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Il concetto di capitale intellettuale: contestualizzazione e misurazione negli enti locali

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contestualizzazione e misurazione negli enti

locali

SOMMARIO: 2.1. Premessa – 2.2. I tratti distintivi delle risorse immateriali aziendali – 2.3. Il concetto di capitale intellettuale – 2.4. Il capitale intellettuale negli enti locali: spunti di riflessione – 2.4.1. Il capitale umano negli enti locali – 2.4.2. Il capitale organizzativo negli enti locali – 2.4.3. Il capitale relazionale negli enti locali – 2.5. La misurazione del capitale intellettuale – 2.5.1. La misurazione scientifica del capitale intellettuale – 2.5.2. La misurazione del capitale intellettuale per finalità gestionali – 2.5.3. La misurazione del capitale intellettuale per finalità di comunicazione esterna: l’accountability.

2.1. Premessa

Nel primo capitolo è stata sottolineata la rilevanza delle risorse immateriali ai fini della creazione di valore nelle aziende private e in quelle pubbliche. Nel presente capitolo sono analizzate le caratteristiche di tali risorse, individuandone, in primo luogo, gli elementi costitutivi.

Per identificare il sistema delle risorse immateriali aziendali, nella dottrina e nella prassi, si è diffuso il concetto di «capitale intellettuale». Le diverse definizioni ed articolazioni proposte in letteratura sono esaminate in una prospettiva diacronica mettendo, quindi, in rilievo l’evoluzione del concetto nonché i suoi tratti fondamentali.

Tale concetto è, successivamente, «contestualizzato» negli enti locali. Sono, infatti, forniti degli spunti per aiutare le singole realtà pubbliche a rendere «visibile» la propria area di immaterialità, nel rispetto delle specificità che le connotano e che derivano dalla compresenza della dimensione istituzionale, politica ed aziendale.

La seconda parte del capitolo è focalizzata sulla misurazione del capitale intellettuale. Allo scopo sono esaminate le fasi del processo di misurazione scientifica, in modo da individuare il legame esistente tra il mondo empirico ed il concetto teorico.

La misurazione è, infine, analizzata considerando le esigenze dei diversi destinatari delle informazioni prodotte. Il capitale intellettuale, infatti, può essere misurato per finalità gestionali o di comunicazione esterna. Nella prima ipotesi, le informazioni sono destinate a soggetti interni all’azienda, nella seconda, invece, sono rivolte ai diversi stakeholders e hanno lo scopo di

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aiutarli a comprendere le capacità e le potenzialità aziendali. A seconda che la misurazione sia destinata all’interno o all’esterno le esigenze da considerare sono differenti e questo deve necessariamente riflettersi nel contenuto, nella forma e nella frequenza dei report elaborati dalle aziende.

2.2. I tratti distintivi delle risorse immateriali aziendali

Le risorse immateriali sono generalmente definite in «senso negativo» come risorse prive del carattere della tangibilità e della natura finanziaria. Il nostro obiettivo è quello di individuare le caratteristiche intrinseche che ne consentano una definizione in «senso positivo». Per far ciò, è necessario focalizzare l’attenzione sul tema della conoscenza.

La conoscenza è un «fenomeno» astratto e complesso che rappresenta la determinante principale del vantaggio competitivo delle aziende1. La

competizione, nella fase attuale, è infatti sempre più basata su ciò che si conosce e, di conseguenza, si è in grado di fare, piuttosto che sul possesso ed utilizzo di determinati impianti, materie prime o risorse naturali2.

In letteratura, sono state proposte numerose analisi della conoscenza in ambito aziendale3. Volendo circoscrivere tale fenomeno è possibile far

1 Cfr., tra gli altri, DRUCKER P., La società post-capitalista, Spearling & Kupfer, Milano, 1993. Edizione originale: Post-Capitalistic Society, Butterworth-Heinemann, Oxford, 1993; QUINN J.B.,

Intelligent Enterprise: a Knowledge and Service Based Paradigm for Industry, The Free Press, New York,

1992; GRANT R.M., Toward a Knowledge-Based Theory of the Firm, in “Strategic Management Journal”, vol. 17, Winter Special Issue, 1996; SPENDER J.C., Making Knowledge the Basis of a Dynamic Theory of

the Firm, in “Strategic Management Journal”, vol. 17, Winter Special Issue, 1996; PORTER LIEBESKIND J., Knowledge, Strategy, and the Theory of the Firm, in “Strategic Management Journal”, vol. 17, Winter Special Issue, 1996; STEWART T.A., Il capitale intellettuale. La nuova ricchezza, Ponte alle Grazie, Milano, 1999. Edizione Originale: Intellectual Capital: The New Wealth of Organizations, Currency Doubleday, New York, 1997.

2 Particolarmente efficaci risultano le osservazioni di Paolone: “[…] il sistema d’azienda non può ridurre il suo significato-contenuto alla sola componente materiale rappresentata dagli impianti, dalle risorse finanziarie, dai sistemi produttivi, ecc., ma assume la configurazione di insieme di conoscenze o di risorse cognitive riferibili alla proprie singole aree o a settori in cui esso si scompone. Sono proprio le risorse cognitive che consentono di realizzare a pieno il consolidamento di un sistema di idee vincenti e la razionalizzazione di strategie di successo.” PAOLONE G., L’evoluzione dei principi dell’economia aziendale pura ed il legame di correlazione con i principi

della ragioneria, in PAOLONE G.,D’AMICO L. (a cura di), L’economia aziendale nei suoi principi parametrici

e modelli applicativi, Giappichelli, Torino, 2001, pp. 314-415, corsivo nel testo dell’Autore).

