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‘nzomma allora tutti quando c’era l’allarme si scappava, si scappava nei campi, così s’imparò a scappà

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Academic year: 2021

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3 “Poi venne, capitò, la guerra” Guerra e liberazione

La guerra comincia ufficialmente per l’Italia nel quaranta ma è difficile che, nella memoria delle donne intervistate, il suo avvento si riconduca ad una data particolare. Il momento puntuale di inizio della guerra coincide per lo più con il primo ricordo che si ha a riguardo dei bombardamenti, cioè quando di fatto la guerra giungeva al suo momento più dirompente, quasi all’epilogo. L’esordio della guerra si sovrappone alla parte di essa più cruenta per i civili. Da questo momento l’arrogante presenza dei Tedeschi sul territorio si fa più insopportabile e l’incolumità personale è messa a repentaglio dai bombardamenti che sono una realtà completamente nuova per i civili.

Si tenta semmai di dare una data della fine della guerra riconducendola al giorno della liberazione di Calci avvenuta il 1 settembre del 1944 (data che non tutte ricordano con precisione). Il bombardamento che coinvolse la Saint Gobain a Pisa colpisce anche per i suoi effetti scenografici oltre che per la distruzione che si lascia dietro. La paura è vissuta con modalità diverse che vanno dall’incapacità reattiva, all’isterica disperazione.

Elda: A Navacchio quando c’erano gli aerei in giro davano prima un allarme, se gli aerei erano a Livorno c’era l’ allarme anche a Pisa… e quindi la sirena l’avevano loro, noi si stava davanti, la notte (si tappa le orecchie) iiiiih! Però non ci si alzava, perché non avevano mai

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bombardato, e dunque, il primo bombardamento di Pisa, ’nfatti anche i Pisani s’ ‘a prendevano comoda coll’allarme! Nella scuola, gli ospedali, e’ c’erano i rifugi ma nessuno… Il trentuno agosto, fortuna le scuole eran chiuse, le scuole chiuse e ‘nsomma, era estate la gente stava a Pisa, non è che andava ‘n villeggiatura, era l’ora del pranzo, “Tanto non bombardano”, perché dicevano è una città d’arte, e invece bombardamento a tappeto! A tappeto! Morti, feriti, dalla Saint Gobain fino alla stazione. ‘nzomma allora tutti quando c’era l’allarme si scappava, si scappava nei campi, così s’imparò a scappà.

Anna M: Ci fu questo bombardamento sull’ora dell’una, mezzogiorno, l’una. Questo bombardamento era <al>la stazione

<al>la Saint Gobain, e ci fu tutto quel massacro. Allora questo ragazzo che gli ho detto [uno sfollato]… il mio babbo andò per vedere di queste suore [vedi episodio delle suore sfollate] con la bicicletta, lui [il ragazzo] andò per vedere se erano arrivati i genitori.

Dovevano arrivare i genitori [da La Spezia] e si trovò ‘n mezzo al sangue, in mezzo a, a tutto questo flagello di persone morte, chi senza la testa, chi senza… Se lo pò [può] ‘mmaginare! E in un punto, questo povero bimbo, ragazzino che era, vide un braccio che gli sembrò il braccio del babbo, gli sembrò ‘l braccio del babbo. Allora ebbe l’idea di toglierli la fede che aveva ancora. Lui non l’aveva dato via [si riferisce al tempo in cui si dava l’oro alla Patria], di togliergli la fede per vedere perché dentro la fede e ‘aveva il nome, il nome e la data di matrimonio. Invece vide che il babbo non era, però si mise a guardare fra tutti i morti e non vide, meno male, perché dopo dei giorni vennero da La Spezia a piedi, varcando ‘l monte varcando tutte le, le peripezie che potevano trovare. Quest’òmo che poteva

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esser preso, passarono ‘n mezzo a tutti i monti. Passarono ‘n mezzo ai partigiani e vennero a piedi. Si vide che erano salvi.

Chiara: Che festa!

Anna M: Lo pò [può] ‘mmaginare! Sì! E questo ragazzo… Finchè non si videro non si sapeva. Non c’era mica il telefono, non c’era mìa nulla

Chiara: E il momento di paura più grande della guerra?

Giuliana: Sì, eh, quando bombardavano, anche a Pisa il trentuno agosto che paura, che effetto faceva! E poi c’era la gente di qui che lavoravano a Pisa; arrivavano feriti qui a Carci, venivano a casa, ma feriti, e quelli poi che han portato all’ospedale anche, che momentacci.

Elda: Che poi quando ci sei è una cosa strana, almeno io, non avevo paura di morire!

Chiara: Come no?

Elda: No!

Chiara: Ma perché? Non ci pensava? Io me lo son sempre domandata, a me la paura m’avrebbe…

Elda: E anch’ io me lo chiedo a me, l’amica mia se sentiva un aereo

“Aaah!” si metteva a strillà. Io, sì, ‘nzomma ero un po’… Non è che ridevo, però… Non lo so, è una cosa che… Che ti viene dal dentro:

io di morire non avevo paura! Niente! Eppure i morti c’erano tutte le mattine, i feriti, e anche gravi, io non lo so, dentro di me… Avevo più paura di non trovà nessuno a casa mia, questo sì, che come potevo scappavo a vedè questa casa, quello sì. (si commuove) E allora dicevo: “Ma a mia mamma, a mia sorellina…” perché c’ho una sorella più piccola da otto anni da me, io pensavo più a loro di trovarli feriti, morti, mio padre, che non… Io dicevo… Non me lo

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chiedevo se morivo, se campavo, se… Forse era sto pensiero d’ ‘a famiglia, forse questo mi teneva… Fatalista, diciamo. ‘ceva: “ Tanto io non moro!”. Non lo so, ‘nvece l’amica mia, urli strilli, se sentiva poi le cannonate si metteva tutta nel letto, vestita tutta… Rinvoltolata come ne’ ‘a panza de’ ‘a madre! (…) e infatti non usciva, lei non veniva ai campi, la sorella veniva in bicicletta, la mattina a andà…

Rina:Una volta buttarono tutti lampioncini su Pisa, allora c’erano, c’errano tutti i lampioncini.

Francesco [il figlio]: i bengala!

Rina: I bengala? Allora dalla finestrina, Manola la… Non zo, è stata chiusa, ‘nvece era aperta, da quella finestrina lì… Perché si stava in quel momento lì, si stava lì nell’appartamento che ha Manola ora.

Francesco: E vi siete affacciati alla finestrina?

Rina: Dalla finestrina si vedeva tutto, e allora vidi anche arrivare questi aeroplani che..e le bombe che scendevano, certi così, così eh!

È stato pauroso.

Auretta: E poi bombardarono a Pisa alla Saint Gobain eh... La Saint Gobain che ce n’è morti tanti di Carci laggiù.

Chiara: Che ci facevano lì a Pisa?

Auretta: Era una fabbrica, lavorare, a lavorare! Ne morì parecchi, sì, era il trentuno agosto era…

Chiara: Era estate…

Auretta: Il trentuno agosto era, anche di Carci ce ne rimase parecchi… E così, la guerra è triste, per tutti…

Milena: Io, ‘na volta sentii… C’era ‘n cane lì vicino a noi e quand’abbaiava io dicevo: arriva, è arrivato le le…” Proprio lo sentiva prima lui che arrivassero l’apparecchi, infatti quando

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abbaiava lui, Tosco si chiamava, io dicèo: “Adolfo, io mi arzo, io mi arzo”, e una volta mi trovi giù ‘n camicia da notte, sai? Se tutta la gente lì che scappava… A me mi garbava scappare fòri, invece Adolfo mi reggeva, dicèa: “È più pericolo anda’ fòri”, allora s’andava sotto una ‘apanna che c’era una parete grande, sai? Così, tonda, dicèa: “Sotto a questa parete bisogna stare!” E insomma, la paura da morire.

Un bombardamento aereo fu effettuato proprio nei pressi di Calci ma non se ne sa il motivo. Quel che è certo è che nei racconti c’è una grande confusione tra bombardamenti, cannoneggiamenti, come fossero raggruppati tutti indistintamente sotto la voce “sgomento provocato dalle esplosioni”. L’esposizione di tali ricordi, poco lineare e densa di onomatopee, sembra rievocare il caos in cui ci si sentiva in quei momenti

Chiara: E lei della guerra che ricordi ha?

Giuliana: Ero piccola, non me ne ricordo perché anche bombardavano qui a Caprona, allora si stava qui a Cappetta e si vedeva, mi riòrdo bimbetta, si sentivano rumori, ci s’affacciava...

Quell’areoplani che sganciavano le bombe sul ponte di Caprona, quello me lo ricordo e poi anche qui a Rezzano una bomba, mi sembra, ‘nzomma ci furono anche dei morti qui a Rezzano. Sì, la strada qui che si va a Montemagno. Era brutta sì… Mamma mia che momentacci, ma s’è passati anche quelli.

Auretta: Poi si dovette anda’ via di casa, perché bombardarono il ponte di Caprona laggiù a Caprona. Venivano l’aerei che poi

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buttavan le bombe su questo ponte, no? Siccome noi di casa…

Dovemmo anda’ via…

Chiara: Ma Caprona era un po’ più lontana?

Auretta: Caprona è subito qui, ‘un è mìa troppo lontana! Giravano anche qui sopra noi tutte quante queste… E si vedea proprio sganciare la bomba, si vedea sganciare la bomba. Si vedea un affare che poi facea pffff, facea, lo schiocco forte. Allora noi eravamo sfollati. S’andò via di casa proprio. S’andava in certi fossi, vallini, si facevano rifugi e si stava lì sotto, oppure i<o> c’avo ‘no zio, sopra la Certosa, il fratello del mio babbo. S’andò tutti lassù s’andò, un po’

più distanti perché…

Chiara: …certo un pochino più a riparo…

Auretta: …un pochino più a riparo eravamo, c’eravamo… Tanta gente gente. Si dormiva nelle stalle (ride), c’è stato parecchio, parecchia [gente] nel tempo di guerra ce n’era tanti, fra militari, tutti quanti, sfollati da tutti, da Pisa, da tutte le parti venìano bene in qua, sfollati tanti ce n’erano a Calci.

