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Diagrammi spazio-tempo, orizzonte e modello inflazionario

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Academic year: 2022

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Capitolo 11

Diagrammi spazio-tempo, orizzonte e modello inflazionario

Fino ad ora abbiamo descritto il modello cosmologico per un universo omogeneo ed iso- tropo, abbiamo visto quali siano i valori dei parametri cosmologici che lo caratterizzano e come la nucleosintesi primordiale riesca a spiegare le abbondanze osservate degli elementi leggeri senza la necessit`a di introdurre ulteriori parametri liberi o di effettuare un fine- tuning di quelli esistenti. Tuttavia abbiamo visto come il valore attuale di Ω0 implichi che ad alto redshift il parametro di densit`a debba essere estremamente vicino ad 1, lasciando pensare alla necessit`a di un fine-tuning molto sospetto (problema della piattezza). Adesso vedremo come in realt`a esista un altro problema per il modello cosmologico, il cosiddetto problema dell’orizzonte, e come questo, insieme al problema della piattezza, possa esse- re risolto dal modello inflazionario. Prima per`o, `e necessario introdurre il concetto di orizzonte e analizzare i diagrammi spazio tempo nell’ambito del modello cosmologico.

11.1 L’orizzonte di una particella

Un concetto importante `e quello di orizzonte di una particella (o di un osservatore): ad ogni epoca t `e la massima distanza con la quale c’`e stata connessione causale, ovvero `e la distanza massima che ha percorso un segnale luminoso emesso a t “ 0 e che raggiunge l’osservatore al tempo t.

In pratica questo `e lo stesso problema con cui ci siamo confrontati quando abbiamo dovuto misurare le distanze tenendo conto dell’espansione dell’universo: abbiamo consi- derato un numero infinito di osservatori tra noi e la sorgente, ciascuno con l’istruzione ricevuta a t “ 0 di misurare al tempo t la distanza dall’osservatore pi`u vicino per cui alla fine si ottiene che la distanza propria `e

Rptq “ ż

dx “ aptq ż

dr “ aptqr

con r distanza comovente ovvero misurata per t “ t0 (ricordare il “thought experiment”

nella sezione 3.3). La metrica di Robertson–Walker `e

ds2 “ dt2 ´aptq2 c2

dr2`R2sin2

´r R

¯`dθ2` sin2θdφ2˘ı

(2)

per cui considerando il percorso radiale di un fotone (ds2 “ 0, dθ2` sin2θdφ2 “ 0) si ha dt “ aptq

c dr

dr `e la distanza comovente di una sorgente osservata dopo che i fotoni hanno viaggiato un tempo dt. Allora la distanza comovente di una sorgente che emette i fotoni al tempo t e che noi osserviamo a t0 `e

r “ żt0

t

cdt aptq “

ż1 a

cda a 9a

dove questa espressione pu`o essere letta come la distanza comovente tra l’osservatore al tempo t0 ed una sorgente vista al tempo t ă t0; ovvero la distanza comovente percorsa dai fotoni partiti al tempo t ed arrivati al tempo t0. Quindi `e facile capire che, partendo dal- l’espressione appena trovata e considerando che l’osservatore al tempo t avr`a un orizzonte corrispondente alla distanza comovente con le sorgenti viste al tempo t “ 0, si ha

r “ żt

0

cdt1 apt1q “

ża 0

cda1 a19a1

questa `e la distanza comovente tra una sorgente che emette fotoni al tempo t “ 0 e l’os- servatore che li osserva al tempo t, ovvero `e la distanza comovente che i fotoni percorrono tra t “ 0 e t. Per ottenere la distanza propria, ovvero quella che si misurerebbe a t (e non quella comovente, misurata a t0) si deve moltiplicare per aptq. Il raggio dell’orizzonte di una particella o di un osservatore al tempo t `e quindi

RHptq “ aptq żt

0

cdt1

apt1q “ aptq ża

0

cda1

9a1a1 (11.1)

Consideriamo adesso il caso dei modelli di Friedman per ΩΛ=0. Ricordiamo che dz

dt “ ´H0p1 ` zq“

p1 ` zq2pΩ0z ` 1q ´ ΩΛzpz ` 2q‰1{2

allora

RHptq “ aptq żt

0

cdt1

apt1q “ aptq żz

`8

cp1 ` zq p´dzq

H0p1 ` zq rp1 ` zq 2pΩ0z ` 1q ´ ΩΛzpz ` 2qs1{2 che, per ΩΛ=0, diviene

RHptq “ aptq żz

`8

cp´dzq

H0rp1 ` zq2pΩ0z ` 1qs1{2 “ aptq ż`8

z

c dz

H0p1 ` zq pΩ0z ` 1q1{2 ricordando le soluzioni analitiche nel caso ΩΛ=0 si ha:

per Ω0 ą 1

RHptq “ c

H0pΩ0´ 1q1{2aptq acos

1 ´ 2pΩ0´ 1q Ω0 aptq

per Ω0 ă 1

RHptq “ c

H0p1 ´ Ω0q1{2aptq acosh

1 ` 2p1 ´ Ω0q Ω0 aptq

(3)

11.1 L’orizzonte di una particella 163

per Ω0 “ 1, modello di Einstein - de Sitter, RHptq “ aptq

ż`8 z

c dz

H0p1 ` zq3{2 “ c aptq

H0 2p1 ` zq´1{2

“ 2c

H0aptq3{2“ 2c H0

t

t02c

H0

3H0

2 t ovvero

RHptq “ 3 c t (11.2)

Per piccoli valori di a (Ω0z " 1), si ottiene la soluzione valida nel caso dominato dalla materia anche per modelli con ΩΛ ‰ 0, analogamente a come abbiamo visto per a “ aptq.

