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2.3 Meccanismi percettivi coinvolti nella presa, manipolazione ed esplorazione di oggetti fisici

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Academic year: 2021

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2.3 Meccanismi percettivi coinvolti nella presa,

manipolazione ed esplorazione di oggetti fisici

2.3.1 Afferraggio e manipolazione degli oggetti

Nell'afferrare e manipolare un oggetto, l'importanza del pollice è cosa di evidenza palese. Per gli scopi di questo lavoro è importante conoscere le forze che si possono rilevare nell'atto di afferrare un oggetto: fra pollice e indice Bolsinger e Mai (1985) [3] , misurarono forze dell'ordine di 75 N, mentre in un afferraggio di potenza si possono esercitare forze per un valore complessivo di 500N. Durante tali operazioni la pressione sui polpastrelli può raggiungere i 245 kPa [5].

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Nel caso in cui il compito preveda il sollevamento dell’oggetto afferrato, le forze di afferraggio sono dipendenti dal coefficiente di attrito fra la pelle e l’oggetto. Infatti, la situazione di equilibrio delle forze che contrastino la forza peso, passa per una fase di "pre-carico" nella quale le dita vengono premute contro la superficie dell'oggetto per assicurare la stabilità della presa. Una volta afferrato l'oggetto, si esercita la forza necessaria a sollevarlo; in ogni istante il rapporto fra la forza di presa (grip force) e quella di sollevamento (load force) resta grossomodo costante [46]. Tale rapporto è detto scivolosità o “slip ratio”. Tale rapporto dipende dal coefficiente d'attrito fra la pelle e l'oggetto. Si può vedere come, a differenza della forza di sollevamento, il profilo della forza di presa vari con le condizioni tribologiche pelle-oggetto e come con essa vari la scivolosità. Si può affermare che la forza di presa aumenta con la levigatezza della superficie. Stanti le condizioni descritte, per una superficie scabra avremo un basso rapporto di scivolosità che prescinde dal peso dell'oggetto.

2.3.1.a

Percezione dello scorrimento

Giova premettere che la nostra pelle è solitamente umida. Una certa umidità è funzionale (e connaturata) agli scambi termici che continuamente avvengono per il nostro stesso funzionamento e la nostra termoregolazione. Un leggero strato umido inoltre favorisce una presa sicura: passando un dito su una superficie più o meno liscia facciamo in modo che si esercitino delle azioni tangenziali sul polpastrello. Tali azioni apparentemente continue lo sono in realtà solo in media: si innescano microfenomeni riconoscibili come stick-slip, che coinvolgono quello strato umido che ricopre tutta la pelle facilitando l'adesione. Pertanto lo strato corneo risulta stirato nella direzione opposta al moto relativo fra polpastrello e superficie. Sappiamo che allo strato corneo ed alle sue irregolarità corrispondono quelle estroflessioni che sembrano quasi ancorare derma ed epidermide. Lo stick slip si traduce in vibrazioni dei risalti delle impronte digitali che vengono perciò trasmesse alle estroflessioni e di conseguenza ai sensori di Merkel e Meissner. Sono queste vibrazioni a fornire la sensazione della superficie che scorre sotto il dito. Questo meccanismo non è autosufficiente perché è in grado di avvertire un movimento (apparente o

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relativo) ma per individuarne la direzione ha bisogno di altri responsi delegati a sensori più profondi: i corpuscoli di Ruffini.

La sensazione di una superficie in movimento rispetto all'osservatore è una parte importante nella ricerca di una sensazione verosimile: non sembra pensabile simulare la sensazione di reggere un oggetto pesante, ad esempio, senza quella consapevolezza fisica che potrebbe scivolarci dalle mani da un momento all'altro [37], [24].

