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CAPITOLO 2 Inquinamento da Particolato Atmosferico

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CAPITOLO 2

Inquinamento da Particolato Atmosferico

2.1 Introduzione

L’inquinamento atmosferico può essere definito come la presenza in atmosfera di composti di origine naturale e/o antropica che, per le loro caratteristiche o per le loro quantità, possono essere in grado di produrre danni anche gravi agli esseri viventi, alla vegetazione e ai manufatti esposti alla loro azione. La condizione di inquinamento implica quindi una variazione significativa nelle concentrazioni dei componenti minori in atmosfera. Alle sostanze di origine naturale si aggiungono sostanze derivanti da attività umane che, essendo concentrate in piccole aree urbane ed industriali, possono dar luogo a preoccupanti peggioramenti della qualità dell’aria, aggravati dal verificarsi di condizioni meteorologiche che favoriscono l’accumulo degli inquinanti. Infatti la composizione chimica dell’atmosfera è determinata dai processi meteorologici e da un bilancio dinamico fra complicate sequenze di reazioni chimiche, fisiche e biologiche interconnesse le une con le altre: è l’insieme di queste trasformazioni e dei fenomeni autodepurativi naturali dell’atmosfera, unitamente alla distribuzione spaziale e alla variazione temporale dei parametri meteorologici, che determinano la concentrazione degli inquinanti e conseguentemente la qualità locale dell’aria.

Spesso il particolato rappresenta l’inquinante con maggior impatto ambientale poiché le particelle solide o liquide sospese in aria, a causa delle loro piccole dimensioni restano in atmosfera per periodi più o meno lunghi durante i quali possono essere trasportate a grandi distanze; queste caratteristiche rendono il particolato un inquinante ubiquitario. Viene infatti considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO- Wordl Health Organization) l’inqinante che “ha influenza sulla popolazione in modo continuativo più di ogni altro” (WHO 2000).

Attualmente la normativa italiana prevede che sia rilevato il PM10 definito come “la

frazione di materiale particolato sospeso in aria ambiente che passa attraverso un sistema di separazione in grado di selezionare il materiale particolato di diametro aerodinamico di 10 µm con una efficienza di campionamento pari al 50%” (Decreto Ministeriale 2 Aprile 2002, n° 60).

Le polveri totali sospese PTS, o PM (Particolato Totale Sospeso o Particulate

Matter) rappresentano una complessa miscela di sostanze organiche e inorganiche di varia natura e origine.

Sulla base delle sue dimensioni il particolato può essere diviso in tre principali gruppi:

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Particelle grossolane (coarse particles), con un diametro aerodinamico maggiore di 2,5 µm.

Particelle fini (fine particles), con un diametro minore di 2,5 µm (PM2.5) e

costituiscono circa il 60% delle PM10.

Poiché le particelle presenti in atmosfera non presentano una forma perfettamente sferica ma piuttosto irregolare, risulta conveniente classificare tali particelle sulla base delle loro proprietà aerodinamiche dal momento che queste:

− Governano il trasporto e le rimozioni di tali particelle dall’aria; − Governano la loro deposizione all’interno dell’apparato respiratorio: − Sono associate alla composizione chimica e all’origine delle particelle. Queste proprietà sono di norma rappresentate nel loro insieme dal diametro aerodinamico, definito come la dimensione di una sfera di densità unitaria con le stesse caratteristiche ed è per questo motivo che le particelle vengono descritte proprio sulla base del loro diametro aerodinamico.

La dimensione del particolato sospeso in atmosfera varia fino a quattro ordini di grandezza, da pochi nanometri a decine di micrometri. Il particolato generato dai processi di combustione, come quello prodotto dalle automobili, dai generatori di energia e dalla combustione del legno, può avere dimensioni che vanno da pochi nanometri fino a 1 µm. La polvere sollevata dal vento, i pollini, i frammenti di piante e i sali marini sono invece generalmente più grandi di 1 µm, mentre il materiale prodotto in atmosfera da processi fotochimici si ritrova principalmente in particelle più piccole di 1 µm.

La figura 2.1.1 mostra una distribuzione dimensionale idealizzata del particolato presente nell’ambiente:

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Una distribuzione dimensionale è definita come la variazione della concentrazione (che può essere rappresentata dal numero di particelle, dalla loro area superficiale o dal loro volume/massa per unità di volume d’aria) in funzione della loro dimensione, espresse dal diametro aerodinamico.

Le distribuzioni dimensionali delle particelle di particolato possono essere divise in due frazioni (o moda), che nella fig. 1.1 sono rappresentate rispettivamente dalle due regioni contenenti i picchi di concentrazione in massa. In generale le diverse frazioni sono descritte analiticamente da funzioni log-normali e possono includere una regione in cui ritroviamo le particelle più fini (fine e ultrafine particles), un intervallo

di accumulazione e la frazione grossolana.

La frazione (o moda) più grossolana (coarse particles con diametro maggiore di 2.5 µm) è prodotta meccanicamente dalla frantumazione di particelle solide più grandi. Queste particelle possono includere polveri derivanti da processi agricoli, da movimentazione dei suoli, da strade sterrate o da operazioni di estrazioni minerarie che vengono poi trasportate dai venti. Anche il traffico stradale può generare polveri le quali possono poi essere portate in sospensione o risollevate dalla turbolenza caratteristica di questi ambienti; vicino alle coste, l’evaporazione di spray marini può produrre particelle grossolane che fanno parte di questa frazione. Infine ricadono in questo range dimensionale anche i grani di polline, le spore delle muffe, parti di piante e insetti.

La quantità di energia richiesta per rompere queste particelle in altre di dimensioni più piccole è inversamente proporzionale alle nuove dimensioni raggiunte, stabilendo così un limite alla produzione di particelle grossolane con un diametro inferiore a 1 µm, per tale motivo esse sono di norma abbastanza pesanti da poter sedimentare nel giro di qualche ora o giorni.

La frazione (o moda) fine (fine particles) è formata da particelle con diametro compreso fra 0,1 µm e 2,5 µm. Queste si formano per nucleazione, cioè per condensazione di sostanze a bassa pressione di vapore formatesi per evaporazione a più alte temperature o per reazioni chimiche che si realizzano in atmosfera. Più in particolare si parla di nucleazione omomolecolare quando il processo interessa una singola specie chimica, e di nucleazione eteromolecolare quando invece sono coinvolte più specie. Con il termine nucleazione omogenea/etereogenea ci si riferisce invece all’assenza/presenza di superfici o materiali che partecipano allo svolgimento del processo stesso (Jacobson 2002).

Possiamo quindi notare come la nucleazione omogenea, insieme alle emissioni dirette, rappresenti una vera e propria sorgente di nuove particelle, mentre il processo eterogeneo non può essere considerato tale dal momento che gode della presenza di superfici pre-esistenti; entrambi comunque avvengono prima che la particella inizi ad accrescere le sue dimensioni.

Le particelle che appartengono a questo intervallo di enucleazione crescono o per coagulazione, cioè per collisione o coalescenza di due o più particelle per formarne una più grande, o per condensazione di molecole di gas o vapore sulla superficie di

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particelle già esistenti. Solo pochi gas, come l’acido solforico, l’acqua e qualche gas organico pesante, condensano in particelle: infatti la più importante nucleazione omogenea che avviene in atmosfera è eteromolecolare, e coinvolge due specie chimiche, l’acido solforico e l’acqua, tali particelle hanno un diametro compreso fra 3 e 20 ηm. Per grandi numeri di particelle la coagulazione è più efficiente, mentre per quelle con una grande superficie prevale la condensazione. Comunque, l’efficienza della coagulazione e della condensazione diminuisce con la dimensione (diametro aerodinamico) delle particelle, ponendo così un limite alla loro crescita che di solito non supera 1 µm.