3 Cfr. DAVENPORT T.H.,PRUSAK L., Il sapere a lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e

trasferire conoscenza, Etas, Milano, 2000. Edizione originale: Working Knowledge. How Organizations Manage What They Know, Harvard Business School Press, Boston, 1998; NONAKA I.,TAKEUCHI H., The Knowledge-Creating Company, Oxford University Press, Inc., New York, 1995; QUAGLI A.,

Knowledge Management. La gestione della conoscenza aziendale. Il caso Cap Gemini Ernst & Young, Egea,

Milano, 2001; QUAGLI A., Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1995; MARCHI L.,BRANCIARI S., Il sistema delle informazioni e il controllo dei processi, in MARCHI L. (a cura di), Introduzione all’economia aziendale. Il sistema delle operazioni e le condizioni di equilibrio aziendale, Quarta Edizione, Giappichelli, Torino, 2001. In un recente studio condotto da Andriessen,

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riferimento alla definizione proposta da Davenport e Prusak secondo la quale “la conoscenza è una combinazione fluida di esperienza, valori, informazioni contestuali e competenza specialistica che fornisce un quadro di riferimento per la valutazione e l’assimilazione di nuova esperienza e nuove informazioni”4. La conoscenza, pertanto, è concepita come una

sorta di contenitore nell’ambito del quale sono assimilate le nuove informazioni ed esperienze che determinano lo sviluppo di ulteriore conoscenza. Quest’ultima non è fine a se stessa ma è rivolta all’assunzione di decisioni e al compimento di azioni o, più propriamente, allo svolgimen-to dei processi aziendali5.

Le analisi condotte con riferimento alla conoscenza in ambito aziendale rilevano, inoltre, la distinzione, a livello epistemologico, tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita6. La conoscenza tacita è un tipo di conoscenza

strettamente personale, basata sull’esperienza, sull’intuizione e, quindi, dif-ficilmente spiegabile e trasferibile nello spazio e nel tempo. La conoscenza esplicita, al contrario, è conoscenza formalizzata ed immagazzinata in supporti cartacei o informatici che ne agevolano la condivisione.

Nei contributi dei diversi Autori emerge, infine, la centralità degli individui nella loro veste di promotori della creazione e dello sviluppo della conoscenza nelle organizzazioni. In altri termini, la conoscenza individuale costituisce la base della conoscenza organizzativa7.

Alla luce di quanto rilevato è possibile osservare che, nel contesto aziendale, la conoscenza si manifesta in molti modi, ad esempio, nelle competenze del personale, nelle procedure, nei brevetti, nella cultura organizzativa e nelle relazioni con gli stakeholders, in altri termini, nelle cosiddette risorse immateriali o intangibles.

applicando la metodologia dell’analisi testuale, è stato evidenziato che in due dei principali testi di riferimento in tema di conoscenza nelle organizzazioni, The Knowledge-Creating Company di Nonaka e Takeuchi e The Working Knowledge di Davenport e Prusak, il concetto di conoscenza è espresso mediante il ricorso a metafore. In particolare, Andriessen suddivide le metafore nelle seguenti sei categorie: knowledge as something physical, knowledge as a wave, knowledge as a living organism, knowledge as thoughts and feelings, knowledge as a process, knowledge as a structure. Cfr. ANDRIESSEN D., On the metaphorical nature of intellectual capital: a textual analysis, in “Journal of Intellectual Capital”, vol. 7, n. 1, 2006, pp. 96-101.

4 DAVENPORT T.H., PRUSAK L., Il sapere a lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e

trasferire conoscenza, cit., pp. 6-7.

5 DAVENPORT T.H., PRUSAK L., Il sapere a lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e

trasferire conoscenza, cit., pp. 8-9.

6 In proposito, cfr.NONAKA I.,TAKEUCHI H.,The Knowledge-Creating Company, cit., pp. 8-9; GRANT R.M.,Toward a Knowledge-Based Theory of the Firm, cit., p. 111.

7 Nonaka e Takeuchi osservano “Organizational knowledge creation, therefore, should be understood as a process that «organizationally» amplifies the knowledge created by individuals and crystallizes it as a part of the knowledge network of the organization.” (NONAKA I., TAKEUCHI H.,The Knowledge-Creating Company, cit., p. 59).

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A ben vedere, questi ultimi sono manifestazione non solo della conoscenza propria dell’azienda, finalizzata allo svolgimento dei processi economici, ma anche della conoscenza dell’azienda propria dei soggetti (dipendenti, clienti, fornitori, ecc.) che si relazionano con essa. Alla conoscenza in oggetto, i diversi interlocutori associano inevitabilmente un giudizio soggettivo sulla capacità dell’azienda di soddisfare le loro attese8.

Dall’azione congiunta dei due elementi delineati deriva la fiducia di cui l’azienda gode presso i propri stakeholders.

Sottolineiamo che la fiducia, pur derivando da schemi cognitivi e giudizio soggettivo dei diversi portatori di interesse, non è al di fuori di ogni controllo da parte dell’azienda; quest’ultima, infatti, può influenzare la fiducia tenendo determinati comportamenti e, quindi, sviluppando e mettendo a frutto determinate conoscenze.

Nel porre l’enfasi sui modelli cognitivi e sul giudizio soggettivo dei diversi interlocutori, alcuni Autori hanno affermato che le risorse immate-riali sono espressione della conoscenza e della fiducia9.

Tali risorse presentano delle caratteristiche peculiari che concorrono a configurarle quali drivers principali del successo competitivo delle imprese. Di seguito se ne individuano alcune, rimandando alla copiosa letteratura in materia per un esame più approfondito10.