Chiara: Si vede che magari era…

Auretta: …un po’ più riparato sarà stato, un po’ più…

Rina: Quando fui ferita della cosa... Eh, questo lo puoi raccontare perché… Scoppiò una bomba nella casa di Margherita e le schegge facevano così, allora battè prima nel coso del fico e noi ci rimpiattammo tutti sotto la rimessa e la scheggia era una scheggia lunga così, la buttai via, poi la ributtai nella Zambra, sono... sono stata scema proprio, la dovevo tenere e dovevo chiedere…

Chiara: Il risarcimento.

Rina: Eh. E invece di venire così (fa un gesto per indicare

“perpendicolare al braccio”) venne così, sul braccio e da proprio un minuto prima dice: “Dammelo un po’ a me!” fece babbo, no? Dice:

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“Lo tengo io ‘n po’ ‘n braccio” e io gli detti il bimbo, così, rimisi il braccio così e arrivò la scheggia. Allora poi il dottore mi voleva fare l’antitetanica, io, siccome mi ricordavo che da piccola caddi e, vedi?

Qua c’ho la cicatrice e… Me la feci e gonfiai tutta, gonfiai tutta, e patacche in faccia, addosso… Insomma, ero allergica all’antitetanica, e il dottore disse: “Bisogna farla perché le schegge son velenose” e mi obbligò a farla. Dice: “Lei ne fa metà, dopo du’ore, se non ha avuto le cose –dice- fa l’altra metà” e io l’altra metà la presi, bum!

La buttai nella Zambra e fu ‘na man santa perché solo per metà passai una notte… Tremenda.

Chiara: Sei gonfiata?

Rina: Gonfiata? ‘E patacche che andavano e venivano! E giù nel bottegone, siccome s’andava giù a dormire, c’era un signore di Pisa, dice: “Eh! Ora gli passa, gli passa...!” perché io cominciai a piangere poi perché c’aveo Michele piccolino in braccio, lo dovevo tenere

‘nzomma ‘n affario… E per fortuna piano piano passò.

Chiara: Meno male che era solo metà!

Rina: Eh, se l’avevo presa tutta ero bell’e partita! E da allora non l’ho mai voluta.

Chiara: Nel bottegone c’erano le persone?

Rina: Giù sotto, nel magazzino. Eh, perché l’ingegnere Messerini venne e disse: “Con queste volte nemmeno le cannonate ci possan far qualcosa” e allora tutte le…torno torno così avevano messo le brandine, i lettini.. Passavano dar cancello… E però c’era pericolo sempre

Chiara: Si stava sempre con l’ansia!

Rina: E perché la notte loro c’avevano un cannoncino e giravano su e giù, sicché quando passavano sul ponte, ddrrruddrruudrruddrrudru, che si sentiva ‘l rumore, si faceva: “Eccoli! Arrivano!”. Mi ricordo che l’aeroplano invece di… L’areoplani venivano dalla Verruca e

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andavano… Volevano buttar giù il ponte di Caprona e invece questa volta, invece di…

Chiara: Il ponte sull’Arno?

Rina: Eh, il ponte sull’Arno, il ponte di Caprona, lo volevano buttar giù. Buttavano giù tutti ponti. E invece partì di là e ammazzò l’amica mia, Anna, che si trovavano sfollati su a Tre Colli, questo sì, lo so, che... e perché noi si vedevano.

Rina: Su della Verruca ‘osì sentì uoooooooo pum! E ne vedevi così, le vedevi le bombe, certe bombe lunghe così le vedevi, cascare;

Chiara: E poi quella volta sbagliarono...

Rina: E chi lo sa cosa combinarono, la buttarono lassù e buttarono giù case e tutto, e Anna ci morì, sotto le bombe. Certo, io quando vedo quelle cose là [immagini di guerra al telegiornale] mi viene...

mi sento rabbrividire propio… E non s’è visto tutto!

Bianchina: E allora, voglio dire, la nostra famiglia era una famiglia normale ‘nsomma, soltanto che poi venne, capitò, la guerra. La guerra dunque noi si stava in via Venti settembre, (vede che prendo appunti) intanto lei segna, poi quando venne la guerra, dunque, le prime cannonate si buttarono subito in giù la mi’ casa, subito! Che le cannonate erano di là d’Arno, i Tedeschi [confonde con gli Americani] erano di là d’Arno che venivano, volevano attraversà di qua, non potevano attraversare perché i ponti erano buttati giù, però le cannonate erano… le prime cannonate mi buttarono giù la casa.

Noi si rimane senza niente, soltanto le materasse, una tazza, du’

piatti e poi… e così. La mattina quando ci si alzò, ‘nsomma, si vide esto macello, c’era sotto la strada un ripostiglio e s’andò lì, però tutto il vicinato andava lì e non ci potevam restare, mio padre un po’

geloso diceva: “O Anna” mia mamma si chiamava Anna, mio babbo si chiamava Marino e diceva: “O Anna, questi bimbi qui son piccini,

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tutti insieme” poi c’era ‘ pidocchi, c’era d’onni ben di Dio. Allora si disse: “Guarda, si fa così, si va a monte, si prende le materasse e si porta i bimbi…” hai visto dov’è la casa del Ciucci pe’ andà al cimitero, sotto Giovanna, dove c’è Giovanna, c’è quella palazzina a destra, no? Eramo sfollati lassù nell’ulivi, c’era una donna che pascolava le pecore nei mi’ ulivi, Leonta si chiamava, Leontina

‘nsomma, ci portava la ricotta perché pascolavano sempre le pecore nei nostri ulivi e ‘nsomma l’usanza era di farsi da’ ricotta, da’ la ricotta a noi, allora [il babbo] ci disse: “Mettetevi lì sotto l’ulivi”

perché appunto era d’Agosto, non era mìa di… Ora, agosto, eh.

Sicché mi’ padre pover’omo, dice: “O come si fa ‘on questi bimbetti?” avevo quattordici anni, mio fratello ne aveva dodici…

No, nove ne aveva, ci corre tre anni. E diceva lui, il mi’ babbo, che era sempre stato attaccato alla famiglia, dice: “ O Anna, a vedè…”

era di quelli che piangeva spesso, diceva: “O Anna, a vedè questi bambini, questi figlioli sotto un ulivo…” allora Leonta disse: “Venite a dormire nella stalla delle pecore” e s’andò lì però le bestie si portarono via perché c’è le zecche c’è… Allora si decise di andare alla fattoria, qui dallo Scorzi, si chiamavano Scorzi, c’è un palazzo grande ci stava il conte Tadini, e s’andò lì a… No da… No lì…

Scusi, ho sbagliato, a fattoria Rosselmini dal fattore nostro che ci s’avea l’ulive, e ci disse il fattore… Si chiamava… Faroni! Guarda mi ricordo come se fosse ora, ‘ce “ O Marino, vieni a dormire nella stalla dei cavalli” oh! Vorrei vedè che tu sia scalognato: s’andò lì a dormire, la mattina ci s’alzò per andà a lavarsi in qua e in là, alla fonte… Presi le cannonate anche lì! E guardi che non le racconto…

Sono mezza… Sono vecchia, sono mezza… Però la testa… Io non mi ricordo ‘sa ho mangiato ora però mi ricordo le cose di cinquant’anni <fa>! Allora il fattore disse: “O Marino, io non so cosa dì, proprio…” …e spaccò tutta la stalla [una cannonata]. Allora la

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mia zia, c’era la sorella della mia mamma e stava da Scorzi, li vicino, no? Dunque, Rosselmini è come qui, e lo Scorzi è qui lì ‘ndo’ sta più avanti il Benvenuti, il palazzo… Un poìno più in là… e c’era mia zia, la sorella della mi’ ma’ e suo marito, Cide, e Enzo il figliolo, e Beppina la figliola, loro stavano lì perché erano fattori, lui era fattore questo Cide, di questa… Scorzi, di questa fattoria, diciamo di questo podere, podere, di questo padrone, e allora ci disse d’andare lì e ci dettero una bella stanza, si stava bene, riparati e tutto… C’avevano un grandissimo orto, ma tanto, c’era le pere, le pesche, le susine, e poi c’erano colti<vati> tutti i barzucchini, fagiolini, pomodori, radicchio… Di tutto. Allora ci disse il nostro Cide, ci voleva bene, veramente, poi le dico quel che è successo… Allora ci disse: “ Guarda, Anna, te ti metti qui, se poi aiuti a Beppina, aiuti a Enzo, a fare l’orto” io ero piccina, ‘nsomma avevo quattordici anni, però io m’arrangiavo, allora ci si trovò d’accordo che li si aiutava a fare questi lavori nell’orto, però n’i’ monte, lì a Verruca lì, c’era sfollati tutti di Pisa, c’era tutti gli sfollati di Pisa, allora la mattina noi ci si levava alle quattro con Beppina, s’andava a quest’orto, si coglieva tutta la verdura, frutta, poi si metteva tutta esposta e poi gli sfollati scendevano giù e venivano a comprare la roba. Allora io le dico una cosa: io la mattina alle quattro, perché poi loro venivano giù perché alle nove incominciava il bombardamento, cannonate, alle nove si doveva esse’ tutti in casa perché cominciava questa strage, mi’ padre pover’omo purtroppo gli toccava andà al cimitero e quando successe il bombardamento, le cannonate lì al ponte dei Guidoni, lo sai dov’è il ponte dei Guidoni? Dunque, te vai, in giù verso Pisa, l’incrocio dove il figliolo di Guido aveva i motori, lì è il ponte dei Guidoni (…) la mattina ci successe un cannoneggiamento e portarono quattordici morti, mi pare su un carretto, e dovette andà [il padre]… Fece una bùa grande, li sotterrò lì perchè… Guardi signorina, io non la

