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Capitolo 3 La telemetria a modulazione di fascio

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Academic year: 2021

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Capitolo 3

La telemetria a modulazione di fascio

3.1 I prismi riflettenti

Prima di introdurre gli altri metodi di misura, ed in particolare il “ phase shift ” di cui ci occuperemo in questo capitolo, abbiamo il dovere di dire almeno due parole sui prismi riflettenti che vengono solitamente posti sul “target”.

Nel capitolo precedente abbiamo potuto osservare come questi prismi siano fondamentali per le misure interferometriche, va detto che essi sono, comunque, utilizzatissimi in quasi tutti i tipi di misure ottiche della distanza.

Una parte degli errori di misura sono dovuti al possibile disallineamento del raggio di luce uscente dallo strumento coi prismi. A codesto proposito ricordiamo che esistono, dagli anni ’80, dei prismi cosiddetti auto-allineanti.

Sono state usate più metodologie per garantire l’allineamento, ne abbiamo già vista una importante, il controllo tramite un anello di reazione, nel caso precedentemente analizzato dello “ SMART 310 ”.

I due prismi storicamente più importanti e più comuni sono il “ Corner Cube ” ( del quale abbiamo in altre occasioni già parlato ) e il “ Cat’s eye ”.

Vediamo ora le principali differenze tra questi due tipi di prismi.

Il “ Corner Cube ” è formato da tre specchi ortogonali in modo tale che le distanze ( lineari o angolari ) calcolate dipendano il meno possibile dall’angolo d’incidenza del fascio sul prisma.

Il “ Cat’s eye ” è, invece, formato da due specchi semisferici appoggiati l’uno sull’altro con le facce piane a contatto. Le due semisfere hanno raggio diseguale. Il vantaggio del “ Cat’s eye ” nei confronti del “ Corner Cube ” è la capacità di ricevere il fascio da un maggior numero di direzioni, ovvero l’angolo d’apertura di un “ Cat’s eye ” è nettamente maggiore di quello del “ Corner Cube ”. Nei casi pratici il primo β, misurato rispetto all’asse ortogonale al prisma, è tale che

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-60° < β < +60°,

il secondo α solamente -20° < α < +20°.

Il “ Cat’s eye ” paga, però, questo importantissimo vantaggio in termini di grandezza, ingombro e peso, perciò non sempre e ovunque è conveniente utilizzarlo.

Entrambi hanno una serie di possibili supporti magnetici che consentono di applicarli ad un oggetto ( quello da cui noi misuriamo la distanza ) senza danneggiare quest’ultimo.

3.2 La telemetria a modulazione di fascio, il metodo della

differenza di fase ( phase shift )

Per misurare con soluzioni ottiche distanze di diversi chilometri, come abbiamo sin troppe volte ripetuto in precedenza, non si possono sfruttare gli interferometri, ma sono in uso altri due metodi. Il metodo più recente è il “ pulse delay ”, che calcola il tempo di volo di un impulso laser, e lo vedremo nel prossimo capitolo, mentre in questo capitolo affronteremo il “ phase shift ”.

In questo metodo il fascio di luce viene modulato prima di essere inviato al “target” e la distanza viene dedotta dal calcolo della differenza di fase tra il fascio inviato e quello di ritorno.

Rispetto all’interferometria questo metodo è decisamente meno sensibile a variazioni atmosferiche e può, talvolta, quando i “ target ” sono superfici diffondenti ( ad es. acqua, erba e, persino, facciate di edifici ), far a meno dei prismi.

Lo schema a blocchi di un sistema che sfrutta la telemetria a modulazione di fascio è il seguente:

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Fig. 1 schema di principio di un sistema che utilizza la telemetria a modulazione di fascio

Il blocco indicato con L è il laser che, di solito, è a GaAs oppure a He-Ne.

Con M invece abbiamo indicato il modulatore del fascio luminoso, O, invece, è un oscillatore mentre Mx è il mixer. Il blocco D, infine, rappresenta il discriminatore di fase che opera la differenza di fase e, poi, trasmette l’uscita. Il rivelatore non è rappresentato da un blocco, ma dalla “ mezza luna ” al centro del disegno.

Il laser emette un segnale luminoso continuo, il modulatore provvede, ovviamente, a modularlo. Il segnale modulato viene mandato sul target mediante una serie di specchi. Il segnale di ritorno, che viene raccolto dal rivelatore, è un segnale simile, con una piccola perdita di potenza e un ritardo di fase ( che è quello che a noi interessa ).

Ipotizziamo che il segnale inviato sia I(t) e che la modulazione sia sinusoidale, dunque

I(t) = I0 ( 1 + m sin ( ωt )); ( 3 . 1 )

Output

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con I0 ampiezza del segnale di partenza, m segnale modulante, ω = 2πν ( ν è la

frequenza del laser ) e t il tempo, come di consueto. Il segnale ricevuto R(t) sarà

R(t) = α I0 [ 1 + m sin ( ω ( t – τ ))]; ( 3 . 2 )

dove α ( coefficiente minore di 1 ) rappresenta la perdita in potenza, mentre ωτ è la variazione di fase del segnale ricevuto rispetto al segnale trasmesso; ed è su questa variazione che si concentrano i nostri calcoli, perché questa variazione dipende dal cammino percorso dal fascio.