Partendo da

RHptq “ aptq ż8

z

c dz

H0rp1 ` zq2pΩ0z ` 1q ´ ΩΛzpz ` 2qs1{2 per Ω0z " 1, z " 1 si ha a » z´1 e si ottiene

RHptq » aptq ż8

z

c dz

H0pΩ0z3q1{2 “ aptq ż8

z

c H01{20

z´3{2dz

“ c aptq H01{20

“´2z´1{28

z “ 2 c aptq H01{20 z´1{2

“ 2c

H01{20 aptq3{2 (11.3)

Sappiamo che, in queste condizioni, vale il modello di Einstein-de Sitter “modificato”

aptq “ Ω1{30 ˆ 3H0t 2

˙2{3

ovvero

RHptq “ 2cA

H0





1{20 



1{20 3

H0t

2 “ 3 c t e quindi

RHptq “ 3 c t Ω0z " 1, z " 1, ΩΛ‰ 0 (11.4) ovvero lo stesso valore del caso di Einstein - de Sitter. Come abbiamo gi`a visto, questa approssimazione `e valida, ad esempio, sulla superficie di ultimo scattering.

Perch´e il raggio dell’orizzonte `e 3 c t e non c t? La cosa si pu`o comprendere pensando che, per t piccoli, gli osservatori fondamentali sono pi`u vicini tra loro e i fotoni vengo- no “trascinati” dall’espansione dell’universo; pertanto i fotoni si ritrovano a percorrere distanze comoventi maggiori del semplice c t.

Consideriamo adesso il caso “radiation dominated” che si ha per z " 1.97ˆ1040h270 « 6000. In questo caso a “ k t1{2 e

RHptq “ aptq żt

0

c dt1

apt1q “SSk t1{2 żt

0

c dt1

S Sk t11{2 ovvero

RHptq “ 2 c t (11.5)

(4)

11.2 L’orizzonte degli eventi

L’orizzonte degli eventi `e la massima distanza osservabile aspettando un tempo sufficien- temente lungo, al limite t Ñ 8. Se consideriamo il fotone che parte a t e arriva al tempo t1 in direzione radiale la distanza comovente percorsa `e pari a

r “ żt1

t

c dt1

apt1q (11.6)

pertanto, detto t8 il tempo cosmico massimo che l’universo pu`o raggiungere, il raggio dell’orizzonte degli eventi per l’osservatore al tempo t sar`a

REptq “ aptq żt8

t

c dt

aptq “ aptq ża8

a

c da a 9a

RE`e la massima distanza propria degli oggetti che l’osservatore in t potr`a vedere in futuro.

La domanda da porsi `e se RE converge per t8 Ñ 8 (nel caso dei modelli aperti) o per t8 Ñ tmax (nel caso dei modelli chiusi). In quest’ultimo caso tmax corrisponde al tempo in cui avviene il big crunch.

Se ΩΛ=0, Ω0 ď 1 quell’integrale diverge (a 9 t2{3 per Ω0 “ 1 e a 9 t per Ω0 “ 0) pertanto RE Ñ 8: in linea di principio `e possibile osservare qualsiasi particella esistente nell’universo, basta aspettare il tempo necessario alla propagazione della luce. Se ΩΛ=0, Ω0 ą 1 l’integrale converge ad un valore finito che si pu`o ottenere dalle soluzioni generali per aptq; ad esempio, per Ω0=2, l’oggetto pi`u lontano osservabile prima del big crunch avrebbe una distanza comovente r « 20, 000 Mpc (H0 “ 70 km s´1Mpc´1). Nel caso in cui ΩΛ ą 1 e Ω0` ΩΛ ě 1 l’integrale per RE converge ad un valore finito perch´e per tempi grandi aptq si espande esponenzialmente ed i fotoni emessi da oggetti sufficientemente distanti non ce la fanno a giungere fino a noi.

11.3 La sfera di Hubble e il cono di luce passato

Prima di affrontare lo studio dei diagrammi spazio-tempo in ambito cosmologico, `e neces- sario capire come si pu`o trovare il cono di luce (passato) di un osservatore che, ricordiamo,

`

e il luogo dei punti nello spazio-tempo percorsi dai fotoni per giungere all’osservatore.

La prima cosa da notare `e che la legge di Hubble, vrec “ H0r, si applica anche per vrec ą c; questa non `e una violazione della relativit`a generale poich`e non `e una velocit`a di trasmissione del segnale ma `e solo un effetto dell’espansione omogenea ed isotropa dell’universo. Pertanto dovremo conto del fatto che, oltre alla velocit`a effettiva di un oggetto, esiste una velocit`a apparente dovuta all’espansione dell’universo.

Possiamo determinare la velocit`a apparente vtot al tempo t di allontanamento tra due osservatori a distanza comovente r come

vtot “ ∆pdistanza propria al tempo tq

∆ptempo cosmico t) “ dR dt Sfruttando la definizione di distanza comovente

Rptq “ aptqr vtot “ dR

dt “ 9aptq r ` adr

dt “ vrec` vpec

(5)

11.3 La sfera di Hubble e il cono di luce passato 165

vrec “ 9aptq r `e la velocit`a di recessione con cui il substrato si espande e con cui gli osservatori si allontanano; per t “ t0 si ottiene vrec “ H0r ovvero la legge di Hubble.

vpec “ aptq dr{dt rappresenta invece la velocit`a relativa dovuta ai moti “peculiari”

ovvero quelli che si discostano dal flusso di Hubble (esempio le velocit`a ~u “ d~r{dt dovute al collasso di perturbazioni di densit`a, come spiegato nel prossimo capitolo).