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conosco, però mi creda, è cose vere, è Vangelo questo qui (si commuove) non ni dico che è una cosa… Verità Vangelo! E allora mi’ padre purtroppo… Sicché io mi levavo la mattina presto co’ la mi mamma, che aiutava a farsi mangiare, con la mi’ zia Eugenina, e noi s’andava a cogliè’ tutta esta verdura, poi venivan giù tutti li sfollati che erano a Verruca, e portavano, compravano la roba, per andà… Per fortuna era estate, c’era tanta roba da mangiare: grano, granturco, si arrostivano le pannocchie e il granturco poi si mangiavano. Poi successe che a mi’ padre ni venne il broncopolmonite, eramo in questa casa qui, e combinazione anche alla figliola, cioè le mi’ cugina Beppina che ora sta a Torino che conosce anche nonna

Chiara: Sì, sicuramente nonna la conosce…

Bianchina: Ecco ora io tanti particolari non li posso raccontà, no perché non voglio, perché poi nonna non li conosce, però sì di Adele, Rina…eh! tu’ nonna lo sa… e allora comincia e gli venne esto broncopolmonite a mi’ padre e alla mi’ cugina… lo vole il caffè?

(…) allora le dicevo, quando successe quest’affare, broncopolmonite, le medicine non si trovavano, allora mi’zio Cide conosceva un generale militare che sta…dunque…lei non è pratica di Calci?

Chiara: Un po’

Bianchina: Dov’è la posta la sa?

Chiara: Sì

Bianchina: Prima della posta c’è un cancellino che c’è sempre? Sotto lì dov’è Carla che vende la verdura, ha la bottega… Ci stava un colonnello militare, un medico era, e lui c’aveva tutte este grandi medicine, allora si disse… si conobbe, ‘sse: “Guardi c’ho mia figlia con mi’ cognato che c’ha il broncopolmonite” dice: “Vieni, ti do l’antibiotico ti do tutto” nel mentre era lì che aspettava gli desse le

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medicine, una cannonata lo prese in pieno, e gli staccò un braccio, così, allora lo portarono al seminario, ‘nsomma all’Oasi

Chiara: Perché c’era là l’ospedale militare

Bianchina: Brava, all’Oasi c’era l’ospedale militare e la mi’ mamma pora donna, che era… <non> stava bene, andò all’ospedale militare all’oasi e quest’omo li staccarono il braccio e glielo misero ‘n fondo al letto e rima<se>…e poi dopo morì pover’omo perché ‘nsomma, guardi verità Vangelo! Allora ‘nsomma successe anche questa disgrazia, tutto quanto…mio cugino, dopo che morì il mi’ zio, da così a così: non ci volle più in casa. Cominciò a di’: “Date noia, dovete andà via” ‘nsomma si fece tanto e poi tanto e ‘nsomma toccò andà via.

Asia: Poi non ci si poteva sta’ lì [a casa a San Piero] perché era il primo fronte e loro erano a Crespignano, capito? Questi Tedeschi, proprio la villa di Crespignano, l’avevano tutta loro! Capito? E poi senti, la sera arrivavan le ‘annonate, che l’Americani vennero da questa parte e arrivavan le cannonate dalla Verrùa [Verruca]

venivano a finire lì vicino a noi dove si stava dietro la chiesa di San Piero là, ‘nzomma e fatto sta che anche lì, una sera, dìo alla mi’

mamma: “Lo vedi –dìo- tutti i Sampieresi vanno a Nicosia, andiamoci anche noi! Tirano le cannonate, ne viene una in questa casa ci si rimane tutti schiacciati –dìo io- in questo baracchino qui!”

eran casette sai di quelle di prima, che non c’è nulla. E fatto sta, “No no no, io ‘un la lascio la ‘asa, si sta proprio qui!” [dice la madre]

“Guarda, se succede qualche cosa è colpa tua eh! L’hai sull’anima te!” gli facevo, sai? “Ti mòre la figliola!” Fatto sta era le due di notte, dice, via, andiamoci, perché era una cannonata dopo l’altra, erano tutti lì nei ‘ampi e ce n’era eh, ‘apito? La prima sera che ‘un voleva anda’ ‘n su, quando ni dissi io: “Mamma, guarda, andiamo ‘n

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su, lo vedi vanno tutti per in su, perché ‘un siamo sicuri...”, “No no, si sta qui”. Allora [ci] si mise nel vallino lì dove passava l’acqua, che c’era una serra, e andava a fini’ nella corte quest’acqua, ci s’era messe delle tavole e s’entrò lì sotto, io, mi’ fratello Emilio, la mi’mamma e questi du’ bimbetti piccini, sotto queste tavole arriva una [bomba] lì vicino la mi’ mamma fa: “Via, ora –dice- si va via”, mi’ fratello ferito in un braccio e ci si legò un… Un asciugamano e si chiuse casa stando lassù, e c’era il coprifuoco! Pensa un po’ te se ci trovavano ‘ Tedeschi ci ammazzavano, capito? Dìo: “Guarda eh, se succede quarche cosa è colpa tua eh mamma, perché ‘un ci si potrebbe mìa andà ora, abbi pazienza, ‘un ci se’ voluta anda’ prima ci vai ora?” E insomma, “via via ora si va”, e noi si andò dietro a lei, meno male ‘un si trovò perché se ci trovavano ci ammazzavan tutti!

Anna A: E allora vennero l’Americani e ci liberarono a quella maniera, però bombardarono a Castelmaggiore ci morì quarche perzona; poi quando… Il tempo di fame, c’era la fame, era d’estate, e laggiù a’ campo, sa nella pianura, Navacchio, lì… C’era la gente che c’aveva tutte… Erano sfollati, avevano lasciato le case, avevano lasciato tutti l’orti dove c’avevano fatto tant… Le verdure ‘nsomma, tutta la roba per vivere no? Allora s’andava a prenderla co’ carretti, si partiva di qui e s’andava al campo laggiù c’erano le famiglie ch’erano sfollati qui e s’andava a casa, no? E c’avevano de’

magazzini, la gente portava via tutto, allora si vede nella strada del cimitero, visto? Quando si viene su da Pisa, la via del cimitero…

C’era tutta la gente che andava laggiù da… Con l’aeroplani si vedevano tutta questa… Di gente transitare e un giorno bombardarono… Tanti feriti…

Chiara: Proprio qui a Calci? Dall’aereo?

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Anna A: Dall’aereo… Dall’aereo. E quarcuno ci morì per la strada lì, quarcuno ferito, qualcuno era cor cavallo che andava, sa, a lavorare.

Rimasero feriti quassù a Castelamaggiore, anche lì ci morì due o tre persone perché quest’aereo passava e tirava le bombe, noi c’andò bene. E poi dopo passati l’Americani, allora, ‘nsomma…

Chiara: Ma lei non aveva paura?

Anna A: A quell’ora non ci si rendeva conto cosa, cosa era, cosa era la guerra. Bisognava tirarsi avanti… Un giorno allora s’andava ne’campi laggiù a prende’ la roba, sicché Vanda, che stava qui, c’avevano tutta la terra, c’avean tutto, ogni ben di Dio, perché la verdura, la roba come venne la roba quell’anno lì, non è mai venuta, da tanto si vede il Signore mandava… Allora dice Vanda, alla mi’

Norma, dice: “Vieni, si va –col carretto bisognava anda’ laggiù- si va al campo a prende’ un po’di roba”. Allora si faceva il pane guarda, lassù a casa mia, si faceva ‘l pane, alla fine si ‘omincia a sentire questo, come t’ho detto, apparecchio, vuuuuuu vuuuu, perché vedevano questa grande folla di gente per la via de… Del camposanto; l’apparecchi bombardavano eh, allora la mi’ mamma

‘ncominciò a dire: “Mamma mia andateli a aiutare, se sono per la strada per lo meno l’aiutate a tira’ ‘l carretto, con la roba!” Parto io, passo di dentro sai, quando arrivano al Dragone e si incominciava vede’ veni’ ‘n su tutte le gente ferite, quello sul carretto, quell’altro lo portavano… A spalle, ‘nsomma, tutta la gente ferita che veniva al seminario, la portavano al seminario. Allora la mi’mamma

‘ncominciò a di’: “Una ce l’avevo e una ce l’ho mandata!” Mi fermai nella casa lì, dal Dragone, eh, faceva questo lavoro qui (fa ondeggiare le braccia), andava ‘n qua e in là così, la casa, da tanto il vuuum! Vuuum! Capito? Rintronava, e io mi rimpiattai lì, ‘un c’andai più giù, ma Vanda, quando arrivò laggiù che c’è ‘l fosso, c’è il muretto, loro quando arrivarono lì che, queste ‘annonate,

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s’ammazzò un cavallo, s’ammazzò un uomo al muro così, si buttò di sotto ‘n questo… Vallino, eh? ‘Un c’era un collo di fiasco e ‘un ci si tagliò un piede in questo vallino? Sicché disgraziata venne a casa con questo… Poi come Dio volle queste cannonate perché si vede quarcuno avrà detto: “Ma ‘un sono…” pensavano fossero l’Americani, quarcuno, no, dice, sono gente che vanno a prende’ la roba per mangiare, capito? Allora si carmarono, allora vennero via, ma con questo calcagno pendoloni da questo collo di fiasco che c’aveva trovato… Di quelli spaventi che te lo dìo io e la mi’ mamma cominciò a urla’ perché una ce l’aveva e una ce l’aveva mandata. E c’aveva la fornata del pane lì da fini’ di fare… ‘Nsomma, come Dio volle questa arrivò lassù allora si medicò, c’era dei dottori lì, sai in casa di coso… Povera Vanda, ma… C’era la roba a sfa’ quell’anno, per mangiare, per mangiare! Era un lavorone…

A Vanda andò bene ma non si può dire altrettanto di tutti i degenti dell’

Oasi del Sacro Cuore, convertita da seminario in ospedale, si doveva misurare con decessi quotidiani e numerosi

Elda: (commossa) Quando… Minimo eran due, quando meno quattro o cinque.