La differenza di fase che otteniamo all’uscita del nostro strumento è appunto ωτ = φ = 2π τ / T con T periodo.

Se chiamiamo L la distanza tra il punto da cui parte il fascio e il target ( chiariremo successivamente con maggiore precisione questi punti ) il valore τ è direttamente proporzionale al doppio di questa distanza ( il fascio la percorre due volte: andata e ritorno ) e alla velocità con la quale il fascio attraversa l’atmosfera ( nel vuoto sarebbe prossima a c, la velocità della luce ).

Riscriviamo la formula precedente in funzione di L e della lunghezza d’onda λ del laser nel vuoto:

ϕ = 2π ( 2 L / λ ) ng ; ( 3 . 3 )

ng è l’indice di rifrazione di gruppo dell’aria, tiene conto che non siamo nel vuoto,

ma in un mezzo.

Abbiamo dunque ricavato la distanza L calcolando la fase φ, infatti

L = ϕ λ / 4π ng ; ( 3 . 4 )

Conoscendo λ ( che sappiamo, essendo un dato di costruzione del laser ) e ng

otteniamo L.

A questo punto è necessario parlare appunto di ng, il parametro che include le

variazioni delle condizioni esterne, ambientali ( in particolar modo dell’aria ) nelle nostre misure.

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3.3 Valutazione di ng, l’indice di rifrazione di gruppo dell’aria,

nelle misure a “ phase shift ”

Come ben sappiamo dalla fisica nei mezzi dispersivi, dove, cioè, l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda delle onde che attraversa il mezzo, si distingue la velocità di gruppo da quella di fase di un’onda.

Questi mezzi, nei nostri casi, presentano caratteristiche differenti a seconda della frequenza del fascio con cui l’attraversiamo.

La velocità di fase è la velocità con la quale si propaga la fase dell’onda, è un parametro virtuale, può anche essere superiore alla velocità della luce.

La velocità di gruppo, invece, è parametro reale poiché è la velocità con cui si propaga l’energia associata all’onda e, quindi, l’informazione che essa trasporta. Quando, parlando di interferometria, abbiamo discusso dell’indice di rifrazione, ci siamo sempre riferiti all’indice di rifrazione di fase, perché date le brevi distanze e il fatto che le misure sono svolte spesso negli interni, tendevamo a considerare l’aria un mezzo non dispersivo o comunque era valida l’approssimazione all’indice di rifrazione di fase. Nel caso delle misure di distanze medio-alte a “ phase shift ” questa approssimazione non è più valida, dobbiamo riferirci all’indice di rifrazione di gruppo.

In molti casi di misura l’indice di rifrazione di gruppo è approssimato ad un valore fisso, per esempio alla lunghezza d’onda del laser He-Ne si approssima

ng = 1,0002845073. ( 3 . 5 )

Questo valore è stato calcolato con l’aria secca, la temperatura di 15 °C, una pressione di circa 760 torr e una concentrazione di anidride carbonica ( CO2 )

nell’aria dello 0,03 %.

In generale si tende ad esplicitare la dipendenza di ng da λ in funzione di

x = 1 / λ:

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con n indice di rifrazione di fase e x0 = 1 / λ0

doveλ0 è la lunghezza d’onda nel vuoto.

Il grosso problema, qua, sono le condizioni atmosferiche, la densità dell’aria, ecc., che, non solo, variano nel tempo, ma variano anche nello spazio, in altre parole il fascio, viaggiando all’aria aperta per svariati chilometri, trova, man mano che avanza, condizioni ambientali diverse e indici di rifrazioni diversi e, spesso, a noi ignoti ( come se attraversasse mezzi diversi e non conosciuti ).

Quando è possibile si controllano, in più punti situati lungo il percorso da misurare, le caratteristiche del mezzo ( ovvero dell’aria ) e si calcola, per ogni punto, il valore di ng. Successivamente si opera la media tra i valori di ng e si utilizza

nell’elaboratore per il calcolo della distanza questo valor medio.

Tutto ciò, però, non è sempre possibile e, anche quando lo è, richiede molto lavoro in più per effettuare la misura.

Una soluzione più usata, ma più complicata, consta nel considerare un unico mezzo non dispersivo con caratteristiche atmosferiche medie della zona dove si lavora. In questo modo abbiamo fissato i valori di ng per alcuni λ. Inviamo alla volta del

“target” più fasci con λ differenti effettuando, perciò, più misure. Se il valore di ng

fosse preciso, esse darebbero tutte egual risultato; invece così non è, ma noi consideriamo come la nostra distanza, il valor medio di tutte quelle misurate.