Consideriamo adesso un osservatore al tempo t che osserva fotoni emessi al tempo tem nel caso critico Ω0=1 e ΩΛ=0, per cui si ha

aptq “ˆ 3 2H0t

˙2{3

“ˆ t t0

˙2{3

9a “ 2 3t0

ˆ t t0

˙´1{3

“ H0

ˆ t t0

˙´1{3

r “ żt

tem

c dt1

pt1{t0q2{3 “ c

«

3t0ˆ t1 t0

˙1{3fft tem

“ 2c H0

«ˆ t t0

˙1{3

´ˆ tem t0

˙1{3ff

vrec “ 9aptqr “ 2cˆ t t0

˙´1{3« ˆ t

t0

˙1{3

´ˆ tem t0

˙1{3ff

L’osservatore al tempo t vede il Big Bang (tem “ 0) come rBB “ 2c

H0 ˆ t

t0

˙1{3

vrec “ 2c

Ovvero il Big Bang si allontana con una velocit`a di recessione apparente pari a 2c indipendentemente dal tempo t a cui lo si osserva.

Attenzione a non confondere la velocit`a di recessione 9aptqr con la velocit`a che si ottiene interpretando erroneamente il redshift cosmologico come effetto Doppler. La velocit`a Doppler che otteniamo adesso pt “ t0q per fotoni emessi per t “ tem `e

vDop “ c z “ c

„ 1

aptemq ´ 1

“ c

«ˆ tem t0

˙´2{3

´ 1 ff

dove si `e sfruttato il fatto che il redshift cosmologico non `e altro che una misura del fattore di scala a al tempo tema cui vengono emessi i fotoni. Questa va confrontata con la velocit`a di recessione vrec con cui adesso t “ t0 vediamo allontanarsi la sorgente che ha emesso i fotoni al tempo t “ tem; ponendo t “ t0 nell’espressione trovata per vrec otteniamo

vrec “ 2c

«

1 ´ˆ tem t0

˙1{3ff

Per cui si pu`o calcolare il rapporto tra le due velocit`a e, posto tem “ t0p1 ´ ξq si trova che con ξ ! 1 (corrispondente a z ! 1)

vDop vrec “ 1

2

p1 ´ ξq´2{3´ 1 1 ´ p1 ´ ξq1{3 » 1

2 2{3 ξ 1{3 ξ “ 1

ovvero la velocit`a Doppler fornisce la corretta velocit`a di espansione solo nell’universo locale.

(6)

Come gi`a visto vpec “ aptq dr{dt corrisponde alla velocit`a “reali” e non alle velocit`a apparenti dovute all’espansione del substrato, pertanto il modulo della velocit`a peculiare di un fotone sar`a sempre vpec “ c. Consideriamo adesso un fotone emesso al tempo tem

che si sta dirigendo verso un osservatore; al tempo t il fotone si trova a distanza comovente r dall’osservatore e la sua velocit`a di avvicinamento all’osservatore sar`a

vtot “ dRptq

dt “ 9aptq r ´ c

il segno “–” viene dal fatto che il fotone viaggia verso l’osservatore. Questa espressione definisce la velocit`a con cui la luce al tempo t si sta avvicinando ad un osservatore per ef- fetto dell’universo in espansione: si ricordi che per l’osservatore o per il fotone le distanze da percorrere sono sempre quelle proprie, non quelle comoventi. I fotoni si allontanano dall’osservatore (la distanza propria a t aumenta) fino a che l’espansione cosmologica `e caratterizzata da vrec ą c; per`o i fotoni si muovono verso l’osservatore passando per rife- rimenti inerziali che si muovono progressivamente con velocit`a di recessione (vrec) minori finch´e non attraversano la sfera di Hubble ovvero la regione in cui vrec “ 9a r “ c e vtot “ 0.

La definizione del raggio della sfera di Hubble RHSptq `e pertanto c “ 9aptq r “ 9a

aaptqr “ 9a

aRHSptq ovvero

RHSptq “ aptq

9aptqc “ c Hptq

si noti che RHSptq `e una distanza radiale propria. Da questa epoca in poi il fotone si avvicina sempre di pi`u all’osservatore finch´e per t “ t0 non vi giunge con velocit`a apparente pari a c (vtot “ ´c visto che r “ 0).

Adesso possiamo facilmente determinare il cono di luce passato (Past Light Cone, PLC) di un osservatore al tempo t0: dobbiamo trovare la distanza propria (o comovente) al tempo t di un fotone partito a tem che giunge dall’osservatore al tempo t0. Tenendo conto della velocit`a di avvicinamento del fotone vtot appena trovata

RP LCptq “ Rem` żt

tem

vtotdt

dove Rem `e la distanza propria tra fotone e osservatore al momento dell’emissione del fotone stesso. Poich`e sappiamo che per t “ 0, R “ 0 (postulato di Weyl) possiamo infine scrivere

RP LCptq “ żt

0

vtotdt “ żt

0

r 9apt1qr ´ csdt1 “ ża

0

9a1r ´ c 9a1 da1

Possiamo anche ragionare in altro modo e trovare la distanza comovente del fotone emesso a t e osservato a t0; come ben noto questa `e pari a

rP LC “ żt0

t

cdt aptq

e che corrisponde ad una distanza propria al tempo t pari a RP LCptq “ aptqrP LC “ aptq

żt0

t

cdt1

apt1q “ aptq ż1

aptq

cda 9aa

(7)

11.4 Diagrammi spazio-tempo per i modelli cosmologici standard 167

Si pu`o vedere facilmente che le due espressioni sono equivalenti. Dopo aver notato che dr

dt “„ d dt

żt0

t

cdt a

“ ´ c aptq si integra per parti la prima espressione di RP LC

RP LCptq “ żt

0

r 9apt1qr ´ csdt1 “ aptqr ´ żt

0

aˆ dr dt1

˙ dt1´

żt 0

cdt1 “ aptqr “ aptq żt0

t

cdt1 apt1q ovvero, ricordando che a dr “ c dt1, si ritrova la seconda espressione per RP LC.