8 Cfr. QUAGLI A., Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale, cit., pp. 15-21. Secondo Vicari, la fiducia “altro non è che uno schema cognitivo (proprio di soggetti esterni all’impresa, n.d.A.), […], che richiede un minore numero di dati per consentire una interpretazione (o attivazione delle realtà). In ogni negoziazione, in ogni scambio, in ogni rapporto vi è un elemento di fiducia, in mancanza del quale sarebbe necessario possedere tutte le informazioni relative allo scambio.” (VICARI S., Risorse aziendali e funzionamento d’impresa, in “Finanza, Marketing e Produzione”, n. 3, 1992, pp. 143). Corno considera la fiducia come una forma particolare di conoscenza, frutto dei processi comunicativi posti in essere dall’azienda. L’Autore, in particolare, osserva “Di conoscenza trattasi […] anche quando si parla di fiducia; questa consiste infatti in modelli cognitivi propri di soggetti esterni all’impresa, acquisita sui mercati e nei sistemi sociali, influenzata dalle «informazioni» fluite dall’azienda e dalle modalità seguite nel proprio relazionarsi. Si arriva così per questa strada ad affermare che i beni ricompresi nel patrimonio intangibile dell’impresa sarebbero costituiti esclusivamente di conoscenza […].” (CORNO F., Patrimonio intangibile e governo dell’impresa, EGEA, 1996, p. 28).

9 Cfr. CODA V., I fattori produttivi immateriali nell’economia dell’impresa, in AA.VV., Le

immobilizzazioni immateriali, Atti del Convegno 23 Giugno 1999, Cacucci, Bari, 2000, p. 19;

CHIUCCHI M. S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: criticità e prospettive, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 11-12; VICARI S., Risorse aziendali e funzionamento d’impresa, cit.

10 Si vedano, in particolare, ITAMI H., Le risorse invisibili, Isedi, Torino, 1988. Edizione originale:

Mobilizig invisible assets, Harvard Business School Press, Boston, 1987; LEV B., Intangibles:

Management, Measurement e Reporting, Brookings Institution Press, Washington D.C., 2001;

LIBERATORE G., Le risorse immateriali nella comunicazione integrata. Riflessioni per uno schema di analisi

economico-aziendale, Cedam, Padova, 1996; BUTTIGNON F., Le risorse immateriali: ruolo strategico e

problematiche di rilevazione, in “Sinergie”, numero monografico, Economia delle risorse immateriali, parte

II, n. 30, gennaio-aprile, 1993; VICARI S., «Invisible asset» e comportamento incrementale, in “Finanza, Marketing e Produzione”, n. 1, 1989.

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Innanzitutto, la creazione e lo sviluppo delle risorse immateriali può derivare da scelte consapevoli e richiedere sforzi continui e prolungati da parte dell’azienda; si pensi, a titolo di esempio, allo sviluppo interno di un software e all’incremento delle competenze del personale in un nuovo ambito di attività. È questo il motivo per il quale tra gli attributi delle risorse immateriali si annovera la difficile acquisibilità.

In altre circostanze le risorse immateriali si sviluppano in modo spontaneo a seguito delle incessanti interazioni che si realizzano nell’ambito del sistema d’azienda. Si parla in questo caso di incidentalità e un esempio potrebbe essere rappresentato dalle competenze del personale che si incrementano in seguito ad accordi di partnership con i fornitori. La caratteristica delineata è al tempo stesso la causa e la conseguenza dell’esistenza di fenomeni di ambiguità causale: risulta, infatti, estrema-mente difficile, non solo per i concorrenti ma anche per la stessa azienda, individuare compiutamente i fattori che influenzano lo sviluppo degli

intangibles. In virtù di ciò le risorse immateriali sono di difficile imitabilità.

Gli elementi intangibili non sono soggetti al fenomeno dei rendimenti decrescenti. In effetti, il continuo utilizzo delle risorse immateriali e, ove possibile, la loro applicazione in contesti diversi non riducono l’utilità che esse sono in grado di apportare alla gestione aziendale.

Allo sviluppo e all’utilizzo delle risorse immateriali è associato un elevato grado di rischio. Gli intangibles, infatti, sono profondamente legati allo specifico contesto organizzativo, di mercato ed ambientale; eventuali muta-menti nelle condizioni anzidette possono incidere notevolmente sulla loro utilità. Le competenze del personale, ad esempio, comprendono oltre al sapere teorico anche un sapere di tipo pratico e, in quanto tali, sono intrinsecamente legate allo specifico contesto produttivo e tecnologico. Eventuali cambiamenti di tale contesto possono, pertanto, ridurre sensibilmente la validità delle competenze e richiedere sforzi notevoli per il loro adeguamento.

L’analisi effettuata permette di definire in «senso positivo» le risorse immateriali. In virtù di ciò, spostiamo il focus dell’analisi dalla conoscenza e dalla fiducia, fattori primigeni, alle risorse immateriali aziendali, che della conoscenza e della fiducia sono manifestazione.

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2.3. Il concetto di capitale intellettuale

A partire dagli anni Novanta si diffonde, nell’area dell’accounting, il concetto di capitale intellettuale per identificare il sistema delle risorse immateriali aziendali11. Con riferimento ad esso sono state proposte

numerose definizioni.

Il capitale intellettuale, secondo Stewart, è costituito dall’insieme semipermanente della conoscenza e dagli strumenti che la incrementano12.

Tale insieme viene definito «semipermanente» proprio perché esso non è immodificabile, ma è soggetto ad una continua evoluzione che si realizza a partire dalla conoscenza di cui già di dispone.