Questa procedura evita parecchio lavoro ( il controllo dei parametri ambientali lungo il tragitto del fascio ) e dà in molti casi buoni risultati.

Insomma il problema dell’imprecisione con cui si conosce l’indice di rifrazione di gruppo ( dovuto alla sua dipendenza da λ e dal mezzo ) esiste, ma esistono una serie di tecniche per ovviare a ciò, esse limitano la sua influenza nella misura.

Inseriamo qui di seguito un grafico che illustra l’andamento dell’indice di rifrazione di gruppo nell’aria asciutta in funzione di λ. Le condizioni dell’ambiente in cui è stato costruito questo grafico sono a temperatura T e pressione p fissate: T = 15 °C;

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Fig. 2 andamento dell'indice di rifrazione di gruppo in dipendenza della lunghezza d'onda

Dopo aver affrontato questo problema ritorniamo al nostro calcolo della distanza tramite la conoscenza della differenza di fase tra il segnale inviato e quello di ritorno.

3.4 Il problema della periodicità della fase

Nel paragrafo 2 si era ricavato con la ( 3 . 4 ) il valore della distanza L in funzione della fase φ:

L = φ λ / 4π ng.

Di quest’equazione noi sappiamo λ per costruzione e dell’indice di rifrazione di gruppo abbiamo abbondantemente parlato.

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I sistemi elettronici utilizzati dal nostro strumento di misura, cioè mixer e discriminatore di fase, calcolano, però, il valore di φ come si fa con un angolo ( la fase è, appunto, un angolo ): esso è compreso tra 0 e 2π.

0 < ϕ < 2π. ( 3 . 7 ) Scriviamo Ф, la reale differenza di fase tra i due segnali ( quella che a noi davvero interessa ):

Ф = ( N + a ) 2π ( 3 . 8 ) con N numero intero e a < 1.

Il valore di φ che dà il nostro sistema ( con discriminatore classico ) è il resto della divisione di Ф per 2π, cioè

φ = a 2π ( 3 . 9 ) La ( 3 . 9 ) ci dice, in pratica, che il risultato della nostra misura è errato.

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Su questo grafico, sull’asse delle ascisse c’è la distanza L che intendiamo misurare ( in metri ), mentre sull’asse delle ordinate vi è il valore della differenza di fase. La retta in nero è Ф che, come si vede bene dal grafico, è realmente direttamente proporzionale a L. La curva in rosso, composta da spezzate, è invece φ, la differenza di fase che calcola il nostro sistema di misura: si osserva che l’errore è piuttosto grossolano. Il valore massimo di L che abbiamo, considerando φ, è λ /2ng.

In realtà il vero valore di L è

L = N ( λ/ 2ng ) + Li. ( 3 . 10 )

Dove N è un numero intero e Li è il valore di L che si ottiene utilizzando φ nella ( 3 . 4 ). Ovviamente Li < λ/ 2ng.

Dato che Ф = 4π ng L / λ, il coefficiente angolare della retta Ф è 4π ng / λ.

Si potrebbe pensare di effettuare la misura con dei valori di λ elevati in modo tale da mantenere, anche per enormi distanze ( alti L ), Ф al di sotto di 2π, graficamente si ha la seguente situazione:

Fig. 4 la differenza di fase in funzione di L ( secondo caso )

Sovrapponendo i due grafici, è evidente la differenza, ora Ф coincide con ϕ come noi vogliamo, ma questa situazione presenta un altro grave problema. La nuova retta è quasi orizzontale e per grandi variazioni della distanza da misurare ( L )

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abbiamo, invece, minime variazioni della differenza di fase dalla quale noi ricaviamo L stessa. Così il nostro calcolo di Ф deve essere estremamente preciso, la misura diventa assai più difficile ( in particolare bisogna minimizzare l’errore del discriminatore di fase ) e siamo meno sicuri dei risultati. Insomma è inevitabile una perdita di qualità della misura soprattutto in termini di sensibilità, ma anche di risoluzione ( dalla definizione dei due parametri data nel primo capitolo ). Questa strada, quindi, non è percorribile.

Riprendiamo la ( 3 . 8 ): Ф = ( N + a ) 2π.

Se operiamo una misura con λ1 grande con la procedura sopra descritta, otteniamo

un valore di L piuttosto approssimato, che denominiamo L1.

In seguito operiamo una seconda misura con λ2 piccolo e otteniamo φ tale che

0 < φ < 2π, dal quale otteniamo 0 < L2 < λ2 / 2ng.

Se consideriamo la ( 3 . 10 ), cioè L = N ( λ2 / 2ng ) + Li, ci rendiamo conto che L2

coincide con Li.

L1 è il valore di L calcolato con la prima misura e, cioè, con bassa risoluzione, ma

dividendolo per λ2 / 2ng, e prendendo la parte intera della divisione, ricaviamo N.