Queste particelle tendono così ad accumularsi in quello che viene chiamato intervallo

di acumulazione (da 0,1 a 1 µm), spiegando così la maggior parte della massa delle

PM2.5; alcune di esse possono essere rimosse dalla pioggia, ma sono comunque

troppo leggere per poter sedimentare.

In alcuni casi l’intervallo di accumulazione può essere suddiviso in due sub-frazioni, una in cui si ritrovano particelle con diametro compreso fra 0.5 e 0.7 µm (Hering and

Friedlandaer, 1982), l’altra in cui le dimensioni medie sono vicine a 0.2 µm, e che

potrebbero rappresentare rispettivamente le partcelle “vecchie” e quelle di più recente formazione.

Le particelle il cui diametro ricade all’interno dell’intervallo di accumulazione rappresentano un pericolo per la salute dell’uomo riuscendo a penetrare in profondità fino ai polmoni, sia perchè esse presentano dimensioni simili alle lunghezze d’onda della luce visibile provocando così effetti negativi sulla visibilità stessa.

Le particelle con dimensioni sub-micrometriche (dette ultrafine particles) hanno un diametro minore di 0,1 µm e possono essere generate dalla condensazione dei metalli o composti organici che si sono volatilizzati in processi di combustione ad alta temperatura, oppure possono essere prodotte dalla condensazione dei gas che sono stati convertiti da reazioni atmosferiche in sostanze a bassa pressione di vapore. Due esempi sono l’ossidazione in atmosfera dell’ossido di zolfo a formare acido solforico (H2SO4) e l’ossidazione dell’ossido di azoto (NO2) ad acido nitrico (HNO3) il quale, a

sua volta, può reagire con l’ammoniaca (NH3).

Le particelle prodotte dalle reazioni intermedie dei gas atmosferici vengono chiamate particelle secondarie (secondary particles).

Questa frazione contribuisce solo in minima parte alla massa totale delle PM2.5, ma allo stesso tempo spiega più del 90% del loro numero. Infatti se consideriamo la quantità complessiva di materiale presente in atmosfera, ovvero, la massa complessiva delle particelle, prevalgono le classi di dimensione intermedia e maggiore (fine and coarse particles). Come si vede in figura 2.1.2a, dove la massa totale delle particelle più fini è addirittura trascurabile (www.environment.com). Se invece contiamo le particelle, la situazione si capovolge completamente: le particelle più fini (dette ultrafine particles) sono di gran lunga più numerose, e questa volta ad essere trascurabile è il numero delle particelle a massa maggiore e la classe dominante è quella intermedia, come mostra la figura 2.1.2b:

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Fig.2.1.2a_ Massa complessiva delle particelle(www.environmento.com).

Fig.2.1.2b_ Numero totale delle particelle.

In queste distribuzioni sull’asse delle ordinate viene riportata la concentrazione differenziale, mentre sulle ascisse troviamo il logaritmo del diametro aerodinamico delle particelle dal momento che quest’ultimo comprende diversi ordini di grandezza. La concentrazione differenziale è espressa dal seguente rapporto

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) (logDp

N

∆ ∆

che rappresenta il numero di particelle per unità di volume aventi diametri compresi fra log(Dp) e log(Dp + ∆Dp). Poiché calcolare il logaritmo di una quantità

dimensionale è formalmente errato, quando scriviamo log(Dp) in realtà

sottintendiamo log(Dp /1), dove il diametro di riferimento è 1 µm. L’area sottesa alla

curva così ottenuta è quindi proporzionale al numero di particelle nell’intervallo Dp e

(Dp + ∆Dp).

Le stesse considerazioni possono essere fatte anche per distribuzioni di superficie, come mostrato in figura 2.1.2c.

Fig.2.1.2c_ Superficie complessiva delle particelle.

Ovviamente, poiché il particolato è un insieme eterogeneo di particelle di diversa dimensione, possiamo solo determinare per via sperimentale le distribuzioni dimensionali dei vari ambienti. La figura 2.1.3 mostra le distribuzioni in funzione del numero, della superficie e del volume di aerosol urbano, in cui si può notare come la prima sia dominata da particelle più piccole di 0,1 µm, mentre la seconda si trovi essenzialmente fra 0,1 e 0,5 µm. Al contrario, la distribuzione dimensionale in funzione della massa mostra due picchi (modes) distinti, uno nella regione del sub-micrometrico e l’altra nella frazione più grossolana.

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Fig.2.1.3_ Distribuzione dimensionale tipica di un ambiente urbano (Seinfel 1998).

La distribuzione dimensionale del particolato è comunque molto variabile nelle zone urbane, infatti si ritrovano concentrazioni estremamente alte di particelle con diametro minore di 0,1 µm (fine particle) nelle strette vicinanze di sorgenti specifiche (es. strade ad alta viabilità), ma i loro livelli diminuiscono rapidamente allontanandosi da essa. La figura 2.1.4 mostra il numero di particelle in funzione del loro diametro per una varietà di ambienti. Si può vedere come la concentrazione di particelle vicino ad una superstrada sia circa un ordine di grandezza superiore rispetto a quella media urbana. La figura 2.1.5 riporta invece la corrispondente distribuzione in funzione del volume. Queste distribuzioni mostrano che la maggior parte delle particelle presenti nell’area urbana sono minori di 0,1 µm, mentre il principale contributo alla massa totale è dato da particelle con diametro maggiore di 0,1 µm (Seinfel 1998).

Distribuzioni dimensionali analoghe ma diverse possono essere determinate per i vari possibili ambienti (marino, rurale, polare, ecc.).

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Fig.2.1.4_ Distribuzione (Seifeld 1998).

Fig.2.1.5_ Distribuzione di particelle in funzione del loro volume (Seinfel 1998).

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Infine, sulla base di quanto detto riguardo alle importanti caratteristiche dimensionali delle varie particelle possiamo concludere distinguendo diverse classi di particolato: • Aerosols costituiti da particelle solide o liquide sospese in aria con un diametro

inferiore a 1 µm;

Foschie generate dalla presenza di aerosols in atmosfera che comportano una riduzione della visibilità; queste particelle possono essere costituite da un’insieme di gocce di pioggia, inquinanti e polveri. Il diametro di tali particelle è inferiore a 1µm.

Esalazioni presenza di particelle solide prodotte dalla condensazione di un fase vapore che di solito si realizza dopo la volatilizzazione di sostanze fuse. Spesso sono accompagnate da reazioni chimiche e possono contenere materiale nocivo. Da < 1µm.

Fumi costituiti da piccole particelle di gas bruciato prodotte dalla combustione incompleta, principalmente costituite da carbone e altri materiali combustibili, sono presenti in quantità sufficienti da poter essere osservate indipendentemente dalla presenza di altre particelle solide. Da ≥ 0.01 µm.

Polveri sono rappresentate da sospensioni di particelle solide prodotte dalla disgregazione meccanica di vari materiali. Da > 1µm.

Smog Termine derivante da quello di “fumo” (smoke) e “nebbia” (fog) che si riferisce a scenari con alte contaminazioni da particolato. Oggi, in alcuni casi viene più generalmente usato per tutti i tipi di contaminazione atmosferica.

Fuliggine presenza di agglomerati di particelle di carbonio contenenti catrame, prodotte durante la combustione incompleta di materiali carboniosi.