Edvinsson dà una connotazione quantitativa al capitale intellettuale; quest’ultimo, infatti, rappresenta la differenza tra il valore di mercato e il valore di bilancio dell’azienda. In tale accezione, il capitale intellettuale è assimilato alle fonti dello stato patrimoniale cui corrisponde, in contro-partita, l’avviamento13. L’Autore svedese propone anche una nozione

qualitativa del capitale intellettuale dalla quale emerge il collegamento con la conoscenza. Nell’accezione considerata esso è definito come “the possession of knowledge, applied experience, organizational technology, customer relationships, and professional skills that provides Skandia AFS with a competitive edge in the market”14.

Anche in Sveiby è possibile rinvenire una nozione quantitativa e una qualitativa del capitale intellettuale15. Con riferimento alla prima accezione

11 È opportuno precisare che il termine «capitale intellettuale» non è stato coniato negli anni Novanta, ma risale a studi precedenti non riguardanti, peraltro,l’area dell’accounting. Bontis e Hudson sostengono, infatti, che tale termine sia stato utilizzato per la prima volta nel 1969 dall’economista J.K. Galbraith. Cfr. BONTIS N., Assessing Knowledge assets: a review of the models used to

measure intellectual capital, in “International Journal of Management Reviews”, vol. 3, n. 1, 2001, p.

42; HUDSON W., Intellectual capital: how to build it, enhance it, use it, John Wiley & Sons, New York, 1993. Per approfondimenti sull’evoluzione del concetto di capitale intellettuale cfr., inoltre, SWART J., Intellectual capital: disentangling an enigmatic concept, in “Journal of Intellectual Capital, vol. 7, n. 1, 2006.

12 STEWART T.A., Il capitale intellettuale. La nuova ricchezza, cit., p. 118.

13 EDVINSSON L.,Developing Intellectual Capital at Skandia, in “Long Range Planning”, vol. 30, n. 3, 1997, pp. 367-368. In realtà, esiste incoerenza tra la definizione e la rappresentazione grafica del capitale intellettuale proposta dall’Autore. In una figura, infatti, il capitale intellettuale è rappresentato come la contropartita non solo dell’avviamento, come precisato nel commento, ma anche del valore delle tecnologie e delle competenze. È bene osservare, tuttavia, che si tratta di semplici problematiche di linguaggio poiché, nella sostanza, l’avviamento coincide con tutte le risorse immateriali non contabilizzate e, quindi, comprende al suo interno anche il valore delle tecnologie e delle competenze.

14EDVINSSON L.,Developing Intellectual Capital at Skandia, cit., p. 368. Skandia AFS è la divisione Assurance and Financial Service della società svedese di assicurazioni Skandia di cui Edvisson era il direttore dell’Intellectual Capital Function.

15 È bene precisare che Sveiby non usa l’espressione «capitale intellettuale» ma parla di «intangible assets» e «knowledge-based assets»; non emerge, tuttavia, alcuna differenza sostanziale tra i

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è opportuno sottolineare che gli intangibles configurano degli impieghi «invisibili» le cui fonti, anch’esse «invisibili», sono date dalla differenza tra il valore di mercato e il valore di bilancio e dalle obligations, ossia impegni economici assunti nei confronti dei dipendenti al fine di attrarli e trattenerli in azienda16. Con riferimento all’accezione qualitativa, l’Autore utilizza

indifferentemente i termini intangible assets e knowledge-based assets, eviden-ziando, di conseguenza, il profondo legame esistente con la conoscenza.

Il collegamento conoscenza-capitale intellettuale è rafforzato nei contri-buti dottrinali più recenti, nell’ambito dei quali viene, peraltro, messa in discussione l’accezione quantitativa17. Il focus delle ricerche in parola è,

infatti, sulla gestione della conoscenza.

Le linee guida del progetto promosso dal governo danese fanno esplicito riferimento alle knowledge resources, ossia alle risorse per le quali è possibile affermare “that is knowledge”18. Tali risorse, a differenza della conoscenza

di cui sono manifestazione, possono essere visualizzate, misurate e gestite. In particolare, con riferimento ad esse possono essere condotte attività di

knowledge management.

Anche nelle linee guida del progetto MERITUM promosso dalla Commissione Europea, il capitale intellettuale è la risultante di tutti gli elementi intangibili dell’azienda che, sostanzialmente, coincidono con la conoscenza19.

concetti anzidetti, per cui riteniamo possibile utilizzarli indifferentemente. Cfr. SVEIBY K.E., The

New Organizational Wealth. Managing and Measuring Knowledge-Based Assets, Berrett-Koehler, San

Francisco, 1997.

16 SVEIBY K.E., The New Organizational Wealth. Managing and Measuring Knowledge-Based Assets, cit., pp. 11-13.

17 Buck et alii ritengono che l’assunto secondo il quale il capitale intellettuale è la differenza tra il valore di mercato e il valore di bilancio possa essere rilevante nell’ambito dello studio del mercato dei capitali, ma non con riferimento alla singola azienda. Gli Autori individuano a riguardo due motivazioni: in primo luogo, “if we accept intellectual capital as such a residual given by the equation, we would also have to accept it as a function of the accounting rules used to construct the book value”; in secondo luogo “if the markets already knows the right market value, why bother to compute the intellectual capital? […] Thus, if intellectual capital is to be of any value, it would have to influence the market values. In such a situation, intellectual capital cannot be subordinated to market values”. (BUCK P. N., LARSEN H. T., MOURITSEN J., Constructing

intellectual capital statements, in “ Scandinavian Journal of Management”, vol. 17, n. 1, 2001, p. 91).

