Conclusioni
Il settore del risparmio gestito sta affrontando, ormai da dieci anni, una fase caratterizzata dal forte aumento della concorrenza dal lato dell’offerta ed una riduzione dei margini di crescita. Questi fenomeni hanno stimolato nel settore, differentemente dal passato, una vivace dinamica di selezione fra i fondi di investimento, il cui effetto netto, con particolare attenzione alla sotto-categoria dei fondi azionari Italia, è stato una riduzione notevole dei fondi attivi sul mercato. In base ai dati a disposizione, infatti, il numero di fondi con oggetto di investimento il mercato azionario italiano è calato da 75, all’inizio del 1999, a 55 alla fine del 2006.
L’osservazione di questa importante dinamica selettiva sul mercato ha motivato lo studio della performance dei fondi azionari condotto nella tesi. Il primo elemento di interesse, cui si è deciso di prestare particolare attenzione, è costituito dalle conseguenze dovute alla perdita di dati a seguito della scomparsa di fondi: esiste infatti, nel compiere studi sulla performance aggregata, il rischio concreto di pervenire a risultati sulla redditività distorti, qualora i dati dei fondi non più attivi siano tali da influenzarne le stime complessive del comparto. Un secondo punto su cui si è posta l’attenzione è ricercare se la perdita dei dati dei fondi scomparsi da un campione sia tale da alterare uno studio sulla persistenza dei gestori nelle graduatorie di redditività.
E’ possibile dividere, idealmente, la tesi in due parti di due capitoli ciascuna. I primi due capitoli rappresentano la premessa teorica ai successivi due che approfondiscono la letteratura sul survivorship bias e presentano l’analisi empirica.
Nel primo capitolo si sono introdotti, da un punto di vista teorico, i temi della misurazione dei rendimenti nei fondi comuni di investimento, tracciando una cornice dei limiti che l’impiego di misure grezze di rendimento hanno per un’analisi comparativa fra fondi con caratteristiche differenti, ed introducendo, quindi, il concetto di rischio in un investimento finanziario e la necessità di tenerlo in considerazione attraverso la sua incorporazione in misure di rendimento aggiustate per il rischio. Nel secondo capitolo, l’approfondimento teorico si concentra sull’Ipotesi di Efficienza dei mercati e sulla misurazione della performance persistence, introducendo le misure impiegabili per rilevarla.
Il terzo capitolo è descrittivo e si concentra sul survivorship bias presentandone le principali caratteristiche sia attraverso una spiegazione euristica sia presentando i principali risultati ottenuti dalla letteratura internazionale, sia con riguardo all’analisi della redditività aggregata, sia con riguardo alla performance persistence.
Nel quarto ed ultimo capitolo si sviluppa l’effettiva analisi empirica della tesi, a partire dai dati a disposizione, da come è stato costruito il database per concludere con una descrizione dei risultati ottenuti.
La raccolta dei dati per l’analisi si è rivelata molto più difficile e dispendiosa di tempo delle attese: poiché non è stato possibile accedere alle banche dati di istituzioni principali quali la Banca d’Italia e la Consob, l’unica fonte certa completa di dati è risultata essere la pubblicazione cartacea de Il Sole 24 Ore, da cui sono stati trascritti i dati utilizzati. Il Sole 24 Ore mette a disposizione sulla “rete” un servizio a pagamento per l’accesso agli articoli e le tabelle pubblicate sul quotidiano dal 1980 ad oggi. Purtroppo tale servizio è stato solo di parziale aiuto; le tabelle scaricabili sono, probabilmente, state importate dalle pagine cartacee attraverso scanner ottici, ma non sono state oggetto di attenta verifica. Per questo non sono rari errori di segno dei rendimenti e di collocazione dei dati nelle colonne, si è anche osservata l’errata assegnazione di date e riferimenti (a titolo di chiarimento, tabella del mese X nella tabella del mese Y, oppure rendimento/quota del fondo A in luogo del fondo B). In tutti questi casi, le informazioni errate sono state corrette tramite il supporto cartaceo del medesimo quotidiano, ovvero utilizzando la quotazione del giorno di mercato aperto più vicino.