2.2 Processi che influenzano le Dimensioni delle Particelle

Coagulazione

La coagulazione avviene per collisione o coalescenza di due particelle, riducendo così la concentrazione in numero ma mantenendo la stessa concentrazione in volume delle particelle presenti in atmosfera. Questo processo può avvenire fra due particelle di piccole dimensioni, fra una particelle piccola e una più grande o fra particelle di grandi dimensioni.

In ogni caso è possibile individuare cinque importanti meccanismi che determinano la collisione fra le particelle:

1. I moti Browniani: rappresentano gli spostamenti random delle particelle sospese

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processo attraverso cui avviene la diffusione, collisione e coalescenza delle particelle proprio in seguito ai loro movimenti casuali. Quando due particelle collidono esse possono o non possono unirsi insieme a seconda dell’efficienza della coalescenza, che a sua volta dipende dalle forme, dalle composizioni e dalle superfici caratteristiche delle particelle in gioco.

Poiché le particelle piccole hanno una energia cinetica minore rispetto a quelle più grandi, la probabilità che, a una data temperatura, due particelle di piccole dimensioni in collisione ribalzino, respingendosi, è bassa, per questo motivo spesso l’efficienza di coalescenza delle piccole particelle è considerata unitaria (Pruppacher and Klett,

1997).

1.

Diffusione convettiva Durante il moto discendente delle particelle attraverso

Browniana potenziata l’atmosfera, la turbolenza che si crea nella loro scia aumenta la diffusione delle altre particelle sulla loro superficie.

la diffusione delle altre particelle sulla loro superficie.

Il meccanismo di coagulazione dovuto a questo processo è appunto detto diffusione convettiva Browniana potenziata.

2.

Precipitazione Durante il moto discendente di due particelle di diverse

gravitazionale dimensioni attraverso l’atmosfera, quella più grande può raggiungere e collidere con quella più piccola.

Poiché l’energia cinetica della particella più grande è maggiore, aumenta la probabilità che la collisione fra le due si concluda in un rimbalzo piuttosto che in una coalescenza, perciò, in questo processo l’efficienza di coalescenza non è unitaria. Questo meccanismo è invece importante per la formazione di gocce di pioggia.

4. Moto inerziale turbolento: Questo processo avviene quando la turbolenza

aumenta la quantità di particelle (con dimensioni diverse) che precipitano attraverso l’atmosfera.

5. Turbolenza trasversale: Questo meccanismo di coagulazione avviene quando

il vento trasversale permette a particelle che si trovano a diverse altezze di muoversi con velocità differenti. In questo modo le particelle più veloci

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possono raggiungere e coagulare con quelle più lente.

Fra i cinque meccanismi sopra decritti, i moti Browniani diventano dominanti quando nel processo di collisione almeno una delle due particelle coinvolte è di piccole dimensioni. Quando invece entrambe le particelle hanno dimensioni grandi (ma non uguali fra loro) il principale meccanismo che governa la coagulazione diventa la precipitazione gravitazionale.

Processo di accrescimento

La coagulazione è un processo che coinvolge due particelle, mentre la condensazione, il brinamento, la dissoluzione e le reazioni sulla superficie delle particelle sono processi di conversione gas-particelle.

1. Condensazione/ La condensazione e l’evaporazione avvengono solo dopo una

evaporazione nucleazione omogenea o eterogenea. Su una superficie liquida nucleata, le molecole di gas condensano continuamente (passando dallo stato gassoso a quello liquido), mentre le molecole liquide evaporano costantemente (passando dallo stato liquido a quello gassoso). All’ equilibrio le quantità trasferite in entrambe le direzioni sono uguali e la pressione parziale del gas immediatamente sopra la superficie della particella è la sua pressione di saturazione (PS). Se la pressione parziale del gas presente nell’ambiente circostante aumenta e diventa maggiore della pressione di saturazione del gas sulla superficie della particella, l’eccesso di molecole diffonde sulla superficie stessa, condensando.

Viceversa se la pressione parziale del gas nell’ambiente che circonda la particella diminuisce diventando minore della PS, le molecole di gas sulla superficie diffondo via da essa, e le molecole liquide evaporano per mantenere la saturazione sulla superficie. Inoltre, se la pressione parziale di un gas presente nell’ambiente circostante supera la pressione di saturazione del gas si ha la condensazione. Se invece la pressione parziale del gas che circonda la particella scende al di sotto della pressione di saturazione del gas, si ha l’evaporazione.

Il principale gas che subisce il processo di condensazione è il vapore acqueo.

L’umidità relativa è data dal rapporto fra la pressione parziale del vapore acqueo e la pressione di saturazione dell’acqua su una superficie liquida, moltiplicato per cento. Quando l’umidità relativa supera il 100%, la pressione parziale del vapore acqueo diventa maggiore di quella di saturazione, e l’eccesso d’acqua

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condensa in nuclei di condensazione per formare le gocce delle nubi. Quando invece l’umidità relativa è minore del 100%, l’acqua presente sulla superficie evapora lasciando particelle residue di aerosol. Anche l’acido solforico, che ha una pressione parziale bassa, condensa in particelle, e proprio per questa sua caratteristica una volta condensato evapora molte difficilmente. Le particelle di acido solforico condensato rientrano essenzialmente nel range di accumulazione, dal momento che in questo intervallo si ha la maggior concentrazione in superficie areale (superficie areale per volume d’aria) rispetto alle altre frazioni (o mode).

Anche altri tipi di gas possono condensare (tutti con basse pressioni parziali), come ad esempio alcune specie organiche ad alto peso molecolare (toluene, xilene, alcani e alcheni).

2. Brinamento/ Il brinamento è quel processo per cui il vapore acqueo diffonde sulla

sublimazione superficie di particelle di aerosol e si deposita (passando dallo stato gassoso allo stato solido) sulla superficie sottoforma di ghiaccio. Questo avviene nelle nubi quando si hanno temperature al di sotto degli 0°C e quando la pressione parziale dell’acqua supera quella dell’acqua sopra il ghiaccio. Il processo opposto prende il nome di sublimazione ed è appunto la conversione del ghiaccio in vapore acqueo.

3. Dissoluzione, Dissociazione La dissoluzione è il processo per cui un gas, sospeso e Idratazione sulla superficie di una particella di aerosol, diffonde e

si dissolve in un liquido sulla superficie stessa. Il liquido nel quale il gas dissolve è un solvente, che nel caso degli aerosol è quasi sempre rappresentato dall’acqua liquida. La capacità di un gas di dissolversi nell’acqua dipende dalla sua solubilità, che rappresenta la massima quantità di gas che può solubilizzarsi in una data quantità di solvente ad una certa temperatura.

Le molecole disciolte in una soluzione possono dissociarsi in ioni positivi (cationi), come H+, Na+, K+, Ca2+ e Mg2+, e ioni negativi (anioni), come OH-, Cl-, NO3-, HSO4-, SO42- , HCO3- e CO32-, tale

processo è del tutto reversibile. Il grado di dissociazione degli elettroliti (sostanze che possono dissociarsi in soluzione) dipende dall’acidità della soluzione, dalla forza dell’ elettrolita e dalla concentrazione di ioni in soluzione.

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Quando gli anioni, i cationi e altre molecole non dissociate sono disciolte in acqua, quest’ultima può legarsi agli ioni in un processo detto idratazione aumentando così il contenuto di acqua delle particelle.

4. Precipitazione solida: Quando le concentrazioni degli ioni nelle soluzioni di

aerosol sono elevate, essi possono precipitare per formare degli elettroliti solidi. Infatti molti solidi presenti sul nostro pianeta si sono formati per deposizione di minerali originati da particelle di aerosol.