18 “You cannot see knowledge and it cannot be described, changed, developed or evaluated. It first must be «translated» into knowledge resources, which it is possible to point to and say «that is knowledge». Knowledge resources can be described, developed, evaluated and combined in new ways.” (DANISH MINISTRY OF SCIENZE, TECHNOLOGY AND INNOVATION, Intellectual Capital

Statement – The New Guidelines, pubblicazione disponibile sul seguente sito web: www.vtu.dk, versione aggiornata al mese di marzo 2003, p. 11).

19 Cfr. MERITUM PROJECT, Guidelines For Managing And Reporting On Intangibles (Intellectual

Capital Report), pubblicazione disponibile sul seguente sito web:

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Nei contributi dottrinali esaminati, il capitale intellettuale è prevalente-mente definito come il sistema delle risorse di conoscenza. Non vi è, invece, un esplicito riferimento alla fiducia. In realtà, tutti gli Autori considerati comprendono nel capitale intellettuale le relazioni che l’azienda istaura con gli stakeholders, interni ed esterni. Tali relazioni sono, ovviamente, basate sulla fiducia. Non va dimenticato, inoltre, che la fiducia, pur implicando un giudizio soggettivo, deriva comunque da una forma particolare di conoscenza, nello specifico, la conoscenza che i diversi interlocutori hanno dell’azienda.

In letteratura, specialmente nei primi contributi dottrinali, sono state proposte numerose articolazioni del capitale intellettuale, principalmente con lo scopo di collocare lo stesso nell’ambito dell’organizzazione. Le categorizzazioni consentono, infatti, di rispondere alla domanda «dove andare a cercare il capitale intellettuale?» o, meglio, «dove si manifestano la conoscenza e la fiducia in azienda?»20.

I vari Autori hanno proposto articolazioni diverse; tra di esse, tuttavia, “le differenze sono, prevalentemente ma non esclusivamente, di tipo formale e non sostanziale”21. Di conseguenza, nel lavoro faremo

riferimento ad una articolazione che sintetizza le diverse proposte a cui, peraltro, rinviamo per i necessari approfondimenti22.

In primo luogo, è possibile osservare che la conoscenza è incorporata nel sistema umano operante in azienda. Essa si manifesta nelle capacità, nelle abilità, nelle esperienze dei singoli individui, in altri termini, nelle risorse immateriali che costituiscono il cosiddetto capitale umano.

La conoscenza incorporata nel sistema umano è prevalentemente tacita. Si tratta, cioè, di una conoscenza strettamente personale, basata sull’esperienza, sull’intuizione, sui giudizi soggettivi. In quanto tale, la conoscenza in oggetto risulta essere difficilmente spiegabile da parte del possessore ed è, quindi, scarsamente trasferibile nel tempo e nello spazio.

Come è facile intuire, le risorse immateriali che danno vita al capitale umano non sono di proprietà dell’azienda ma sono «prese in prestito» dai dipendenti; la proprietà è, di conseguenza, condivisa con essi. In virtù di

20 Così si esprime Stewart “non si può gestire il capitale intellettuale […] se non lo si colloca in determinati luoghi dell’organizzazione che rivestono un’importanza strategica e dove il management può fare la differenza. E allora, l’interrogativo diventa «Dove cercare?».” (STEWART T.A., Il capitale intellettuale. La nuova ricchezza, cit., p. 122).

21 CHIUCCHI M.S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: criticità e prospettive, cit., p. 79.

22 Tra i vari schemi di classificazione del capitale intellettuale proposti in letteratura segnaliamo quelli sviluppati da EDVINSSON L.,MALONE M.S., Intellectual Capital. The proven way to establish your

company’s real value by measuring its hidden brainpower, Piatkus, London, 1997; STEWART T.A., Il capitale

intellettuale. La nuova ricchezza, cit.; SVEIBY K. E., The New Organizational Wealth. Managing and

Measuring Knowledge-Based Assets, cit.; BROOKING A., Intellectual Capital. Core Asset for the Third

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ciò è indispensabile che il personale sia disposto non solo a mettere a frutto ma anche a sviluppare le proprie competenze nello svolgimento dell’attività lavorativa; a tal fine risultano fondamentali gli aspetti legati alla motivazione, alla fedeltà, al clima aziendale, in altri termini, alla fiducia che i dipendenti nutrono nei confronti dell’azienda. Risulta al pari fondamentale promuovere la condivisione delle conoscenze individuali nell’ambito dell’organizzazione al fine di evitare che le stesse possano essere perse con l’uscita del dipendente dalla combinazione aziendale.

In secondo luogo, la conoscenza si manifesta nelle procedure, nei

softwares, nei brevetti, nei databases presenti in azienda, in altri termini nelle

risorse immateriali che danno vita al capitale organizzativo. Si tratta, a ben vedere, di conoscenza estrapolata dal sistema umano, formalizzata ed immagazzinata in elementi che ne facilitano la condivisione e la trasmissione nello spazio e nel tempo. Le risorse immateriali in oggetto rappresentano la conoscenza strutturata dell’organizzazione. Tale cono-scenza ha vita autonoma rispetto agli originali detentori e può circolare indipendentemente da essi.

Nel capitale organizzativo figurano anche i meccanismi operativi, la struttura organizzativa e la cultura aziendale. Tali elementi derivano, infatti, dalla sedimentazione della conoscenza all’interno dell’organizzazione; essi sono legati alla specifica realtà aziendale e sono espressivi del suo funzionamento e del suo modus operandi23. Le risorse immateriali che

costituiscono il capitale organizzativo sono in ogni caso di proprietà dell’azienda ed, in quanto tali, sono meno volatili.