Riassumendo:

1) si opera una misura ‘ coarse ’ ( come si dice in gergo ) a bassa risoluzione e alto λ1 e si ottiene L1.

2) si opera una misura fine, di precisione, con elevata frequenza e λ2 piccolo

dalla quale si ottiene Li. In più si ricava il valore di L ( Lo ) corrispondente ad una differenza di fase di 2π, che èλ2 / 2ng.

3) si divideL1 per Lo, la parte intera di questa divisione è N.

4) si applica la formula ( 3 . 10 ): L = NLo + Li e si ottiene L.

In questa maniera si evita il possibile errore dovuto alla periodicità della fase. Talvolta le lunghezze d’onda sono scelte una multipla di 10 rispetto all’altra ( es.: 20 m e 2000 m ) in modo da semplificare il calcolo finale scritto, appunto, in cifre decimali. Il Distomat DI 1001 usa codesta tecnica.

Con questi metodi sono stati costruiti telemetri a modulazione di fascio con accuratezze di 1 p.p.m..

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3.5 Il problema dell’offset dovuto ai prismi

Esaminiamo un altro problema tipico di questa tecnica e delle misure ottiche in generale.

Ricordiamo che, per EODM s’intende un misuratore elettro-ottico di distanze e vediamo questa figura:

Fig. 5 schematizzazione della misura

Il sistema prima analizzato calcola la distanza tra il punto di emissione del fascio e il punto in cui viene riflesso dal prisma sommata alla distanza tra quest’ultimo e il punto di ricezione dello strumento.

Consideriamo, come in figura, il punto di ricezione coincidente con quello di emissione ( in pratica sono molto vicini ) e, guardando la figura, concludiamo che noi misuriamo D0, mentre il valore reale della distanza è:

D = d1 + D 0 + d 2; ( 3 . 11 )

da ciò deduciamo che esistono due costanti di offset che correggono il valore calcolato D0 a quello “ esatto ” D.

Come tutte le costanti, anche queste vengono ricavate nella fase di taratura dello strumento.

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Per esempio, a questo scopo, si misurano due segmenti allineati di lunghezza ignota L e M.

Dalle misure di ognuno dei due segmenti si ottiene:

L = d1 + L0 + d2 ( 3 . 12 )

M = d1 + M0 + d2 ( 3 . 13 )

Dalla misura dell’intero tratto composto dai due segmenti si ottiene:

K = L + M = d1 + K0 + d2 ( 3 . 14 )

Dal sistema di queste tre equazioni in tre incognite si ricavano tre valori: L, M, e la somma delle costanti di offset d1 + d2.

In questo modo si può valutare l’offset del sistema.

Spesso i costruttori dei catarifrangenti ci forniscono l’offset del prisma, valori tipici sono poco sopra i 30 mm ( come nel caso del “ Corner Cube ” ), anche se alcuni prismi topografici di ultima generazione hanno offset al di sotto dei 20 mm.

3.6 Limiti della tecnica “ phase shift ”

Sono diversi i fattori che possono limitare la precisione, l’affidabilità e, dunque, l’applicabilità della metodologia “ phase shift ” appena descritta.

Come primo fattore limitante, va considerata la frequenza del segnale che, ovviamente, pone dei limiti alla nostra misura.

Poi va sottolineata la qualità del discriminatore di fase e dell’intero ciclo che valuta la differenza di fase, esso deve fornire un risultato preciso, accurato e questo dipende anche da altre proprietà come la grandezza della banda, il rumore, ecc., ecc., tutta quella serie di fattori che, in generale, limitano la precisione di un sistema elettronico.

Tra questi fattori legati all’elettronica riveste una particolare importanza la stabilità del blocco oscillatore.

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Ricordiamo che

L = N ( λ / 2ng ) + λ ϕ / 4π ng;

da cui possiamo scrivere la deviazione standard di L, che indichiamo con σ.

Indichiamo, invece, con δ la deviazione standard della differenza di fase ϕ dovuta al possibile errore del discriminatore di fase.

σ = δ ( λ / 2 ) / 2π ng; ( 3 . 15 )

da ciò si vede benissimo come l’accuratezza del discriminatore condiziona in maniera diretta l’esattezza della nostra misura di distanza.

La deviazione standard σ è, dunque, fortemente dipendente da due parametri: ng, δ.

Nei loro test di laboratorio le case produttrici misurano ripetutamente l’errore, e, appunto, anche σ, allo scopo di fornire nei manuali d’uso l’accuratezza ( vedi capitolo 1 ).

La formula con cui sono solite esprimere σ è la seguente:

σ = +/- ( c + k L ) ( 3 . 16 ) dove L è, come al solito, la distanza che intendiamo misurare, mentre c e k sono due costanti: k adimensionale ( espressa in p.p.m. ), mentre c è invece espressa in metri.

Quando, nei paragrafi più avanti, daremo alcuni valori di accuratezze, in realtà scriveremo i valori di c e k.