La precipitazione è quindi quel processo di formazione di composti solidi dovuta all’aumento della concentrazione degli ioni disciolti in una soluzione. I solidi così formati possono essere sospesi nella soluzione, ma senza però farne parte. Se il contenuto d’acqua della soluzione aumenta improvvisamente gli elettroliti solidi possono ri-dissociarsi in ioni.

In genere questi solidi non si formano né nelle nubi, perché in questi ambienti le gocce (soluzioni) sono troppo diluite, e nemmeno nelle particelle di aerosol quando vi è una umidità relativa alta per ragioni del tutto simili.

2.3 Sorgenti Inquinanti

Le polveri atmosferiche si originano sia da fonti naturali che antropogeniche, tuttavia, pur essendo rilevanti i contributi derivanti da processi naturali (quali eruzioni vulcaniche e risospensioni di polveri causate dell’azione del vento sui terreni), solo raramente provocano inquinamento da particolato. La causa principale è infatti da ricercarsi nelle attività dell’uomo, tipicamente l’industria delle costruzioni (particelle di polvere), le fonderie (ceneri volatili) e i processi di combustione incompleta (fumi). La frazione più grossolana si origina in genere da processi meccanici, per lo più naturali (solo particolato primario, cioè direttamente immesso in atmosfera). Le polveri fini invece derivano principalmente da processi di combustione (particolato primario) e da prodotti di reazione dei gas (particolato secondario);

Le principali fonti naturali di particolato primario sono le eruzioni vulcaniche, gli incendi boschivi, l’erosione e la disgregazione delle rocce, le piante (pollini e residui vegetali), le spore, lo spray marino e i resti degli insetti.

Il particolato naturale secondario è costituito da particelle fini che si originano in seguito all’ossidazione di varie sostanze quali: biossido di zolfo (SO2) e l’acido

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solforico emessi dagli incendi e dai vulcani, ossidi di azoto liberati dai terreni e terpeni (idrocarburi) emessi dalla vegetazione.

Il particolato primario di origine antropogenica è invece dovuto all’utilizzo dei combustibili fossili (riscaldamento, centrali termoelettriche, ecc.), alle emissioni degli autoveicoli, all’usura dei pneumatici, dei freni e del manto stradale e ai vari processi industriali (fonderie, miniere, cementifici, ecc.). Da segnalare anche le grandi quantità di polveri che si possono originare in seguito a varie attività agricole.

Le polveri secondarie antropogeniche sono invece dovute essenzialmente all’ossidazione degli idrocarburi e degli ossidi di zolfo e di azoto emessi dalle varie attività umane.

Nella tabella 2.3.1 vengono riportate le più importanti sorgenti naturali e antropogeniche dei principali costituenti del particolato primario e secondario sia per particelle fini che per quelle grossolane insieme alle possibili sorgenti dei precursori gassosi, che ossidandosi danno origine a particolato.

Possiamo quindi osservare come la determinazione delle potenziali sorgenti di particolato primario sia relativamente facile rispetto a quelle del particolato secondario. Infatti, mentre nel primo caso si tratta di particelle emesse direttamente in atmosfera e che non subiscono reazioni intermedie, mantenendo così le caratteristiche della sorgente che li ha emessi, nel secondo caso i precursori del particolato secondario (grazie alle loro ridotte dimensioni) possono essere trasportati anche a grandi distanze dalla sorgente subendo così un miscelamento che può dar vita a nuove forme e che rende difficoltosa la determinazione di una singola sorgente di costituenti secondari del particolato.

Da notare anche l’importanza dello ione ammonio (NH4+), che ha un ruolo

fondamentale nella regolazione del pH delle particelle, infatti è in grado di neutralizzare l’acido solforico e nitrico prodotti in atmosfera per reazione di SO2 e

NO2 con i radicali liberi OH; tale ione proviene da emissioni sia naturali che

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Tab.2.3.1_ Abbondanze medie degli elementi maggiori dei suoli e delle rocce (modificato da Warneck, 1988).

Infine le sorgenti di particolato possono essere ulteriormente distinte in stazionarie e mobili. Per quanto riguarda gli impianti fissi, il maggior contributo è fornito dalle centrali termoelettriche, mentre, tra i processi industriali, quelli metallurgici occupano il primo posto nelle emissioni di polveri inquinanti, seguiti dalle industrie di lavorazione e stoccaggio del grano, a cui si aggiungono tutte le attività di demolizione/costruzione, dello smaltimento dei rifiuti e quelle legate alla lavorazione dei prodotti del legno.

Le sorgenti mobili, cioè quelle legate al trasporto, sono essenzialmente dovute al traffico urbano che contribuisce all’inquinamento dell’aria da particolato sia direttamente a causa dell’immissione in atmosfera dei prodotti della combustione e della lenta polverizzazione di pneumatici e asfalto, che indirettamente attraverso l’immissione di precursori di particolato secondario.

Oltre alla combustione di combustibili fossili dobbiamo ricordare anche quella delle biomasse (incendi accidentali, dolosi o regolamentari, fuochi domestici o per la produzione di carbone) che rappresenta una fonte rilevante di particolato organico in atmosfera, immettendo per lo più particelle di dimensioni submicrometriche, con elevati tempi di residenza in atmosfera e in grado di aumentare la concentrazione di nuclei di condensazione delle nubi modificandone le proprietà radiative e il tempo di vita delle nubi stesse. (S. Decesari et. al., 2002).

Di seguito viene riportata una breve descrizione delle singole sorgenti sia di tipo naturale che antropico.

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Emissioni di spray marino

Gli aerosol marini rappresentano le più abbondanti forme di particolato presenti in ambiente costiero, esse si originano in seguito all’azione dei venti e delle onde sulla superficie del mare che provocano la rottura delle bolle d’aria presenti (Woodcock,

1953), inoltre, tali forze sono anche in grado di “strappare” dalle creste delle onde gocce (spume drops) di dimensioni più grandi che però ritornano in mare velocemente.

Lo spray marino inizialmente contiene tutti i componenti dell’acqua di mare. Circa il 96.8% del peso dello spray è dovuto alla presenza di acqua, mentre solo il 3.2% ai sali marini, il principale dei quali è NaCl. La tabella 2.3.2 mostra la composizione dei principali costituenti dell’acqua di mare: come si può notare il rapporto fra la massa del cloro e quella del sodio è circa 1.8 : 1.

Costituenti Percentuale in massa nell’acqua di mare

Acqua 96.78 Sodio 1.05 Cloro 1.88 Magnesio 0.125 Zolfo 0.0876 Calcio 0.0398 Potassio 0.0386 Carbonio 0.0027

Tab.2.3.2_ Percentuale in massa dei principali costituenti dello spray marino (Jacobson 2002).

Tuttavia, nel momento in cui l’acqua di mare viene emessa come spray marino può accadere che tale rapporto diminuisca a causa della rimozione del Cl a seguito dell’acidificazione dello spray marino (Ericksson, 1969; Duce, 1969; Hitchcock et al.1980). Questo fenomeno avviene quando l’acido solforico o nitrico interagisce con la goccia di aerosol facendo si che il cloro presente si liberi (in alcuni casi anche completamente) sottoforma di HCl(g).

Solitamente gli aerosol sono costituiti da particelle grossolane, tuttavia le loro dimensioni sono fortemente influenzate dalla deidratazione (perdita di acqua) che avviene in seguito all’evaporazione dell’acqua presente nella goccia a causa della diminuzione dell’umidità relativa fra la superficie del mare sottostante e quella superiore a pochi metri d’altezza, aumentando così la concentrazione di soluto nelle goccia stessa.