In terzo luogo, la fiducia e la conoscenza si manifestano nelle relazioni che l’azienda instaura con i principali stakeholders del contesto competitivo (clienti, fornitori, ecc.) e del contesto sociale (comunità, sistema politico-amministrativo, associazioni sindacali, ecc.)24, in altri termini, nelle risorse

immateriali che costituiscono il cosiddetto capitale relazionale25. La

considerazione delle relazioni è importante poiché da esse deriva il consenso nei confronti dell’attività svolta dall’azienda, condizione imprescindibile per il conseguimento dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo e per il perseguimento delle finalità del soggetto economico. Le relazioni con gli stakeholders possono, inoltre, contribuire allo sviluppo di nuova conoscenza, in una logica di apprendimento reciproco.

23 CHIUCCHI M.S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: criticità e prospettive, cit., p. 81.

24 I concetti di «sistema competitivo» e «sistema sociale» sono ripresi da Coda. Cfr., CODA V.,

L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1988, pp. 200-243.

25 Si precisa che alcuni Autori fanno riferimento alle sole relazioni che l’azienda instaura con i clienti. In tale ipotesi si parla di «capitale commerciale». (Cfr. EDVINSSON L., MALONE M. S.,

Intellectual Capital. The proven way to establish your company’s real value by measuring its hidden brainpower,

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Al pari del capitale umano, la conoscenza e la fiducia che si manifestano nel capitale relazionale non sono di proprietà esclusiva dell’azienda ma sono condivise con i soggetti che si relazionano con essa. L’azienda da parte sua deve «governare» tali relazioni influenzando gli schemi cognitivi e il giudizio soggettivo di quanti si relazionano con essa.

In sintesi, il capitale umano, il capitale organizzativo e il capitale relazionale sono espressione della conoscenza e della fiducia in azienda. È opportuno segnalare che le tre categorie anzidette non esauriscono il quadro delle manifestazioni della conoscenza in ambito aziendale. Come sottolineato da diversi Autori, infatti, la conoscenza è l’elemento costitutivo di tutte le risorse aziendali e, quindi, anche di quelle materiali (ad esempio, impianti e attrezzature derivanti da acquisizioni esterne o da costruzioni interne)26. In questi casi la conoscenza, sviluppata internamente o elaborata

da altre aziende, è incorporata in elementi tangibili e non costituisce, quindi, l’ingrediente esclusivo di tali risorse. La tangibilità degli altri fattori costitutivi delle risorse materiali incide profondamente sugli attributi delle stesse differenziandole da quelle immateriali, oggetto specifico di questo lavoro.

È opportuno porre in evidenza che le risorse immateriali aziendali costituiscono un «sistema» e non semplicemente un «insieme»27. Pertanto,

le tre categorie del capitale intellettuale e le risorse che ad esse afferiscono sono profondamente interconnesse. La considerazione che le tre categorie siano interdipendenti e che operino congiuntamente, rafforzandosi o indebolendosi a vicenda, è evidente nei primi contributi sul capitale intellettuale ed è sottolineata con fermezza negli studi più recenti28. A titolo

esemplificativo, si consideri che la conoscenza strutturata in azienda deriva

26 Cfr. QUAGLI A., Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale, cit., p. 29-31; FERRANDO P.M., Risorse e risorse immateriali. Natura e implicazioni per il valore dell’impresa, in FERRANDO P. M., FADDA L., DAMERI R. P., Saggi sull’immaterialità nell’economia delle imprese, Giappichelli, Torino, 1998, p. 18.

27 Cfr. CHIUCCHI M. S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: criticità e

prospettive, pp. 79-80.

28 Si considerino, a tal proposito, le osservazioni di Edvisson e Malone ““ […] it is not enough to simply have the three present-time factors – Human, Structural, and Customer – standing alone as independent sources of Intellectual Capital. Rather, they must be in alignment so as to complement one another. At the intersection of the three lies the value platform, the source of all value creation by the organization”. (EDVINSSON L.,MALONE M.S., Intellectual Capital. The proven

way to establish your company’s real value by measuring its hidden brainpower, cit., p. 145, corsivo nel testo

degli Autori). Mouritsen et alii, osservano “The three categories are not only related, they are also integral to each other. People work through technology; customers get services from people, information technology circulates both customers and employees. Therefore the three kinds of resources are complements. They are part of a network of things and people that co-produce the effects of the whole network.” (MOURITSEN J.,LARSEN H.T.,BUKH P.N., JOHANSEN M.R.,

Reading an intellectual capital statement. Describing and prescribing knowledge management strategies, in

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dalla esplicitazione delle capacità, delle abilità e delle esperienze del personale. Attraverso tale processo le conoscenze tacite acquisiscono vita autonoma rispetto agli originali detentori divenendo più facilmente trasmissibili nello spazio e nel tempo. Le competenze individuali, a loro volta, possono essere rafforzate se i dipendenti hanno accesso alle conoscenze originariamente sviluppate dagli altri operatori e successiva-mente immagazzinate in azienda. E ancora, le relazioni che l’azienda instaura con i clienti, con i fornitori strategici, con le università consentono di sviluppare le competenze del personale e per questa via di rafforzare le relazioni e, quindi, la fiducia di cui esse sono espressione. Infine, i softwares e i databases garantiscono ai dipendenti la possibilità di accedere ai dati, alle informazioni e alle conoscenze, già presenti in azienda, nel momento in cui ve ne è un effettivo bisogno garantendo, in questo modo, la possibilità di soddisfare adeguatamente le attese dei diversi stakeholders e consolidando, di conseguenza, i rapporti.

