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Capitolo Secondo. La rappresentazione emblematica del sapere enciclopedico nel giardino di Del Riccio.

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Capitolo Secondo.

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1. Il mundus emblematicus.

1.1. La grotta emblematica di Cupido.

Nel caldo soffocante di un giorno di piena estate, un gruppo di gentiluomini accompagnati dai loro “dolci figliuoli e figliuole” passeggia per l’ameno bosco regio a forma di grande labirinto. Negli ordinati sentieri, larghi dieci braccia, si trovano “le cerchiate di castagni, o di ferro a mezza botte, ove [...] le piante che tengono le fronde sempre”

(R54v-55r). Sotto le “cerchiate”, coperte da fronde verdeggianti, non giungono i raggi

cocenti di Febo e soffia anzi una fresca brezza. Alcuni uomini sono inzuppati per via dei giochi d’acqua collocati all’interno di quasi tutte le grotte del bosco poste a distanza di trenta braccia l’una dall’altra. Benché le vie siano abbastanza sinuose e buie, i visitatori, godendo del cinguettio degli uccelli, seguono la strada giusta grazie a “certe lettere in terra in marmi” (R61r) ossia cifre che solo gli uomini colti sanno decifrare. Genitori e figli commentano entusiasti le meravigliose scene delle grotte appena visitate, in cui è rappresentato il mondo bucolico, mitologico e naturale attraverso pitture murali, sculture e automi.

Il gruppo si trova davanti alla sesta grotta del primo labirinto. Il muro esterno è coperto da spugne, come nelle altre grotte nel bosco, a guisa di quella naturale. All’interno, essa ha, tuttavia, la forma di “tempietto”, con planimetria ottagonale e larga quindici braccia in ogni direzione. Inoltre,

“... vi sono attorno attorno colonne di granito et nel mezzo c’è una bellissima fonte lavorata con grande diligenza, poscia che vi sta su Cupido con l’arco in mano, et ha il turcasso scintilla[nte] con molte freccie che sempre tira alli amanti mondani.” (R58r)

Oltre questa statua in marmo bianco che ruota continuamente su sé stessa, il gruppo arriva alla “tribuna” in fondo, sulla cui parete sono raffigurati con “mistii e marmi belli” tutte le

varie storie d’amore1. Gli spettatori sono particolarmente colpiti da una grande scena in basso

rilievo che si trova sopra la porta. In questa immagine si vede Cupido seduto su un trono regale, attorno al quale vi è un gruppo di donzelle con in mano vari strumenti musicali. C’è inoltre un altro gruppo di fanciulletti muniti di archi che sorreggono tutti gli attributi dell’antico dio dell’amore come frecce, turcassi e corone.

Se si esamina attentamente questo dipinto emerge chiaramente la natura particolare dell’immagine. Infatti, il Cupido seduto sul trono tiene in mano una catena d’oro, alla quale

1

È evidente che questa grotta si è ispirata alla grotta di Cupido di Pratolino. Su questa ultima si veda L. Zangheri, Pratolino: il giardino delle meraviglie, Gonnelli, Firenze, 1987, pp. 162-163.

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sono annodate molte catene d’argento che legano, a loro volta, “i giovinetti e giovinette, huomini vecchi, poveri e ricchi, signori e servi, savi e dotti, e brevemente d’ogni stato che al mondo si trovi” (ibid). Per di più una frase latina è allegata alla catena d’oro tirata dall’antico

dio dell’amore. Si tratta del “motto con lettere d’oro e breve, ma contiene gran cose: «Omnes

attrao»” (R58v). Mentre la gente osserva questa storia, il pavimento comincia a emettere

zampilli d’acqua cristallina, cosicché tutti si trovano ben presto completamente bagnati. Sorridendo e scherzando, il gruppo lascia la grotta dell’amore per proseguire la passeggiata nel bosco-labirinto.

Come abbiamo visto nel primo capitolo, la combinazione di lettere ed immagini costituisce uno degli elementi che caratterizza il pensiero enciclopedico di Agostino Del Riccio, il quale voleva facilitare la trasmissione e la memorizzazione del sapere naturalistico utilizzando la mnemotecnica. Nella sopraccitata grotta di Cupido (L1G7), tuttavia, il modo di associare le immagini alle lettere è di diversa natura. La scena dipinta di per sé è abbastanza

enigmatica e singolare a prima vista, ma appena ci si accorge del breve motto «Omnes attrao»,

si può capirne immediatamente il significato che riveste. I cortigiani avrebbero addirittura potuto dedurre alcuni ammonimenti etici da questa combinazione tra motto e immagine. In effetti, questo tipo di gioco visivo-mentale era assai familiare agli intellettuali e ai nobili dell’epoca. Si trattava infatti di generi letterari particolari, gli emblemata e le imprese ampiamente affermati nel Cinque-Seicento in tutta Europa.

Ebbene, per quale motivo il domenicano ha collocato questa grotta emblematica nel suo giardino enciclopedico mnemonicamente organizzato? Ovvero, quale tipo di influenza avrebbe potuto avere il mundus emblematicus anche sulle altre grotte ricche di immagini naturalistiche e mitologiche? Come vedremo tra poco, l’argomento dell’emblema non si limita alla letteratura, ma include anche l’arte della memoria, la pedagogia, l’ekphrasis, i luoghi comuni e la storia naturale, tutti temi che presentano qualche attinenza con il pensiero del frate domenicano. Questo capitolo, dunque, prendendo l’emblema-impresa come filo conduttore, si propone di analizzare concretamente i contenuti delle grotte delricciane sempre in relazione con il modo di rappresentare il sapere enciclopedico negli spazi architettonici. Prima di passare ad esaminare dettagliatamente le grotte, la parte iniziale di questa ricerca sarà dedicata a riassumere le caratteristiche generali della letteratura degli emblemata e delle imprese per collocare nel giusto contesto il nostro “giardino di un re”.

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1.2. L’idea generale dell’emblema e dell’impresa e il grande teatro del mondo emblematico.

L’emblema, in senso stretto, costituisce un genere letterario che si ritiene fondatonei

primi anni del secondo decennio del Cinquecento dal famoso giurista italiano Andrea Alciati (1492-1550) come raffinato svago intellettuale. La prima edizione di Emblematum liber, corredato con illustrazioni che mancavano nella versione manoscritta, vide la luce ad Augusta nel 1531 e stabilì la struttura di base per questo genere che sarebbe stato ripreso poi

da numerosi altri autori2.

L’emblema è canonicamente formato dalla successione verticale di un motto (lemma / titolo), di un’immagine e di un epigramma generalmente costituito da un breve componimento in versi (fig. 1). Attraverso questa composizione tripartita si esprime in forma intuitiva un concetto universale di carattere etico che va interpretato e meditato. In altre parole gli emblemi costituiscono forme di espressione simbolica in cui immagine e parola si uniscono in nessi inscindibili. Cosicché per comprenderli bene e collocarli nel giusto contesto storico-letterario si deve tenere presente questo intreccio profondo tra parola e immagine, ossia il modo di dare forma visibile all’idea o al concetto, che caratterizzava il complesso campo intellettuale del Cinquecento. Esempi di questi concetti universali possono essere virtù, vizi, amicizia, precetti di vita, rappresentati da animali personificati, fenomeni della natura, personaggi mitici e storici, oggetti inanimati e persone comuni contemporanee. Non si può non parlare qui dell’impresa, genere letterario molto vicino e

contemporaneo all’emblema. Infatti anche l’impresa è l’arte di combinare immagini e motti

in un nodo armonicamente significativo per esprimere un pensiero o un progetto di vita3 (fig.

2). Tuttavia, a differenza dell’emblema che si sviluppò, dopo l’opera iniziale di Alciati,

piuttosto arbitrariamente a seconda del gusto di ogni autore,l’impresa fu formulata e raffinata

dai vari teorici della letteratura4. Uno dei primi trattatisti di imprese fu lo storiografo

comasco Paolo Giovio (1483-1552), amico di Alciati, che pubblicò nel 1556 il Ragionamento

sopra i motti, e disegni d’arme e d’amore, uno dei testi più citati ed autorevoli di questo

genere. In esso vennero codificate le famose cinque regole essenziali, secondo le quali le

2

A. Alciato, Emblematum liber, H. Steyner, Augsburg, 1531.

3

Sull’impresa, oltre allo studio classico di M. Praz, Studi sul concettismo, G. C. Sansoni, Firenze, 1946, si vedano anche M. Bregoli Russo, L’impresa come ritratto del Rinascimento, Loffredo, Napoli, 1990; A. Maggi, Identità e impresa rinascimentale, Longo, Ravenna, 1998; G. Arbizzoni, «Un nodo

di parole e di cose»: storia e fortuna delle imprese, Salerno editore, Roma, 2002; L. Squillaro, “Le

imprese rinascimentali: un sistema polisemico”, in M. Centanni (a cura di), L’originale assente.

Intdoruzione allo studio della tradizione classica, Bruno Mondadori, Milano, 2005, pp. 277-307.