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Materiale crostale

La polvere crostale, che consiste di minerali e materia organica formatasi nel terreno, viene portata in aria dai venti, naturalmente la quantità di materia sollevata dipende dalla velocità del vento e dalla massa delle particelle. La maggior parte di esse ha un diametro maggiore di 1 µm, perciò si parla essenzialmente di particelle grossolane. Quelle con dimensioni maggiori a 10 µm ricadono molto rapidamente a terra, mentre per diametri compresi fra 1 µm e 10 µm si hanno tempi di permanenza in atmosfera dell’ordine di giorni, settimane o più, a seconda dell’altezza a cui sono state portate inizialmente dai venti. Nella tabella 2.3.3 viene mostrato il tempo necessario a particelle di dimensioni diverse per ricadere a terra, in seguito a sedimentazione, nel caso in cui esse si trovino in aria ad 1 Km di altezza:

Diametro delle particelle(µm) Tempo di caduta da 1Km di altezza 0.02 228 anni 0.1 36 anni 1.0 328 giorni 10.0 3.6 giorni 100.0 1.1 ore 1,000.0 4 minuti 5,000.0 1.8 minuti

Tab.2.3.3_ Tempo necessario alle varie particelle per cadere a terra da 1 Km di altezza in seguito a sedimentazione(Jacobson 2002).

Come si può vedere il tempo di ricaduta per particelle di 1 µm di diametro è di 328 giorni, tempo sufficientemente lungo durante il quale le particelle possono percorrere distanze molto grandi, mentre per polveri con diametro di 10 µm è richiesto un periodo do soli 3,6 giorni.

Tipiche sorgenti di polveri naturali sono rappresentate dalle regioni desertiche (p.e. Sahara nel nord Africa, il Gobi in Mongolia e il Mojave nel sud-est della California) e zone in cui la copertura naturale del suolo è stata rimossa. A queste si aggiungono quelle legate alle attività antropogeniche come le demolizioni/costruzioni di edifici e il risollevamento di polveri da parte dei veicoli stradali.

Eruzioni vulcaniche

Le particelle provenienti da eruzioni vulcaniche contengono elementi del mantello terrestre di cui il componente più abbondante è costituito di gran lunga dai minerali silicati. Il diametro di tali particelle è compreso fra 0.1 µm e 100 µm. Oltre a questo

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tipo di prodotti dobbiamo considerare anche quelli gassosi che si formano durante tali eventi, come il solfuro di carbonile (OCS(g)) e il biossido di zolfo (SO2) che sono in

grado di originare nuove particelle. Infatti, il solfuro di carbonile subisce reazioni di fotolisi a formare SO2; il biossido di zolfo infine può ossidarsi a acido solforico

(H2SO4(g)) da cui, per nucleazione, può formarsi una particella di aerosol costituita da

acido solforico e acqua.

Combustione di biomassa

Spesso la biomassa viene bruciata per liberare una certa zona dalla vegetazione naturalmente presente così da poterne fare un uso diverso, oppure nel caso in cui si debba controllare la crescita di una foresta; quale che sia la causa, antropica o naturale, la combustione di biomassa rappresenta la principale fonte emissiva di particolato.

I principali prodotti che vengono immessi in atmosfera sono componenti gassosi, come CO2(g), CO(g), CH4(g), NOx(g), ROGs (Gas Organici Reattivi) e altre particelle

come cenere, fibre di piante, polvere crostale, materia organica e fuliggine.

La cenere è il principale residuo inorganico che si ha dopo la combustione della biomassa e può anche contenere composti organici con diversi stadi di ossidazione. La materia organica (OM) è costituita da composti a base di carbonio e idrogeno, e spesso contiene ossigeno (O), azoto(N), etc.

La fuliggine contiene quello che viene chiamato black carbon (BC) (due atomi di carbonio legati insieme) coperto da materia organica, idrocarburi alifatici, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e piccole quantità di Ossigeno (O) e azoto (N) (Chang et

al. 1982; Reid and Hobbs, 1998; Fang et al., 1999).

Di solito la vegetazione contiene basse concentrazioni di metalli, che includono Ti, Mn, Zn, Pb, Cd, Cu, Co, Sb, As, Ni e Cr. Queste sostanze vaporizzano durante la combustione per poi ricondensare velocemente nelle particelle di cenere o di fuliggine.

Combustibili fossili

L’utilizzo dei combustibili fossili rappresenta una sorgente di particolato di tipo prevalentemente antropogenico. I combustibili che possono originare particelle di aerosol sono il carbone, il petrolio, i gas naturali, le benzine, il kerosene e il gasolio; durante la loro combustione vengono emesse fuliggini (black carbon e materia organica), materia organica, solfati (SO42-), metalli e polvere volatile, detta fly ash.

Più in particolare la combustione del carbone produce fuliggini submicrometriche, materia organica, solfati e polveri volatili sub/super-micrometriche.

La combustione delle benzine di solito produce materia organica submicrometrica, solfati e silicio, ferro, zinco e zolfo elementari.

L’utilizzo di gasolio invece porta alla formazione dei componenti sopra citati a cui se ne aggiungono altri come la fuliggine e l’ammonio. A tale proposito è importante

(19)

ricordare che i veicoli alimentati a gasolio emettono particolato in quantità da 10 a 100 volte superiori rispetto a quelli che invece utilizzano la benzina come carburante. La maggior parte delle ceneri e fuliggini prodotte durante tali combustioni è costituita da particelle con un diametro minore di 0.2 µm (Venkataraman et al., 1994; Maricq

et al., 1999), per cui si parla essenzialmente di particolato fine ed ultrafine.

Sorgenti industriali

Molti processi industriali bruciano i combustibili fossili insieme ai metalli, perciò le emissioni prodotte da questi impianti sono costituite da fuliggine, cenere (fly ash) e metalli. Le ceneri dei processi industriali di solito contengono FeO3(s), FeO4(s), AlO3(s),

SiO2(s) e diversi composti a base di carbonio presenti con diversi stati di ossidazione

(Greenberg et al., 1978), solitamente il diametro di queste particelle è > di 2.0 µm, che come detto fanno parte della frazione grossolana.

I metalli, invece, sono emessi durante i processi industriali ad alta temperatura (es. inceneritori di rifiuti, fonderie, forni da cemento e impianti di produzione elettrica), in queste condizioni i metalli pesanti vaporizzano per poi ricondensare su particelle di fuliggine e cenere che vengono emesse simultaneamente. Fra i metalli emessi da un impianto, il ferro è quello di gran lunga più abbondante.

Altre sorgenti

Altre tipologie di particelle presenti in atmosfera includono pollini, spore, resti di piante, virus, detriti meteorici e particelle di gomma dei pneumatici. Questi ultimi derivano dalla costante erosione della gomma sull’asfalto; tali particelle presentano generalmente un diametro maggiore di 2.0 µm ricadendo perciò nella frazione più grossolana del particolato.

I pollini, le spore, i residui delle piante e i virus sono materiali di tipo biologico e vengono sollevate dal vento, spesso si comportano come nuclei di condensazione per la formazione di nubi e cristalli di ghiaccio.

Una nuova sorgente stratosferica di particolato è rappresentata dai detriti meteorici, essi si formano a seguito alla forte abrasione che i vari meteoriti subiscono nell’alta atmosfera; il materiale che raggiunge gli starti più bassi (troposfera) ha permesso di individuare la presenza di Ferro (Fe), Titanio (Ti), Alluminio (Al) più altri elementi, va comunque detto che il loro contributo netto è molto piccolo (Sheridan et al.,

1994).