Un’altra necessità che abbiamo è che il sistema sia sufficientemente veloce da poter ripeter un gran numero di volte la misura, in modo da poter fare la media su un numero di misure abbastanza alto e da aumentare la precisione.

Questa necessità di un sistema veloce crea altri limiti al costruttore.

Tra i problemi, abbiamo in precedenza discusso e abbiamo spiegato come si superano quelli creati dalle fluttuazioni dell’indice di rifrazione.

Ricordiamo, però, che, nonostante quello che abbiamo detto, turbolenze improvvise ( che possono capitare ) nell’aria attraversata dal fascio complicano decisamente l’atto della misura e ne possono alterare sostanzialmente i risultati.

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Tra le metodologie moderne simili, ma alternative a quelle descritta in linea di principio in questo capitolo segnaliamo quelle che si fondano sull’uso dei radar a microonde.

Gli strumenti basati su di esse, però, oltre a dei limiti dovuti ai cammini multipli dei segnali, hanno un grosso problema, non ancora superato, nell’elevata sensibilità al vapor d’acqua presente nell’atmosfera, piccole variazioni di quest’ultimo comportano variazioni decisamente considerevoli nella misura.

Dopo aver analizzato i limiti più importanti riguardanti la tecnica della telemetria a modulazione di fascio ( o “ phase shift ” ), conosciamo quali strumenti che adottano la suddetta tecnica, oggi, il mercato ci può mettere a disposizione per le misure.

3.7 Il MEKOMETRO

Il più diffuso, più noto e tecnologicamente avanzato strumento moderno che utilizza la metodologia “ phase shift ” per la misura della distanza è sicuramente il

KERN MEKOMETRO ME5000.

Questo strumento non è recentissimo come costruzione, ma negli anni è stato spesso migliorato e aggiornato.

Illustrando il funzionamento del ‘ mekometro ’, daremo un’idea più precisa e pratica di come lavora uno strumento ottico per la misura delle distanze.

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Fig. 6 il MEKOMETRO KERN Me5000, come lo vediamo esternamente oggi

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Fig. 7 ancora il MEKOMETRO, evidenziando la posizione interna del sistema ottico

Il MEKOMETRO si basa, come abbiamo detto sulla tecnica “ phase shift ” prima descritta.

Anche per il Mekometro, infatti, si può scrivere il valore di L come N ( λ / 2ng ) +

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vuoto ( il parametro ng terrà conto che non ci troviamo nel vuoto ma nell’aria come

abbiamo visto nel paragrafo 3 ) e f , invece, è la frequenza.

Il Mekometro è un sistema particolare, non calcola in due momenti distinti N e Li,

ma varia la frequenza affinché Li = 0, dopo effettua il calcolo di N.

Infatti noi variando la f otteniamo ϕ = 0 e dunque Li = 0. Questo ci fissa i valori di

λ e di f, quest’ultimo noi lo chiamiamo F. Ora bisogna ricavare N.

L = N ( λ / 2ng ) = N ( k / 2 F ), ( 3 . 17 )

con k = c / ng.

Al nostro scopo, ovvero quello di misurare L, manca la conoscenza di N.

Allora si attua la cosiddetta procedura di “ ricerca del minimo ”, cioè si aumenta nuovamente con continuità f finché si trova una nuova f ( la chiamiamo F2 ) che

annulli Li. A questo punto abbiamo

L = N2 ( k / 2 F2 ). ( 3 . 18 )

Avendo variato la f con continuità il nuovo “ zero ” è esattamente quello successivo al primo, il che si traduce scrivendo

N2 = N + 1. ( 3 . 19 )

Poiché la distanza da misurar è sempre la stessa si ha:

N k / 2 F = ( N k / 2 F2 ) + k / 2 F2 ( 3 . 20 )

da cui N ( 1/F - 1/F2 ) = 1/F2 e infine

N = F / ( F2 - F ). ( 3 . 21 )

Essendo N un intero, se il risultato della divisione non fosse intero, lo si arrotonda al numero intero più vicino. Per dedurre L, si possono usare entrambe le formule (sia quella con F che quella con F2). Ricordiamo, però, che, causa il possibile

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arrotondamento di N, i due risultati possono essere leggermente diversi, nel qual caso, si sceglie ancora una volta il valor medio.

Adesso vediamo più in dettaglio il funzionamento dello strumento.

3.8 Analisi del MEKOMETRO

Per analizzare il sistema, presentiamo lo schema di principio del Mekometro.