Chiara: Perché qui c’era l’ospedale

Elda: Era l’ospedale… quando erano morti…per terra, eh!

Chiara: Ah, per terra!

Elda: E non c’erano ‘e casse da morto, e per terra, coperti con un lenzuolo, non si sapeva nemmeno se erano grandi, piccoli, non si sapeva. E poi chissà come li seppellivano…

Chiara: Forse una fossa comune, no? Al cimitero?

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Elda: Sì, al cimitero ma a vorte era pericoloso perché mitragliavano, non lo so com’è…perché allora non ci faceva neanche effetto, pensa!

Chiara: Perché eran talmente tanti…

Elda: Tutte le mattine! Io me ricordo che ‘un si chiedeva s’eran maschio o femmina, niente, qui c’era qualche militare, veniva qualche donna, uomini in borghese ‘un si vedevano; ‘n si chiedeva neanche l’età, sai a vorte… ma non…non lo sapevano neanche loro, perché forse venivano anche da Castelmaggiore, non…non ho la più pallida idea. Tutte le mattine c’era morti, quand’erano pochi erano due, capito? Ecco perché voi giovani dovete lottare, proprio, è ingiusta la guerra, è ingiusta! Ti leva la gioventù, l’adolescenza…

Tutto! Fortuna c’era un po’ d’amore perché la natura è quella, capito? Fortuna pensavi… ’un pensavi neanche cosa gli succedeva, gli poteva succedere a questa persona come lui di me… E ci si vedeva allora, per vedersi “ciao, ciao” era finita, era finito, capito?

Va be’ andiamo.

Nonostante l’indubbia gravità del momento, c’è qualcuno che riesce a vedere il bicchiere mezzo pieno anche riguardo ai bombardamenti perché fornirono la scusa per essere esonerata dal frequentare un noioso e faticoso corso di studi

Chiara: E della guerra cosa si ricorda?

Anna M: Della guerra mi ricordo tanto. Mi ricordo ‘ bombardamenti, ecco. Io, ritornando ‘ndietro, io avevo molta… Avrei avuto molta molta passione per studiare, mi piaceva studiare, però in quel tempo non è che ci fossero altre ragazze che qui del paese andavano a Pisa e allora, con tutta l’austerità che c’era ‘n quel tempo, dice: “Mandare

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una bimba ‘n tram- dice- una bimba sola ‘n tram… Per carità! Per carità! Se succede mai…” sicché io non potei studiare. E, e allora…

cosa che tre anni dopo, tre anni dopo, perché da me alla mia sorella ci corre tre anni, da uno all’altro tutti [intende che tra tutti i fratelli c’erano tre anni di differenza] e dopo tre anni ci fu un, un piccolo risveglio, e cominciarono a volè andà a Pisa a studià. Ossia i mi’

genitori mandarono a Pisa a studiare e, la nonna li ricorda, Pina Taddei, Ersilia Cei, Rita Simi, e andandoci tutte queste ci mandarono la mia sorella, e, e, e lei voglia di studiare n’aveva poca, ecco, sì,

‘nsomma. Comunque poi in questo, in questo periodo, essendoci i bombardamenti e, e le scuole vennero tutte chiuse e andavano a far lezione nei vari, nelle varie, nei vari luoghi dove poteva essere lontana, ‘nsomma, lontani dai bombardamenti, lontani da cose del genere, e andava ‘n bicicletta da Arrigo, lì, verso Pontasserchio, roba del genere, comunque andarono, presero il loro diploma, allora a quel punto i miei genitori mi mandarono, non avendomi fatto studiare e sapendo che io avrei avuto le capacità, avrei avuto, cercavano in qualche modo di rimediare e, e mi mandarono a, a, a imparà ‘nsomma a seguire delle lezioni di stenodattilografia e n’altra cosa… oddio… allora, stenodattilografia… Che cosa c’era abbinata?

La… sì, stenografia e dattilografia, sì, io proprio quello non ero tagliata, in quella cosa lì non ci capivo niente, poi c’è da tener presente che dovevo andare... questo corso si svolgeva la sera nel mese di ottobre, novembre, d’inverno in bicicletta a Pisa, andavo

‘nsieme a una bimba, ‘nsomma ragazzina! Questo successe… sì, non ero ancora fidanzata sicché avevo diciassette anni, incominciava già la guerra incominciava già! A Pisa c’erano tanti soldati! Questa, questo corso si svolgeva, non so se di Pisa è pratica, in fondo laggiù a Cittadella. Allora io con questa ragazza parigina che era venuta giù dai nonni, Miranda si chiamava, nel tempo che lei era venuta giù

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da… Dalla Francia, dai nonni, venne la guerra, la Francia fu, fu presa, non potè più andare in Francia. Allora andavamo ‘nsieme e mi mandarono giù a fare questa stenodattilografia. Era ‘na cosa che io non la volevo fare, in tutti i modi: sia perché non era nella mia natura, assolutamente, poi per il disagio di andare in bicicletta la sera e dovevamo… lasciavamo la bicicletta in via S. Martino, lei c’aveva dei parenti, lasciavamo la bicicletta lì e poi andavamo giù a Cittadella a questa… quando sortivamo dalla… da questo corso, era

‘l momento che i soldati sortivano per la libera uscita e a noi due ragazzine, ragazzette proprio, ci dava paura. Poi ritornare in via S.

Martino, prendere la bicicletta e tornare a casa, vento, acqua, quello che era era, era un sacrificio enorme. Fortunatamente, sfortunatamente ma fortunatamente, cominciarono i bombardamenti, cominciarono este ‘ose qui e allora non si potè più andare, con tanta gioia, perché, perché… sicché fu ‘nsomma per me… E poi la guerra, la guerra, fu una cosa, anche per qui, per noi che si ebbe fortuna abbastanza perché nonostante ci fossero stati dei bombardamenti, mi ricordo una volta eravamo a fare la fila, lì, proprio dove sta lei [io], c’era una macelleria…

Chiara: C’è ancora.

Anna M: C’era una macelleria e da Certosa eravamo sfo<llati>, and<ati>, dovemmo anda’ sfollati in Certosa anche noi, come ripeto, perché ci fu un bombardamento qui a casa mia, un bombardamento che facevano perché pensavano che alla villa Borghini ci fosse il comando dei Tedeschi, sicché fu bombardata questa zona e in casa mia ci fu un po’ (segno con le mani per indicare trambusto)…

Cascarono i vetri insomma, ci fu ‘n po’… Col pensiero che succedesse ancora un altro bombardamento… Al mio babbo i frati gli avevano dato la facoltà di portarci sfollati là dentro come già c’erano tanta… Tante persone e andammo là la sera dopo il

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bombardamento. Si prese un carretto a due rote, come avrà visto a volte nei film che fanno vedere, ci mettemmo sopra delle materasse e andammo là, sotto la sacrestia della certosa, della… Chiesa principale. Sotto la sacrestia di questa, mettemmo tutti i materassi in terra e lì si dormiva con altre persone ‘nzomma… Sempre la facoltà di poter…

Chiara: Sicché bombardavano perché pensavano che ci fosse il comando dei…

Anna M: Dei Tedeschi, lì, alla villa Borghini, mentre invece il comando dei Tedeschi, dei Tedeschi era giù a Crespignano.

Chiara: Ho capito, ho capito… Quindi c’è stato un…

Anna M: E i Tedeschi quando si sentivano… E andammo… Però io ci stavo, essendo la più grande, insieme a du’ vecchietti che erano venu<ti>, che erano anche quelli sfollati in a casa nostra, che poi vennero con noi su.

In un momento di grande paura, alcune donne cercano nella preghiera la salvezza dell’anima. Le altre, infastidite, si concentrano di più sulla salvezza del corpo:

Elda: E tutte le mattine, l’amica mia era bigotta, io no, “Via andiamo a messa! Dio ci protegga!” “ Vabbé, speriamo…”e tutte le mattine, ché lei era paurosa, ma la mattina non c’era pericolo di cannonate, principiavano… La notte, il giorno c’era il pericolo di aerei e le mitragliate, che su ci presero a mitragliate perché s’andava un po’

sempre in gruppo, no soli, si trovava “Vieni si va a prende’…” che so, “Il granturco?”… E ci si univa: una volta s’entrò in un callare, eravamo lì e c’era una grotta vicino che faceva un po’ corpo con la

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casa, t’arrivano gli aerei e gli snapper, e tutte spaventati ci si infilò nella grotta e poi passarono, mitragliarono la casa, tutte, ti puoi figurà, a strillà, io rimanevo un po’ spaventata io non…non mi mettevo a strillà, passarono, s’uscì e ci fu qualche ferito.

Milena: E poi la guerra, io avevo tanta paura, terrore.

Chiara: Lei quanti anni ha?

Milena: Io sono vecchia, io ho finito ottantaquattr’anni nel diciannove di gennaio e quindi parlate con una cha ha passato la guerra. Io… Però avevo l’idea di andare fuori, sai? Quando sentivo… Perché il ponte di Caprona dovean getta’ giù, quindi l’apparecchi partivano di sopra la Verruca e venivano giù così, no? E io ero sposata da poco, e si disse con dei parenti di Livorno che erano sfollati da noi: “Si va a trovare la m’sorella” che stava a Certosa; e io me lo ricordo sempre, avevo una gonnellina marrone, di quelle coi lacci larghi [tipo salopette], ora vo’ ci ridete, via e qui c’avevo la cifra (indica il petto) e po’ ‘na ‘amicettina di quelle proprio fine fine.