Determiniamo adesso l’equazione del nostro cono di luce in funzione del tempo t nel caso in cui Ω0 “ 1, ΩΛ “ 0 (Einstein-de Sitter). Sappiamo che la distanza comovente di un fotone al tempo t che arriva al tempo t0 `e

r “ 2c H0

«

1 ´ˆ t t0

˙1{3ff

“ rP LC

per cui

RP LCptq “ aptqrP LC “ 2c H0

ˆ t t0

˙2{3«

1 ´ˆ t t0

˙1{3ff

e si pu`o facilmente verificare che si ottiene lo stesso risultato anche usando l’altra espres- sione di RP LC.

11.4 Diagrammi spazio-tempo per i modelli cosmo- logici standard

Prima di analizzare i diagrammi spazio-tempo in ambito cosmologico, riassumiamo i tempi e le distanze introdotti fino a qui.

• Tempo cosmico. E’ il tempo misurato da un osservatore fondamentale e letto su un orologio sincronizzato per t “ 0 quando tutte le geodetiche si intersecavano (postulato di Weyl)

t “ żt

0

dt1 “ ża

0

da1 9a1

• Tempo conforme. Il tempo conforme τ `e l’analogo della coordinata comovente ed `e legato all’intervallo di tempo sotto cui l’osservatore a t “ t0 vede avvenire un evento nel passato al tempo t

dtconf “ dτ “ dt aptq

poich`e questo `e il tempo misurato dall’osservatore fondamentale al tempo t “ t0

ma relativo alla durata di eventi passati, `e chiaro che rispetto al tempo cosmico, `e affetto dalla dilatazione cosmologica dei tempi. La metrica di Robertson e Walker

` e

ds2 “ dt2´ aptq2 c2

dr2`R2sin2

´r R

¯`dθ2` sin2θdφ2˘ı

(8)

e con il tempo conforme diventa ds2 “ a2ptq

c2

c22´ dr2´R2sin2

´r R

¯

pdθ2` sin2θdφ2q ı

ovvero la parte spaziale e la parte temporale sono adesso omogenee e scalano entrambe con aptq; per cui le associazioni sono tra t – rpropr e τ – r.

Utilizzando il tempo conforme la crescita del contrasto di densit`a delle perturbazioni che vedremo nel prossimo capitolo `e

Era della Radiazione: δρ{ρ 9 t; a 9 t1{2; τ 9t1{2 per cui δρ{ρ 9 τ2 Era della Materia: δρ{ρ 9 t2{3; a 9 t2{3; τ 9t1{3 per cui δρ{ρ 9 τ2 ovvero le perturbazioni crescono sempre con τ2.

• Distanza radiale comovente. E’ definita come r “

żt0

t

c dt1 a1

ż1

a

c da1 a1 9a1 ovvero `e la distanza “proiettata” all’epoca t “ t0.

• Distanza radiale propria. Partendo dalla definizione di distanza radiale comovente, la distanza radiale propria, ovvero misurata all’epoca di osservazione t della sorgente

` e

Rprop “ aptqr “ a żt0

t

c dt1 a1 “ a

ż1 a

c da1 a1 9a1

• Orizzonte di una particella. E’ la massima distanza con cui ci pu`o essere stata comunicazione all’epoca t ovvero `e la distanza radiale propria tra t e t “ 0

RHptq “ aptq żt

0

cdt1

apt1q “ aptq ża

0

c da1 9a1a1

• Orizzonte degli eventi. E’ la massima distanza radiale propria di un oggetto che potr`a essere osservato da un osservatore al tempo t

REptq “ aptq żt8

t

c dt1

apt1q “ aptq ża8

a

c da1 a1ptq 9a1ptq

• Past light cone. Come abbiamo visto prima definisce gli eventi accessibili all’osser- vatore (ovvero gli eventi da cui provengono i fotoni osservati) ed `e dato da

RP LCptq “ żt

0

r 9apt1qr ´ csdt1 “ aptq żt0

t

cdt1 apt1q

• Raggio della sfera di Hubble, la distanza propria a cui la velocit`a di recessione `e pari alla velocit`a della luce

RHSptq “ aptq

9aptqc “ c Hptq

(9)

11.4 Diagrammi spazio-tempo per i modelli cosmologici standard 169

Space-Time Diagram

Cosmic Time vs. Proper Distance

The times and distances are measured in units of H

0−1

and c/H

0

respectively.

44 Figura 11.1: Diagramma spazio-tempo tra tempo cosmico t e distanza propria x per

il modello critico (Ω0=1, ΩΛ=0). Tempi e distanze sono misurati in H0´1 e c{H0, rispettivamente.

Space-Time Diagram

Cosmic Time vs. Comoving Distance Coordinate

The times and distances are measured in units of H

0−1

and c/H

0

respectively.

45 Figura 11.2: Diagramma spazio-tempo tra tempo cosmico t e distanza comovente r

per il modello critico (Ω0=1, ΩΛ=0). Tempi e distanze sono misurati in H0´1 e c{H0, rispettivamente.

(10)

170 Diagrammi spazio-tempo, orizzonte e modello inflazionario

Conformal Time vs. Comoving Distance Coordinate

The times and distances are measured in units of H

0−1

and c/H

0

respectively.