Fig. 8 schema di principio di un MEKOMETRO

Il tubo a xenon indicato con 1 è una sorgente di luce piuttosto coerente, questa luce attraversa un filtro polarizzatore verticale ( 2 ), arriva al sistema modulatore ( 4 ) e

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da qui viene emessa all’esterno. Il modulatore è un delicato cristallo soggetto ad un campo elettrico E che effettua una modulazione elicoidale sul segnale luminoso. Il segnale respinto da un catarifrangente piazzato sull’oggetto da cui misurare la distanza viene ricevuto in una gabbia ottica fatta di specchi, la lunghezza della quale è variabile e permette di aumentare o diminuire il cammino ottico percorso dal fascio. Questa lunghezza viene controllata dal sistema, il controllo simboleggiato da una manovella è indicato col 19 in figura. La luce viene, come è ovvio che sia, successivamente demodulata da un demodulatore che ha effetto opposto al 4 e che è il 5 in figura. Il filtro 3, che è un polarizzatore orizzontale, viene poi attraversato. A questo punto se il segnale ha percorso un cammino multiplo di λ / 2ng raggiunge il filtro 3 con una polarizzazione verticale e quindi

all’uscita del 3 non abbiamo nulla.

Ammettiamo che non sia così, la componente del segnale con polarizzazione orizzontale è presente all’uscita del 3 e va dentro al fotorivelatore moltiplicatore che abbiamo indicato con 8.

Questo crea una reazione a catena dei fotoni che ha dentro e, pertanto, amplifica il segnale d’ingresso.

Il segnale ottenuto ha l’ampiezza proporzionale alla differenza di fase e, quindi, alla distanza che intendiamo valutare.

In realtà il sistema è in grado, come abbiamo detto nel precedente paragrafo, di modificare f e di conseguenza λ, ma in più notiamo l’opportunità di variare il cammino ottico grazie alla serie di specchi che ricevono il segnale. Ciò permette di operare anche il seguente tipo di misura.

Col controllo ( 19 ) vado a modificare con continuità la lunghezza della gabbia di specchi finché all’uscita ottengo uno “ zero ”, cioè assenza di segnale, buio, non c’è corrente I in uscita al fotorivelatore. La lunghezza complessiva ( 2L sommato al tratto dovuto alla gabbia che chiamiamo b ) è ora un multiplo di λ / 2ng, cioè

2L + b = N ( λ / 2ng ), ( 3 . 22 )

mentre sul display 22 che è collegato al controllo 19 otteniamo b, la variazione di lunghezza dovuta alla gabbia di specchi.

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Rimane da calcolare N. Al solito, a questo fine, dobbiamo usare più lunghezze d’onda, ovvero più frequenze e, col metodo del paragrafo precedente calcoliamo N. Descritto così, il metodo appare assai semplice, ma insorgono alcune difficoltà; vediamo come si risolve la principale difficoltà, quella di ottenere il segnale nullo, il buio.

Infatti, come ben sappiamo dall’elettronica, il fotorivelatore possiede un rumore di fondo per cui la corrente I alla sua uscita non è mai nulla, quando l’ingresso è nullo non abbiamo, come vorremmo, una I = 0, ma una I diversa da 0 che denominiamo Ib ( la b sta per buio ). Il problema è annoso.

Si risolve modificando leggermente la modulazione della luce, invece di modulare con una frequenza f per l’intero intervallo di tempo, si modula per metà intervallo con frequenza

f1 = f + df ( 3 . 23 )

e per l’altra metà con

f2 = f – df. ( 3 . 24 )

Vediamo in questo modo cosa accade.

Se, con frequenza f, dopo il cammino percorso dal fascio, noi avremmo ottenuto uno sfasamento α, ora otteniamo alternativamente due sfasamenti simmetrici α +dα e α -dα ( vedi figura sottostante ).

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In questa figura la retta verticale rappresenta il segnale inviato, le altre quelli ricevuti con sfasamento α +/- dα e quello che avremmo ricevuto utilizzando la frequenza f, con sfasamento α.

Noi, però, stiamo cercando la situazione in cui lo sfasamento è nullo, cioè quando α = 0°, e in questo caso avremo la successiva figura:

Fig. 10 sfasamento in caso di " zero "

All’uscita del fotorivelatore eseguo sia la somma ( risultato sul display 20 ) che la sottrazione ( risultato sul display 21 ) delle ampiezze dei due segnali consecutivi. Ovviamente, a causa del filtro polarizzatore orizzontale, le ampiezze dei segnali su cui lavoriamo sono proporzionali soltanto alla componente orizzontale del fascio e, quindi, alla componente orizzontale delle rette in figura che lo rappresentano. Quando non c’è sfasamento, la differenza delle ampiezze dei due segnali ricevuti, come si evince anche dalla figura, è nulla. Facendo questa differenza si elimina il problema del rumore di fondo del fotorivelatore. La somma ha solo la funzione di controllare che il segnale sia presente.

I blocchi indicati con 10, 11, 12, 14, 16, 17 hanno il compito di valutare le condizioni dell’aria circostante. Tramite una cavità risonante si verificano eventuali disturbi, poi, per mezzo di placche meccaniche s’interviene in reazione di controllo su f.

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3.9 Ulteriori caratteristiche del MEKOMETRO

Come tutti gli strumenti odierni anche il Mekometro Kern Me5000 è dotato di interfacce con l’utente.