4

M. Praz, Studi sul concettismo, cit., p. 96; L. Bolzoni et al., “Con parola brieve e con figura”: libri

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imprese perfette dovevano 1) armonizzare parole e immagini, 2) avere un carattere enigmatico, 3) essere esteticamente belle, 4) evitare qualunque riferimento figurativo

all’uomo, 5) non scrivere i motti nella propria lingua madre5. Riferendosi alla prima e quinta

regola, Giovio paragona l’unione delle parole e le figure addirittura a quella dell’anima e del corpo.

Queste due “letterature delle immagini”6, cioè emblema e impresa, sono talmente

simili l’una all’altra da poter causare confusione anche tra i trattatisti di questi generi. Infatti i due termini, “emblema” e “impresa”, erano, a quell’epoca, quasi perfettamente

intercambiabili7. Ciò nonostante, gli studiosi sono abbastanza concordi nell’identificare,

come differenza essenziale e portante tra i due concetti, il fatto che mentre l’“emblema” esprime verità universali di carattere morale, religioso e filosofico – a scopo educativo – ,

l’“impresa” racchiude credenze personali ed istanze private8.

I primi studi pionieristici sugli emblemi-imprese si devono a Mario Praz, che ha

esaminato con particolare acume il rapporto tra l’emblema-impresa e il concettismo9.

L’analisi critico-letteraria si è andata sviluppando profondamente negli anni sessanta del secolo scorso per merito soprattutto di studiosi tedeschi come Albrecht Schöne, Arthur Henkel e Dietrich Jöns, cosicché l’argomento degli emblemi venne a suscitare sempre

maggiore curiosità tra i letterati10. In questo campo, tuttavia, si sono svolte negli ultimi anni

ricerche più innovative e approfondite, e sono stati recuperati numerosi aspetti che non erano mai stati analizzati, il più importante dei quali è il valore epistemologico-conoscitivo

dell’emblema-impresa11. Recenti studi dunque evidenziano che l’emblema e l’impresa, con

5

P. Giovio, Ragionamento sopra i motti, e disegni d’arme e d’amore, che comunemente chiamano

imprese, Giordano Ziletti, Venezia, 1556, pp. 6-7.

6

Sulla definizione di “letteratura delle immagini” si veda G. Savarese e A. Gareffi (a cura di), La

letteratura delle immagini nel Cinquecento, Bulzoni, Roma, 1980.

7

M. Praz, Studi sul concettismo, cit., p. 95.

8

G. Innocenti, L’immagine significante. Studio sull’emblema cinquecentesca, Liviana, Padova, 1981; J. Manning, The Emblem, Reaktion Books, London, 2002, p. 77; L. Bolzoni et al., “Con parola brieve

e con figura”, cit., p.8.

9

M. Praz, Studi sul concettismo, cit; Id., Studies in seventeenth-century imagery (2nd ed.), Ed. di storia e letteratura, Roma, 1964.

10

A. Schöne, Emblematik und Drama im Zeitalter des Barock, C. H. Beck’sche, München, 1964; A. Henkel e A. Schöne (a cura di), Emblemata: Handbuch zur Sinnbildkunst des XVI. Jahrhunderts, Metzlersche, Stoccarda, 1967; D. Jöns, Das „Sinnen-Bild“. Studien zur allegorischen Bildlichkeit bei

Andreas Gryphius, Metzlersche, Stoccarda, 1966; H. Homann, Studien zur Emblematik des 16. Jahrhunderts, Haentjens Deller & Gumbert, Utrecht, 1971. Per quanto riguarda lo sviluppo degli

studi della letteratura degli emblemata da parte degli studiosi tedeschi rimando a P. M. Daly, Emblem

Theory: Recent German Contributions to the Characterization of the Emblem Genre, KTO Press,

Nendeln / Liechtenstein, 1979.

11

Oltre alla fondazione della rivista dello studio emblematico, Emblematica: An Interdisciplinary

Journal for Emblem Studies (AMS Press, New York, 1986-), la bibliografia sull’emblema è molto

(6)

parole concise e immagini mnemoniche, potevano condensare in sé ingenti informazioni enciclopediche e comporre idee per educare ed illuminare il lettore. Di conseguenza, risulta ormai abbastanza chiaro che questo tipo di “letteratura delle immagini” ha giocato un ruolo sostanziale nella cultura rinascimentale aiutando, come un lessico per immagini pronto alla consultazione, a plasmare quasi qualunque forma d’espressione intellettuale.

Nei secoli XVI e XVII l’emblema e l’impresa non limitano la loro presenza alle pagine dei libri, bensì si estendono a quasi ogni aspetto della vita umana, manifestandosi nelle arti decorative, nei rituali politico-religiosi e persino negli spazi architettonici. Gli emblemi e le imprese, in altre parole, influenzano tutte le sfere dell’attività umana del Cinque-Seicento. Ogni stadio della vita, dalla culla alla tomba, ed ogni ceto sociale, dai principi ai servi, viene guidato dai precetti morali espressi in forma simbolica. Ogni aspetto della vita quotidiana,

dunque, viene messo in scena coscientemente come parte di un teatro emblematico12. Non

esistono cose sotto il cielo che non possano essere interpretate e usate come emblemi-imprese. Pertanto tutti i naturalia e artificialia hanno la potenzialità di educare

moralmente le persone13.

Essendo in grado di tradurre molte materie in un argomento morale, l’emblema e l’impresa, in un certo senso, sono nati dall’esigenza di offrire una griglia interpretativa attraverso la quale si possa “domare” allegoricamente l’immensa moltitudine degli elementi e animali fino ad allora sconosciuti che progressivamente fanno la loro comparsa nell’Europa del Cinquecento. Nel mondo interpretato in modo emblematico, gli animali insegnano agli uomini massime di vita, le piante simboleggiano esempi morali e gli oggetti d’arte esprimono le passioni umane. Ciò che, però, dobbiamo tenere sempre presente è il fatto che questo universo era tutto libresco. Il “libro della natura” medievale diventa, per così dire, quello a stampa, nelle pagine del quale animali, piante e gli oggetti in genere si trasformano in caratteri mobili.

È il caso di rammentare a questo proposito che Del Riccio ha accennato alla stesura di libri “del imprese” che non ci sono, purtroppo, pervenuti. Ciò dimostra che anche il frate

Saunders, The Sixteenth-Century French Emblem Book: A Decorative and Useful Genre, Droz, Genève, 1988; D. S. Russell, Emblematic Structures in Renaissance French Culture, University of Tronto Press, Toronto, 1995; F. R. de la Flor, Emblemas: lecturas de la imagen simbólica, Alianza, Madrid, 1995; J. Manning, The Emblem, cit; K. A. E. Enenkel e A. S. Q. Visser (a cura di.), Mundus

Emblematicus: Studies in Neo-Latin Emblem Books, Brepols, Turnhout, 2003; E. Knapp e G. Tüskés, Emblematics in Hungary: A Study of the History of Symbolic Representation in Renaissance and Baroque Literature, Niemeyer, Tübingen, 2003; A. Adams, Webs of Allusion: French Protestant Emblem Books of the Sixteenth Century, Droz, Genève, 2003; L. Bolzoni et al., “Con parola brieve e con figura”, cit; S. López Poza (a cura di), Florilegio de estudios de emblemática, Sociedad de

Cultura Valle Inclán, El Ferrol, 2004.

12

Cf. J. Manning, The Emblem, cit., pp. 27-31.

13

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domenicano, autore anche di un trattato mnemotecnico, era profondamente immerso nella cultura coeva della “letteratura delle immagini”. Ebbene in quale maniera l’impresa e l’agricoltura si intrecciavano nella mente mnemonicamente strutturata di Del Riccio?

1.3. Agostino Del Riccio impresista.

Anche se non vi sono prove documentarie per dimostrare la compilazione di libri “del imprese” di Del Riccio, dai vari accenni dedicati alle imprese sparsi nei vasti volumi dell’Agricoltura sperimentale risulta chiaramente quanto il domenicano si intendesse di questa forma figurato-letteraria. L’autore dice di aver scritto il suo trattato agronomico “mescolando istorie breve, motti, favole, detti, imprese et altre cose piacevole” affinché i

lettori potessero imparare l’utile arte dell’agricoltura divertendosi nel contempo14. Infatti la

mescolanza di “contento” e utilità per i fruitori, che ci fa ricordare il tema oraziano dell’utile

dulci, è uno dei motivi ricorrenti dell’opera, tanto che il domenicano lo sottolinea

ripetutamente nel corso delle sue argomentazioni15.

Del Riccio presenta quattro diverse imprese nell’Agricoltura sperimentale. La prima viene introdotta quando l’autore ammonisce i giardinieri di non esagerare nell’annaffiare le spalliere e nel concimare. Leggiamo infatti:

“tu giardiniere e ortolano, tieni questa mia impresa, che sempre sta appo me. Il corpo

dell’inpresa che ho fatto dipingere in uno scudo etun arco ch’appresso di sè tiene una freccia

d’oro, il detto che è l’anima dell’inpresa è questa, poche parole dicono: ‘Ne quid nimis’”16.

Da questo brano emerge chiaramente che Del Riccio era al corrente della teoria gioviana dell’impresa, cioè l’intreccio profondo tra parola (anima) ed immagine (corpo). L’autore presenta di nuovo la stessa impresa “Ne quid nimis” quando chiede scusa ai lettori per aver abbreviato il capitolo sulla canna prima che la descrizione, che sembra già abbastanza lunga e prolissa, cada in verbosità inutili. Questa volta il significato dell’impresa, che era tenuta nella “camerina” dell’autore, viene chiarita:

“il corpo dell’impresa è un arco con una freccia che si tira a ragione et pochi colpi non si

spezza, ma chi tirasse troppe freccie alla fila l’arco patirebbe et si spezzerebbe”17.

