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LA PROPULSIONE MAGNETO-PLASMA-DINAMICA 33

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LA PROPULSIONE

MAGNETO-PLASMA-DINAMICA

3.1 Introduzione

Verrà di seguito affrontata più in dettaglio la propulsione magneto-plasma-dinamica, essendo la sua comprensione alla base del presente lavoro di tesi. Verrà descritto il moto di particelle ionizzate in presenza di campi elettromagnetici e le principali peculiarità del processo accelerativo e di ionizzazione del propellente.

3.2 Moto di particelle ionizzate sotto l’azione di un campo

elettromagnetico

I propulsori magneto-plasma-dinamici sono dispositivi che generano e accelerano un plasma. Il plasma viene definito come una miscela di ioni, elettroni e atomi neutri in cui un generico elemento di volume può essere considerato elettricamente neutro e nel quale una qualunque perturbazione viene schermata entro una lunghezza caratteristica detta lunghezza di Debye così definita: 2 0 0 q n kTe D ε λ =

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dove n0 e Te sono rispettivamente densità e temperatura degli elettroni del

plasma. Più chiaramente, la lunghezza di Debye è la lunghezza massima entro cui sono sensibili gli effetti di non neutralità e, per questo, deve essere minore di una qualunque altra lunghezza caratteristica del sistema per soddisfare il requisito di neutralità macroscopica del sistema stesso.

Se il plasma, caratterizzato da una conducibilità σ e da una velocità v, è sottoposto all’azione di un campo magnetico B ed un campo elettrico E tra loro perpendicolari, genera una corrente:

(

E v B

)

j r r r

r =σ + ×

Tale corrente elettrica interagisce a sua volta con il campo magnetico generando una forza di volume detta forza di Lorentz:

B j fb = × che accelera la massa del plasma.

Per spiegare il processo in termini di traiettorie medie degli elettroni è bene analizzare il moto di una singola particella soggetta a campi elettromagnetici.

Si consideri una particella di carica q e massa m che si muove con una velocità v perpendicolarmente al solo campo magnetico B. Essa è soggetta ad una forza:

B v q Fr = r× r

Sotto l’azione di tale forza il moto della particella è circolare uniforme con raggio, detto raggio di Larmor, espresso da:

qB mv rL =

e velocità angolare, detta frequenza di ciclotrone:

m qB

B =

ω

Se la velocità della particella ha una componente parallela a B (v||),

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traiettoria elicoidale con asse parallelo a B, raggio dato dalla (2.6) e passo pari a 2πv||/ωB.

Se è presente anche un campo elettrico l’equazione del moto diventa:

(

E v B

)

q

Fr = r+r× r

In questo caso il moto è più complesso, in particolare al moto elicoidale espresso precedentemente si sovrappone il moto di deriva del centro-guida (centro del cerchio di Larmor) con una velocità, detta velocità di drift, diretta ortogonalmente ai due campi e data da:

2 B B E v r r r = ×

mentre la componente del campo elettrico parallela al campo magnetico determina un moto uniformemente accelerato del centro-guida.

La particella soggetta a un campo elettromagnetico avrà, quindi, un moto rappresentato nella seguente Figura 3.1.

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Quando la densità e la temperatura sono elevate gli urti fra le particelle non possono più essere trascurati, quindi è opportuno considerare il moto di uno sciame di particelle in cui le collisioni sono da considerarsi fattori perturbativi. L’equazione del moto medio diviene:

v m E q v cr r &r= −ν

dove νc , frequenza di collisione, deve essere considerata come un termine

di smorzamento del moto. Si suppone che ad ogni urto la particella si ferma e ricomincia da quel punto un nuovo moto sotto l’effetto di campi elettrici e magnetici.

Per questa trattazione si può definire un parametro fondamentale, pari al rapporto tra la frequenza ciclotronica e la frequenza di collisione, noto

come parametro di Hall:

c b ν ω = Ω

Il parametro di Hall indica a quante collisioni è sottoposta una particella nel periodo che le è necessario a compiere una circonferenza di Larmor.