Possiamo quindi concludere come la grande varietà delle diverse possibili sorgenti di particolato faccia si che le particelle immesse in atmosfera si presentino con le più svariate forme e dimensioni, tuttavia il loro diametro è correlato alla fonte di provenienza, la tabella 2.3.4 riporta alcuni esempi:

(20)

Diametro

Provenienza

> 10 µm

tra 1 µm e 10 µm

tra 0.1 µm e 1 µm < 0.1 µm

Processi meccanici (es. erosione del vento, macinazione e

diffusione), polverizzazione di materiali da parte dei veicoli e pedoni;

Provenienza da particolari tipi di terreno, da polveri e da prodotti di combustione di determinate industrie e da sali marini in determinate località;

Combustione ed aerosol fotochimica;

Particelle non sempre identificabili chimicamente, originate

apparentemente quasi del tutto da processi di combustione.

Tab.2.3.4_ Dimensioni ed emissioni di particolato (Finzi 2001)

2.4 Composizione Chimica

Una significativa frazione del particolato troposferico è di origine antropogenica e può contenere una ampia varietà di inquinanti presenti in quantità diverse a seconda della sorgente che li ha prodotti. Tuttavia tipicamente la sua composizione chimica vede la presenza di solfati, nitrati, ammonio, sodio, cloruri, metalli in traccia, materiali carboniosi, elementi crostali, sali marini, materiale organico e acqua. La frazione carboniosa del particolato consiste sia di carbonio elementare (EC) che di carbonio organico (OC). Il carbonio elementare, anche detto “ black carbon”, viene immesso direttamente in atmosfera a seguito essenzialmente dei processi di combustione e per questo motivo viene considerato un indicatore diretto delle sorgenti antropogeniche di combustione. Il carbonio organico oltre all’immissione diretta può invece risultare anche dalla condensazione di gas organici a bassa volatilità.

Fra tutte queste specie, i solfati, l’ammoniaca, EC, OC e alcuni metalli di transizione si ritrovano prevalentemente nelle particelle di piccole dimensioni (fine particles), mentre i materiali crostali, come il silicio, il calcio, il magnesio, l’alluminio e il ferro, insieme alle particelle organiche biogeniche (pollini, spore, frammenti di piante ecc.) sono caratteristiche da particelle con dimensione maggiore.

Il contributo principale alle deposizioni acide di origine antropica è fornito dagli acidi nitrico e solforico nelle forme gas, liquido e aerosol. Un contributo minore è dovuto

(21)

all’acido cloridrico (legato principalmente alla combustione delle plastiche) e agli acidi organici (per lo più formico e acetico). Accanto ai composti acidificanti sono presenti anche sostanze basiche come l’ammoniaca NH3 (in larga misura di origine

antropica) e alcuni cationi originati dall’erosione dei terreni e dal ricircolo delle polveri (ad es. Ca2+). Le sostanze basiche hanno un effetto tampone e contribuiscono a diminuire l’alcalinità complessiva del sistema.

Nitrati, solfati e ammoniaca

Lo zolfo è emesso in atmosfera principalmente sottoforma di biossido di zolfo SO2, il

quale può essere trasformato in H2SO4 attraverso una serie di reazioni in fase gas

innescate inizialmente dallo ione ossidrile OH. L’acido solforico così formatosi tende molto rapidamente a condensarsi in forma aerosol e quindi può essere rimosso per deposizione secca o fungere da nucleo di condensazione all’interno delle nuvole favorendo la formazione di gocce. Una parte del biossido di zolfo, in funzione della sua concentrazione in aria e del pH, può essere assorbito direttamente in fase liquida. L’ossidazione dell’SO2 in acqua è essenzialmente legata alla presenza di perossido di

idrogeno H2O2 e, in misura minore, di altri composti come ozono, radicali inorganici

e ossidi di azoto. La reazione predominante è quella dello ione HSO3

(che nasce dall’idrolisi del biossido di zolfo) che viene trasformato dal perossido di idrogeno in un primo composto intermedio e successivamente in acido solforico.

La produzione di acido nitrico è legata alle trasformazioni degli ossidi di azoto emessi in atmosfera. L’azoto viene emesso essenzialmente sottoforma di NO, molto rapidamente l’azione ossidante dell’ozono e dei radicali organici ed inorganici, porta alla formazione di NO2. Una volta formatosi il biossido di azoto può intervenire in

diversi meccanismi reattivi; di particolare interesse per la formazione di acido nitrico è la reazione con OH, che è generalmente più veloce della corrispondente ossidazione del biossido di zolfo e può portare a significative concentrazioni di HNO3, soprattutto

in presenza di attività fotochimica. Un altro processo reattivo, legato alla chimica del radicale NO3 (presente solo di notte a causa della rapida fotolisi), è costituito dalle

seguenti reazioni:

NO2 + O3 → NO3 + O2

NO3 + NO2 → N2O5

N2O5 + H2O (acq) → 2HNO3 (acq)

Una volta formato, l’acido nitrico viene rapidamente assorbito in fase liquida dove si dissocia velocemente in ioni (acido forte). A differenza degli ossidi di zolfo, le reazioni di ossidazione dell’azoto in fase liquida contribuiscono in modo trascurabile alla formazione di HNO3, per cui si può affermare che i processi dominanti nella

(22)

Un ultimo composto che svolge un ruolo importante nel bilancio dell’acidificazione è l’ammoniaca NH3. Si tratta di un composto di origine sia naturale che antropogenica

in grado di reagire sia con l’H2SO4 che con l’HNO3 a formare rispettivamente il

solfato e il nitrato di ammonio ( (NH4)2SO4 e NH4NO3), tamponando così l’acidità

dell’ambiente. Tuttavia è necessario sottolineare come, ad una data temperatura e umidità, la formazione di nitrati d’ammonio dipenda dalla disponibilità dell’NH3 e

dalla presenza di acido solforico, infatti dato che l’energia libera del solfato d’ammonio è minore di quella del nitrato, l’ammoniaca reagisce preferenzialmente con l’H2SO4 piuttosto che con l’acido nitrico. Sulla base di quanto detto possiamo

distinguere due diversi scenari:

1. Ambiente povero di ammoniaca: In questo caso non c’è NH3 sufficiente a

neutralizzare tutto il solfato, perciò la fase aerosol sarà acida, la pressione di vapore dell’ammoniaca sarà bassa e i solfati tenderanno a spingere i nitrati nella fase gas. Poiché la pressione parziale dell’NH3 è

bassa lo sarà anche quella prodotta del sistema NH3-HNO3, per cui i livelli di

nitrati saranno trascurabili o addirittura nulli.

2. Ambiente ricco di ammoniaca: Questa volta si ha un eccesso di NH3 così che

la fase aerosol sarà neutralizzata completamente. La parte di ammoniaca che non reagisce con i solfati potrà reagire con i nitrati a formare NH4NO3.