Si ritiene opportuno commentare la carente disponibilità di dati ed informazioni sul mercato italiano per i fondi comuni di investimento. Nonostante la gentile collaborazione ottenuta da Morningstar, che ha messo a disposizione parte del suo database per fini accademici, non esistono in Italia database completi accessibili ad un privato cittadino per l’analisi personalizzata dei dati. Le informazioni a disposizione si limitano nella gran parte dei casi alle sole serie storiche dei rendimenti, e non sono fruibili, mentre la valutazione di un investimento in un fondo comune di investimento necessita, fra gli altri, di dati quali i costi di gestione, il turnover ratio, le commissioni di entrata (che seppur variabili, perché soggette alla discrezionalità del promotore finanziario che colloca le quote, restituiscono un’indicazione sul massimo costo sostenibile) e di uscita.
Fonti private quali Datastream e Morningstar, come detto, non sono in grado di fornire basi di dati complete: la prima, seppur contenente alcune delle serie storiche dei fondi chiusi non garantisce la completezza del campione, mentre la seconda è, per costruzione, affetta da survivorship bias. I dati impiegati nello studio sono, quindi, i rendimenti mensili calcolati a partire dal valore della quota di ciascun fondo, rilevata all’ultimo giorno di mercato di ogni mese a partire da dicembre 1998 fino a dicembre 2006, per un totale di 96 osservazioni. Il database così costruito si può dire completo, limitando la perdita di informazioni ai soli rendimenti realizzati dai fondi scomparsi che abbiano smesso di essere quotati successivamente alla mensilità osservata.
Questo dataset completo è stato messo a confronto con un dataset teorico contenente i rendimenti dei soli fondi che fossero oggetto di quotazione alla fine del 2006, e con un dataset reale, fornito gentilmente da Morningstar, estratto dalla base di dati della società ed affetto da survivorship bias, contenente i soli fondi quotati a febbraio 2008.
E’ stato possibile ricostruire la causa di cessazione dalla quotazione per 38 dei 41 casi osservati. La causa largamente preponderante, rappresentante oltre due terzi dei casi, è l’incorporazione in un altro fondo con medesimo oggetto di investimento, e fra questi, la maggioranza dei casi fa seguito all’acquisizione, da parte di un gruppo bancario, di una banca controllante una società di gestione del risparmio; in 11 casi la motivazione dell’uscita dalla categoria è stato un cambio di oggetto o di area di investimento. In particolare i gestori dei fondi hanno inteso modificare l’oggetto di investimento verso le categorie “bilanciato” e “flessibile”, mentre la zona di investimento obiettivo è sempre “Area Euro”. In entrambi i casi i gestori ottengono di aumentare le opportunità di diversificazione del portafoglio, ed evitare in questo modo i vincoli legati alla categorizzazione di partenza. I fondi liquidati sono 2, rappresentando meno del 5% dei casi, e molto basso se confrontato con i risultati emersi dagli altri studi presenti in letteratura, dove mediamente la liquidazione è causa di circa il 15% dei casi di scomparsa di un fondo. Allo stesso tempo, si nota che la nascita di nuovi fondi, sostenuta nella prima parte del periodo, quasi si annulla nella seconda parte, nonostante questa coincida con il periodo più favorevole (in termini di rendimenti del mercato azionario) negli otto anni dello studio.
L’elevato tasso di fondi incorporati, insieme con il basso tasso di liquidazione, fra le cause di scomparsa dei fondi, supporta in qualche modo l’ipotesi iniziale che le società di gestione impieghino attivamente lo strumento della razionalizzazione per rendere il proprio portafoglio prodotti più appetibile. Per approfondire questa ipotesi potrebbe essere interessante, su un campione più numeroso, indagare se la redditività dei fondi che hanno subito incorporazione, sia sostanzialmente diversa dai fondi che invece abbiano cambiato strategia di investimento.