2.3.2 L’esplorazione degli oggetti

2.3.2.a

Percezione della rugosità superficiale

Quando si esplora la superficie di un oggetto per saggiarne il grado di rugosità, la presenza di piccoli rilievi viene prontamente registrata dal tatto: in questo procedimento le azioni tangenziali rivestono importanza particolare rispetto agli stimoli diretti ortogonalmente alla superficie della pelle giacché siamo soliti far scorrere le dita sull'oggetto piuttosto che semplicemente prèmervele contro. L'esperienza comune testimonia una notevole capacità nel rilevare minuscoli solchi e risalti su superfici lisce col solo scorrere del dito; Johansson&LaMotte nel 1983 determinarono sperimentalmente la soglia minima del risalto percettibile. Facendo scorrere sotto il polpastrello del dito medio del soggetto una piastrina liscia o con risalti fotolitografati, dimostrarono che, mediamente, un soggetto umano è in grado di rilevare risalti di 2 micron su superficie liscia. Questa soglia era misurata in condizione di “stimolazione passiva” (giacché la piastrina si muoveva con velocità costante sotto il dito) ma contestualmente affermarono che i risultati sono indistinguibili da quelli dell'esperimento duale (col dito che scorre sulla piastrina ferma).

In ogni caso, per raggiungere questi valori estremamente bassi della soglia di percezione occorre che vi sia movimento relativo fra la pelle e la superficie

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dell’oggetto.

Esami neurologici condotti durante analogo esperimento con la rilevazione dei potenziali evocati su un polpastrello di scimpanzé [36] mostrarono che tale stimolazione eccita i sensori di Meissner (RA) tramite deformazione delle creste delle impronte digitali, come avemmo modo di anticipare, mentre i corpuscoli di Pacini e gli SA-I reagiscono a risalti più grandi.

Si vide, inoltre, che i migliori risultati si ottengono spostando il risalto “ortogonalmente” all'impronta digitale piuttosto che lungo le creste.

Ancora più spinta è la capacità di apprezzare le “tessiture” fini: siamo mediamente in grado di sentire la rugosità di una superficie con risalti di 0.33 micron d’ampiezza e 45 micron di lunghezza d'onda. Concordemente a quanto risulta dall'esperimento coi potenziali evocati, una superficie “solcata” è più facilmente rilevabile rispetto ad un pattern “puntinato”: le soglie medie di sensibilità, con pattern di altezze variabili, sono rispettivamente di 0.06 e 0.16 micron [25].

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In questa modalità i sensori SA mostrarono di reagire a pressioni statiche minime (0.2 N contro il dito) ma risultarono indifferenti allo spostamento della superficie, rilevato invece dai soli RA, a loro volta inutili in assenza di scorrimento fra pelle e superficie: la fantastica sensibilità anzidetta è tale solo in condizioni “dinamiche”.

A tutto ciò i corpuscoli di Pacini aggiungono l'ulteriore importante informazione della direzione di scorrimento, ma solo nel caso della superficie non liscia (altrimenti sono i soli RA e SA a comunicare la presenza di scorrimento, ma sotto forma di stiramento laterale).

In caso di superficie liscia non siamo normalmente in grado di stabilire se vi sia scorrimento, compito che svolgiamo egregiamente in presenza di risalti anche infinitesimi. È dunque l'interazione fra i vari sensori a permetterci la sensazione di scorrimento, evidentemente non accreditabile ad una specifica classe di rilevatori.

2.3.2.c

Il riconoscimento di un oggetto

Toccando un oggetto siamo in grado di percepirne la forma e da questa, con un processo tra il logico ed il filosofico, di conferire un'attribuzione di significato alla forma, processo che identifichiamo col termine di riconoscimento dell’oggetto.

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La questione delle possibili modalità di rappresentazione delle informazioni geometriche relative ad un oggetto è stata affrontata sistematicamente da Srinivasan e LaMotte [37]. Per Ipotesi, tale rappresentazione è basata sulle deformazioni locali della pelle dei polpastrelli [24] trasdotte in segnali neuronali ed interpretate dal sistema somatosensoriale con il contributo delle informazioni propriocettive dei sensori muscolotendinei.

Gli autori citati propongono tre possibili sistemi di rappresentazione di una forma solida in uno spazio tridimensionale:

•Sistema di coordinate: rispetto ad una sistema di riferimento esiste una

corrispondenza fra il punto geometrico e quello fisico

•Pendenza locale: ogni punto della superficie di un oggetto ha una normale

locale funzione delle coordinate

•Cerchi osculatori: la superficie può essere approssimata con superfici

regolari (tipicamente sfere) che tocchino localmente la superficie reale in almeno tre punti.

Di queste tre, solo l'ultima modalità è indifferente alla posizione dell'oggetto, non ha necessità di un prefissato sistema di riferimento se non locale e pertanto è detta “intrinseca” o “naturale”.