In più esso è dotato di software per specifiche applicazioni, e altri software programmabili.

Il Mekometro permette di selezionare il range di distanza L da misurare. Esso dà tre principali opportunità:

a) L < 25 m.

b) 18 m < L < 550 m. c) 500 m < L < 8000 m.

Possiamo notare come le misure che limitano il range possono essere effettuate sia adottando una scelta che quella successiva. Notiamo anche che l’utilizzo del Mekometro nella soluzione a) non è molto conveniente, poiché sappiamo, dal capitolo 2, che per brevi distanze si preferisce l’interferometria.

Si possono poi impostare anche i valori dei parametri che servono al calcolo di ng,

cioè

1) la temperatura T, 2) la pressione p, 3) l’umidità relativa h.

Esistono degli intervalli, entro i quali, il sistema accetta questi valori, e sono esattamente:

1) –23 °C < T < 47 °C ( 250 °K < T < 320 °K ) 2) 0 < p < 4050 mbar ( 0 < p < 3038 torr ) 3) 0% < h < 100%.

Al di fuori di questi valori, le formule per il calcolo di ng utilizzate dal Mekometro

introducono errori sostanziali. Naturalmente lo strumento ha in dotazione una sensoristica per ricavare T, p ed h, ma ugualmente in condizioni atmosferiche decisamente differenti da 1), 2) e 3), il valore di ng non è attendibile e quindi anche

il risultato della misura non è attendibile. In quest’ultima ipotesi, le reali fluttuazioni di ng non sono correlate a quelle supposte e adoperate per la misura,

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pertanto l’errore non solo è sostanziale, ma neanche valutabile ( come nel caso, sopra citato, di improvvise perturbazioni climatiche ).

Elenchiamo altre caratteristiche tipiche del Mekometro:

a) la gamma di frequenza è 460-510 MHz, e l’escursione per la “ ricerca del minimo ” è poco meno di 7 KHz.

b) l’accuratezza è 2 p.p.m. + 2 mm. c) il peso è intorno agli 11 Kg.

d) Esistono una serie di accessori utilizzabili che migliorano le prestazioni: dai semplici riflettori a barometri e termometri di precisione.

3.10 Altri strumenti funzionanti col metodo “ phase shift ”

Ci sono numerosi strumenti ( la netta maggioranza tra quelli in circolazione ), oltre al Mekometro, che usano la metodologia descritta in questo capitolo per il calcolo di una distanza lineare.

Come spesso è accaduto in molte applicazioni che riguardano la topografia, la ditta ‘ AGA ’ è stata tra le prime a costruire modelli funzionanti di sistemi a “ phase shift ” che erano in grado di misurare le distanze ed è stata anche tra le prime a brevettare la procedura della ‘ ricerca del minimo ’ che abbiamo prima analizzato. I suoi geodimetri con questa tecnica possono valutare un’ampia gamma di distanze L, con

L < 60 km

e commettere un errore assoluto εa = 5 mm,

e un errore relativo εr = 1 p.p.m..

Esistono, oggi, sfruttando la medesima tecnica, per questa gamma di distanza, strumenti ancora più precisi con

εa = 1 mm,

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Negli ultimi anni, però, molte case costruttrici, stanno fornendo ai loro clienti strumenti di misura non specifici, ma in grado di compiere diverse operazioni (ovvero strumenti che non calcolano solamente le distanze lineare, ma che hanno diverse opzioni e sono utilizzabili anche per altri tipi di misure).

Essi vengono detti “ stazioni totali ”.

3.11 Un cenno alle stazioni totali

Le stazioni totali sono al giorno d’oggi diffusissime in campo topografico, sono necessarie ad ogni ingegnere civile o geometra per effettuare dei rilievi del terreno. Esse sono dotate di un blocco elaboratore ormai simile ad un personal computer, in grado di svolgere calcoli assai complessi, di conservare i dati in ampie memorie e di connettersi tramite porte ( infrarosse, ecc. ) ad altri sistemi informatici.

Dal punto di vista delle capacità di misura queste stazioni totali sono molto versatili, quasi tutte hanno la possibilità di compiere la serie di operazione sotto elencata:

a) misura e calcolo della distanza lineare tra due punti,

b) calcolo dei dislivelli relativi ( rispetto alla posizione dello strumento ) e assoluti ( rispetto al livello del mare ), e, di conseguenza, funzionamento da “ livella ”, c) misure di distanze angolari e angoli, con conseguente possibilità di valutare

allineamenti e ortogonalità,

d) misura dell’altezza da terra dell’oggetto puntato, e) distanze di punti da linee,

f) rilievo delle facciate sia in 2D che in 3D,

g) con l’inserimento di coordinate locali, esecuzione di un rilievo e stampa di una carta topografica,

h) autocalibrazione in caso che vengano variate di molto le distanze su cui si opera,

i) determinazione dei piani quotati tramite tracciamento e calcolo di triangolazioni, poligonali, ecc.,

j) passaggio tra diversi sistemi di coordinate,

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l) calcolo delle aree,

m) minimizzare i tempi di misura ( poche decine di secondi per misure agevoli, pochi minuti per le altre ),

n) per i dispositivi più sviluppati e recenti, presenza di A.T.R. ( Automatic Target Recognition ), il dispositivo per il puntamento automatico.