La competizione fra nitrati e solfati per l’NH3 risulta comunque un sistema che si comporta in modo piuttosto complicato e a tutt’oggi ancora non del tutto chiaro. Altre reazioni di neutralizzazione possono avvenire fra acidi gassosi, come SO2 e

HNO3, e particelle grossolane alcaline o con sali di acidi volatili; i due esempi

sono rappresentati dalle reazioni sottostanti:

CaCO3 + 2HNO3 → Ca(NO3)2 + H2CO3(↑)

(23)

Particolato organico secondario

Il particolato secondario si forma in atmosfera in seguito al trasferimento di massa nella fase aerosol di composti a bassa pressione di vapore prodotti da reazioni di ossidazione di gas organici detti VOCs, come alcani, alcheni, olefine cilciche e terpeni, o qualsiasi gas organico reattivo contenente almeno sette atomi di carbonio. Tali prodotti di ossidazione possono nucleare dando origine a nuove particelle, oppure condensare su particelle preesistenti formando in questo caso particolato organico secondario (SOPM).

Più in particolare la formazione di SOPM può essere suddivisa in due fasi, la prima in cui si ha la formazione di composti organici prodotti in fase gassosa durante le reazioni dei gas organici loro precursori, e una seconda fase in cui invece, i composti organici formatisi si ripartiscono, sia per dissoluzione che per assorbimento, tra la fase gassosa e quella particolata formando così i SOPM. E’ importante notare che, mentre la produzione di composti organici in fase gassosa dipende dalla chimica dei precursori gassosi dell’aerosol organico, la ripartizione è un processo fisico-chimico che può coinvolgere interazioni fra i vari composti presenti nelle due fasi.

Queste reazioni possono avvenire in fase gas, in gocce di nebbia o nubi (Aumont,

2000).

Nonostante i meccanismi di formazione e i precursori di SOPM non siano ancora del tutto chiari, risulta evidente la loro importanza poiché il particolato organico secondario può contribuire significativamente ai livelli di PM, soprattutto nei periodi caldi, dal momento che ozono e radicali OH (protagonisti delle reazioni fitochimiche) sono ritenuti essere i principali reagenti innescanti delle reazioni di ossidazione dei VOCs.

2.5 Diffusione

Si stima che ogni giorno vengano immesse nell’aria circa 10 milioni di tonnellate di particolato; di queste il 94% è di origine naturale. La concentrazione nell’aria di queste particelle viene comunque limitata dalla naturale tendenza alla deposizione per effetto della gravità e delle nubi o delle piogge (rimozione umida). Nell’ara pulita in genere la concentrazione di questo inquinante è dell’ordine di 1-1,5 µg/mc. (www.nonsoloaria.com).

Oltre che dalla natura dei venti e dalle precipitazioni la permanenza in atmosfera è fortemente condizionata dalle dimensioni delle particelle. Quelle che hanno un diametro superiore ai 50 micrometri sono visibili nell’aria e sedimentano piuttosto velocemente causando fenomeni di inquinamento su scala molto ristretta.

Le più piccole possono rimanere in sospensione per molto tempo; alla fine gli urti casuali e la reciproca attrazione le fanno collidere e riunire assieme, in questo modo raggiungono delle dimensioni tali da acquistare una velocità di caduta sufficiente a farle depositare al suolo. Le polveri PM10 possono rimanere in sospensione per circa

(24)

12 ore, mentre le particelle con diametro inferiore a 1 µm fluttuano nell’aria anche per un mese.

Il particolato emesso dai camini di altezza elevata può essere trasportato dagli agenti atmosferici anche a grandi distanze. Per questo motivo parte dell’inquinamento di fondo riscontrato in una determinata città può provenire da un’industria situata a diversi Km dal centro urbano. Nei centri urbani l’inquinamento da polveri fini (che sono le più pericolose per la salute) è essenzialmente dovuto al traffico veicolare e al riscaldamento domestico. Per questo motivo, quando la concentrazione di particolato nell’aria diventa troppo alta, vengono attuate delle limitazioni al traffico; in varie nazioni può anche essere imposto un limite alla temperatura del riscaldamento negli ambienti chiusi: 18°C in Germania o 20°C in Italia.

2.6 Rimozione

Le particelle di aerosol sono rimosse dall’atmosfera attraverso la sedimentazione, la deposizione secca e dal rain-out.

Nel caso in cui particelle di dimensioni ridotte si trovino in prossimità della superficie terrestre, la deposizione secca può rimuoverle più efficientemente di quanto farebbe la sedimentazione.

Il rain-out è il processo per cui le particelle di aerosol sono inglobate nelle gocce di pioggia, che successivamente arrivano a terra. Il rain-out è quindi un processo di rimozione molto importante che agisce solo per la troposfera. Da ultimo è importante notare che, sempre in relazione alle dimensioni delle particelle, sono stati effettuati studi sui tempi di permanenza nell’aria e sul meccanismo di rimozione del particolato da parte delle piogge. Questo meccanismo, noto con il nome di washout, è efficace per le particelle di dimensioni non inferiori a circa 2 µm. Le goccioline così formatesi cadendo inglobano anche altre particelle, ingrandendosi man mano che scendono a livelli più bassi.

2.7 Effetti del Particolato sull’Ambiente

Gli effetti negativi del particolato sull’ambiente si ripercuotono soprattutto sulle proprietà atmosferiche, sulla vegetazione costantemente esposta, sui materiali e sulla salute umana. Sebbene alcuni di questi siano specifici e quindi misurabili, altri invece sono difficili da quantificare come ad esempio gli effetti sulla salute umana o sulla qualità della vita, per questo motivo tale argomento è stato spesso oggetto di discussione. Di seguito vengono analizzati in maggior dettaglio i vari effetti sopra elencati.

(25)

1.

Effetti sulle proprietà atmosferiche

Il particolato areodisperso influisce sulle proprietà atmosferiche agendo su diversi fattori:

Riduzione della visibilità

• Aumento della formazione di nebbie e precipitazioni • Riduzione della radiazione solare

• Alterazione del clima

Fra queste la riduzione della visibilità, che spesso si riscontra nelle zone fortemente inquinate, è forse l’effetto più evidente. In generale la visibilità viene definita come la distanza massima in una data direzione da cui un oggetto nero e abbastanza grande sia: 1) visibile e identificabile in condizioni di luce diurna, e 2) sfocato in presenza di una moderata intensità di luce durante la notte.

La visibilità viene ridotta dall’assorbimento, ma soprattutto a causa della diffusione (scattering) della luce da parte di molecole di gas e particelle presenti in atmosfera che interferiscono con la radiazione del visibile. Il fenomeno della diffusione si realizza quando le particelle che si trovano fra l’osservatore e l’oggetto deviano l’originale traiettoria di propagazione della luce diffondendola verso il cielo, in questo modo il contrasto fra l’oggetto e l’ambiente circostante si riduce così come la sua visibilità.

Inoltre la presenza di particelle in atmosfera favorisce la formazione di nebbie che riducono la radiazione solare incidente. E’ stato osservato come la frequenza di formazione di nebbie in zone urbane sia maggiore rispetto a quella di ambienti rurali, e che la temperatura e l’umidità relativa in ambienti urbani tendono ad essere più alte e più basse rispettivamente, al contrario di quanto avviene in zone rurali (Seifeld, 1986). La spiegazione di questa osservazione sta nel meccanismo di formazione delle nebbie. Infatti la presenza di gocce di acido solforico, formatesi in seguito all’ossidazione di SO2, fungono da nuclei di condensazione per la formazione di

piccole gocce di nebbia. Gelsenkirchen e Hamburg, Georgici (1968) hanno condotto uno studio sulla correlazione fra concentrazione di SO2 e formazione di nebbie in

alcune città della Germania, all’interno del quale è emerso che nell’80% dei casi con elevate concentrazioni di SO2 la visibilità è ridotta al di sotto dei 5 Km. Inoltre è stato

visto che la formazione di nebbie aumenta la frequenza delle precipitazioni. (Changnon, S. A., Jr., 1968).