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La questione di quale sia il sistema di rappresentazione utilizzato dal nostro sistema percettivo diventa centrale nel caso debbano interagire fra loro le informazioni provenienti da due canali sensoriali differenti come ad esempio il tatto e la vista.

Infatti, quantunque mirabilmente organizzati, le informazioni disponibili sul medesimo oggetto, sono fra loro disomogenee e vanno quindi tradotte in un linguaggio comune o interpretate parallelamente.

In generale la rappresentazione di queste informazioni dipende dalla posizione relativa fra l'osservatore e l'oggetto.

Infatti, quando guardiamo un oggetto tridimensionale, necessariamente qualcosa ci è nascosto allo sguardo per la sua stessa natura: gli oggetti tridimensionali sono generalmente opachi e un’immagine visiva stereoscopica può esser assimilata ad un “altorilievo” ma non può fornire le informazioni di un “a tutto tondo”: non è possibile vedere istantaneamente nella loro interezza gli oggetti tridimensionali. Se l'oggetto è molto familiare, o se ha molte simmetrie, basta guardarlo per riconoscerlo, ma un oggetto insolito può indurre in errore: guardandolo da angolazioni diverse si potrebbe non riconoscere che si tratta sempre del medesimo oggetto. Sembrerebbe che abbiamo memoria degli oggetti in una determinata posizione e ce li ricordiamo così. Una conoscenza più completa dell’esteriorità dell’oggetto necessita di una cooperazione

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sinergica di canali sensoriali.

Infatti, quando ci s’imbatte in un oggetto mai visto, vien fatto di dire: “fai un po' vedere” e si allunga una mano per esaminarlo. Mercé la stessa meccanica della mano, si presenta così l'opportunità di esaminare l'oggetto con tutto l’arsenale di sensori visivi e tattili e, in questo modo, si costruisce un'immagine esperienziale complessa alla quale possono venir riferite le future esperienze riguardanti quell'oggetto od oggetti simili.

Un esperimento condotto in collaborazione fra le università di Durham e Tubinga [30] ha inteso indagare quest'aspetto del riconoscimento delle forme.

È stata indagata la capacità del sistema visivo e aptico di riconoscere uno specifico oggetto fra quatto oggetti simili. Ognuno dei quattro è caratterizzato dall’avere una forma insolita e con poche o nessuna simmetria.

L’esperimento prevede una fase di esplorazione nella quale il soggetto familiarizza con l’oggetto che ha di fronte, ed una di riconoscimento, nella quale deve individuare l’oggetto fra altri simili.

Nella fase di esplorazione, il soggetto può utilizzare una sola modalità sensoria (visiva o aptica). Egli è seduto ad un tavolo mentre l'oggetto è posto in

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posizione fissa ad una data distanza di fronte a lui, per un dato tempo e secondo le modalità che preferisce. Nella fase visiva può spostarsi lievemente, ruotare la testa, ma deve rimanere seduto. Nella fase aptica gli è solo impedito di togliere l’oggetto dal suo piedistallo e non gli vengono suggerite particolari modalità di esplorazione.

Così come avvenuto nella fase di esplorazione, anche nella fase di riconoscimento, il soggetto può usare un solo canale sensoriale. Nella fase di riconoscimento il soggetto utilizza in prove successive il canale sensoriale utilizzato per esplorare l’oggetto o l’altro.

Ciò fornisce quattro blocchi separati di risultati: 1. esplorazione visuale – riconoscimento visuale 2. esplorazione visuale – riconoscimento aptico 3. esplorazione aptico – riconoscimento visuale 4. esplorazione aptico – riconoscimento aptico

Nella fase di riconoscimento l’oggetto può essere presentato, insieme ad altri, nella posizione in cui il soggetto lo ha esplorato, oppure ruotato di 180° sull’asse verticale.

Risulta dall’esperimento che in caso di cambiamento di modalità sensoria fra la fase di esplorazione e quella di riconoscimento (come nel caso sopra riportato di esplorazione visuale – riconoscimento aptico) la probabilità di successo è maggiore quando l’oggetto è ruotato di 180°. Viceversa, quando la modalità sensoria rimane uguale nelle due fasi dell’esperimento, le probabilità di successo sono maggiori quando l’oggetto non cambia d’orientazione fra la prima e la seconda fase.