Si possono distinguere tre casi:

- Ω>>1: il plasma è poco collisionale e le particelle possono compiere molti cicli lungo la traiettoria cicloidale di drift prima di una collisione; la direzione della corrente è quella di Er× , parallela al Br

moto di drift delle particelle

- Ω<<1: il plasma è fortemente collisionale e le particelle

difficilmente completano un ciclo senza una collisione; la corrente fluisce in prevalenza nella direzione parallela ad Er

- Ω ≅1: le componenti del vettore densità di corrente parallela e

perpendicolare al campo elettrico sono di intensità paragonabile tra loro.

In un gas ionizzato ogni tipo di particella è caratterizzato da un ben determinato valore del parametro di Hall che può essere anche sostanzialmente diverso tra una tipologia di particella e l’altra; si possono avere quindi correnti ioniche con comportamenti completamenti differenti

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rispetto alle correnti elettroniche. E’ quindi opportuno distinguere, ad

esempio, un parametro di Hall Ω+ relativo agli ioni ed uno Ω- per gli

elettroni; infatti il primo è molto più piccolo del secondo, avendo gli ioni massa maggiore, e il comportamento dei due tipi di particelle sarà quindi diverso come si può vedere in Figura 3.2:

Figura 3.2 Effetto delle collisioni sul moto degli ioni e degli elettroni

Dalla figura si vede che la corrente che nasce ha due componenti, una diretta convenzionalmente come il campo elettrico, l’altra diretta nella

direzione Er× . Questa seconda componente prende il nome di Corrente di Br

Hall.

3.3 Il processo accelerativo MPD

In un propulsore MPD il plasma ed i campi elettrico e magnetico necessari alla sua accelerazione, vengono prodotti semplicemente applicando un’opportuna differenza di potenziale agli elettrodi, presentando quindi un’estrema semplicità funzionale.

In un propulsore con geometria coassiale, che si è rivelata la migliore, la corrente, che tende a fluire quasi radialmente, induce un campo magnetico azimutale : la forza acceleratrice di Lorentz risulta quindi prodotta dall’intersezione tra il plasma, la corrente ed il campo magnetico indotto dalla corrente stessa.

Come mostrato nella seguente Figura 3.3 le linee di corrente tra anodo e catodo non hanno un andamento perfettamente radiale, quindi si hanno due componenti della forza: una componente assiale detta di soffiaggio

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(blowing), direttamente responsabile della spinta e una componente

centripeta detta di pompaggio (pumping) diretta verso l’asse del propulsore

che confina il plasma in un getto cilindrico.

Figura 3.3 Schema di un motore MPD a campo magnetico autoindotto

In realtà il campo magnetico autoindotto non è perfettamente azimutale, e sono quindi presenti altre componenti di forza non utilizzabili ai fini propulsivi.

Fenomeni di natura elettrotermica e gasdinamica possono concorrere alla generazione della spinta. L’arco elettrico che si instaura tra catodo e anodo riscalda il propellente che successivamente si espande verso l’esterno del motore. Solamente nelle fasi iniziali di funzionamento, cioè quando il plasma non ha ancora raggiunto la completa ionizzazione, e per regimi di basse correnti, tale componente di spinta risulta significativa. Opportune geometrie dell’anodo possono innalzare questo contributo fino al 30% della spinta totale. Un’altra componente gasdinamica si deve, invece, all’iniezione in camera di accelerazione del fluido di lavoro da parte degli iniettori. L’espansione è così esigua che è solitamente trascurabile.

Fino ad ora sono stati considerati propulsori MPD con campo magnetico autoindotto, che necessitano di alte potenze per avere correnti di scarica elevate per poter generare campo magnetici tali da fornire spinte apprezzabili.

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Per lavorare con potenze inferiori, al di sotto dei 100 kW, è necessario applicare dall’esterno il campo magnetico utilizzando un solenoide, avvolto all’esterno dell’anodo.

Il forte campo magnetico assiale ostacola il flusso di elettroni verso l’anodo, forzandoli a seguire traiettorie che si protraggono ben a valle della sezione di uscita. Nelle zone dove le linee di corrente curvano assumendo una componente radiale più marcata, la forza di Lorentz, generata dall’interazione della corrente con il campo esterno, presenta una componente azimutale, che aiuta il sostentamento del moto spiraleggiante

degli elettroni. La corrente generata da questo moto, detta corrente di Hall,

interagisce con il campo magnetico dando vita ad una componente assiale di spinta.