S’arriva al ponte di Ménco, si sente l’apparecchi che venivano dove sta ora… Lo sapete?

Valentina: Sì, alla Corte.

Milena: Alla Corte! Perché io abitavo nella Corte e quando ho sposato io sono tornata nella Corte, in quella palazzina dove sta Torquato e noi si stava nella palazzina prima. E io… Per terra… Si buttarono tutti per terra. C’era una mi’ cugina di Livorno tanto religiosa: “Raccomandiamoci l’anima!”, “Noo!” Io urlavo: “Noo!

Non voglio morire, non voglio morire!” Urlavo. Il giorno dopo ero tutta gonfia (indica la gola) ‘osì, dall’urli che facevo dalla paura, eh!

E invece lei guardava e faceva… Aveva parecchi anni più di me, io avevo vent’anni, quando ho sposato, quindi mi pare c’aveva dodici anni, tredici [in più]. Mi si era messa sopra, poverina! Per riparami,

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no, facea: “Ecco, è l’ultimo! Questo è per noi, questo è per noi, raccomandiamoci l’anima” “Noo!” Io urlavo “non voglio morì!”

(ride)

Chiara: Quando muoio di paura io non mi muovo.

Rosina S: Io, io faccio ‘ome lei io mi, mi rimbrocco.

Fortunata S: I bombardamenti!Ci fu un bombardamento anche a Castelmaggiore.

Rosina S: Come facevo io eh Fortunata? (Ride).

Fortunata: Sicché venne un bombardamento, dal monte.Venne’quest’

aerei e bombardarono…

Rosina S: Per isbaglio, ma ‘nsomma…

Fortunata: Dice “ci fu uno sbaglio”.Ma ‘nsomma ci buttarono delle bombe, ci fu, ci furono anche dei morti e vicino a casa nostra …lo spostamento d’aria ci , ci noi éramo sulla porta e ci portò ‘n fondo alla strada.

Rosina S: …Noi si guardava est’aerei ‘e buttavano le …

Fortunata: …Si guardava sai l’aerei ‘e buttavano le bombe e sembrava ‘na cosa…

Rosina S: Poi bisognò scappare, quando poi si capì!

Chiara: Era mattina, sera?

Rosina S: Era verso la sera…

Fortunata: …Verso ‘l tardi…

Rosina S: …Verso le cinque, di giugno…

Fortunata: … Verso ‘l tardi, quando si capì poi che bombardavano…

RosinaS: …Non ci si dormì a casa la notte, s’andò negli ulivi…

Fortunata: Gli aerei andavano verso Pisa e ripassavano e si vedevano che erano aerei da bombardamento.

Rosina S: Si sentiva il rumore uuuh uuuh!

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Fortunata: E lei era a sedere lì ‘osì [si rannicchia] in ‘n angolino:

“AvemariapienadigrazialSignorecontè!

AvemariapienadigrazialSignorecontè!”.

Rosina S: (Ride).

Fortunata: “AvemariapienadigrazialSignorecontè,

Tuseibenedetta!” (ride anche lei). “Ma finiscela!” le dicevo io!

Rosina S: E io letiàvo con loro perché ‘un pregavano!

Fortunata: Pregate, pregate!

Rosina S: Si va fuori di cervello…

Per il paese di Calci, attraversato dal fiume Zambra, i ponti sono indispensabili per i collegamenti. Nella loro ritirata i Tedeschi si premurano di farli saltare per rendere più difficoltoso l’inseguimento da parte degli Alleati. Su quali siano i ponti rimasti in piedi i pareri sono discordanti

Chiara:E quando scoppiò la guerra?

Paola: Quando scoppiò la guerra ‘un ci se n’accorse neanche, ma quando poi era scoppiata ci se n’accorse e per tanti anni ‘un ce ne siamo accorti perché tanto qui ‘un si vedeva neanche, fintanto poi

‘un sono arrivati i Tedeschi e poi quell’altri, hanno buttato all’aria ‘l ponte, hanno fatto tutti i ponti buttati all’aria, no? Anche qui ci sono sempre quelli qui sistemati male, che sistemarono dopo quando buttarono all’aria il ponte.

Chiara: Quale ponte buttarono all’aria?

Paola: Ponte Grande… E poi ci fecero la passerella laggiù alla Pieve c’è sempre la passerella, quello era un ponte grande lo buttarono all’aria i Tedeschi, anche qui [a casa sua] tutti i vetri rotti, per forza.

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Anna A: E invece ce n’era Tedeschi perché, quando buttarono all’aria i ponti c’erano tre Tedeschi. Buttarono all’aria ‘ ponti, mamma mia, che nottata… Eeh scema no? Senza renderti conto cosa era, si sortè fòri, da rimane’ anche fulminati perché in via Cava, lì, buttarono giù ‘l ponte, e lì dal Bartalena, lì ci ammazzarono il Fiaschi, dentro ‘l cancello del sor Eugenio, non dal Bartalena, dal sor Eugenio e era uno che era all’ospedale, lì, tuutti quei gran fili di luce per la terra, da rimanecci anche fulminati! Cascò tutto… Che lavori…

Elda: Sì, e qui (indica il ponte di via Cava) ci scrissero “sbrigatevi”.

O lì, o lì, insomma…

Chiara:però questo non saltò di ponte?

Elda: No, poi si ritornò da questo ponte, quindi non saltò. Lei in tempo di guerra era qui?(si rivolge a un signore fermo lì) questo non saltò?

Passante: (annuisce con la testa) l’hanno rifatto dopo Elda: Ma non…senta, io abitavo lì

Passante: …[farfugliamento impossibile decifrare] costà fino al Ponte dei Morti… No, l’ha rifatto il Coppini questo

Elda: Qui scrissero con la calce “sbrigatevi” all’Americani.

Passante: Sì ma questo ‘un è stato mìa buttato giù Elda: Quando so’ arrivati…

Passante: Sì, quando son partiti da…quando l’Americani… quando i Tedeschi si ritiravano buttavano giù tutti i ponti

Elda: Sì, tutti i ponti

Passante: è rimasto solamente quello del ponte dei morti, Elda: ‘un so qual è

Passante: quello sopra a Pontegrande

Elda: Ah, quello… Ma Pontegrande era questo che fa curva…

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Passante: Perché lì ‘un ci… Quello ancora più avanti, sì, ancora un poìno più avanti…

Uno dei ponti principali del Paese, quello vicino alla farmacia, venne risparmiato perché l’ufficiale tedesco che aveva il compito di farlo saltare si invaghì di Pola, la bella figlia del farmacista, che sarebbe stato danneggiato nella sua attività. A distanza di più di sessant’anni, nel narrare quella che è diventata quasi una leggenda paesana, Rina cambia inspiegabilmente la nazionalità del militare innamorato che diventa francese

Anna M: Fortunatamente, ehm... Il tre di settembre venne… C’erano delle persone su in cima alla… Al nego<zio>… Sì, alla Certosa. Ah prima una notte cominciammo a sentire de grandi botti e fecero saltare tutti i ponti qui a Calci. L’unico ponte [che] ci rimase illeso fu quello dove abita lei. Quello fu l’unico ponte. Perché lì dove ora vendono il pane, lì eh, c’era la farmacia e la… Le figlie del farmacista, la più grande, eh… Era… Bella. E furono invitati gli ultimi Tedeschi che erano qui (…)Anna M: Ecco, tornando al ponte della farmacia. Buttarono tutti i ponti giù. Tutti tutti tutti da Caprona, anche tutti i ponticelli che ora vede rifatti, che non sono rifatti come erano fatti prima! Quello della farmacia non fu buttato giù perché, come le dicevo, la farmacista Pola era una bella ragazza. Grazia [sorella di Pola] era ancora piccola, ma Pola era una bella ragazza attraente e i Tedeschi furono invitati a cena da loro, e molto probabilmente con la raccomandazione che quel ponte lì non venisse buttato all’aria perché altrimenti saltava anche la farmacia. Quel ponte lì fu risparmiato, l’unico ponte che fu risparmiato. Quello che

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vede dalla parte di là, di ferro, non era di ferro, era di pietra e anche quello, quello fu fatto saltare.

Chiara: La cosa curiosa è che su questo ponte [quello risparmiato]

c’è una bella lapide che inneggia: “che l’ira nazista non riuscì a buttare giù”1.

Anna M: La ragione fu questa, perlomeno si diceva. Si diceva che questo ponte fu salvato dalla bellezza di Pola, ecco.

Rina: C’era un Francese…

Chiara: Francese?! Ma non era tedesco, nonna?

Rina: No. C’era ‘n Francese fra di loro, fra ‘ Tedeschi; c’era ‘n sordato francese, si metteva a sedere sulla finestra e cantava, gli piaceva di cantare, e cantava. Allora loro dissero che si dovevano ritirare perché la farmacia è sempre stata aperta, no? Allora loro che facevano, i Tedeschi? Andavano a prendere dov’erano, dove trovavano, polli, galline, conigli e glieli portavano alla signora che glieli cocesse, l’obbligavan’ a cuocerli e... Perché loro disse, il farmacista, dice: “Non me lo buttate giù da questo lato”, ma la buca l’aveano fatta però, ‘ora questo Francese dice che disse: “Se posso, se non se n’accorge ’l comandante io non lo faccio sartare, la mina”

e fa e gli dice: “Voi uscite, andate ‘n chiesa” Loro andarono ’n chiesa; io si scappò con nonno, s’andò da Amandina dove sta, davanti al campanile, dove ora c’è la merceria. Si passò la notte là. Si sentì la botta e quando s’andò a vedere lui ebbe la forza di potere...

far dire ai soldati di fa’ saltare solo di là, dalla parte di là e allora dice che entrò in chiesa e cominciò a cantare (canta) “Ama Pola...” la canzone, “Dolcissima ama Pola”, e capirono che non era saltata la mina e l’andò a salutare così perché era ‘n ritirata.