Il numero di operazioni possibile, come si vede, è elevato e questi strumenti topografici hanno internamente diversi sistemi dedicati, ottici e non, che eseguono le diverse funzioni, e, quelli più nuovi, hanno più di un sistema in grado di effettuare una certa misura.

Per quanto riguarda le misure di distanza lineari, moltissime stazioni totali sono equipaggiate con più sistemi per la misura. Per ogni stazione, salvo casi rari, almeno un sistema è dotato di un laser e adotta la metodologia “ phase shift ”. Valori tipici di una stazione totale, ad esempio, sono:

1) misure di distanze L <= 5 km, 2) Risoluzioni minori di 1 p.p.m., 3) Tempi di misura t = 1 s circa, 4) Errore ε = 2 mm + 2 p.p.m..

Tra le stazioni totali più note e con migliori prestazioni, ricordiamo le stazioni della SOKKIA ( la serie C o la 030R della fig. 11 ) e quelle della ZEISS ( la serie trimble, ecc. ).

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3.12 Considerazioni finali sulla tecnica “ phase shift ”

Abbiamo a lungo parlato della tecnica “ phase shift ”, altrimenti detta, telemetria a modulazione di fascio.

Negli ultimi 30-40 anni questa tecnica si è imposta sia nella comunità scientifica, sia sul mercato, come la tecnica più importante e più utilizzata nel campo delle misure di distanze lineari.

In questo capitolo abbiamo analizzato codesta metodologia, abbiamo descritto su quali principi si basa, quali sono le cause di errore e come intervengono sulla misura e abbiamo anche indicato i principali suoi limiti.

I fenomeni atmosferici e le variazioni delle condizioni ambientali restano i suoi principali nemici.

Ci preme ora sottolineare e ricordare che questa metodologia era preesistente all’introduzione dei laser, che funzionava anche, se pur limitata in potenza, precisione e distanza, con la luce dei led o altri tipi di lampade.

L’introduzione dei laser ha semplicemente innovato la tecnologia e ha reso possibile un elevato miglioramento delle prestazioni e una più vasta gamma di applicazioni per questa tecnica.

Abbiamo osservato, nei precedenti paragrafi, come essa viene, ancora oggi, usata da quasi tutte le case produttrici per gli strumenti più affermati e affidabili.

Alcuni di questi strumenti sono stati oggetto della nostra indagine.

Vedremo nel capitolo successivo il metodo del “ pulse delay ” che appare più intuitivo, ma che è stato meno utilizzato negli anni scorsi e solo ora sta arrivando al successo, alla diffusione.

Intanto concludiamo questo capitolo sul “ phase shift ” ricordando che il “ Disto5 ” della Leica, il più comune e semplice strumento di misura delle distanze per via ottica, funziona con tale metodo e facendo alcuni esempi eclatanti sull’utilizzo del “ phase shift ” stesso.

Ha fatto storia il rilevamento topografico negli USA del Parco Nazionale del Grand Canyon avvenuto nel 1972.

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Questo rilevamento effettuato usando il metodo della telemetria a modulazione di fascio, ha ottenuto eccellenti risultati coprendo una zona di circa 310 miglia quadrate e fornendo una carta molto più dettagliata delle precedenti.

Questa operazione fu compiuta solo da un paio di uomini nel corso di appena tre giorni, mentre, con i metodi tradizionali, ci sarebbe voluto forse un intero anno e avrebbero costantemente lavorato circa cento uomini in tale ardua impresa.

Questo rilevamento, penso, chiarisca completamente lo sviluppo portato dalle metodologie ottiche ( in questo caso, la “ phase shift ” ) nel campo della topografia. Un altro esempio molto particolare e interessante di applicazione della telemetria a modulazione di fascio è il tracciamento del profilo di onde oceaniche, come mostra la figura seguente ( fig. 12 ).

Fig. 12 profilo di un'onda oceanica ricavato con telemetria a modulazione di fascio

Anche questa applicazione è stata fatta negli USA, esattamente in New Jersey. Il dispositivo di misura, che sfruttava la telemetria a modulazione di fascio, è stato posto su un aereo che sorvolava la costa a circa 500 ‘ piedi ’ di altezza e il laser era puntato sulla superficie dell’acqua.

Figura

Fig. 2 andamento dell'indice di rifrazione di gruppo in dipendenza della   lunghezza d'onda
Fig. 3 la differenza di fase in funzione della distanza L ( primo caso )
Fig. 4 la differenza di fase in funzione di L ( secondo caso )
Fig. 5 schematizzazione della misura
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Riferimenti

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