Nel caso di campo applicato si aggiungono altri due importanti meccanismi di accelerazione del plasma:

- accelerazione di Hall, dovuta all’interazione tra la corrente azimutale, indotta dalla componente assiale del campo magnetico esterno, e la componente radiale dello stesso campo;

- accelerazione gasdinamica, dovuta all’aumento della temperatura del plasma a causa del maggior numero di collisioni che si hanno per il moto rotatorio del plasma generato dall’interazione della componente radiale della scarica con la componente assiale del campo magnetico applicato.

3.3.1 Processi di ionizzazione del propellente

La ionizzazione del propellente può avvenire grazie ad eventi di diversa natura:

- per l’effetto di un campo elettrico che, mediante un’azione di natura elettrostatica, riesce a strappare un elettrone ad una particella neutra ionizzandola

- per urti di particelle con elevata energia cinetica con particelle neutre che vengono così ionizzate

- per trasmissione di energia elettromagnetica sotto forma di fotoni o per interazioni di tipo chimico.

Quest’ultima forma di processo di ionizzazione ha una rilevanza marginale nel caso di propulsione MPD.

Una delle teorie che riesce a spiegare in modo estremamente efficace il rapido processo di ionizzazione tipico dei propulsori MPD è quella degli

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elettroni sovratermici di Alfven. Secondo questa teoria la ionizzazione del propellente subisce un brusco incremento quando la velocità relativa del flusso di particelle ionizzate rispetto al flusso di particelle neutre raggiunge il valore critico:

a I

ac M

u = 2

ε

dove εI è il potenziale di ionizzazione e Ma è la massa atomica del

propellente; uac è definita velocità critica di ionizzazione di Alfven; per

l’argon, che è un tipo di gas molto utilizzato nella sperimentazione di propulsori MPD, assume il valore di 8700 m/s.

Si ipotizza che il processo di rapida ionizzazione avvenga a causa di interazioni fra particelle neutre ed elettroni che si trovano in un particolare stato energetico (elettroni sovratermici) a causa dell’accelerazione ad essi impartita dall’azione di campi elettrici fluttuanti localizzati, la cui presenza nel plasma è dovuta all’instaurarsi di forme di instabilità elettrostatica.

Si può immaginare che un certo numero di particelle cariche siano create, in prossimità delle condizioni critiche, in un processo di ionizzazione iniziale, di non forte intensità. In determinate condizioni il flusso di queste particelle cariche può essere controcorrente al flusso ionico o elettronico, innescando una instabilità detta “two strem instability”, che accelera gli elettroni liberi facendo loro raggiungere livelli energetici molto elevati.

In un propulsore MPD in presenza di un campo magnetico azimutale, di un flusso di gas neutro, di una certa quantità di particelle ionizzate, e sotto le ipotesi che la densità di energia degli elettroni sovratermici e degli ioni sia superiore a determinati valori di soglia e che la velocità nell’urto ione-neutro sia all’incirca doppia rispetto alla velocità critica di Alfven, si creano le condizioni perché il fenomeno si verifichi. Poiché il verificarsi di questi urti provoca la ridistribuzione della quantità di

moto, la velocità di scarico assume valori inferiori ad uac finché non si

ottiene la piena ionizzazione del propellente.

Raggiunta la piena ionizzazione, ogni incremento della potenza fornita al motore si traduce in un incremento della velocità di scarico ma anche nel manifestarsi di fenomeni di instabilità che si accentuano rapidamente al superamento di un certo livello di potenza erogata.

Alla condizione di piena ionizzazione corrisponde un valore ben

preciso della corrente di scarica, la corrente di piena ionizzazione Ifi, che

costituisce uno dei parametri di funzionamento fondamentali del propulsore. Il rapporto:

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fi

I I

= ξ

detto numero di scala di accelerazione elettromagnetica, caratterizza il

regime di funzionamento del propulsore. Se ξ<1, la ionizzazione non è

completa, e la velocità di scarico si ricava dalla relazione:

ac

e

u

u

=

ξ

Se ξ>1, il propellente è accelerato a velocità di scarico tali che:

ac

e

u

u

=

ξ

2

Pertanto in regimi di funzionamento caratterizzati da elevati valori di

ξ, si ottengono impulsi specifici significativi accompagnati, però, da

fenomeni di malfunzionamento dovuti all’instabilità del plasma (onset) che

si manifestano con oscillazioni molto accentuate del valore del potenziale degli elettrodi del motore. In queste condizioni il propulsore presenta un livello di usura molto elevato, con conseguente riduzione della vita operativa e una sensibile diminuzione dell’efficacia propulsiva, effetto della natura dissipativa di questi fenomeni. I dati sperimentali reperibili in letteratura indicano che il campo entro cui un propulsore MPD funziona in regime pulsato quasi stazionario senza incontrare i problemi di instabilità descritti in precedenza è caratterizzato da 1 < ξ < 1.5.