1 “Qui sorgeva il ponte che, inaugurato il 4 agosto del ’49, fu distrutto dai Tedeschi il 31 agosto 1944. A settantacinque giorni di distanza, il 5 novembre 1944, superate difficoltà d’ogni sorta

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Chiara: E poi non si seppe più niente di quest’uomo?

Rina: Non lo so.

Chiara: Ma Pola non ricambiava?

Rina: Eh no... La guardavano, ‘nzomma, non so i genitori e tenendo questi Tedeschi sempre che andavano e venivano…

Ma, come testimonia lo stralcio di intervista che segue, Rina non è l’unica a fare confusione con le divise

Chiara: Che rapporto avevate coi Tedeschi? Non avevate alcun rapporto?

Paola: Il rapporto ‘he questi ce li mettevano ‘n casa anche, venivano, chiedevano denaro e invece ce n’avevo uno solo di questi Tedeschi e in tanti posti se non s’occupava con gli sfollati s’occupavano coi Tedeschi, gli ufficiali tedeschi, o anche ufficiali italiani.

Chiara: E per mangiare?

Paola: No, per mangiare c’avevan le mense, c’avevan le cose sue…

Chiara: E quindi voi praticamente eravate costretti ad ospitare questi Tedeschi…

Paola: Eh, qualcuno bisognava ospitarlo, occuparono per forza, uno, uno cercava di prende’ gli sfollati, gente che conosceva, meglio gente conosciuta.

Chiara: Se li ricorda gli Americani?

Paola: Eh?

Chiara: Se li ricorda gli Americani?

Paola: Gli?

Chiara: Americani.

Paola: ‘Nzomma… Eh, quarcosa sì, me lo ricordo sì eh; abbiamo avuto un Tedesco, era venuto un Tedesco qui c’aveva ‘na stanza,

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‘nzomma. Poi si sentiva i Tedeschi la notte scappavano, la notte dovevano scappare perché gli Americani erano rimasti a Cascina, sull’Arno, si erano fermati lì e poi scapparono e andarono sull’Apuane e noi eravamo dietro al fronte allora, poi si fermaro sull’Apuane, no?

Chiara: E il Tedesco che era qui in casa?

Paola: No, è venuto un po’ così, pòo c’è stato…

Chiara: Ma era buono?

Paola: Sì… ‘Un mi ricordo se era tedesco o se era americano ora, ma mi pare era tedesco, una stanza, soltanto una stanza perché poi s’era tutto pieno di persone che si conoscevano. Qui a casa nostra s’era tutto arrangiati

Sebbene l’opinione comune ricordi i Nazisti come militari zelanti ed inflessibili, spesso spietati, non manca chi riesce a cogliere in loro tracce di sensibilità

Maria M: E poi non tutti erano…erano così… <cattivi>

Renzo [il marito]: No, per esempio io abitavo qui coi miei zii, qui in piazzetta e dietro alla casa c’erano i Tedeschi; bene, noi se siamo in vita si deve a loro. C’era un gruppo che non era SS, dietro casa mia, erano militari normali e mi ricordo che ci davan da mangiare eh, che loro andavano nel piano, prendevan le bestie, sarà stato giusto o non giusto ‘un lo so, ai contadini, anche pe’ vive’ loro, l’ammazzavano e poi ce la distribuivano anche a noi, dicevano da una parte si ruba e da una parte si fa del bene (ride).

Rina: Però, poi un giorno disse babbo: “Perché non lo porti un po’al sole?” [il bambino] che era una giornata di sole, bona, ‘na giornata

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bella. Dice: “Portalo a prendere un po’d’aria questo bimbo” e io presi Michele in braccio, uscii dalla porta e andavo verso la Misericordia. Mi trovai davanti due tedeschi e uno di quelli venne vicino perché vide Michele e l’accarezzò e i’ la tremarella addosso perché sapevo ch’eran cattivi e ‘nvece lui disse: “Bello, bello..” e l’accarezzò… (ride) I’ la paura… La paura addosso.

Francesco: E perché andavi verso la Misericordia?

Rina: Così,camminavo, volevo andare per in su, forse volevo andare verso ‘l barrino ‘nsomma, là alla svolta e proprio davanti alla Misericordia loro scendevano di su e me li me li trovai davanti.

Invece accarezzò a Michele.

Chiara: Ce n’erano molti Tedeschi?

Milena: E c’erano sì i Tedeschi! E mi ricordo che quando venivo giù da Adolfo lì, andavo a trovare il mi’ marito da’ frati, venivo da Montemagno io, no? E in quello stretto, lì, a Cappetta dov’è le suore poi per andare su a Rezzano, è stretta la strada e questi àvono portato via cavalli a un signore di Pisa. Erano questi Tedeschi co’ cavalli e noi i si trovò lì ‘n quello stretto che io m’attaccai proprio al muro

‘osì. Avevo ‘na paura…! E lui in tedesco, si vede mi vide aveo paura, mi fece un complimento ‘osì. Mamma mia quando furono passati! Ma sai, aspettare che arrivassero s’ava proprio paura, e poi ritornai a Montemagno e poi si ritornò giù.

Giuliana: Dei Tedeschi, anche quelli ce li ricordiamo perché,

‘nzomma, anche laggiù, in fondo alla strada.

Chiara: Cos’avevano, la loro postazione lì, oppure…

Giuliana: Lì ci stavano sì, un tempo ci sono stati un po’, sì, poi dopo quando noi s’era sfollati lassù in Valle Buia allora quando si ritiravano s’avea la ‘asa e sotto c’era la strada, si sentivano i

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Tedeschi, tu tu, mi riòrdo che si dicea: “State zitti, state zitti, non ci facciamo sentire”… E attraversavano ‘l monte e andavano via, me li riòrdo ‘ome se fosse ora: tu tu tu tu…

Chiara: Erano tanti?

Giuliana: Erano parecchi, sì, perché si sentivano un bel… Meno male che c’era le case lì, perché a volte ‘nsomma, qualche cosa l’

hanno fatta, anche, e sono entrati nelle ‘ase, ‘nvece lì dove s’era noi passavano a modo, via, senza da’ noia…

Riguardo le arroganze dei Tedeschi c’è invece una raccolta di aneddoti ben nutrita. Sul tema ogni intervistata si sente parte lesa e non rinuncia all’opportunità di denunciare ciò che ha subìto, anche quando la domanda verte su tutt’altri protagonisti

Chiara: Senta, mi racconta dei partigiani?

Asia: E glielo racconto sì dei partigiani!

Chiara: Tutto quello che si ricorda…

Asia: Altro che i partigiani! Io le racconto dei Tedeschi che man fatto a me!(…)

Rina: ‘nfatti io me li trovavo davanti nell’andito, giù Chiara: Perché dovevate tenere le porte aperte?

Rina: Con le porte aperte; le scarpe di cencio teneva uno, capito?

invece di tenere gli scarponi da soldato teneva le scarpe di cencio, di stoffa, così non si sentiva, te lo trovavi davanti, a me mi puntò ir fucile qua, io avevo Michele in braccio, “Dove essere marito?” Io pronta feci: “A lavorare con voi!”

Chiara: E non era vero!

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Rina: See, stava nascosto, stava nascosto ‘n soffitta, dietro al forno Chiara: C’era la legna?

Rina: No non c’era niente là dietro, dietro al forno... Pronta fui, proprio ’un lo so chi m’aiutò “A lavorare con voi!”, così come te lo dico io a te;

Chiara: E lui ci credette?

Rina: Eh, e lui ci credette, vedendomi ‘l bimbo ‘n braccio ‘ce: “Dove essere marito?”

(…)Chiara: A Caprona hanno preso il nonno Pino…

Rina: No, lo presero a Castelmaggiore; io non lo so com’andò a finire, so che mi mandò a chiamare e che era andato a finire [nascosto] nel giardino della cugina di Adriana e Liliana, a Castelmaggiore… Io poi piano piano presi Michele in carrozzina, piccino, con la scusa d’andà a fa ‘na passeggiata e gli andai ‘ncontro, ma non mi ricordo se venne via subito o se lo trattennero loro. Le cose passate si ricordano a volte, ma…

Francesco: Io mi ricordo diversamente: io mi ricordavo che papà aveva detto che a Caprona, che lui stava venendo a piedi da Pisa e lo fermarono due Tedeschi...

Chiara: Ah, questa, ‘un lo so, forse non me l’avrà raccontato per non avè paura…

Francesco [il figlio]: E allora dice “Tu dove stai andando?

eccetera…” ‘ce: “ehh... a Calci” no a Calci, da un’altra parte. Dice:

“Ah, va bene, allora venga con noi” e lo prese uno da una parte uno dall’altra, però lui si divincolò e andò nelle canne dell’Arno sotto il ponte di Caprona, si buttò in mezzo alle canne e scomparve, non riuscirono a prenderlo, per venire sempre a Calci. Rina: Ah...questo non lo sapevo.

Francesco: E nonno Rigoletto non lo presero i Tedeschi?

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Rina: Una volta lo presero! E lo misero a fare il muro! “Fai il muro!”

E lo faceva, “Ora risfallo!”, dice che gli dicevano. “Rifallo!” Fino alla sera. Sopra le Pescine lo portarono.

Francesco: Aveva l’armeria in casa!