Ipotizzato che l’esplorazione aptica operata posteriormente all’oggetto (ovvero dalla parte opposta alla faccia in vista) sia più efficace di quella operata frontalmente (ipotesi giustificabile con la maggiore destrezza che ha la mano

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nell’esplorazione posteriore), l’esperimento in oggetto sembrerebbe dimostrare che il sistema di rappresentazione delle informazioni aptiche sia ruotato di 180° rispetto a quello relativo alle informazioni visive.

2.3.2.b Riconoscimento della geometria locale

Sappiamo, da quanto detto a proposito dell'elasticità della pelle, che un suo importante compito nell’esplorazione tattile è quello di ricopiare i risalti e le concavità delle superfici con le quali entra in contatto. Per investigare i meccanismi di riconoscimento delle curvature, Srinivasan e LaMotte [37] hanno condotto prove in grado di stimolare in modo differente i sensori tattili posti a diverse profondità dalla superficie.

Al fine di meglio evidenziare le differenti sollecitazioni prodotte nella pelle da oggetti aventi curvature differenti, i due ricercatori hanno preso a riferimento due casi limite:

•una barra quadrata con asse perpendicolare alla zona di contatto,

•un cilindro con asse parallelo alla pelle

In entrambi i casi l’oggetto rigido è premuto con una forza P e la larghezza del’impronta è 2a;

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x è la coordinata posta originariamente lungo la superficie indeformata della pelle

z è la distanza dalla superficie indeformata dello strato a cui appartengono determinati sensori.

In figura sono mostrati gli andamenti della distribuzione di pressione (sulla superficie di contatto) e la pressione su due strati relativi a due profondità differenti.

Si noti che in corrispondenza dei punti in cui la pressione è massima si hanno anche le massime deformazioni del mezzo elastico e la profondità dell’impronta è, in quei punti, maggiore che nei punti vicini.

In entrambi i casi, la forma della distribuzione delle pressioni è tale da poter considerare la pelle un filtro passa-basso. Infatti i picchi dovuti alla presenza degli spigoli nel primo caso, vengono smussati dando luogo ad una distribuzione pressoché identica a quella data dal cilindro, solo un po' meno estesa.

Considerando la distribuzione delle deformazioni nel caso del prisma si vede come la massima deformazione, caratteristica del caso del contattore con spigoli, avvenga immediatamente sotto la zona di contatto mentre con l’aumentare della profondità essa vada sfumando fino ad annullare quasi le differenze con il caso B.

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Sarà dunque possibile individuare una geometria del contattore tale da stimolare la pelle a diverse profondità.

Ponendo zo la profondità alla quale sono più numerosi determinati sensori

(come quelli di Merkel, adatti a rilevare il tocco e di lento adattamento) e conducendo misurazioni di potenziali evocati si potranno ottenere dati neurologici di attivazione dei sensori in questione che potranno essere confrontati con la distribuzione di pressione. Variando la larghezza della barra, e quindi della zona di contatto, la curva della distribuzione di tensioni è apparsa paragonabile nella forma a quella delle risposte dei sensori tattili della pelle che vengono così attivati: una barra quadrata ampia darà una distribuzione “cornuta” con un plateau, per una barra più stretta i due picchi saranno più vicini fino a potersi dire indistinguibili.

Nel caso del cilindro si vede che il picco di pressione per una data forza, varia inversamente alla radice quadrata del raggio, quindi più piccolo è il raggio del cilindro, maggiore saranno il picco di pressione e le componenti di stress e strain rilevate dai sensori sotto la zona di contatto.

La pressione dell'oggetto contro la pelle ne provoca la deformazione locale e ciò viene rilevato dai sensori SA in funzione della distanza dalla superficie imperturbata; i sensori RA permettono poi di stabilire le variazioni nel tempo di tali pressioni. Facendo scorrere la pelle su una superficie con risalti diversi accadrà che sotto le dita la superficie preme più o meno a seconda della sua sagoma, come fosse una dima, e impressionerà i sensori SA e RA i quali forniranno al sistema percettivo le informazioni per ricostruire la forma dell'oggetto che stiamo esaminando. La presenza di spigoli nella “dima” si traduce in una distribuzione più ripida delle pressioni, con i picchi in corrispondenza degli spigoli vivi, dove è bassissimo il raggio di curvatura della pelle o dove la profondità dell'impronta è maggiore.

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Riferimenti

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