3.3.2 La spinta

L’espressione generale della spinta può essere sempre posta nella forma:

e

u m T = &

in cui ue è la velocità efficace, ma è una quantità difficilmente misurabile e

poco correlabile con le grandezze elettriche del propulsore. Nel caso di un motore MPD coassiale a campo magnetico autoindotto, se si integrano le forze elettromagnetiche di campo, assumendo una certa distribuzione delle

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linee di corrente e nell’ipotesi di catodo cilindrico di lunghezza infinita, si ottiene la seguente espressione per la spinta:

⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ = c a r r I T log 4 2 0 π µ

che è indipendente dalle caratteristiche del fluido.

Se si considera un catodo di lunghezza finita dalla cui estremità, semisferica o conica, si suppone staccarsi la maggior parte delle linee di corrente, l’espressione di spinta si modifica in:

⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ + ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ = 4 3 log 4 2 0 eff c a r r I T π µ

A parità di corrente e dei parametri geometrici ra ed rc, la spinta

ottenuta è superiore a quella che si ottiene con catodo di lunghezza infinita. Si osservi però che le relazioni precedenti non dicono nulla sulla potenza necessaria ad ottenere la stessa intensità di corrente per l’una o per l’altra geometria; in definitiva non si può dire quale delle due sia la soluzione più efficiente.

Queste espressioni della spinta per quanto ottenute da un modello semplificato del propulsore trovano una buona conferme sperimentale qualora la si scriva come:

⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ + ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ = ϕ π µ eff c a r r I T log 4 2 0

L’espressione della spinta può essere scritta come: 2

bI T =

con b coefficiente di spinta elettromagnetica, funzione della geometria del

propulsore. La relazione di dipendenza quadratica della spinta dalla corrente trova buon accordo con i dati sperimentali per il regime di piena ionizzazione.

Nel regime di parziale ionizzazione i dati sperimentali evidenziano una dipendenza lineare tra la spinta e la corrente di scarica. Questa

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circostanza è in buon accordo con l’ipotesi che la spinta elettromagnetica sia dovuta alla sola componente ionizzata del flusso.

Per valori di corrente inferiori a quella di piena ionizzazione e nella condizione che il processo di ionizzazione del propellente avvenga secondo i meccanismi precedentemente descritti, il flusso di uscita possiede una velocità inferiore alla velocità critica di Alfvèn, pertanto la spinta può essere espressa come: ac e m u u m T = & = &ξ ovvero: I I u m T fi ac & =

Questa relazione mostra come, in condizioni di parziale ionizzazione del propellente, la spinta elettromagnetica vari linearmente con la corrente di scarica. Per uniformità con la relazione valida in campo di piena ionizzazione si può esprimere la spinta come:

2

I b T = pi

dove il coefficiente bpi, coefficiente di spinta nel regime di ionizzazione

parziale, è funzione di I e coincide con b per I≥Ifi.

3.3.3 L’efficienza di spinta

Per qualunque dispositivo a propulsione elettrica, l’efficienza di spinta è definita come il rapporto tra potenza fornita in termini di spinta e la potenza elettrica assorbita:

VI u m e2/2 & = η

Nel caso del motore MPD a campo magnetico autoindotto, in condizioni di piena ionizzazione del propellente e trascurando il contributo elettrotermico alla spinta, l’efficienza diviene:

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V m I b & 2 3 2 = η

Da questa relazione risulta evidente che per aumentare il rendimento si deve aumentare il valore del numeratore, il che vuol dire incrementare il livello di spinta del propulsore, oppure ridurre la caduta di tensione fra gli elettrodi.