46 Figura 11.3: Diagramma spazio-tempo tra tempo conforme t e distanza comovente r per il modello critico (Ω0=1, ΩΛ=0). Tempi e distanze sono misurati in H0´1 e c{H0, rispettivamente.

11.4.1 Diagrammi spazio-tempo per Ω

0

“ 1, Ω

Λ

“ 0

Vediamo adesso i diagrammi spazio-tempo e cominciamo con il modello critico di Einstein - de Sitter, Ω0=1.0, ΩΛ=0, per poi passare al nostro modello di riferimento con Ω0=0.3, ΩΛ=0.7. Nelle figure seguenti si useranno sempre queste unit`a di misura:

• il tempo sar`a espresso in unit`a di H0´1;

• le distanze saranno espresse in unit`a di c{H0.

La figura 11.1 rappresenta il diagramma spazio tempo per t ´ rprop ovvero con tempo cosmico e distanze proprie; la figura 11.2 rappresenta la relazione t ´ r, tempo cosmico - distanza comovente mentre la figura 11.3 rappresenta la relazione τ ´ r, tempo conforme - distanza comovente. Nel caso del modello critico di Einstein-de Sitter esistono relazioni analitiche semplici per le varie grandezze:

• l’et`a dell’universo `e t0 “ 2{3 H0´1;

• il fattore di scala `e aptq “ pt{t0q2{3;

• il tempo conforme `e τ “ 3t0pt{t0q1{3;

• la distanza comovente `e rptq “ 2c{H0r1 ´ pt{t0q1{3s;

• la distanza radiale propria `e Rptq “ pt{t0q2{3rptq;

• la sfera di Hubble `e RHSptq “ c{H0pt{t0q;

• il cono di luce passato `e RP LC “ 2c{H0rpt{t0q2{3´ pt{t0qs;

(11)

11.4 Diagrammi spazio-tempo per i modelli cosmologici standard 171

• l’orizzonte della particella `e RH “ 3ct;

• l’orizzonte degli eventi `e RE “ 8 ovvero non c’`e;

Cominciamo con la figura 11.1. Il past light cone `e la “world line” dei fotoni e, come si vede chiaramente, inizialmente tendono ad allontanarsi dall’osservatore a seguito dell’espansione dell’universo per poi riavvicinarsi, una volta entrati nella sfera di Hubble.

La sfera di Hubble interseca il cono di luce passato per RHS “ RP LC

t

t0 “ 2ˆ t t0

˙2{3

´ 2ˆ t t0

˙ ˆ t

t0

˙

“ 8 27

in questo punto la velocit`a totale dei fotoni `e vtot “ 0 per definizione di sfera di Hubble, in cui la velocit`a di recessione `e pari a c. La tangente al cono di luce passato `e verticale perch´e da quel punto in poi la distanza propria verso l’osservatore ricomincia a diminuire.

Nelle figure sono anche rappresentate le “world lines” di galassie che noi osserviamo a vari redshifts z “ 0.5, 1.0, 2.0, 3.0; ovviamente le galassie sono osservate all’intersezione tra la loro world line ed il cono di luce passato, e l’intersezione tra la world line e la retta per t “ t0 determina la loro distanza comovente. L’orizzonte della particella permette di identificare le distanze massime degli oggetti nel diagramma spazio-tempo che sono connessi causalmente con l’osservatore a rprop “ r “ 0 al variare del tempo.

Vediamo adesso la figura11.2. La singolarit`a iniziale per a “ 0, rprop “ 0 `e stata “al- lungata” in una riga, le world lines sono rette parallele all’asse delle y. Anche nella figura 11.3 la singolarit`a iniziale per a “ 0 `e stata allungata in una riga. Questo diagramma, in cui t `e stato sostituito con τ `e pi`u semplice ed infatti

• rHpcomoventeq “ cτ ;

• rP LCpcomoventeq “ 2pc{H0qr1 ´ H0τ {2s;

• rHSpcomoventeq “ pc{H0qH0τ {2.

Si noti come il past light cone sia adesso una retta.

11.4.2 Diagrammi spazio-tempo per Ω

0

“ 0.3, Ω

Λ

“ 0.7

Anche in questo caso relativo al nostro modello di riferimento utilizzeremo H0´1 e c{H0

come scale di tempo e di distanza. In questo caso l’equazione di Friedman `e

9a “„ 0.3

a ` 0.7a2

1{2

La figura 11.4 rappresenta il diagramma spazio tempo per t ´ rprop ovvero con tempo cosmico e distanze proprie; la figura 11.5 rappresenta la relazione t ´ r, tempo cosmico - distanza comovente mentre la figura 11.6 rappresenta la relazione τ ´ r, tempo conforme - distanza comovente.

Ci sono molte somiglianze col caso precedente ma anche differenze dovute alla dark energy che domina ad epoche tarde:

(12)

172

Cosmic Time vs. Proper Distance

Diagrammi spazio-tempo, orizzonte e modello inflazionario

0

= 0.3. The times and distances are measured in units of H

0−1

and c/H

0

respectively.

47 Figura 11.4: Diagramma spazio-tempo tra tempo cosmico t e distanza propria rprop per

il modello di riferimento (Ω0=0.3, ΩΛ=0.7). Tempi e distanze sono misurati in H0´1 e c{H0, rispettivamente.

Space-Time Diagram

Cosmic Time vs. Comoving Distance Coordinate

0

= 0.3. The times and distances are measured in units of H

0−1

and c/H

0

respectively.

48

Figura 11.5: Diagramma spazio-tempo tra tempo cosmico t e distanza comovente r per il modello di riferimento (Ω0=0.3, ΩΛ=0.7). Tempi e distanze sono misurati in H0´1 e c{H0, rispettivamente.