Gli effetti del particolato sul clima della terra sono invece piuttosto discussi. Sicuramente un aumento dei livelli di PM in atmosfera comporta una diminuzione della temperatura terrestre per un effetto di riflessione e schermatura della luce solare, in ogni caso tale azione è comunque mitigata dal fatto che le particelle riflettono anche le radiazioni infrarosse provenienti dalla terra. E’ stato comunque dimostrato che negli anni immediatamente successivi alle più grandi eruzioni vulcaniche di tipo esplosivo (caratterizzate dalla emissione in atmosfera di un’enorme quantità di particolato) sono seguiti degli anni con inverni particolarmente rigidi. Alcune

(26)

ricerche affermano che un aumento di 4 volte della concentrazione del particolato in atmosfera comporterebbe una diminuzione della temperatura globale della terra pari a 3,5°C.

2.

Effetti sui materiali

I danni sui materiali sono legati soprattutto alla composizione chimica e allo stato fisico dell’inquinante. Un primo tipo di danno indiretto è causato dall’annerimento dei materiali, dovuto alla sedimentazione dei particolati; la pulitura necessaria indebolisce il materiale (sempre che ancor prima le particelle non siano anche di per se corrosive o veicolino sostanze corrosive adsorbite o absorbite).

Gli edifici (case, monumenti, strutture, ecc.) vengono sporcati e danneggiati da particelle solitamente catramose, collose ed acide, le quali aderiscono alle superfici fungendo da serbatoi di acidi per la corrosione (fatto questo che si verifica soprattutto in città, dove vengono usate grandi quantità di carbone ed olii a base di zolfo).

Anche le superfici con verniciature fresche o già asciutte subiscono l’attacco dei particolati; ne sono un esempio le condizioni delle auto parcheggiate nei pressi di impianti industriali o in aree urbane fortemente inquinate. In aria asciutta e pulita i metalli resistono bene alla corrosione che però aumenta in velocità all’aumentare dell’umidità. Poiché i particolati fungono da nuclei di condensazione per le gocce d’acqua nelle quali si dissolvono molti dei gas assorbiti dai particolati stessi, si ha che la corrosione risulta accelerata (specie in presenza di composti contenenti zolfo). Questo fatto spiega perché diversi esperimenti hanno evidenziato che le velocità più elevate di corrosione dei metalli si hanno nell’atmosfera di zone urbane e industriali.

3.

Effetti sulla vegetazione

La maggior parte delle ricerche finora effettuate riguardano principalmente gli effetti da polveri specifiche . E’ stato ad esempio possibile rilevare che le polveri di forni di cemento, mescolandosi con nebbia leggera o pioggia, formano una spessa crosta sulla superficie superiore delle foglie che può essere rimossa solo con la forza, non essendo sufficiente il lavaggio con acqua (Stoker H.S., Seager S.L. 1976). Tale incrostazione, facendo scudo alla luce solare, interferisce con la fotosintesi e sconvolge il processo di scambio della CO2 con l’atmosfera, oltre ad inibire lo

sviluppo della pianta che in alcuni casi può portare anche alla morte. Inoltre il danneggiamento della foglia per abrasione meccanica rende le piante più suscettibili agli attacchi da parte di insetti. Non ultimo è da rilevare il danno indiretto arrecato agli animali che usano le piante come alimento, poiché i particolati depositatisi sulle piante possono contenere componenti chimici dannosi.

I gas pericolosi per la vegetazione solitamente entrano insieme all’aria nel ciclo respiratorio della pianta e, una volta giunti nelle foglie, distruggono la clorofilla e quindi la fotosintesi.

(27)

4.

Effetti sull’uomo

A prescindere dalla tossicità, le particelle che possono produrre degli effetti indesiderati sull’uomo sono sostanzialmente quelle di dimensioni più ridotte, infatti nel processo della respirazione le particelle maggiori di 15 µm vengono generalmente rimosse dal naso. Il particolato che si deposita nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (cavità nasali, faringe e laringe) può generare vari effetti irritativi come l’infiammazione e la secchezza del naso e della gola; tutti questi fenomeni sono molto più gravi se le particelle hanno assorbito sostanze acide (come il biossido di zolfo, gli ossidi di azoto, ecc.). La dimensione delle particelle determina quindi la capacità di penetrazione nell’apparato respiratorio umano, come mostrato in figura 2.7.1.

Fig2.7.1_ Profondità di penetrazione nel sistema respiratorio a seconda della loro dimensione.

La frazione inalabile include tutte le particelle che riescono ad entrare dalle narici e dalla bocca. Tuttavia l’impatto più importante sull’organismo è la frazione toracica, che comprende le particelle che riescono a passare attraverso la laringe e ad entrare nella trachea e nei bronchi. Essa è composta dalle particelle con diametro inferiore a 10 µm (PM10) che sono state correlate con l’asma e con malattie polmonari ostruttive

di tipo cronico (MacNee and Donaldson, 1999).

Il PM2.5 può addirittura arrivare fino ai bronchi terminali e alle soglie della regione alveolare, costituendo così quella che viene chiamata frazione respirabile.

(28)

Componenti ancora più fini, PM1 e altre ancora, riescono a penetrare fino all’interno degli alveoli polmonari. Per tale motivo è oggi oggetto di attente immagini la possibilità per le particelle ultrafini di superare la barriera alveolare ed entrare nel circolo sanguineo concorrendo ad aumentare i rischi di tumori, trombosi e malattie cardiache.

Il particolato più fine è quindi quello potenzialmente più pericoloso a causa della sua maggiore capacità di penetrazione nell’albero respiratorio; secondo uno studio condotto da Pope et al., (1995), potrebbe addirittura non esserci nessuna soglia minima per i PM10 legata ai problemi di salute. Infatti, poiché la maggior parte della

massa di questo tipo di particolato non è pericolosa, il danno da PM10 potrebbe essere

dovuto essenzialmente alle particelle fini, e in particolare da quelle ultra fini (con diametro minore di 0,1µm), in esso contenute. Queste particelle potrebbero essere pericolose per i polmoni, anche quando contengono sostanze che non sono tossiche quando contenute i particelle più grandi (MacNee and Donaldson, 1999). Naturalmente il rischio dipende anche dalla natura delle particelle respirate: esso è associato in particolare al contenuto di metalli pesanti in tracce (Pb, Cd, Cr, As, Zn, Hg…) che causano danni ai polmoni, bronco-costrizioni, e aumenta l’incidenza di infezione (Ghio and Samet, 1999) e alla presenza di diverse sostanze organiche classificate cancerogene, tra le quali gli IPA e le diossine.

Inoltre, per la particolare struttura della superficie, le particelle possono anche adsorbire dall’aria sostanze chimiche cancerogene; trascinandole nei tratti respiratori e prolungandone i tempi di residenza, che ne accentuano gli effetti. Le particelle più piccole penetrano nel sistema respiratorio a varie profondità e possono trascorrere lunghi periodi prima che vengano rimosse, per questo sono le più pericolose. Queste polveri aggravano le malattie respiratorie croniche come l’asma, la bronchite e l’enfisema.

Le persone più vulnerabili sono gli anziani, gli asmatici, i bambini e chi svolge un’intensa attività fisica all’aperto, sia di tipo lavorativo che sportivo.

Nei luoghi di lavoro più soggetti all’inquinamento da particolato l’inalazione prolungata di queste particelle può provocare reazioni croniche e necrosi dei tessuti che comportano una broncopolmonite cronica accompagnata spesso da enfisema polmonare (www.nonsoloaria.com).

Riferimenti

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