Per incrementare il livello di spinta ottenibile bisogna sfruttare adeguatamente il contributo elettrotermico. Ciò significa però aumentare la pressione nella camera di accelerazione per poi sfruttare l’espansione in un ugello opportunamente disegnato; l’aumento di pressione si scontra però con l’esigenza di mantenere adeguati livelli di ionizzazione del gas propellente. I tentativi di recupero dei due contributi di spinta si concretizzano nella realizzazione di motori ibridi Arcogetti-MPD con particolari geometrie, che tuttavia danno buoni risultati per valori di potenza in ingresso non superiori a 100 kW.

Il denominatore della relazione precedente può essere ridotto cercando di comprendere i fenomeni dissipativi che governano il plasma, riducendo le aliquote di energia dissipate nelle turbolenze interne e i fenomeni che ne incrementano la resistività. La caduta di tensione può essere sostituita con un’espressione derivata dalla considerazione che la potenza in ingresso viene spesa, parte in accelerazione utile, parte in riscaldamento resistivo del plasma: 2 2 1 e u m zI VI = + &

Introducendo al secondo membro l’espressione che fornisce la spinta in funzione del quadrato della corrente e dividendo ambo i membri per I, si ottiene: m I b zI V & 2 3 2 + =

Esplicitando il termine legato all’impedenza del propulsore, l’espressione di V è:

+ = m I b dV J I V & 2 1 2 2 3 σ

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Per migliorare il rendimento occorre quindi dominare i termini contenuti nell’integrale e quindi comprendere i meccanismi di dissipazione che caratterizzano il plasma.

3.3.4 La caratteristica elettrica

Per un qualsiasi dispositivo elettrico, si può tracciare il grafico della funzione V=f(I) che prende il nome di caratteristica elettrica. Nel caso di un propulsore MPD, la caratteristica elettrica fornisce importanti indicazioni qualitative sul modo di operare del motore e consente di trarne importanti informazioni sul regime di funzionamento in cui opera il motore al variare della corrente. Dalla caratteristica elettrica nota la portata del propellente, si può, ad esempio, ottenere una stima del rendimento propulsivo:

V m I b VI u m e & & 2 2 / 2 3 2 = = η

L’analisi di una qualsiasi caratteristica elettrica tracciata per un propulsore MPD operante con propellente gassoso, portate costanti e regime pulsato quasi stazionario, mostra un andamento del tipo mostrato in Figura 3.4, sul quale si possono facilmente distinguere tre zone caratteristiche di funzionamento:

- per correnti inferiori a Ifi si ha un andamento lineare, non dipendente

dalla portata, caratterizzato da bassi valori di rendimento propulsivo ed impulso specifico e giustificato dalla non completa ionizzazione del propellente (zona I)

- per correnti superiori a Ifi l’andamento prevalente è cubico e

riconducibile alle condizioni di piena ionizzazione del propellente: il rendimento e l’impulso specifico aumentano (zona II)

- per correnti molto maggiori di Ifi, superato il valore di I*, si hanno

fenomeni di erosione degli elettrodi molto intensi, fluttuazioni nel potenziale misurato agli elettrodi e l’andamento ritorna quasi lineare. Si entra quindi in una regione di malfunzionamento. (zona III).

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Figura 3.4 Andamento schematico della caratteristica elettrica

3.3.5 La caratteristica elettrica dimensionale

Le caratteristiche elettriche tracciate per uno stesso propulsore, per differenti valori di portata, presentano una sostanziale coincidenza delle pendenze dei vari tratti caratteristici prima indicati. La differenza evidente è nel prolungamento del tratto lineare (zona I) al crescere del valore di portata, imputabile alla maggiore potenza necessaria alla completa ionizzazione del flusso.

La legge con cui varia la corrente di piena ionizzazione al variare della portata è esprimibile dalla relazione:

m I kfi fi & 2 =

dove kfi, detto fattore di carico di massa, è una costante che dipende

dalla geometria del propulsore e dal tipo di gas impiegato. La conoscenza di tale parametro è importante per avere informazioni immediate sulle condizioni di piena ionizzazione al variare del valore della portata.

Dividendo i valori della corrente per la corrente di piena ionizzazione e i valori di tensione per la tensione corrispondente alla corrente di piena ionizzazione, si ottengono grafici adimensionali, che per le diverse portate sono praticamente coincidenti. Il grafico unico che ne risulta prende il nome di “caratteristica elettrica adimensionale”, e la sua utilità è evidente quando

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si consideri che, nota essa, per la conoscenza della caratteristica elettrica per un determinato valore della portata è sufficiente conoscere i valori di Ifi e Vfi.