14

A. Del Riccio, Agricoltura sperimentale, Firenze, B.N.C., ms. Targioni Tozzetti 56, II. c. 341v.

15

Ibid., I. cc. 90r, 110v, 113v-114r; II. cc. 279r, 318r; III. cc. 18r, 22r-22v, 29v, 34v, 48r.

16

Ibid., I. c. 79r.

17

(8)

Stando a quello che afferma Del Riccio, la moderazione nell’azione, ossia il “Niente troppo”, dovrebbe essere il principio su cui basare la propria vita.

L’altra impresa personale del domenicano, più adatta rispetto alla prima alla vita del personaggio, è “sempre inparo”. Essa viene citata due volte quando l’autore consiglia ai lettori di non vergognarsi di chiedere informazioni pratiche ai contadini. Leggiamo infatti:

“ciascheduno avrebbe a tenere appo di sè un vecchio dipinto in un quadro che si riposassi in una bella sedia, con un motto scritto a lettere grandi che dicessi ‘sempre inparo’, poiché un

huomo non sa tutte le cose ma gl’huomini tutti le sanno”18.

Questa impresa piaceva talmente tanto a Del Riccio che “sempre [...] sta fisso nella mente ”19.

Oltre a queste due imprese personali l’autore ce ne presenta altre due di carattere diverso. Il Domenicano, quando disserta sulla perseveranza come virtù essenziale per i fattori, consiglia ai lettori di far dipingere in ciascuno dei loro poderi le loro “arme”, accompagnate dalla parola “Senper”. Questa parola fa ricordare – dice l’autore – ai padroni dei poderi di doverli

custodire con il medesimo vigore di quando avevano incominciato a coltivare20. Alla luce

della teoria gioviana sopraccitata, questa combinazione di immagine e parola non può essere definita impresa, poiché le immagini (corpo) cambiano a seconda dell’“arme” di ogni casata e di conseguenza la parola (anima) non corrisponde a una stessa immagine. Ciò nonostante, se consideriamo le “arme” come rappresentazione dei poderi di ogni famiglia, oppure come casata la cui prosperità è legata alla gestione dei poderi, è possibile vedere questi dipinti con motto come una specie di impresa che racchiude in sé la convinzione personale (l’essere

perseverante)21. Ancora più interessante, nella nostra ottica, è l’applicazione dell’impresa alla

pratica agronomico-orticola. Anche se Del Riccio non indica dove queste immagini debbano essere dipinte, è certo comunque che egli voleva collocarle in un ambiente agreste, fuori dai palazzi urbani. Da ciò è naturale dedurre che anche ville e giardini potessero essere luoghi adeguati in cui mostrare imprese.

L’ultima impresa presentata da Del Riccio tratta direttamente del mondo agronomico. Discorrendo sulle varie proprietà medicamentose della cipolla, l’autore presenta questa pianta come un toccasana per i poveri contadini che lavorano diligentemente. Tuttavia le cipolle – egli rileva – non hanno alcun effetto sugli oziosi. Basandosi su questa caratteristica,

18 Ibid., II. c. 294r. 19 Ibid., III. c. 17v. 20 Ibid., I. c. 97r. 21

Si noti che “Semper” era una delle imprese dei Medici. Cfr. P. Giovio, Dialogo dell’imprese

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il domenicano cita un’impresa rivolta “agl’huomini vitiosi et malvagi et doppi”:

“Si ha dipingere in un grande scudo di tela una gran cipolla rossa et sotto un motto breve ‘non aliter’ o vero quest’altro detto ‘per te Regno’, poscia che i doppi molte fiate regnono per

essere tali et ingannano molti che camminano realmente da veri gentilhuomini d’honore”22.

L’originalità di questa impresa deriva dall’uso di conoscenze specialistiche relative all’agricoltura e pertanto è molto probabile che lo stesso Del Riccio l’avesse composta.

Di queste quattro imprese sopramenzionate, due (“Ne quid nimis” / “Senper”) vengono utilizzate per racchiudere o condensare precetti agronomici, mentre “non aliter” ci fa ricordare le proprietà della cipolla rossa, e “Semper inparo” ci insegna un metodo per ottenere informazioni pratiche nell’agricoltura. Ogni impresa presenta dunque qualche rapporto con l’orticoltura. È assai probabile che Del Riccio le avesse tratte dal suo scomparso libro dedicato alle imprese.

A questo proposito sarebbe opportuno confrontare le imprese del domenicano con

quelle dell’Accademia della Crusca che trattano anch’esse dell’argomento agrario23. Fondata

nel 1584 nell’ambiente culturale del granducato cui apparteneva il nostro domenicano, l’accademia linguistica impose ai membri, fin dall’inizio, di presentare le loro imprese, in cui il riferimento al soggetto granario era obbligatorio. Infatti i temi agricoli, come ad esempio animali, piante, strumenti agricoli, campi coltivati, grano, farina, prevalsero nettamente nel corpus delle imprese, ossia le “pale” della Crusca. Tuttavia le loro tematiche

«agricolo-domestico-culinarie» sono desunte “più dalla memoria di una tradizione letteraria,

classica e contemporanea, che dalla diretta esperienza del lavoro e delle pratiche quotidiane” e pertanto sono diverse dalle imprese delricciane che racchiudono invece le conoscenze

pratiche sperimentate dal domenicano stesso24.

Benché, inoltre, anche alcuni trattatisti, quali Giovanni Ferro, Alessandro Farra, Giulio Cesare Capaccio, considerassero campagna e campo come possibili fonti da cui desumere i

soggetti per le imprese25, ritengo che quelle di Del Riccio, applicate al campo

pratico-agronomico, siano abbastanza peculiari nella storia del genere.

È possibile affermare che anche nella lunghissima digressione dedicata al “giardino di un re ”, l’ultimo capitolo dell’Agricoltura sperimentale, si parli di imprese e motti, dal momento che il domenicano affermava di averne inseriti molti per divertire i lettori.

22

Ibid., II. c. 298.

23

Cfr. R. P. Ciardi e L. Tongiorgi Tomasi, Le pale della Crusca: cultura e simbologia, Accademia della Crusca, Firenze, 1983, pp. 83, 117.

24

Ibid., p. 120.

25

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2. Il “giardino di un re” come emblema-impresa tridimensionale: le grotte mitologiche.

2.1. L’emblema-impresa e l’architettura.

Prima di esaminare il giardino delricciano ricapitoliamo brevemente il rapporto tra l’emblema-impresa e l’architettura. La parola “emblema” significava originariamente

ornamento a mosaico26. Ne segue che si potrebbero estrarre frammenti emblematici dalle

pagine dei libri per inserirli in altri contesti. Infatti i cosiddetti “emblemi applicati” sono presenti in vari campi artistici del Cinque-Seicento, dalle singole opere d’arte, quali ritratti, vasi, medaglioni, vestiti, ricami, alle grandi manifestazioni, quali parate regali, tornei,

cerimonie religiose e politiche27. Anche l’impresa veniva usata nello stesso modo. Per fare

qualche esempio, negli anni tra il 1610 e il 1612 una serie di medaglioni per il duca Heinrich Julius di Braunschweig-Wolfenbüttel fu effettivamente coniata sulla base degli emblemi di

Joachim Camerarius28. Per quanto riguarda invece le feste religiose, si noti che la Compagnia

di Gesù, essendosi resa conto da subito della potenza retorico-mnemonica che emerge dall’unione tra testo e immagine, utilizzò in larga misura l’emblema sia come ornamento per

i riti, sia come materia di studio per l’educazione degli adepti29.

Coprendo così quasi tutta l’area della vita quotidiana sia laica sia sacra, l’emblema e

l’impresa lanciano continue sfide interpretative agli intellettuali di quell’epoca.Gli edifici e

gli spazi urbani diventano così spazi della memoria. In essi gli abitanti ed i visitatori si ricordano incessantemente degli ammonimenti morali, dei fatti storici e dei fenomeni della natura, trasmessi tramite ornamenti “parlanti”.

Consideriamo ora più dettagliatamente questo aspetto dell’applicazione dell’emblema-impresa al campo architettonico. Possiamo dividere i rapporti tra

26

Sull’etimologia dell’emblema cf. C. W. M. Henebry, “Writing with Dumb Signs: Memory, Rhetoric, and Alciato’s Emblemata”, Emblematica, 1996, pp. 211-244, in particolare p. 226 sgg.; J. Manning, The Emblem, cit., pp. 45-49.

27

Sull’emblema applicato all’arte visiva si vedano M. Praz, Studi sul concettismo, cit., pp. 53-55; A. Saunders, The Sixteenth-Century French Emblem Book, cit., pp. 263-292; D. Russell, Emblematic

Structures in Renaissance French Culture, cit., pp. 135-138, 192-220.

28

J. Papy, “Joachim Camerarius’s Symbolorum & Emblematum Centuriae Quatuor: From Natural Sciences to Moral Contemplation.”, in K. A. E. Enenkel e A. S. Q. Visser (a cura di), Mundus

Emblematicus, cit., pp. 201-234, in particolare p. 223.