• il tempo cosmico `e allungato rispetto al caso critico;

• le “world lines” delle galassie cominciano a divergere per t “ t0 a seguito della riaccelerazione dell’espansione causata dalla dark energy;

• la sfera di Hubble converge ad una distanza propria di 1.12c{H0(l’espansione diventa esponenziale nel futuro e la costante di Hubble tende al valore costante Ω1{2Λ );

(13)

11.5 Il problema dell’orizzonte 173

Space-Time Diagram

Conformal Time vs. Comoving Distance Coordinate

0

= 0.3. The times and distances are measured in units of H

0−1

and c/H

0

respectively.

49 Figura 11.6: Diagramma spazio-tempo tra tempo conforme t e distanza comovente r per

il modello di riferimento (Ω0=0.3, ΩΛ=0.7). Tempi e distanze sono misurati in H0´1 e c{H0, rispettivamente.

• c’`e un orizzonte degli eventi; la geometria `e piatta e l’espansione esponenziale spinge le galassie oltre le massime distanze a cui si pu`o avere una connessione causale al tempo t. RE tende allo stesso valore asintotico di RHS, 1.12c{H0

RE “ a ż8

a

da1

r0.3a1 ` 0.7pa14´ a12qs1{2 e per a Ñ 8 si ha che

RE Ñ ż8

a

da1

r0.7s1{2a12 Ñ 1

r0.7s1{2 “ 1.12

• il diagramma pi`u semplice `e quello con il tempo conforme poich`e rHpcomov.q “ τ

rP LCpcomov.q “ τ0´ τ

rEpcomov.q “ r0´ cτ (11.7)

con τ0 “ 3.305 e r0 “ 4.446 nel nostro modello di riferimento.

11.5 Il problema dell’orizzonte

Un osservatore sulla superficie di ultimo scattering avr`a un orizzonte che sottende un angolo θH sul piano del cielo, come visto da noi osservatori a t “ t0. Per calcolare θH occorre utilizzare la distanza angolare

DA “ D 1 ` z

(14)

con D misura di distanza data da

D “R sin´r R

¯

e r coordinata radiale comovente pari a r “ c

H0 żz

0

dz

rp1 ` zq2pΩ0z ` 1q ´ ΩΛzpz ` 2qs1{2

Calcoliamo r nel caso in cui ΩΛ=0, e Ω0 ă 1 che, come noto, approssima bene quello che succede sulla superficie di ultimo scattering dove il contributo di ΩΛ alla dinamica `e trascurabile. Si ottiene:

r “ c

H0 żz

0

dz

p1 ` zqpΩ0z ` 1q1{2

“ 2c

H0p1 ´ Ω0q1{2

«

tanh´1ˆ Ω0z ` 1 1 ´ Ω0

˙1{2

´ tanh´1p1 ´ Ω0q´1{2 ff

da cui

D “ 2 c

H020p1 ` zq Ω0z ` pΩ0´ 2q“

pΩ0z ` 1q1{2´ 1‰(

che per z » 1000, ovvero Ω0z " 1

D » 2 c

H0A02p

0

1 `Azq

$

’&

’%

ZZ0

z `A

:0 pΩ0´ 2q“

pΩ0z ` 1q1{2´ 1‰ , /. /- converge a

D » 2c H00 quindi

DA“ D

1 ` z » 2c

H00z » 2c a H00

Il raggio dell’orizzonte di particella, tenendo conto di aptq “ Ω1{30 p3H0t{2q2{3, `e dato da RHptq “ 3c t “3c 2 aptq3{2

3Ω1{20 H0 “ c2 aptq3{2

1{20 H0 (11.8)

L’angolo che sottende l’orizzonte della particella sulla superficie di ultimo scattering `e pertanto

θH “ RHptq

DA » 2c a3{2

H01{20 ˆ H00

2c a “ Ω1{20 aptq1{2 e con z “ 1000 si ha

θH » Ω1{20 aptq1{2“ Ω1{20

p1 ` zq1{2 “ 0.032 Ω1{20 rad “ 1.8 Ω1{20 deg In conclusione, nel caso di Ω0=0.3, ΩΛ=0.7, z “ 1000, si ottiene

θH “ 1.0˝

(15)

11.6 Il modello inflazionario 175

quindi, secondo i modelli standard di Friedman, sulla superficie di ultimo scattering regioni di cielo separate da pi`u di 1˝ non potevano essere causalmente connesse! Il fatto che la CMB sia omogenea a meglio di 1 parte su 1000 deve far parte delle condizioni iniziali dell’universo!

Vediamo adesso come `e possibile risolvere questo problema grazie al modello inflazio- nario.

11.6 Il modello inflazionario

Mettendo insieme quello che abbiamo appena visto e le cose analizzate in precedenza, possiamo concludere che il modello cosmologico standard ha i seguenti problemi:

• Problema dell’orizzonte. Il modello standard si basa sull’assunzione di omogeneit`a e isotropia la cui evidenza maggiore `e data dalla CMB; ma le scale spaziali causalmente connesse sulla CMB corrispondono ad appena θ „ 1˝, proiettate sul piano del cielo.

Come `e possibile che la CMB sia cos`ı omogenea ed isotropa su tutto il cielo?

• Problema della piattezza. Abbiamo visto che avere Ω0 “ 0.3 « 1 comporta che Ωpzq “ 1 per z " 1; per esempio l’equazione 7.51

1 ´ 1

Ωpzq “ 1 1 ` z

ˆ 1 ´ 1

0

˙

ci dice che Ω0=0.3 fornisce Ωpzq “ 0.9978 a z “ 1000 e Ωpzq “ 0.99978 a z “ 10000;

in conclusione, ad altissimi z, Ω deve essere estremamente vicina a 1, richiedendo quindi un “fine tuning” molto forte.