Rina: Ah! E vennero poi ‘na volta, vedi? A volte me ne dimentico…

Io c’avevo pure ‘na cassa di zia Clara che me l’aveva portata, dice sembrava che fosse sicura, no? La voleva… Andà a sfondare pe’

vedè che c’era dentro. E poi mi portarono via la sciabola di nonno…era tutta dorata, bella… lavorata... se la portarono, quella semplice e quella lì, bella.

Francesco: Lo portarono in caserma… Lui si rivolse a uno che...

Rina: IO mi rivolsi a una Tedesca, il parrucchiere era che avea sposato una Tedesca, che ci andasse lei a parlare che lui era, avea passato l’età ‘nzomma, per un anno aveva passato… Non era che s’era nascosto, perché avea passato l’anni del bando.

Francesco: Di che anno era il nonno?

Rina: Eh, ‘un me lo ricordo… del ’90... mi pare del ‘90 era... 1890.

Rosina A: Anch’io in cuor mio mi c’è rimasto un qualche cosa, io per esempio c’è Schumache [Schumacher, il pilota tedesco]? Come si dice? È tedesco? Bè (ride) io per me vorrei che, che non vincesse mai! Oh, ‘nsomma, c’è rimasto un po’… E poverini, d’altra parte erano pure loro mandati come…

Chiara: …come gli altri

Rosina A: Sì però qualche volta, invece di chiudere un occhio, ‘un l’hanno chiuso anche loro, diciamo. Quello [un Tedesco] che vedendo questo partigiano, questo padre di famiglia qui che scappava, perché ‘nsomma avea paura, e gli tirarono! Qui dietro, qui di dietro (indica la nuca)! E cascò ‘n terra, ‘n terra. Era un uomo che aveva quarantatre anni, ‘nsomma, volevo dire, e ‘nsomma potevano

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anche lasciar perdere. Però è guerra e tiravano a difendersi e non sapevano anche loro chi era… Poteva anche essere uno che sparava a loro, dice: “Chi prima lo fa prima è bravo”!

Nonostante i tempi di miseria, i contadini riuscivano, non senza sacrificio, a continuare ad allevare qualche animale che allontanasse lo spettro della fame. Purtroppo lo stesso spettro preoccupava anche i Tedeschi che facendosi forti delle armi e della loro divisa, si arrogavano il diritto di requisire le preziose risorse alimentari che le famiglie tentavano invano di nascondere ai loro occhi. Il racconto, benchè tratti di eventi tragici, risulta comico quando le intervistate tentano di riprodurre l’accento o l’idioma tedesco che rappresentava tra l’altro un ulteriore ostacolo che scoraggiava ogni tentativo di relazione tra i militari e i calcesani.

Milena: Poi avo tanta paura de… E poi dei cavalli, c’erano… Avano portato via, ci portaron via tutte le bestie, i Tedeschi, ci portaron via, soltanto, mi pare, sembra, i maiali, quelli due li salvò perché era un Austriaco, si vede c’ava visto proprio votàrci le stalle, vedere magari questo zio disperato, e allora lui lo venne a avvertire, questo. E questi due maiali, li levarono. Però ‘un ci rimase più niente, proprio delle bestie, quindi devastarono i poderi, le bestie le portaron tutte via dalla stalla e quindi s’andò ‘n rovina noi. Mio marito si è impiegato dopo della guerra, prima vivevano di rendita, avevano gli ulivi e anche i poderi… La guerra chi fece arricchire, chi fece impoverire.

Era così. ‘Nsomma, siamo stati tanto male sinceramente.

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Fortunata: Ci s’aveva ‘maiali, ci s’aveva tre maiali, s’allevavano poi pe’ ammazzalli per conto nostro e anche col padrone del podere.

Loro [i padroni] ci davano il mangiare perché c’avevano il mulino, tutti li scarti della farina si dava a mangià a’ maiali. Venivan boni! E invece qualche fascista fece la spia e una mattina vennero i Tedeschi Rosina S: “Tre trinkensvain! Tre trinkesvain!” tre maiali, insomma, noi si stette un po’ senza farglieli vedere, poi quando si vide che erano

Fortunata: …sì, erano sicuri, bisognò ammiccargli dov’erano, li presero, li buttarono giù dalla cosa in mezzo alla strada

Rosina S: Tre maiali! Quel ch’avamo fattto per governarli!

Fortunata: per portarli avanti. E ‘l mi’ babbo diceva: “ Ma lasciatecene almeno uno!”

Rosina S: Mamma, mamma era! “Uno! Uno! Uno!”

Fortunata: “Uno! Uno! Uno!”

Rosina S: “Tre trinkesvain! Tre trinkesvain!”

Fortunata: Qualcuno n’aveva fatto la spia perché erano rimpiattati nell’ulivi in una stanzina col legno.

Asia: Ecco, allora, io so’ rimasta con la mi’ mamma e sicché era laggiù… C’erano ‘ cavalli nella stalla, c’era ‘na mucca, c’era e polli, conigli, c’era di tutto e ‘un s’aveva bisogno di nulla, e mi’ padre, vennero ‘ Tedeschi, quarcuno aveva fatto la spia dei fascisti, [persone]del paese della Corte! Vi dìo anche chi era…

Chiara: Addirittura!

Asia: Addirittura! Ma non voglio rammenta’ nessuno perché son morti, comunque, viene questi Tedeschi, [dicevano:] “bu bu bu” che te ‘un capivi nulla, nemmeno una parola, e allora dice: “Voglio, voglio questo cavallo, lo voglio porta’ via”, no? Vennero e vollero i fi<nimenti>… I finimenti s’erano rimpiattati da un contadino dentro

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‘n pagliaio per vedere se si poteva salvare anche quelli, no? Il barroccio era lì, dentro la ‘apanna, eh eh, ‘un si poteva di’: “’Un te lo do”, ‘nsomma no, e mi tocco fa ‘na corsa, la mi’ mamma aveva Grazia ‘n collo piccinina e c’aveva un bimbo d’uno sfollato anche!

Col fucile puntato, sicché mi disse la mia mamma: “Asia vai a prende’ i finimenti, lesta! Da questo ‘ontadino - dice – sennò vedi c’ammazza!” Sicché lesta corro e vado a prende’ questi finimenti e glieli porto, glieli porto, attaccano la sella a questi, a questo cavallo, la briglia, quello che ci voleva, le guide, tutto, tutto portarono via e l’

barroccio, portarono via ‘esto cavallo. E poi la zia, una sorella del mi’ babbo stava a Mezzana, e erano… C’avevano un pezzetto di terra e c’avevano una vacca e la volevano salvare, dice: “Sai Palmiro [il padre]- dice - ti porterei la mi’ vacca lassù nella stalla da te - dice - per vedere se si pò salvare. E che poi finita la guerra ‘osì, si riporta via tanto te qua nel mezzo, sanno assai la gente! Invece, si vede, quarcuno la vide arrivare e fecero la spia, c’era ‘ fascisti lì vicino,

‘apito? E insomma vennero e portarono via la vacca, ‘apito? Sicché il mi’ babbo sgomento dice: “Ora ‘ome si fa?” E mi’ padre, si mangiava perché era lui ‘e lavorava eh! Io ‘un guadagnavo mìa nulla eh! Mi’ marito era soldato, mi davano tre bicci di pensione, come facevo? La roba bisognava comprarla al mercato nero, quindi portarono via ‘l cavallo, “Ora ‘ome si fa a mangiare noi?” e fatto sta, cosa fece? Prese ‘l filo e andò dal capitano di San Lorenzo che hanno la villa lì, dove stava, sotto… Per indà [andare] alla Certosa, c’è la villa de’ capitano? E te ‘un lo sai, ma io e lo so e c’è sempre una figliola e la ‘onosco, comunque andò da questo capitano Coli e lavorava lì nel frantoio allora lui gli riomprò un cavallo per inda’ a fa’ i viaggi, portare la roba, la salsa qua e là, ‘un lo so cos’arraffavano, lavorava lì. E intanto pigliava quella quota per mangiare, oh! Eramo io, mi’ madre, quella bimbetta e lui, eravamo

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sempre quattro perzone! Poi ci s’aveva conigli, li polli, un ovo c’era, no? ‘Nzomma e fatto sta che portarono via tutto e si rimase senza nulla; han portato via tutto, l’urtima sera che andava via’ Tedeschi che passarono proprio attraverso osì per i monti e andavano verso la Lucchesia, perché sapevano ch’era finita la guerra eh, allora, anche l’ultima sera vennero, portarono via un gallo che era certo quattro o cinque chili, vivo! Lo portarono via, e via. E via, ormai, han portato via tutto, ora ‘un c’è da porta’ via più nulla! (…)ecco, io dìo questo e guarda è un romanzo eh! ‘un lo sanno nemmeno i figlioli perché ’un gliel’ho mai raccontato! E tutti i giorni erano lì, una sera eramo soli io e la mi’ mamma ‘n casa, ti viene una squadra di questi Tedeschi tutti briài [ubriachi] e vennero a fini’ proprio davanti e noi di casa si sentiva, leste leste, allora ‘un c’era la luce laggiù, si spense le candele, dissi: “Mamma mia, mamma, se danno una botta a quella porta entrano dentro –dìo- fanno un macello!” E ‘nvece, se Dio volle avevano visto che ‘un c’era la strada, no? C’era ‘l portico e la stalla, ripresero ‘l filo e rindettero sul… [via]

Nessuna donna racconta di aver subito stupri. Che ce ne siano stati è risaputo ma l’argomento viene toccato solo se riguarda situazioni che avrebbero potuto sfociare in una violenza ma che si sono concluse positivamente. La stessa parola “stupro” o “violenza” viene accuratamente evitata e sostituita da eufemistici giri di parole come “dare noia” o “fare delle cose”

Auretta: I Tedeschi, sì, a vorte questi militari, ‘on qualche ragazza, no? Che gli piaceva, e allora cercavano d’andarci alla sera a veglia e

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poi i comandanti lì cosavano e i comandanti ci andavano anche. Se ce li trovavano li punivano.