Da quanto sinteticamente esposto deriva che la tripartizione del capitale intellettuale delineata in precedenza, prevalentemente basata sul concetto di proprietà, costituisce una semplificazione. Le tre categorie sono profonda-mente integrate le une con le altre; tra le risorse immateriali che vi afferiscono si sviluppano incessanti interazioni (si veda la figura 2.1).

All’articolazione proposta, a nostro avviso, va tuttavia riconosciuto il merito di agevolare la visualizzazione della conoscenza e della fiducia in ambito aziendale e, quindi, di aiutare a cercare dove «si annidano» tali ele-menti.

L’esistenza delle interazioni tra le risorse immateriali concorre a dare una connotazione dinamica al capitale intellettuale. La considerazione di tale

Figura 2.1 –Le interazioni tra le categorie di capitale intellettuale

Fonte: Nostra elaborazione

Capitale umano Capitale relazionale Capitale organizzativo Capitale umano Capitale relazionale Capitale organizzativo

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aspetto risulta già nei primi contributi dottrinali ed è rafforzata negli studi più recenti.

Le interazioni tra le categorie di capitale intellettuale qualificano lo stesso come un insieme semipermanente della conoscenza, un fenomeno cioè per sua natura in continua evoluzione. Le interazioni in parola o, come osserva Stewart, gli «elementi» che incrementano la conoscenza sono essi stessi parte del capitale intellettuale dell’azienda e, di conseguenza, attribuiscono ad esso una valenza dinamica29.

Ross et alii sottolineano che per conoscere il capitale intellettuale non è sufficiente considerare le categorie e le risorse che ad esse afferiscono, ma è necessario mappare anche i flussi di interscambio che determinano delle variazioni nelle categorie e nel capitale intellettuale nel suo complesso30.

Nelle linee guida del progetto MERITUM, la connotazione dinamica è evidenziata dal fatto che il capitale intellettuale è inteso non semplicemente come somma delle tre categorie, ma riguarda piuttosto i modi con cui l’azienda gestisce la conoscenza al fine di creare valore. Focalizzandosi sulla gestione della conoscenza, le linee guida pongono particolare enfasi sugli aspetti dinamici del capitale intellettuale. Quest’ultimo, infatti, comprende sia le risorse immateriali, aspetto statico (es.: competenze del personale, brevetti), che le attività immateriali, aspetto dinamico (es.: formazione, aggiornamento del software). Le attività, infatti, consentono di creare, incre-mentare e monitorare le risorse immateriali31.

Nell’ambito delle ricerche promosse dal governo danese, la dinamicità è evidenziata dal fatto che il capitale intellettuale è concepito come la coesione di elementi eterogenei resa possibile dalle attività di knowledge management. Anche in questo caso, quindi, si ha una focalizzazione sulla gestione della conoscenza e, quindi, si fa riferimento al capitale intellettuale come ad un fenomeno in continua evoluzione32.

29 L’Autore, in particolare, osserva “Un aspetto cruciale è che il capitale intellettuale non si crea a partire da pacchetti distinti di capitale umano, strutturale e clienti, bensì a partire dall’interazione fra le tre cose. […]. Come soldi stipati dentro un materasso, dice Hugh Mac Donald: « Il capitale intellettuale è inutile se non si muove […]».” (STEWART T.A., Il capitale

intellettuale. La nuova ricchezza, cit., p. 127, corsivo nel testo dell’Autore).

30 Cfr. ROSS J.,ROSS G.,DRAGONETTI N.C.,EDVINSSON L.,Intellectual Capital. Navigating the

new business landscape, MacMillan Press LTD, London, 1997, pp. 52-55.

31 Cfr. MERITUM PROJECT, Guidelines For Managing And Reporting On Intangibles (Intellectual

Capital Report), cit., pp. 10-12.

32 Bukh et alii osservano in proposito “We argue that intellectual capital is not one thing: it is a fragile construct, which has to be continuously supported and held together by a whole array of interrelated elements”. E ancora “[…] intellectual capital may be understood as the cohesion between an array of heterogeneous elements constituted as interrelated practices. These practices concern not knowledge, but knowledge management activities as can be found in many different sectors of management action.” (BUCK P.N.,LARSEN H.T.,MOURITSEN J., Constructing intellectual

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In conclusione, il capitale intellettuale è il sistema delle risorse immateriali aziendali ed è parte del più ampio sistema d’azienda. Nello specifico, il sub-sistema del capitale intellettuale interseca tutti i sub-sistemi in cui è tradizionalmente scomposta l’azienda: il sub-sistema della produzione, il sub-sistema delle relazioni azienda/ambiente, il sub-sistema del management e il sub-sistema delle informazioni33. In tali sub-sistemi,

infatti, si realizzano continue interazioni tra elementi materiali ed elementi immateriali.

Riteniamo opportuno sottolineare che, ragionevolmente, ma non auto-maticamente, la dinamicità del capitale intellettuale deriva dall’appartenenza dello stesso al sistema d’azienda. Come osserva Bertini, il sistema aziendale è un sistema sociale e, in quanto tale, dinamico. La stessa struttura del sistema, in altri termini, le risorse a disposizione, è dinamica e, quindi, soggetta a modifiche nel tempo e nello spazio34. Tuttavia, quando si cambia

scala di riferimento e si passa, dal generale al particolare occorre tener conto non solo dei mutamenti quantitativi ma anche di quelli qualitativi ed è, pertanto, opportuno verificare la permanenza dei caratteri del più ampio sistema35. Dall’analisi condotta emerge, in ogni caso, che le risorse

immateriali per loro natura sono elementi che si modificano nel tempo a seguito delle interazioni che si sviluppano tra le stesse e con gli altri elementi del sistema d’azienda. In particolare, le risorse in oggetto, che non dimentichiamo costituiscono parte della struttura aziendale, si evolvono per effetto di attività deliberate ma anche in modo spontaneo, spesso a latere di attività dirette al perseguimento di altri obiettivi.

