando con frequenza nel corso dell’attuale fase pandemica. Dovrebbero indurci, almeno su base empirica, a esercitare cautela estrema nell’esprimere previsioni e nel considerare vaticini da altri offerti, specie se questi sono caratterizzati da 1) elevato grado di assertività, 2) assenza di citazione delle fonti ispiratrici, con

impedimento a un giudizio sull’autorevolezza delle stesse, 3) emanazione da pulpiti profani. Altri pronostici ben più significativi, che non focalizzati sulla “gara” fra Italia e Regno Unito, avrebbero potuto formularsi sui dati disponibili già nella prima decade di dicembre, come illustrerò prossimamente.

- Gli apprezzabili esiti di alcuni Paesi nel corso della prima ondata sono giustificabili essenzialmente per clementi contingenze, che hanno permesso loro di attuare politiche di salute pubblica e azioni

preventive prima che si fosse consolidata una vasta circolazione virale: le misure adottate hanno consentito di contenere significativamente la diffusione di Sars-Cov-2. I sistemi sanitari, avanzati o fragili che fossero, di questi fortunati Paesi non sono stati quindi sottoposti a gravi stress né chiamati in causa per comprovare la loro efficienza. Si è nei fatti consolidato un “effetto-epicentro” che può costituire, se non considerato, un rilevante fattore di confondimento per le indagini dei fattori causali. I Paesi-epicentro hanno pagato un prezzo altissimo, in termini di mortalità, nel corso della prima fase pandemica.

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- Il contributo dei decessi ascrivibile alla prima ondata carica in modo sperequato la mortalità

cumulativa dei Paesi-epicentro rispetto agli altri. L’Italia è stato il primo stato a entrare nella pandemia e ha avuto più prolungati tempi di osservazione per il computo dei decessi. La mortalità cumulativa non corretta per data di ingresso nella pandemia sbilancia ulteriormente il peso che comporta il differente tempo di osservazione e la fase entro cui vengono rilevati i decessi.

- Oltre un terzo dei casi di morte registrati in Italia al termine della prima ondata sono infine intestabili a regione Lombardia.

Il titolo del Corriere e il suo catenaccio “Perché in Italia si muore più che altrove”, “L’età media non spiega tutto. Dietro ai numeri drammatici ci sono ritardi nelle decisioni e il disastro della medicina di base”

sarebbero da sottoporre a revisione. Le cause dell’alta mortalità italiana sono multifattoriali e certamente quelle richiamate dall’estensore dell’articolo sono d’interesse primario. Prese come un unico riferimento causale sono tuttavia carenti, omissive di altre motivazioni meritevoli di considerazione. Alla loro scoperta si sarebbe potuto giungere tramite la lettura non disattenta delle statistiche già comunemente disponibili, l’uso di elementari metodi di elaborazione dei dati grezzi e lo studio dei loro esiti per costruire un

contributo informativo di qualità.

È contestabile l’informazione visuale di corredo, che qui ripropongo per evitare al lettore ripetuti e fastidiosi scrolling: i dati prodotti per comprovarla sono stati sbrigativamente selezionati,

semplicisticamente presentati, impropriamente interpretati, inidonei a sostenere l’asserzione del titolo. Già ampiamente discusso il valore della tabella A e dei suoi numeri, non si può sorvolare sulla qualità (?) dei dati esposti nella tabella B. Criteri di selezione estremamente ambigui hanno accolto i numeri di Paesi con specificità disomogenee ed escluso quelli di altri che avrebbero potuto contribuire a una lettura critica di maggior valore. La classifica esclude la Cechia, che al 9 dicembre aveva superato la Francia per mortalità.

Include stati come San Marino (33.785 abitanti) e Andorra (77.006 abitanti) con popolazione di numero inferiore a quello preso per rapporto (100.000 abitanti). Andorra con 101 decessi viene accreditata del 5°

posto; la Spagna, con identico tasso, viene collocata al 6°.

Dal grafico, per il quale valgono i commenti espressi per la tabella B circa i criteri di selezione, viene escluso il Belgio, con un tasso di mortalità cumulativa superiore a quello del nostro Paese. La parte

terminale della curva italiana si dimostra svettare su quelle degli altri stati in esame e viene messo in risalto particolare, il tasso di mortalità registrato il 9 dicembre: il valore (11,9 morti per milione di abitanti) si distingue come il più alto. È del tutto improprio e dislogico l’utilizzo dei dati d’intervallo per stilare estemporanee e disutili classifiche di sorta, come effettuato nel caso. Tramite questo tipo di grafico la mortalità cumulativa (l’unica che può certificare che in certo Paese si muore di più, ma alle condizioni sopra riportate) può solo debolmente intuirsi dall’ampiezza dell’area sottostante alle curve. Su questi numeri un’informazione irreprensibile avrebbe potuto unicamente specificare che in quel dato giorno la mortalità dell’Italia era superiore a quella di altri Paesi selezionati a casaccio e non avrebbe dovuto essere

insensatamente accostata all’asserzione che “in Italia si muore più che altrove”.

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L’infografica ha un peso informativo elevato e dovrebbe essere utilizzata appropriatamente e con cautela, non strumentalmente. I numeri della pandemia, come presentati nell’articolo, sembrano

unicamente funzionali a corroborare tesi carenti e argomentazioni fallaci, logicamente viziate, ma psicologicamente persuasive.

La naturale chiosa è affidata a un “Perché?”.

6. Bibliografia

1. https://www.open.online/2020/11/17/coronavirus-numeri-in-chiaro-sebastiani-numero-decessi-terapie-intensive-sottostimato/

2. http://www.data24news.it/media/top20-dei-quotidiani-piu-venduti-al-primo-posto-corriere-della-sera-ultimo-quotidiano/

3. https://www.aduc.it/notizia/classifica+dei+quotidiani+piu+autorevoli_71371.php

4. https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-dati-reali-e-fake-news-e-sole-24-ore-quotidiano-piu-affidabile-ADEVPMG?refresh_ce=15.

5. Imarisio M. Perché in Italia si muore più che altrove. Corriere della Sera. 11 dicembre 2020 6 https://github.com/CSSEGISandData/COVID-

19/blob/master/csse_covid_19_data/csse_covid_19_time_series/time_series_covid19_deaths_global.csv 7 https://www.worldometers.info/coronavirus/

8 https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/10/la-salute-ai-tempi-di-sars-cov-2-il-caso-lombardo-il-dossier-del-medico-chirurgo-amedeo- vittorio-bedini/5824575/

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7. Prossimamente …

La pandemia da Sars-Cov-2.

2 … Gli effetti della seconda ondata sulla mortalità nei Paesi dell’Est europeo sono stati devastanti.

Quasi ovunque, in Europa, la pressione sugli argini è fortissima. In alcuni stati (Svizzera, Belgio, Grecia, Ungheria, Serbia e Romania) si sta stabilizzando una lenta flessione della mortalità. In altri (Francia, Italia, Olanda, Austria e Polonia) la decrescita non si è ancora consolidata. Regno Unito, Portogallo, Spagna, Germania, Svezia e Cechia non sono ancora usciti dalla fase incrementale, particolarmente marcata nei primi due Paesi.

Seconda ondata - Mortalità cumulativa per milione di abitanti

La pandemia da Sars-Cov-2.

3 … … Anche in Italia si conferma l’effetto-epicentro… E altro …

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