I risultati sulla redditività aggregata mostrano inequivocabilmente l’influenza del survivorship bias sulle stime:
a) In termini di rendimenti grezzi, il database affetto da survivorship bias ottiene un rendimento annuo superiore rispetto a quello effettivamente realizzato dalla categoria di 0.64%, mentre quello realizzato dal database di Morningstar, affetto da survivorship bias e look ahead bias (Il campione si riduce ulteriormente da 55 a 45 fondi) è addirittura 2.24%
b) In linea con questi risultati, i fondi incorporati risultano essere meno redditizi anche in termini di rendimento aggiustato per il rischio. In base al CAPM, i fondi sopravvissuti ottengono una performance superiore alla categoria di 0.05% mensile; impiegando il modello a 4 fattori, l’evidenza empirica suggerisce che i fondi non sopravvissuti hanno sostanzialmente la stessa esposizione dei fondi sopravvissuti nel fattore di rischio SMB, mentre sono meno esposti al fattore di Momentum.
La stima che si è ottenuta del survivorship bias sul periodo di osservazione è largamente significativa, e la notevole entità rilevata porta a concludere che gli studi di letteratura che abbiano ignorato il fenomeno della sopravvivenza su database non completi, presentino stime di performance distorte. Questo problema è di particolare attualità e riguarda la qualità delle informazioni a larga diffusione, disponibili per risparmiatori, e fra questi, in particolar modo, coloro i quali non abbiano ricevuto mai almeno una base di istruzione in finanza.
A titolo di esempio sulla serietà di questo tema si ha certezza, per ammissione della stessa società, che il database di Morningstar è affetto da survivorship bias. Nelle pagine
descrittive dei fondi, disponibili liberamente nel sito internet della società, ogni fondo è confrontato con il rendimento del proprio benchmark ed il rendimento della categoria. L’analisi dell’effetto del survivorship bias sulla persistenza della redditività dei gestori operanti sull’azionario italiano è stata condotta anno per anno, in modo tale da visualizzare oltre l’eventuale esistenza del fenomeno, quando questo si sia verificato. Fra i risultati scaturiti dall’analisi si possono evidenziare due elementi principali:
I) La performance persistence non è un fenomeno stabile nel tempo: se ne ha evidenza solo in tre dei sette bienni su cui è stata condotta l’analisi.
II) Il survivorship bias tende ad aumentare la performance persistence osservata: Sia definendo Winner (Loser) il fondo che abbia ottenuto rendimenti superiori (inferiori) al rendimento mediano, sia che abbia ottenuto rendimenti superiori (inferiori) al 75-esimo percentile, l’effetto del survivorship bias è di aumentare la persistenza rilevata dalle statistiche impiegate.
I risultati evidenziati dalle analisi compiute in questa tesi confermano per il mercato italiano i risultati presentati in letteratura per gli altri mercati finanziari europei ed americani.
L’esperienza maturata per l’impostazione di questa analisi di ricerca lascia ampi spazi di approfondimento:
1) Aumentata la copertura del database all’intero mercato dei fondi comuni azionari in Italia, lo studio sulla performance aggregata potrebbe essere migliorato ed approfondito in verifiche e dettagli che in questa tesi non sono potuti essere inseriti: un’analisi dei flussi di capitale dei fondi scomparsi, con particolare attenzione ai fondi incorporati, ed un’indagine dei flussi e dei rendimenti dei fondi incorporanti; un’analisi probabilistica delle cause di sopravvivenza/mortalità. 2) La macro categoria azionaria è stata quella più studiata in assoluto, eppure
un’indagine di ancor maggior interesse potrebbe avere come oggetto le macro categorie intermedie: i fondi bilanciati ed i fondi flessibili sono soggetti ad un numero più ampio di fattori di rischio avendo un numero maggiore di driver della redditività. Per questi, un puntuale studio delle dinamiche di sopravvivenza, redditività e rischio, potrebbe evidenziare risultati di interesse notevole, assunto
che, in passato, proprio queste categorie hanno visto aumentare l’interesse da parte dei risparmiatori.
3) Lo studio delle caratteristiche dei fondi incorporanti con attenzione alle differenze rispetto ai fondi incorporati potrebbe essere un’ulteriore canale di indagine. In questo, si potrebbero quindi rilevare interessanti informazioni circa l’effettiva attività di “make up” dei gestori durante e dopo le fusioni di fondi.
4) Infine, per quanto riguarda la performance persistence, si ritiene che l’indagine su un numero di fondi maggiore possa fornire un’indicazione più significativa, ed inoltre, consentirebbe di sfruttare metodologie statistiche, come quelle descritte alla fine del capitolo 2 che richiedono campioni più numerosi di quello a disposizione.