Chiara: E dove è successo questo?

Auretta: È stato qui, di fianco al cimitero, c’era ‘na casa, più giù del cimitero, lì e s’incontrarono lì e pare ci fosse un po’ di lotta. Sempre per sentito dire, per sentito dire eh!

Maria C: E poi, poi c’è stato il periodo dei Tedeschi, che c’erano i Tedeschi. ‘N casa qui c’aveo tanti sfollati io, perché c’aveo un piano di sotto è uguale a questo di sopra e erano sfollati qui anche da Pisa c’erano, sì, e… Aspetti ho perso il filo…

Chiara: I Tedeschi…

Maria C: Dei Tedeschi, che prendevano l’òmini. Davano noia alle donne, i Tedeschi. Io nel tempo… Mio marito e i suoi eravamo tutti qui, però i suoceri stavano un po’ di sopra ed erano tutti sfollati anche giù, anche loro vennero, e io andavo su a casa dei miei suoceri perché c’avevo anche una mia nipote dell’Elba con me, perché io son dell’Elba, io son di Porto Azzurro. (…) Un giorno eravamo…

C’aveo il mi’ suocero che era su e andai a farli magiare, perché lui rimase lì, era anziano, andai a farli mangiare, e mentre rimanevo stavo così alla tavola e si vedeva la porta, mi dissero, dice: “Maria stai attenta, chiudi perché ci sono i Tedeschi, ‘ prendono le donne!”

Feci io… Era quindici giorni che avevo sposato, era proprio nel quarantaquattro e invece vidi che venivano due Tedeschi in qua verso di me, io chiusi la porta, però cominciarono a battere col fucile che aprissi e c’avevo anche una mia nipote con me, dell’Elba.

Entrarono dentro e presero subito le scale per andare al piano superiore, c’era la camera sopra, e… Mio suocero lo presero e lo portarono via e poi intendevano di farmi del male, allora mentre salivamo le scale dissi a mia nipote, dissi: “Vai a chiamare qualcuno

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a casa” e qui c’erano le donne sfollate e allora vennero ‘n su tutte queste vicine anziane e loro sentirono delle voci e allora andarono via e così che mi salvarono. Allora dopo quando andarono via mi fecero capire che tornavano l’indomani alle cinque, “Sì sì”, ho detto

“sì sì”, e poi dissi, perché portarono via mi’ suocero con una damigiana di vino, allora gli dissi: “Tornare papà, tornare papà” e meno male che lo spostarono.

Chiara: E suo marito non c’era all’epoca?

Maria C: Era sfollato qui, infatti lo reggevano perché voleva venire lui su, ma i Tedeschi prendevano gli òmini! Poi fecero saltare due ponti, quel ponte che divide… Dove c’è la Casa del Popolo, quel ponte lì, e poi c’è un altro ponte qui davanti, quando si accorsero che dovevano andar via fecero saltare tutti e due i ponti.

Anna M: Mi ricordo che vennero giù, come le ripeto, vengo giù spesso con questi due vecchietti; e un giorno venni qui [nella sua casa, dal momento che erano sfollati], no? Entrarono questi Tedeschi. Due, e mi dissero: “Essere audizione porco” io non capivo, non capivo, non capivo, ‘nsomma, poi a furia di… Perché poi si arrabbiavano perché non si capiva. Finalmente “Porco, Porco”

finalmente capii che volessero dire maiale, questo dopo. Prima mi dissero: “Violino? violino” “No” [rispondeva lei] “Sì, violino”. Si vede che c’erano già stati quando avevano buttato all’aria tutto. Si vede c’erano già entra<ti> esicché uno di loro, erano due, uno di loro disse: “Violino”. In effetti c’era in un armadio un mandolino, un violino che probabilmente avevano visto prima. Io, questi due[i vecchietti] rimasero giù nella cucina che avevamo, e io con questi due Tedeschi salii su. Nella scala, che c’era l’immagine della Madonna, facevo: “Vergine benedetta proteggimi!” perché “Cosa mi faranno?” pensavo, il pensiero era anche che mi facessero delle

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cose… Invece fortunatamente gli aprii l’armadio dove avevano già visto cosa c’era, e videro questo violino, lo guardarono, videro che c’era delle corde rotte, non fu bono. Potei venir via, ringraziando la Madonna che non m’avevano fatto nulla

Chiara: Immagino il cuore!

Anna M: Il cuore si stringeva perché adesso ero nelle sue [dei Tedeschi] mani, non c’era niente da fare, [a] questi du’ vecchi ni davano una pedata e… Allora a quel punto tornarono giù e volevano bere. Io ‘un c’avevo vino, ‘un c’avevo nulla e cominciarono [a dire]

questa parola che l’ho detto prima: “Audizione porco, Audizione porco”, io per liberarmi dissi: “Sì, sì!” e li mandai di qua, in queste case qui, c’è un cancellino dietro là che immetteva in questa stanza, da questa parte più… Gli aprii il cancellino, dissi: “Sì, sì”, [ma] qui

‘un c’era, figurati! L’avevano portato su a Nicosia! E io presi le gambe, lasciai questi due vecchi e scappai.

Chiara: Ma si è sentito mai che avessero abusato di…

Anna M: E come no? Sì! Qui a Calci forse no, io non ho saputo, però in altri luoghi sì.

Gli uomini potevano contare sulla complicità e le prontezza di spirito delle donne che li tenevano nascosti per farli sfuggire ai frequenti rastrellamenti tedeschi. Le donne di tutte le età erano impegnate nel deviare i sospetti dei Tedeschi, nell’avvisare di pericolo i propri uomini con vari espedienti e nello sfamarli di nascosto

Rosina S: Il due di Agosto del quarantatre o quarantaquattro.

Fortunata: No quarantatre.

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Rosina S: Quarantatre eh. Eravamo a Castelmaggiore “Ecco i Tedeschi!I Tedeschi!”Sicché tutti a scappare per le case a rimpiattarsici. Noi ci s’ava parecchi omini ‘n casa!

Chiara: E dove li avete nascosti?

Rosina S: Si nascosero in delle stanze su

Fortunata: Lì s’aveva una stanza con un, uno sportellino, piccino, così…

RosinaS: Ci s’entrava, ci s’entrava’na persona..

Chiara: Ma piccino così però!

Fortunata: … Sì eh, piccino così. Là ci s’aveva una vetrina tipo questa, un po’ più grande…

Rosina S: …Ci si mise…

Fortunata: …La sera andavamo a letto, ci si portavano un vaso…

Rosina S: …Era un sottoscala…

Fortunata: Per farci la pipì, la notte.Allora ci si metteva la vetrina e la mattina finchè ‘un s’era andata a leva’ la vetrina

Rosina S: Ci si mettea<dentro> Sidene, Amosse, e poi chi c’era babbo?

Fortunata: No, no, babbo no perché era vecchio, poi era malato.

Chiara: Sicché non avrebbero dovuto portarlo via.

Rosina S: Vennero i Tedeschi. Montarono la scala e andarono su.

Fortunata: A me mi metterono paura tutti armati

Rosina S: Gli si disse: “è malato! È malato!” allora andarono su due e lo guardarono

Fortunata: Guardarono le ricette

Rosina S: Poi è venuto un altro e volle andà a vedere lui, se il babbo era veramente ammalato, e loro ni dicevano a questo: “Non occorre:

è ammalato”

Fortunata: Non occorre ma ci volle andà per siggerizze [sic.

Sincerarsi]

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Asia: Ma era la notte a tocco, le due, uno spavento io e mia madre che ‘un ti dìo… E poi il giorno rimpiatta’ mi’padre, mi’fratello nelle fosse de’campi, c’aveva anche mi’padre perché lui aveva fatto la guerra quindici diciotto, era vecchio, ma se li prendevano pe’ fa’le cose, gli òmini li imbarcavano e li portavan via e poi ‘un si sapeva se li ritornavano o sì o no, comunque si rimpiattavano. Eh oh, se n’è passato, ‘un lo so nemmeno io. Proprio davvero tante(…) E una sera per ritorna’ un passo indietro, vennero Tedeschi a mette il filo del telefono, eramo lì sotto e col fucile puntato quando poi ci videro gli piazzarono sai la lampada, meno male ‘nzomma, ‘un ci fecero del male a nessuno, mi’ fratello si fece sdraiare e noi ci si mise così davanti con questa bimbetta io e la mi’ mamma e ‘l fratello era dietro ma credi anche quella sera lì che ‘un ti dico! Un romanzo! A vorte dìo un romanzo sarebbe da farlo!

Chiara: Ma il babbo e il fratello dove li nascondevate?

Asia: Eh, ne’ campi, nelle fosse, no no, mangiavano e poi via e se no gli si portava anche il mangiare lì e stavano lì, fra mezzo ‘a campi perché c’era la paura li portassero via, sempre.

Rina: Davanti, davanti dove stava Narina, era ‘na signora, eh, che quel Tedesco prese la bambina [la figlia], eh… Voleva sapere dov’era il padre [il quale era nascosto col marito di Rina in soffitta], era una bambina di tre anni, tre anni e mezzo, quando poi la lasciò [il Tedesco], che arrivò là al portone, la mamma attaccò un urlo e lui [il padre] che era su insieme a nonno Pino voleva uscire dal nascondiglio e il nonno lo trattenne, dice: “Siamo persi tutti e due!

speriamo che si...” ‘nsomma lo convinse a restare perché la mamma quando gliela portava via, attaccò un urlo sul pianerottolo, no? Che vedeva l’uscio là con la bimba per mano e mi ricordo anch’io

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