29

Su questo si vedano M. Praz, Studi sul concettismo, cit., p. 219 sgg; R. J. Clements, Picta Poesis.

Literary and Humanistic Theory in Renaissance Emblem Books, Edizioni di Storia e Letteratura,

Roma, 1960, pp. 99-101; K. Porteman, Emblematic Exhibitions at the Brussels Jesuit College

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emblema-impresa e architettura in due livelli, il primo dei quali è l’inserzione semplice degli emblemi-imprese negli ornamenti degli edifici. Ad esempio, nel castello di Dillingen an der Donau, in Baviera, gli stessi emblemi di Camerarius, immediatamente dopo la loro pubblicazione, vennero usati per abbellire il soffitto della sala dei cavalieri. I quaranta emblemi tratti dalla raccolta del medico tedesco furono riprodotti, ingranditi, con motto e

immagine in modo tale da permettere ai visitatori di interpretarli a piacere30. Per quanto

riguarda l’impresa, invece, è noto l’esempio del re francese Francesco I (1494-1547), che fece ornare quasi ovunque le residenze reali (sopratutto Fontainebleau e Chambord) con la

famosa impresa della “salamandra”31.

Il secondo livello, più interessante per il nostro discorso, è la trasformazione dell’intero complesso architettonico in sfondo mnemonico, in cui è rappresentata, attraverso pitture, sculture, automi e altri mezzi visivi, una serie di immagini ispirate a emblemi e imprese. A differenza del semplice ornamento sopramenzionato, percorrere gli ambienti, leggendo la composizione dello spazio e delle immagini ivi rappresentate, corrisponde al processo interpretativo che si attua nella mente del lettore che sfoglia le pagine dei libri emblematici. In altre parole, la struttura degli spazi è messa in stretto rapporto con quella del processo conoscitivo che si basa, almeno secondo la teoria mnemonica del Cinquecento, sui “luoghi” mentali, in cui si collocano le immagini della memoria.

Cito due esempi suggestivi che si sviluppano nello stesso clima culturale cui appartiene, per certi aspetti, anche il nostro frate domenicano: Ulisse Aldrovandi (1522-1605), famoso naturalista bolognese, fece decorare, verso le fine del Cinquecento, la sua villa suburbana, fuori porta S. Vitale, nella parrocchia di Sant’Antonio di Savena, con un ciclo pittorico

composto da tredici affreschi ispirati alle storie di Ulisse32. Accanto alla grande sala, decorata

con dipinti raffiguranti l’eroe greco, si trovava una sequenza di tre stanze, in cui erano riprodotti trentasette emblemi, ventisei dei quali trattavano di animali e di piante. Accanto ad essi vi erano le immagini naturalistiche degli animali, che completavano il messaggio degli emblemi. Così queste tre stanze, insieme agli altri ornamenti iconografici della villa, oltre a configurarsi come un museo naturale diventarono espressione del messaggio morale del proprietario. Infatti i visitatori, secondo l’analisi di Lina Bolzoni, nella prima stanza avrebbero compreso la fede cattolica di Aldrovandi, nella seconda avrebbero visto rappresentate le sue

30

Cfr. J. Papy, “Joachim Camerarius’s Symbolorum & Emblematum Centuriae Quatuor”, cit., p. 222.

31

Cfr. A. Sawkins, “Royal and Imperial Emblematics in the Architecture of François I”, in H. Böker e P. M. Daly (a cura di), The Emblema and Architecture: Studies in Applied Emblematics from the

Sixteenth to the Eighteenth Centuries, Brepols, Turnhout, 1999, pp. 179-189.

32

Su questo ciclo pittorico nel contesto emblematico-mnemotecnico cfr. L. Bolzoni, “Parole e immagini per il ritratto di un nuovo Ulisse: l’«invenzione» dell’Aldrovandi per la sua villa di Campagna”, in E. Cropper et al. (a cura di), Documentary Culture: Florence and Rome from

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virtù e nella terza focalizzato il tema della fatica e della pazienza nell’operare.

Nel genere “impresa” è famosissimo l’esempio della villa gioviana33. Qui però

analizzeremo brevemente il dialogo intitolato Rota overo dell’imprese, pubblicato da Scipione Ammirato (1531-1601) nel 1562, in cui il tema dell’impresa viene ambientato in

una affascinante villa suburbana corredata di un bel giardino34. Dopo essersi soffermato nel

giardino per leggere le antiche iscrizioni marmoree, un gruppo di visitatori entra nella villa. Una loggia di ingresso porta alla sala centrale, attorno alla quale sono disposte otto camere. La loggia è decorata con sei imprese, la sala con otto, le camere con quattro ciascuna, per un totale quarantasei, tutte dedicate all’amore coniugale. Le varie imprese si susseguono in modo da costituire una catena di associazioni concettuali. I visitatori, passando di stanza in stanza, le interpretano con dialoghi eruditi.

Come mostrano questi due esempi, l’emblema-impresa e gli edifici possono influenzarsi tra loro, in modo da creare un ambiente particolare in cui le parole, le immagini e gli spazi si fondono andando a costituire un surrogato visivo del messaggio etico, che ne permette una più efficace memorizzazione, attraverso un’impressione visivo-tridimensionale. Se le stanze delle ville possono essere usate come contenitori di emblemi e imprese, anche gli spazi del giardino potrebbero essere utilizzati nello stesso modo. In questa ottica il bosco regio del “giardino di un Re” costituisce un esempio dunque assai suggestivo, in cui si rappresentano in chiave morale ed educativa numerose immagini ispirate alle stesse fonti dell’emblema-impresa.

2.2. La caratteristica delle immagini emblematiche della grotta di Cupido.

Da quanto esposto fin qui, ci sembra abbastanza chiaro che l’intera composizione della grotta di Cupido, di cui si è parlato brevemente nell’introduzione, assume le caratteristiche tipiche dell’emblema-impresa. Nel bassorilievo di Cupido si trova un breve motto latino scritto con lettere d’oro: «omnes attrao». L’insieme di parole e immagine rappresentano un messaggio di carattere etico-morale: le persone di qualunque ceto, sesso ed età vengono attirati, o addirittura incatenati, dal dio che rappresenta l’amore.

Per quanto riguarda invece l’iconografia di Cupido, rappresentato su un trono con in mano una catena d’oro, sembrerebbe non esistere un’immagine perfettamente identica nella

33

Nella villa di Giovio a Como le imprese erano dislocate nelle diverse stanze fornendo, per così dire, un deposito memoriale immediatamante leggibile. Cfr. L. Michelacci, Giovio in Parnaso: tra

collezione di forme e storia universale, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 117-118.

34

S. Ammirato, Rota overo dell’imprese, Gio. Maria Scotto, Napoli, 1562. Su questo opera si veda G. Arbizzoni, «Un nodo di parole e di cose», cit., pp. 37-57.

(13)

tradizione dell’emblema-impresa. Il soggetto del dio dell’amore, però, è abbastanza popolare

tra emblematisti e impresisti; ad esempio vi sono alcuni emblemi affini che sottolineano la

forza attrattiva dell’amore come in Potentissimus affectus amor (fig. 3) di Alciato35.

Tralasciando il problema dell’identificazione della fonte d’ispirazione, è certo comunque che il bassorilievo di Cupido ha il carattere tipico dell’immagine dell’emblema-impresa. Questa iconografia è di per se stessa sufficente come raffigurazione del dio antico dell’amore, ma con l’aggiunta di un motto mostra un profondo significato di carattere etico e la verità universale riguardo all’amore o, quantomeno, aiuta gli spettatori a scegliere come leggere l’immagine di Cupido tra le numerose interpretazioni possibili. Possiamo dunque suppore con buona probabilità che questa iconografia sia tratta dai libri scomparsi “del imprese” scritti da Del Riccio.

Assai suggestivo a questo riguardo è il fatto che tale combinazione di motto latino ed immagine si trovava anche in una grotta del giardino di Pratolino a cui Del Riccio si è fortemente ispirato. In questa grotta, infatti, era collocata la statua di una donnola che inseguiva un serpente. Sul corpo del predatore era scritto in oro il motto del Granduca di

Toscana Francesco I de’ Medici «AMAT VICTORIA CURAM»36. Si può considerare questa

composizione come un impresa, cioè una convinzione personale del Granduca, rappresentata in uno spazio architettonico.

Per comprendere bene le caratteristiche dell’immagine della grotta delricciana e del suo messaggio, bisogna invece osservare attentamente l’ambiente in cui si trova. La grotta di Cupido descritta dal domenicano ha forma ottagonale ed è larga quindici braccia per lato. Attorno alla parete si collocano le colonne di granito e al centro della grotta è presente l’automa di Cupido che è accompagnato dalle canzoni di uccelletti attivati dalla forza dell’acqua. I movimenti del dio ed il canto degli uccelli, imagines agentes mnemoniche, imprimono nella mente dei visitatori la figura del dio dell’amore, tema centrale di questa grotta. Poiché questa statua rappresenta il concetto dell’amore, la sua continua rotazione ed i getti d’acqua che d’improvviso essa spruzza possono simboleggiare come l’amore travolga indiscriminatamente tutta la gente. Nella tribuna, d’altro canto, sono dipinte “storie tutte varie d’amore”, una delle quali è l’immagine emblematica in bassorilievo, già menzionata in precedenza, che si trova sopra la porta. Questi dipinti, quindi, rappresentano non solo un particolare messaggio etico-morale, ma anche i vari attributi dell’antico dio dell’amore e tutte le possibili storie relative al concetto d’amore.