• Formazione delle strutture cosmiche. Come vedremo, le fluttuazioni di densit`a sul- la superficie di ultimo scattering devono essere relativamente grandi ∆ „ 10´3 per poter spiegare le strutture cosmiche esistenti adesso; queste non sono certo per- turbazioni infinitesime dovute a fluttuazioni statistiche. Poich´e la crescita delle perturbazioni `e sempre algebrica anche in precedenza (∆ „ a2 nell’epoca della ra- diazione e ∆ „ a nell’epoca della materia), le perturbazioni di densit`a non possono originarsi a seguito di fluttuazioni statistiche ma a causa di un fenomeno fisico di cui non abbiamo ancora tenuto conto.

Nel 1981 Alan Guth ha cercato di risolvere questi problemi proponendo che ci sia stata una fase nell’universo primordiale in cui la densit`a di energia fosse dominata da una com- ponente di energia del vuoto con pressione negativa, in modo del tutto analogo alla dark energy che abbiamo gi`a visto. Pertanto in quella fase, in cui la dinamica era guidata da una componente con propriet`a simili a quelle della dark energy, si `e avuta una espansione di tipo esponenziale, ovvero durante quella fase aptq „ exppt{τ q. L’inizio e la durata della fase inflattiva dipendono dalle propriet`a del potenziale del campo scalare φ che d`a origine alla componente di energia del vuoto che guida l’inflazione; perci`o esistono vari modelli inflazionari. Ad esempio nel modello indicato in figura11.7la fase inflazionaria `e tra 10´35 e 10´33s. Come vedremo l’esatta collocazione temporale della fase inflazionaria non ha influenza per quanto riguarda la soluzione dei problemi appena indicati.

Consideriamo ad esempio un modello in cui la fase inflazionaria inizia quando la tem- peratura dell’universo raggiunge il valore TGU T; al termine della fase inflazionaria l’energia

(16)

Figura 11.7: Evoluzione del fattore di scala nel modello standard e nel caso di modello inflazionario.

del campo che ha causato l’inflazione viene liberata e si ha un “reheating” per cui l’univer- so si riscalda nuovamente alla temperatura TGU T. TGU T `e la temperatura che corrisponde all’energia la disopra della quale si ha la grande unificazione delle forze (esclusa quella gravitazionale) e vale

TGU T “ 2 ˆ 1016GeV “ 1.5 ˆ 1029K Ricordando che

9a2 “ Ω0H02

a ` ΩΛH02a2´ H02pΩ0` ΩΛ´ 1q e che la densit`a di energia del vuoto `e

ρV “ Λ

8πG “ 3H02Λ 8πG

possiamo ricavare l’equazione di Friedmann nel caso in cui, per a ! 1, la dinamica sia dominata da un termine di energia del vuoto analogo a ρV che chiameremo ρφ

9a2 “ 8πG 3 ρφa2

come abbiamo gi`a visto questa equazione pu`o essere risolta per separazione di variabili;

ponendo

τ “

ˆ 3

8πGρφ

˙1{2

(17)

11.6 Il modello inflazionario 177

e integrando tra l’inizio della fase inflazionaria, t1, e t si ottiene aptq “ a1expˆ t ´ t1

τ

˙

supponiamo che la fase inflazionaria termini per t2 “ NIτ ` t1 (NIτ " t1), per cui alla fine della fase avremo

apt2q “ a2 “ a1eNI

ovvero il fattore di scala `e cresciuto di un fattore exppNIq. Vediamo le conseguenze di questo fatto. L’orizzonte di particella alla fine della fase inflattiva tI

RHpt2q “ apt2q żt2

0

c dt

aptq » apt2q żt2

t1

c dt aptq

con t1 inizio della fase inflattiva; come si vede abbiamo trascurato il contributo a RH dovuto alla propagazione dei fotoni prima della fase inflattiva. Si ottiene

RHpt2q “ ca2 a1

żt2

t1

e´pt´t1q{τdt “ cτa1

a2 `1 ´ e´N˘

“ cτ eN`1 ´ e´N˘

» c τ eNI

dove si `e considerato che t2 » NIτ " t1. Questo raggio dell’orizzonte definisce la re- gione causalmente connessa al termine della fase inflazionaria, ovvero il raggio della sfera all’interno della quale si `e potuta ottenere l’omogeneit`a. Si noti che, nel caso in cui l’universo si fosse espanso come nel caso dominato dalla radiazione, avremmo avuto RHpt2q“ 2ct2 » 2cτ NI ovvero un fattore 2NI{ exppNIq pi`u piccolo.

Questa “sfera” causalmente connessa poi si espande seguendo l’espansione standard dell’universo fino a raggiungere il momento della ricombinazione per trec dove definir`a un’area causalmente connessa sulla superficie di ultimo scattering ed il cui raggio sar`a pari a

RCptrecq “ aptrecqrHpt2q “ aptrecq

apt2q RHpt2q “ 1 ` zpt2q

1 ` zptrecqRHpt2q “ T2

TrecRHpt2q “ TGU T Trec cτ eNI Si noti che questo non `e il raggio dell’orizzonte a trec, ma il raggio dell’orizzonte alla fine dell’inflazione, ovvero il raggio della sfera che `e stata causalmente connessa a t2. Abbiamo sfruttato la relazione tra a ´ z e z ´ T , ed inoltre il fatto che alla fine della fase inflazionaria la temperatura `e T2 “ TGU T. Per stimare il valore di RC dobbiamo stimare il valore di τ ovvero di ρφ. Se alla fine della fase di inflazione l’energia del vuoto venisse ceduta all’universo, diventerebbe energia di radiazione e particelle ultrarelativistiche con temperatura TGU T “ 2 ˆ 1016GeV “ 1.5 ˆ 1029K