3.4 Classificazione dei motori MPD

Una possibile classificazione dei motori MPD è quella che li distingue sulla base del fatto che operino in maniera stazionaria oppure pulsata.

I propulsori MPD stazionari sono caratterizzati dal fatto che, durante il funzionamento, la corrente di scarica, la portata di propellente e la spinta generata assumono un valore stazionario. Ciò li rende dei dispositivi estremamente semplici poiché non richiedono sistemi di accumulo dell’energia elettrica necessaria per la generazione della scarica, né di valvole rapide per l’immissione controllata del propellente. A questi aspetti positivi si affiancano però dei fattori che hanno sinora precluso l’utilizzazione di questi dispositivi nello spazio; tre di questi fattori possono essere così riassunti:

- L’ottenimento di valori di spinta significativi (dell’ordine della decina di Newton) è conseguibile solo mediante l’erogazione continua di una potenza in ingresso dell’ordine dei MW. Ad oggi ciò non risulta possibile utilizzando i sistemi di generazione di potenza fino adesso sperimentati

- I valori del rendimento finora ottenuti non rendono i motori MPD stazionari competitivi con i tradizionali sistemi propulsivi

- Ai livelli di potenza richiesti si ha l’insorgenza di fenomeni erosivi a carico degli elettrodi che, sebbene siano di entità minore rispetto al caso del funzionamento pulsato, non consentono il conseguimento di vite operative di durata tale da poter svolgere le missioni nelle quali i motori dovrebbero essere impiegati

La possibilità di utilizzare propulsori MPD stazionari è quindi legata allo sviluppo e alla sperimentazione di generatori in grado di produrre potenze dell’ordine dei MW e alla capacità tecnologica di limitare i fenomeni di erosione degli elettrodi.

I propulsori MPD pulsati sono caratterizzati da un funzionamento discontinuo: il propellente viene reso disponibile in modo pulsato mediante l’utilizzazione di valvole rapide. Quando la portata di propellente nella camera di accelerazione ha raggiunto un valore stazionario viene fatta

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scoccare una scarica elettrica della durata di pochi millisecondi. Per fare in modo che la corrente di scarica sia sufficientemente elevata (dell’ordine di qualche kA) e possa essere mantenuta circa costante durante la scarica si utilizza una apposita rete generatrice di impulso (PFN: Pulse Forming Net) che ha anche il compito di accumulare energia elettrica tra uno sparo e l’altro usufruendo di sistemi tradizionali di generazione di potenza come possono essere i pannelli a celle fotovoltaiche.

Nei propulsori MPD pulsati si possono quindi ottenere potenze istantanee elevate pur utilizzando generatori a bassa potenza già ampiamente collaudati in molte missioni spaziali; si hanno inoltre carichi termici limitati a causa della natura pulsata delle stesse sollecitazioni di natura termica; si deve tuttavia far fronte a ratei di usura degli elettrodi ancora piuttosto rilevanti. Inoltre la possibilità di controllare con precisione gli impulsi fa sì che questo sistema possa essere positivamente utilizzato nell’ambito del controllo orbitale e di assetto di satelliti.

Il funzionamento pulsato è anche utilizzato nella sperimentazione dei propulsori MPD per la simulazione del comportamento stazionario; l’impossibilità infatti di fornire con normali attrezzature di laboratorio potenze continue dell’ordine dei MW e la necessità di sperimentare alte portate di propellente che non potrebbero essere smaltite dai normali impianti a vuoto se fornite in modo continuativo, fanno sì che il funzionamento pulsato sia la soluzione più idonea per quanto riguarda l’attività sperimentale. Inoltre i dispositivi di misura risultano essere meno sollecitati dal punto di vista termico rispetto ad un funzionamento continuo.

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Figura

Figura 3.1  Moto di una particella in presenza di un campo elettromagnetico
Figura 3.2  Effetto delle collisioni sul moto degli ioni e degli elettroni
Figura 3.3  Schema di un motore MPD a campo magnetico autoindotto
Figura 3.4  Andamento schematico della caratteristica elettrica

Riferimenti

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