Questo complesso accostamento ci fa ricordare proprio una particolare edizione delle

35

A. Alciato, Emblematum liber, cit., A4b. Sull’emblema-impresa dell’amore si vedano M. Praz,

Studi sul concettismo, cit., p. 99 sgg; A. Henkel e A. Schöne, Emblemata, cit, pp. 1758-1766; J.

Manning, The Emblem, cit., pp. 166-184.

36

(14)

opere di Alciato. Infatti l’Emblematum liber del giurista, originariamente una semplice raccolta miscellanea, a partire dall’edizione del 1548, curata da Barthélemy Arenau, per gli editori lionesi Rovillio e Bonhomme, cominciò a raggruppare i soggetti in sezioni tematiche – cioè

loci comunes – quali virtù, vizio, natura, amore, fortuna, vita, morte, ecc.37. Apparvero in seguito numerosi tentativi simili che si servirono di ciascun emblema come luogo topico (topos), in cui trovavano collocazione numerosi argomenti, citazioni, iconografie ad esso

relativi. In parallelo in altre edizioni, come ad esempio in quella curata da Claude Mignault38,

si sviluppò la tendenza ad aggiungere ad ogni emblema commenti ed annotazioni minuziose, in modo da chiarire le fonti classiche e i significati del messaggio dell’opera. Cosicché la raccolta degli emblemi meticolosamente commentata divenne una corposa enciclopedia di

luoghi topici39.

Da questo punto di vista, dunque, ritengo possibile considerare la grotta del Cupido come spazio totalmente dedicato al “luogo topico” dell’amore, o addirittura, come una vera e propria materializzazione del “luogo topico” stesso. Questo ultimo è un concetto dialettico-retorico enunciato per la prima volta da Aristotele e da questi definito come luogo mentale. In seguito Cicerone ne dà una definizione più chiara: sede “unde universum flumen

erumpat; qui illi sedes et quasi domicilia omnium argumentorum”40. Se si considera la

dimensione fisica e spaziale che il luogo topico aveva originariamente nella tradizione retorica, sembra lecito azzardare il paragone tra spazio fisico e quello mentale. Infatti Quintiliano rafforza l’originario senso fisico dei ‘luoghi topici’ paragonandoli addirittura a

tane dove i cacciatori andavano a cercare gli animali41. Ritengo che anche la grotta, metafora

37

Emblemata Andreae Alciati Iureconsulti clarissimi Locorum communium ordine, ac Indice,

novisque posteriorum eiconibus aucta, M. Bonhomme, Lione, 1548. Su questa edizione cfr. A.

Saunders, The Sixteenth-Century Frenche Emblem Book, cit., pp. 99-100; J. Manning, The Emblem, cit., p. 110; A. Moss, “Emblems into Commonplaces: The Anthologies of Josephus Langius”, in K. A. E. Enenkel e A. S. Q. Visser (a cura di), Mundus Emblematicus, cit., pp. 1-16, in particolare, p. 7.

38

Omnia And. Alciati V.C. Emblemata cum luculenta et facili Ennaratione, qua cuiusque Emblematis

origo, mensque autoris explicatur, et obscura vel dubia illustrantur. Per Claudium Minoem Divionensem. Excerpta omnia ex integris eiusdem in eadem Emblemata commentariis, D. du Pré,

Parigi, 1571. Su questa edizione si veda P. Ford, “Le commentaire de Claude Mignault sur les emblèmes d’Alciat”, Les cahiers de l’humanisme: Revue consacrée à la littérature de langue latine

dans l’Europe de la Renaissance (XVIIe – XVIIIe siècles), Tome III-IV, 2002-2003, pp. 183-198.

39

L’edizione pubblicata in tre volumi da Tozzi a Padova nel 1621 presenta un punto di arrivo di questa tendenza enciclopedica. Cfr. Andreae Alciati Emblemata cum commentariis Claudii Minois I.C.

Francisci Sanctii Brocensis, et Notis Laurentii Pignorii Patavini Novissima ..., P. Tozzi, Padova,

1621.

40

Cicero, De oratore, II. 39, 162.

41

“Nam, ut in terra non omni generantur omnia, nec avem aut feram reperias, ubi quaeque nasci aut morari soleat ignarus, et piscium quoque genera alia planis gaudent alia saxosis, regionibus etiam litoribusque discreta sunt, nec helopem nostro mari aut scarum ducas, ita non omne argumentum undique venit ideoque non passim quaerendum est.”, Quintilianus, Institutio oratoria, v. x. 21-2. Sulla bibliografia riguardo ai luoghi topici si veda il capitolo quarto dedicato al museo di Quiccheebrg.

(15)

della memoria, sia il luogo adatto a custodire le varie tematiche rappresentate dalle figure degli animali.

Inoltre, per contenere e mostrare ordinatamente queste immagini, vengono utilizzati efficacemente elementi architettonici. La statua di Cupido e i dipinti delle storie amorose si trovano, infatti, nei luoghi creati e articolati dalle colonne, dalla porta, dalla tribuna e dalla fontane. Bisogna notare, a questo proposito, la somiglianza tra questa composizione spaziale e quella dei libri degli emblemi e delle imprese. Sfogliando questi libri, infatti, ci si accorge subito che la composizione della pagina ha una forma simmetrica e geometrica, o addirittura quasi “archittettonica” (fig. 4 & 5). Le figure sono spesso circondate da cornici ornamentali che imitano, a volte, il palcoscenico. Quindi le figure dell’emblema-impresa sulle pagine sembrano quasi quadri appesi alla parete o persino una scena teatrale. Viceversa, come

accenna anche Schöne, il palcoscenico del teatro barocco può diventare un grande emblema42.

Infatti numerosi emblematisti usarono la parola “teatro” come titolo dei propri libri, come ad

esempio Guillaume de La Perrière, Le Theatre des bons engins, (Paris, 1536)43.

L’intreccio tra emblema e teatro risulta assai suggestivo per il nostro discorso. Se nella grotta di Cupido l’automa gira semplicemente su se stesso, in molte altre grotte numerosi automi recitano scene mitologiche e favolose sullo sfondo rappresentato da dipinti e da vari elementi architettonici. In altre parole, singole grotte del bosco si possono considerare come spazi teatrali, in cui i piccoli attori mettono in scena storie emblematiche. Passiamo ora a vedere concretamente i contenuti di queste grotte.

2.3. Le grotte mitologiche e favolose nel bosco.

Le trentadue grotte sparse nel bosco si possono ricondurre approssimativamente a due raggruppamenti tematici: 1) la mitologia-favola, 2) la storia naturale. A volte, però, queste due tematiche si confondono, tanto da non poterle distinguere nettamente. Qui di seguito esaminiamo alcune grotte appartenenti al primo gruppo, mentre torneremo più avanti sul secondo gruppo, comparandolo con la storia naturale nel Cinquecento.

2.3.1. Le grotte del primo labirinto.

Oltre alla grotta di Cupido, nel primo labirinto del bosco si trova una grotta dedicata al mondo mitologico-favoloso. Si tratta della grotta di Narciso (L1G2), il quale “come dicono i

42

A. Schöne, Emblematik und Drama, cit., pp. 223-225.

43

Su questo si vedano R. J. Clements, Picta Poesis, cit., pp. 190-191; J. Manning, The Emblem, cit., pp. 204-205, 299.

(16)

poeti [...] si convertì in fiori, favola bella”(R55v). L’autore fa riferimento alla grotta di Narciso nel giardino di Pratolino, da cui trae ispirazione, illustrando minuziosamente i

movimenti degli automi realizzati da Tommaso Francini (1571-1651)44. Anche Del Riccio

vuole rappresentare nella sua grotta la stessa scena, in cui il giovane si trasforma nel fiore bianco.

La favola della trasformazione di Narciso, raccontata sopratutto da Ovidio nelle

Metamorfosi (III 339 ff.), appare frequentemente nella letteratura degli emblemata come

ammonimento relativo al “conoscere se stesso”45. Tuttavia nella L1G2 non compare nessun

motto, a differenza di quanto avviene nella grotta di Cupido. Piuttosto si descrive come i

visitatori con “le lor consorti et dolci figliuoli”, quando “stanno a vedere tal fatto”, vengono bagnati e “abbondono di risa” (ibid). Questa scena gioiosa, insieme ai movimenti raffinati degli automi, aiuta i “figliuoli” a ricordare il messaggio etico della leggenda di Narciso. A proposito dei giochi d’acqua, Del Riccio spiega, nel descrivere la grotta seguente (L1G3), che essi hanno anche una funzione morale-edificante. Nella terza grotta, dunque, adornata con molte “pietre miste”, ci sono “una infinità d’augelletti piccoli et grandi per tutta la grotta”, i quali sono tutti fatti di bronzo e cantano dolcemente utilizzando dell’acqua (ibid). Alcune “donzelle”, tuttavia, prevedendo la presenza dei giochi d’acqua, “non vorrebbono essere ite a vedere tali cose belle”. Infatti coloro che entrano nella grotta devono bagnarsi, poiché “ci bisogna sbucare o bere o affogare, come dice il proverbio”. Però anche quelle ragazze che rimangono fuori della grotta si trovano costrette a inzupparsi, dato che anche “fuor della grotta viene zampillare di scelta acqua” (R56r). Difatti come dice il domenicano, “il mèle non si ha senza le mosche e senza punture dalle pecchie” (ibid).