ρφ “ ρrad “ 4σ

c3TGU T4 » 4 ˆ 1081g cm´3 da cui

τ “

ˆ 3

8πGρφ

˙1{2

“ 2 ˆ 10´38s ed infine

RC “ TGU T

Trec cτ eNI “ 1.5 ˆ 1029K

4000 K ˆ c ˆ p2 ˆ 10´38sq ˆ eNI “ 5.1 ˆ 1025epNI´63qcm

(18)

dove per ottenere il valore numerico si `e usato un NI “ 63. Questo raggio va confrontato con il raggio della sfera che racchiude l’universo osservabile ovvero la distanza propria tra noi e la superficie di ultimo scattering; nel caso di Einstein - de Sitter abbiamo visto che la distanza comovente `e

r “ 2c H0

«

1 ´ˆ t t0

˙1{3ff

per cui la distanza propria

Rptq “ 2c H0

ˆ t t0

˙2{3«

1 ´ˆ t t0

˙1{3ff

alla ricombinazione aptq “ pt{t0q2{3“ 10´3 ovvero Rptrecq “ 2 c

H010´3“1 ´ 10´3{2

» 10´32 c

H0 “ 2.6 ˆ 1025cm

Pertanto il raggio della sfera che racchiude l’universo osservabile `e inferiore al raggio della sfera che racchiude le regioni causalmente connesse al termine della fase inflazionaria se questa dura almeno NIτ con NI Á 63; ovvero la durata della fase inflazionaria deve essere superiore a ą 1.2 ˆ 10´36s per risolvere il problema dell’universo.

Se la fase inflazionaria iniziasse pi`u tardi come nel modello in figura 11.7, la tempe- ratura all’inizio ed alla fine della fase inflazionaria sarebbe pi`u bassa, conseguentemente ρφ sarebbe pi`u bassa e τ pi`u grande. Per il modello in figura all’inizio ed alla fine della fase inflazionaria si avrebbe T1 “ T2 » 1028K il che implica ρφ“ ρrad “ 3 ˆ 1076g cm´3 e τ » 10´35s per cui durante la fase inflazionaria ci sono circa 100τ e rC “ 2.0 ˆ 1043cm ben oltre il raggio dell’universo osservabile. Abbiamo appena visto come il modello infla- zionario risolva il problema dell’orizzonte; vediamo adesso le conseguenze per il problema della piattezza. Riprendiamo l’equazione di Friedmann completa che include i termini di massa, radiazione e densit`a del vuoto

9a2 “ Ω0H02

a ` ΩrH02

a2 ` ΩΛH02a2´ c2k con k curvatura a t “ t0 data da

k “ H02

c2 rΩ0` Ωr` ΩΛ´ 1s Se definiamo i parametri di densit`a al redshift z come

ipzq “ 8πG

3Hpzq2ρipzq “ 8πGρi,0 3H02

ˆ ρipzq ρi,0

˙ ˆ H02 Hpzq2

˙

“ Ωi,0

ˆ ρipzq ρi,0

˙ ˆ H02 Hpzq2

˙

dove abbiamo indicato con con ρipzq la densit`a a redshift z della componente i-esima e con Hpzq la costante di Hubble a redshift z (Hpzq “ 9a{a). Conoscendo l’evoluzione con z delle densit`a delle varie componenti e sostituendo gli Ωi,0 con gli Ωipzq si ottiene

9a2 “ Ωmpzq Hpzq2a2` Ωrpzq Hpzq2a2` ΩΛpzq Hpzq2a2´ c2k ovvero, ponendo 9a “ Hpzqa, si ha

c2k “ a2Hpzq2rΩpzq ´ 1s (11.9)

(19)

con Ωpzq “ Ωmpzq ` Ωrpzq ` ΩΛpzq. Questo `e un modo diverso di scrivere l’equazione di Friedmann. Valutando le due espressioni all’inizio ed alla fine della fase inflazionaria si pu`o quindi scrivere

Ωpt2q ´ 1

Ωpt1q ´ 1 “ apt1q2Hpt1q2 apt2q2Hpt2q2 Durante la fase inflazionaria aptq “ apt1q exprpt ´ t1q{τ s e

Hptq “ 9aptq aptq “ 1

τ per cui Hptq `e costante e Hpt1q{Hpt2q “ 1. Infine

Ωpt2q ´ 1

Ωpt1q ´ 1 “ apt1q2

apt2q2 “ e´2pt2´t1q{τ “ ep´2NIqÀ 10´55

dove l’ultima disuguaglianza `e stata ottenuta con NI Á 63 stimato prima. Pertanto, qualsiasi fosse il valore di Ωpt1q, Ωpt2q ´ 1 deve essere estremamente piccolo, e Ωpt2q “ 1.0000000... a meno di 1 parte su 1055! Questo spiega il “fine tuning” implicato dal problema della piattezza.

Durante la fase inflattiva le fluttuazioni quantistiche associate al campo inflativo ven- gono amplificate e raggiungono ampiezze sufficienti a spiegare le fluttuazioni osservate sulla superficie di ultimo scattering. Inoltre risulta che queste fluttuazioni sono “scale free” ovvero il δφ ad esse associato `e indipendente dalla scala della perturbazione: come vedremo pi`u avanti, questo significa che le fluttuazioni di densit`a generate durante la fase inflattiva hanno uno spettro di potenza di Harrison – Zel’dovich.

Riferimenti

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