I proverbi citati non costituiscono fonti per questa grotta, infatti l’autore fa riferimento ad essi solo come paragone. Però tali citazioni sembrano riconducibili, con estrema probabilità, ad un preciso interesse di Del Riccio di attribuire un carattere morale alle sue grotte. Anche i

proverbi sono importanti fonti di emblemi46. Nel Seicento se ne trova uno che tratta, appunto,

lo stesso tema del miele e delle punture d’ape: “Dulcia mixta malis” (fig. 6), mentre Joachim Camerarius compone l’emblema dell’orso, punto dalle vespe mentre cerca di rubare loro il miele (fig. 7). Grazie all’uso efficace dei giochi d’acqua, il giardino del domenicano diventa lo spazio in cui i visitatori possono sperimentare precetti morali.

2.3.2. Le grotte del secondo labirinto.

44

Sulla grotta di Narciso del Pratolino si veda L. Zangheri, Pratolino, cit., pp. 152-153.

45

Cfr. A. Henkel e A. Schöne, Emblemata, cit., pp. 1627-1628.

46

Cfr. M. Praz, Studi sul concettismo, cit., p. 43; R. J. Clements, Picta Poesis, cit., p. 115; D. Russell,

(17)

Nel secondo labirinto del bosco regio si trovano numerose grotte ispirate alla mitologia e alle favole. La loro struttura mostra caratteristiche comuni alla grotta di Cupido.

La prima (L2G1), adorna di varie spugne e pietre preziose, è “fatta in guisa d’ottangolo” (R61v). Al centro si trova una bellissima fontana, sulla cui cima si ergono due statue di bronzo che raffigurano Ercole e Anteo che lottano. Il figlio di Giove, che

rappresenta le virtù, è infatti uno dei temi più popolari nell’emblema47.

La fontana riproduce quella di Castello, eseguita da Ammannati fra il 1559 e 156948.

Tuttavia la vera originalità del domenicano consiste nella decorazione della grotta:

“Ma tu puoi fare attorno alla grotta in bianco marmo sculpire le diverse lotte che si facevano in Roma nel Culiseo, [...] overo si può fare intagliar le figure o forze d’Ercole.” (ibid.)

Attorno al soggetto centrale, il topos della lotta, rappresentato dall’imponente fontana, si raccolgono in modo icastico i vari temi ad esso correlati. Così anche questa grotta, come quella di Cupido, funge da repertorio iconografico di un singolo “luogo topico”.

Allo stesso modo, possiamo considerare anche le altre grotte come archivi di immagini dedicate ad un singolo topos. Infatti, la seconda grotta (L2G2) è simile per forma ad un tempietto ovale, nel cui centro è collocata una grande statua-fontana che raffigura Sansone nell’atto di uccidere i filistei. Anch’essa è una fedele riproduzione dell’opera eseguita da

Giambologna, che si trovava nel giardino di Casino di San Marco49. Intorno alla fontana

“ [...] si puote fare tutta la storia di Sansone in marmo, ma di bassirilievi o dipinti, come ti aggrada” (R62r). L’eroe biblico non è così popolare come Ercole nella tradizione degli

emblemi, ma possiamo citarne almeno un esempio dall’Handbuch di Henkel-Schöne50.

La terza grotta (L2G3), che ha forma di tempietto ottagonale, è dedicata a Orfeo. Questi è rappresentato, come nelle altre grotte, da una statua-fontana ubicata al centro. Sull’intera parete sono dipinti “tutti gli animali che vengono a ballare al bel suono della lira d’Orfeo” (R62v). Il tema mitologico del poeta che ammaestra gli animali, permette al domenicano di trasformare le loro raffigurazioni in un catalogo di immagini naturalistiche. Su questa grotta torneremo più avanti, mentre ci limiteremo qui a ricordare che anche Orfeo è

un personaggio mitologico molto popolare nel genere dell’emblema51.

47

Cfr. A. Henkel e A. Schöne, Emblemata, cit, pp. 1641-1649.

48

Su questa fonatana si veda C. Acidini Luchinat e G. Galletti, Le ville e i giardini di Castello e

Petraia a Firenze, Pacini, Pisa, 1992, p. 93.

49

Circa questa statua cfr. C. Avery, Giambologna: The Complete Sculpture, Phaidon Christie’s, Oxford, 1987, pp. 75-77.

50

A. Henkel e A. Schöne, Emblemata, cit, p. 1849.

51

Ivi., pp. 1609-1611. Sulla popolarità del tema di Orfeo si veda R. J. Clements, Picta Poesis, cit., pp. 82-83.

(18)

La struttura della quarta (L2G4) e della settima grotta (L2G7) è molto simile, in quanto entrambe usano efficacemente gli automi. La prima tratta il topos degli “sposalizii”, presieduti dal dio Imeneo, la cui statua, adornata “con catene e gioie” (R62v), è collocata su una fonte centrale, ove si svolge una scena di nozze recitate da numerosi automi “alte una spanna d’uomo” (R63r). Mentre gli spettatori guardano le nozze, allietate da musiche e canzoni, sulla loro testa cadono confetti veri. Sulle pareti sono dipinte scene di banchetti nuziali, in cui si vedono “tutte le foggie che portino le giovini e vecchie, altresì i giovini e vecchi di tutte le nazioni che si sa” (ibid). Al topos dei “cavalieri e soldati” è dedicata la settima grotta, in cui numerosi automi-soldati combattono con varie armi, assediando una città. Anche qui la parete è coperta da vari dipinti e da bassorilievi che raffigurano “tutte l’armi offensive e defensive che si usino in guerra” (ibid) e “tutti i duelli che si facevono già, che oggi son proibiti” (R65r).

In queste due grotte i topoi si trasformano, grazie agli automi, in immagini

tridimensionali in movimento. Per ciò che riguarda il funzionamento degli automi, Del

Riccio sottolinea ripetutamente il piacere visivo provocato da tali macchine. Nella digressione relativa al primo labirinto, a proposito dei grandi giardini manieristici a lui contemporanei, dice:

“ [...] gli ingegni [...] che faccino muovere per via d’acqua figure diverse, là dove vanno tutti i popoli a vederli et con gran maraviglia son considerati, quando escono de’ giardini di quelli, sovente ragionano fra loro; altresì gli dicono altri che non gl’hanno visti, laonde il tale s’accende d’una voglia non piccola d’andarli a vedere.” (R61r.)

Le scene meravigliose realizzate dagli automi inducono la gente a parlarne, destando forte curiosità in chi non le ha ancora viste. Per di più, qualche riga dopo, il domenicano ripete la stessa opinione, “ [...] cotali grotte [...] son molto grate a tutti che per lor diporto vanno a vederle” (R61v).

Non sembra privo di significato, a tal proposito, rammentare che la letteratura degli

emblemata mira sia ad educare che a divertire i lettori, essendo basata sia sulla poetica

oraziana dell’utile dulci sia sulla retorica52. Infatti il poeta satirico sostiene che le poesie

devono essere utili e divertenti al tempo stesso53, mentre l’obiettivo della retorica consiste nel

muovere, nel divertire e nell’educare il pubblico54. Gli emblematisti, che avevano di solito

52

Cfr. A. Saunders, The Sixteenth-Century Frenche Emblem Book, cit., p. 9.

53

“Aut prodesse volunt aut delectare poetae aut simul et iucunda et idonea dicere vitae. [...] omne tulit punctum qui miscuit utile dulci, lectorem delectando pariterque monendo.”, Horatius, Ars

poetica, 333. ss.

54

(19)

una formazione retorica, traggono il massimo vantaggio da quest’arte di usare le parole per divertire i lettori, sia con figure retoriche, sia con la potenza delle immagini. Così possiamo ritenere che anche Del Riccio, frate dell’ordine mendicante, abbia provato ad offrire un ideale giardino emblematico in cui i visitatori potessero apprendere conoscenze enciclopediche, divertendosi ad ammirare gli automi ed a vedere dipinti e sculture assai realistiche. Questi aspetti infatti vengono amplificati il più possibile nelle grotte dei labirinti che analizzeremo qui di seguito.

2.3.3. Le grotte del terzo labirinto.

La sesta grotta del terzo labirinto (L3G6) è costruita “in honore delli amatori di Bacco” (R76r). Prima di descriverne la struttura, Del Riccio richiama, con un forte tono di ammonizione, l’attenzione dei lettori sulle malattie causate dal bere sfrenato. Egli si scusa con i lettori se questa grotta è descritta da chi non è avvezzo al vino, poiché

“[...] ne [scil.: vino] piglio poco, per non havere i frutti che poi si ne trae in sua vecchiezza, et

molte fiate in gioventù, che sono queste gotte che ci fanno gridare giorno e notte, gamberaccie, renelle, et molti mali che sarei lungo in scrivergli.” (ibid.)

Perciò – continua l’autore – “non mi diletto di tener familialità con Bacco” (ibid). Infatti astenersi da Bacco è un topos ricorrente che si trova anche in vari capitoli dell’Agricoltura

sperimentale in cui l’autore consiglia ripetutamente, in chiave morale e medica, ai lettori di

essere “sobri nel mangiare e nel bere”55. Ciò che è suggestivo per noi è il fatto che l’autore

accusa spesso Bacco (vino) e Venere (lussuria) di essere causa principale di ogni malattia56.

Pertanto si può ritenere che la grotta di Cupido dedicata al topos dell’amore e la grotta di Bacco dedicata al vino siano correlate. Tuttavia i giudizi di Del Riccio riguardo al vino non sono solo negativi. Difatti nella digressione del capitolo “Delle ciriegie (sic)” dopo la lunga lista di epiteti negativi di Bacco l’autore ne inserisce una positiva altrettanto lunga. Infine

consiglia ai lettori un goccetto di vino per mantenere la salute57.

Tornando alla nostra grotta del bosco, dunque, essa ha la forma di una tribuna. Nel centro si trova “un giardino di marmo bianco con i suoi cerchi et doghe, et l’altre pertiche”,

55

A. Del Riccio, Agricoltura sperimentale, cit., I. cc. 51v-52v, 59v-60v, 113v; II. cc. 282v, 288v, 311-319v, 375v.

56

Ibid., I. c. 113v; II. cc. 282v, 288v. Il domenicano critica Bacco, Venere e Cupido anche nell’Istoria delle pietre . Cfr. Id., Istoria delle pietre, Raniero Gnoli e Attilia Sironi (a cura di), Allemandi, Torino, 1996, c. 107v.

57

(20)

nel mezzo del quale v’è un tino. Sopra questo ultimo si vede “star Bacco a sedere su una sedia horrevole con più giovinetti et huomini vecchi, altresì donne” (R76v). Poi il domenicano illustra dettagliatamente l’iconografia della statua del dio:

“ [...] due giovinetti lo deon coronare, ma di corone in guisa di ghirlanda fatta di grappoli d’uve et frondi di viti, et il detto Bacco tiene un gran bicchiere in ambedue le mani, et dal detto bicchiere esce una gran polla d’acqua cristallina et saltagli in bocca, et egli l’ingolli, et sempre bee et mai si cava la sete.” (ibid.)

Gli uomini, che fanno “gesti naturali, et habbino varii habiti indosso, o nudi” (R77r), si radunano intorno alle otto cannelle del tino di Bacco per bere il vino o per riempire i propri fiaschi. Intorno alla grotta, inoltre, vi sono delle botti di marmo, su ognuna delle quali sta una figura di giovane, incoronato come Bacco. L’autore qui cita la fontana di Villa Lante come

propria fonte di ispirazione (fig. 8)58.

Ma l’originalità del domenicano consiste, come al solito, nell’affrontare il discorso sul vino in modo enciclopedico, e ciò si coglie nei dipinti della grotta. Del Riccio descrive dettagliatamente la sua iconografia: si tratta di una scena di festa della vendemmia, in cui non si dipingono solo i contadini che raccolgono l’uva, ma anche “d’ogni sorte genti, [...], donne, [...] giovinetti, huomini poveri e ricchi, altresì chi porti l’uva al tino, come buoi, cavalli et asini” (R77v). Queste parole alludono all’onnipotenza del vino, che attrae gente di ogni età e ceto. Inoltre in un altro quadro si dipinge “il modo fare il vino” e l’autore riferisce questa scena come “di grande spasso” da vedere (ibid). Alla fine, in un’altra parete della grotta, c’è una grande scena che rappresenta un banchetto presieduto da Bacco. Quindi, osservando questo ciclo pittorico, i visitatori possono imparare tutta la cultura del vino, dalla vendemmia alla produzione e al piacere che esso produce. Vi si può cogliere un forte motivo di educazione visiva.

Dalla lettura di questa descrizione risulta chiara la somiglianza nella struttura tra questa grotta e quella di Cupido. Infatti, anche qui il domenicano ci presenta un ricco repertorio iconografico di Bacco, circondato da giovani e vecchi che rappresentano i vari attributi del

dio. Gli ornamenti parietali della grotta sono dedicati a vari aspetti inerenti il vino, topos

centrale rappresentato dalla scultura di Bacco.

Se teniamo presente l’ammonimento da parte dell’autore circa l’influenza dannosa del vino, la composizione della scultura centrale diventa assai suggestiva. Ritengo cioè che anche questa iconografia possa essere letta in chiave emblematica. In effetti il tema di Bacco è molto popolare nella tradizione degli emblemi. Alciati, ad esempio, compone un emblema

58

(21)

del dio che reca il motto “In statuam Bacchi”59. La sua pittura rappresenta il giovane dio accanto ad una pergola di vite incoronato di tralci (fig. 9). L’epigramma ci consiglia la moderazione nel bere, illustrando i malanni provocati dal vino. È noto che questo emblema si

ispirò ad un epigramma contenuto nella cosiddetta Antologia Greca60, in cui numerosi

epigrammi si basavano su descrizioni ecfrastiche di statue e tombe antiche. Anche l’emblema di Alciati, come si deduce dal motto, presenta una statua del dio del vino. Pertanto sembra naturale che la statua di Bacco, o di qualunque altro dio, collocata nel giardino si trasformi in un emblema.

Un esempio ancora più interessante dal punto di vista iconografico è offerto dall’emblema di Bacco composto dall’ungherese Johannes Sambucus (1531-84), poeta e storico della corte viennese. Il soggetto è quasi identico a quello del giurista lombardo. Sotto il motto “Mediocria prosunt” la figura presenta due immagini di Bacco, uno vecchio e l’altro giovane, entrambi seduti su grandi botti di vino, che levano i bicchieri (fig. 10). Attorno alla botte del giovane dio, gente di varie età si raduna per ricevere il vino da lui. È notevole la somiglianza tra questa immagine e la composizione delle sculture della grotta di Del Riccio. Nell’epigramma anche il letterato ungherese, pur ammettendo l’effetto salutare del vino,

raccomanda la moderatezza nel bere, al fine di evitare la malattia in vecchiaia61.

Come risulta chiaramente dal confronto di questi esempi, la struttura della grotta di Bacco ha una forte connotazione emblematica. Se non vi si ritrovano né il motto né l’epigramma, è comunque abbastanza chiaro il messaggio morale trasmesso dalla composizione delle sculture. Tanto l’ammonimento da parte dell’autore suona quasi come epigramma dell’emblema. Inoltre, il domenicano prova a “far ridere la gente” (ibid) nel dipingere la scena del banchetto, in cui si vedono vari scherzi, giochi, bande musicali in costume satirico. Così gli spettatori possono al tempo stesso ricevere una lezione morale, imparare la cultura del vino e divertirsi guardando la scena comica. Educare e divertire nel contempo è, come si accennava, una delle caratteristiche della letteratura degli emblemata. Altra grotta degna di nota nel terzo labirinto è la settima (L3G7), dedicata alle vergini vestali. Nel fondo della grotta una fanciulla in forma di automa attinge acqua alla fonte con

59

A. Alciato, Emblematum liber, 1531, cit., sig. D4.

60

Selecta epigrammata Graeca Latine versa, ex septem Epigrammatum Graecorum libris, J. Badius, Parigi, 1531, H3r. Sul rapporto dell’emblema di Alciati con l’Antologia Graca si vedano M. Praz,

Studi sul concettismo, cit., pp. 20-28; A. Saunders, The Sixteenth-Century French Emblem Book, cit.,

pp. 82-85; L. Bolzoni et al., “Con parola brieve e con figura”, cit., p. 21.

61

“Non sine caussa olim Bacchos miranda vetustas / Duos fuisse prodidit : nempe senem, et

iuvenem : / Tristem, barbatum, qui rixas excitat amens : / Hilari alterum fronte, et iocis, lis inimica cui est. / Vina fovent animos, faciuntque furoribus aptos: / Ni sumpseris caute ac bene, plus nocuisse vides. / Sed moderata iuvant vires, alimenta ministrant, / Ac temperant curas graves suavibus indiciis. / Nempe senex gladios movet, et convitia iactat, / Necesque plenas maximis sollicitudinibus.”, J. Sambucus, Emblemata, et aliquot nummi antiqui operis, C.Plantini, Anversa, 1566 (2nd), p. 204.

(22)

un vaglio fitto di buchi, mentre altre ballano sulle note della musica suonata da putti. Anche qui il topos della verginità permette all’autore di amplificarne il soggetto in modo enciclopedico. Infatti “ci dee essere dipinto tutti gl’esercizii che fanno in queste età le vergini,

come ricamare, cucire, filare, anaspare et altri lavori” (R78v). Del Riccio cita come suo

modello la stanza della duchessa Eleonora in Palazzo Vecchio a Firenze. Infatti nella Sala di

Penelope è raffigurata la scena di quest’ultima al telaio con altre tessitrici62.

Come al solito però si aggiungono altri soggetti quali “tutti li habiti che portono le donzelle in varie province del mondo, cosa che apporterebbe gran piacere alle gentil donne che vanno tal fiata a vedere questi giardini ameni per lor diporto et salvezza” (R78v-79r). Risulta dunque chiaramente da queste parole che il domenicano dedica questa grotta alle gentildonne, sopratutto all’educazione delle giovani ragazze (“tutti gl’esercizii che fanno in queste età le vergini”), che la visitano accompagnate dalle madri. Anche qui l’istruzione e il divertimento vengono mescolati in modo inscindibile. L’autore aggiunge inoltre i graziosi automi di quattro angeli che portano ai visitatori “confetti o frutte secondo le stagioni ” e fanno “reverenza a quelle gentil signore” (R79r). Un’atomosfera così dolce, contribuendo ad aumentare la gioia, dovrebbe spingere le ragazze a voler tornare molte altre volte a visitare le grotte loro dedicate.

2.3.4. Le grotte del quarto labirinto.

L’ultimo labirinto comprende numerose grotte di soggetto mitologico-favoloso. Le prime due, L4G1 e L4G2, trattano del mondo bucolico, rispettivamente delle ninfe e delle pastorelle. In entrambe si amplificano, come al solito, i topoi con una connotazione enciclopedica, coprendo tutte le pareti con dipinti che completano i soggetti centrali. Così possiamo ammirare nella prima grotta i dipinti delle navi e le varie guerre navali della storia, mentre nella seconda “tutte l’istorie appartenenti a’ pastori, altresì i modi che usano fare nel fare i caci et ricotte, così anche i butirri” (R83v), insomma tutte le culture e i costumi della vita bucolica. Non è difficile osservare anche qui il forte motivo educativo che muove l’autore.

La terza grotta (L4G3) funge da stufa. Il suo tema decorativo è il mito di Diana e Atteone, che viene rappresentato da automi posti in una piccola grotta, collocata alla fine della stanza. L’autore non indica nessun messaggio morale relativo alla scena, ma questo mito è il tema preferito dagli emblematisti come ammonimento contro la lussuria, come ad

62

Cfr. E. Allegri e A. Cecchi, Palazzo Vecchi e i Medici, Studio per edizioni scelte, Firenze, 1980, p. 204.

(23)

esempio “In receptatores siccariorum” di Alciati63 e “Voluptas aerumnosa” di Sambuco (fig.

11)64. Ciò che ci interessa ulteriormente è la piccola grotta, in cui è rappresentata la

trasformazione (eseguita da automi) di Atteone in cervo. Si tratta, per così dire, un palcoscenico preparato appositamente per la scena emblematica.

Anche nelle seguenti due grotte gli automi vengono usati efficacemente. La quarta grotta (L4G4) è dedicata alla storia di Tisbe e Piramo, un mito tragico narrato sopratutto dal poeta romano Ovidio nelle Metamorfosi (IV 55ff.). Il domenicano riporta dettagliatamente la loro storia sanguinosa, dilungandosi per ben due pagine, per impartire poi indicazioni dettagliate per la creazione di un bosco artificiale nel quale gli automi dei due fidanzati e di un leone mettono in scena la storia, sopratutto il momento in cui Tisbe si toglie la vita con la spada dell’amato defunto. Di tale scena l’autore illustra minuziosamente i movimenti ed i meccanismi degli automi; tanto realistica, egli dice, da sembrare “come se fusse viva et come se tal caso fusse stato allora” (R86r).

La storia di Tisbe e Piramo non è però particolarmente diffusa negli emblemi65.

Tuttavia, se teniamo presente che il domenicano, nell’analizzare il comportamento

imprudente di Tisbe, considera l’eccessiva emotività delle ragazze un difetto66, sarebbe

possibile ipotizzare che questa grotta sia stata creata per servire da lezione alle donne. Infatti l’autore immagina che mentre stanno “le gentildonne con le giovinette lor figluole a veder tal cosa, venga una grand’acqua et le bagni bene” (ibid).

Anche il tema della seguente grotta L4G5 riguarda una tragedia che ha come protagonista una donna. Si tratta della storia di Cleopatra e si dipinge “tutta la vita sua nella mura” (R86v). Dentro la stanza c’è una “grottetta”, in cui è rappresentato il suicidio della regina egiziana. Il fatto che il domenicano si rivolga alle giovani visitatrici è reso evidente dalle frasi iniziali riportate sulla grotta successiva. Leggiamo infatti: “La sesta grotta deve essere allegra per non dar tanta angoscia alle povere femminuccie che hanno visto le due

passate (scil.: L4G4 & L4G5) molte meste” (ibid). In seguito, cogliendo l’occasione, l’autore si

diffonde a criticare aspramente i lati negativi del carattere delle donne67.

È importante sottolineare come gli automi di queste due grotte di argomento tragico siano talmente verosimili da impaurire le spettatrici. Inoltre le parole con cui si narrano le

63

A. Alciato, Emblematum liber, 1531, cit., sig. E6b.

64

J. Sambucus, Emblemata, cit., p. 109.

65

Henkel e Schöne ne mostra solo un esempio del Seicento composto da Gabriel Rollenhangen, “Persequar exstinctum”. Cfr. A. Henkel e A. Schöne, Emblemata, cit, pp. 1591.

66

“ [...] come giovinetta che haveva poco sale in zucca et manco cervello, come sono molte donzelle che mettono la volontà inanzi alla ragione, e spesso poi fanno due fonti di lacrimuccie, che son le potentissime armi di questo sesso femminile.” (R85r)

67

“le donne son mobile o ritrose et sospettose, pusillanime et paurose et senza il buon cosiglio rare volte gli riesce l’opere loro laudovoli fini; et chi disse donna disse danno” (R86v).

(24)

scene – sopratutto quella di Tisbe e Piramo – dettagliate, commoventi e a volte sanguinose, suonano quasi ecfrastiche. Se consideriamo i moniti rivolti alle donne come un epigramma che deve essere impresso nella mente, le scene recitate dagli automi fungerebbero dunque da

imagines agentes dell’emblema.

2.4. L’emblema-impresa, l’ekphrasis e gli automi nelle grotte mitologiche di Del Riccio.

Nonostante Del Riccio non usi mai il termine “emblema” nei suoi scritti, è presumibile che egli fosse al corrente anche della letteratura emblematica coeva, genere prossimo e concorrente all’impresa. Lo dimostra il fatto che alcune immagini collocate nelle grotte esprimono chiaramente un carattere “emblematico”, in quanto mirano a impartire un’educazione morale. Anche se in tutte le grotte fin qui esaminate, ad eccezione di quella di Cupido, non è iscritto nessun motto né epigramma, da quanto detto possiamo capire come, in alcuni casi, gli epigrammi esplicativi vengano sostituiti dagli automi, che recitano lunghe storie trasmettendo il messaggio dell’autore. Almeno gli adulti lo comprenderanno subito e

ne illustreranno poi il significato ai propri figli68.

Come si è già accennato, le descrizioni dei movimenti degli automi sono particolarmente minuziose e realistiche, tanto da farci ricordare la tecnica retorica “ekphrasis”. Ciò che maggiormente interessa al nostro discorso è l’utilizzo, ampiamente diffuso, di questa tecnica anche negli epigrammi dell’emblema. Infatti alcuni libri di emblemi cinquecenteschi sono privi di immagini, elementi ineludibili in questo genere letterario. Questa mancanza di immagini ci induce a supporre che gli autori intendessero suggerire le immagini nella stessa mente dei lettori, piuttosto che fornirle concretamente sulla pagina. Difatti è possibile comporre, o per meglio dire, dipingere facilmente le immagini dell’emblema nella mente del lettore grazie a lunghi epigrammi, le cui descrizioni suonano spesso molto vivaci e suggestive e, in altre parole, “ecfrastiche”.

Composto dalle parole greche ek (fuori) e phrazein (dire, dichiarare, pronunciare),

ekphrasis significa originalmente “dire pienamente” e si definisce generalmente come “la

rappresentazione verbale delle rappresentazioni visive” o “la descrizione in parole di un

oggetto delle arti plastiche”69. Esempi significativi di ekphrasis sono ad esempio offerti, nella

68

Leggiamo ad esempio nella descrizione della L3G4, dedicata le tema del cervo, “le giovinette con le dolci madri loro, così i fanciulli con i varii padri vanno discorrendo sopra quelle istorie [...] ” (R73v). Frasi simili si trovano anche in altre grotte: “gl’huomini e donne disputono quello e il tale animale” (L1G5, R57v); “le giovinette con le loro amorevoli madri discorrono sopra l’istorie” (L3G2, R72v).

69

Per quanto riguarda l’ekphrasis, tra la vasta bibliografia ci limitiamo a rimandare ad alcuni lavori fondamentali: R.W. Lee, “Ut pictura poesis: The Humanistic Theory of Painting”, The Art Bulletin,

Figura

Fig. 1: J. Sambucus, Emblemata, Antwerp, Christophe Plantin, 1566, p. 144.
Fig. 5: Emblema XXIV, in Théodore de Bèze, Icones,..., Jean de Loan, 1580.
Fig. 11 : Volputas aerumnosa, in J. Sambucus, Emblemata, cit., p. 109.
Fig. 13 : Aesopus, Vita e favole illustrate di Esopo, Impressum Mediolani, per Gotardum de  Ponte, 1508, sig., eii.r
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Riferimenti

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