I concetti esposti sono stati formulati principalmente con riferimento all’universo delle imprese. Essi, tuttavia, possono essere applicati anche nelle aziende pubbliche nel rispetto, ovviamente, delle peculiarità che le contraddistinguono. Nel proseguo del lavoro, cercheremo di evidenziare

33 Per una disamina del sistema d’azienda e dei suoi sub-sistemi, si veda BERTINI U., Il sistema

d’azienda. Schema di analisi, Giappichelli, Torino, 1990; AMADUZZI A., Il sistema aziendale e si suoi

sottosistemi, in “Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”, n. 1, 1972; PAOLONE G.,

L’evoluzione dei principi dell’economia aziendale pura ed il legame di correlazione con i principi della ragioneria,

cit., pp. 35-53.

34 Bertini rileva “Il sistema sociale è sempre dinamico, anche se lo svolgimento dei diversi processi richiede la predisposizione di strutture; queste, peraltro, sono così sensibile alla dinamica sociale da subire in momenti successivi alterazioni radicali nei rapporti tra le diverse parti o elementi componenti, al punto da richiedere una sorveglianza continua ed un procedimento costante di adeguamento alle mutate condizioni dell’ambiente nel quale esso opera.” (BERTINI U.,

Il sistema d’azienda. Schema di analisi, cit., p. 31).

35 A livello metodologico, la scomposizione di un sistema complesso in sub-sistemi è riferibile al cosiddetto «approccio Beer». Come osserva Bastia “Le logiche interpretative del singolo sistema vanno opportunamente reinterpretate, quando si passa al concetto di sottosistema: un cambiamento di scala di riferimento, infatti, non opera mutamenti soltanto quantitativi, ma anche qualitativi.” (BASTIA P., Istituzioni di economia aziendale, Cedam, Padova, 1999, p. 103).

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quali risorse immateriali sono critiche nel contesto pubblico e per quali finalità può essere utile effettuarne il monitoraggio.

2.4. Il capitale intellettuale negli enti locali: spunti di riflessione

Dopo aver delineato, sulla base di un’attenta analisi della letteratura, i tratti caratterizzanti del concetto di capitale intellettuale, è ora possibile procedere ad una sua «contestualizzazione» nelle aziende pubbliche, o più specificatamente, negli enti locali. Si ritiene, infatti, che le peculiarità che contraddistinguono le aziende pubbliche influiscano in modo determinante sull’area di immaterialità delle stesse. In particolare, la compresenza della dimensione istituzionale, della dimensione politica e della dimensione aziendale incide notevolmente sul tipo e sulle caratteristiche di intangibles da considerare.

Si precisa che, come qualsiasi azienda, anche l’ente locale presenta delle specificità di tipo strategico, operativo ed organizzativo tali per cui gli elementi intangibili di ciascuna realtà possono essere differenti. Nel prose-guo della trattazione, si propongono, pertanto, alcuni spunti di riflessione su particolari aspetti che si ritengono rilevanti e che possono essere considerati ai fini dell’analisi delle risorse immateriali da parte delle specifiche realtà aziendali.

Le considerazioni che seguono sono svolte con riferimento alla singola azienda pubblica. Quest’ultima, infatti, pur essendo parte del sistema delle aziende ed unità pubbliche, persegue le finalità definite dal proprio soggetto economico e le modalità con cui ciò avviene, in altri termini lo stato di ordine, sono specifiche di ciascuna azienda. È innegabile la notevole influenza delle relazioni interne al sistema pubblico sul processo di creazione, sviluppo e diffusione della conoscenza nell’ambito del sistema stesso. Alcuni Autori sottolineano tale aspetto analizzando il «patrimonio intellettuale» con riferimento al complessivo sistema delle aziende ed unità pubbliche36. È nostra convinzione che l’identificazione, la misurazione, la

gestione e la comunicazione del capitale intellettuale debbano essere fatte con riferimento alla singola azienda, in ragione delle specificità che la

36 Mussari e Angeletti analizzano il patrimonio intellettuale con riferimento al sistema pubblico nel suo complesso. Secondo gli Autori, infatti, la focalizzazione sulle singole unità appare riduttiva poiché circoscrive “i rapporti e le interazioni tra le diverse AP inerenti la gestione e lo sviluppo della conoscenza alla sola dimensione relazionale […] non dà conto in maniera compiuta e trasparente dei diversi livelli di governo e dei flussi di conoscenza interni al sistema delle AP”. Inoltre, la prospettiva di analisi delle risorse immateriali adottata è di tipo qualitativo. In considerazione di ciò, e non per distinguere l’ambito pubblico da quello privato, gli Autori fanno riferimento al concetto di patrimonio intellettuale piuttosto che a quello di capitale intellettuale. (MUSSARI R., ANGELETTI S., Patrimonio intellettuale e innovazione delle AP: prime considerazioni, in “Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”, Novembre-Dicembre, 2004, p. 668).

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contraddistinguono in termini di finalità e stato di ordine. Ciò è coerente con un’impostazione dottrinale che considera le condizioni e le regole di funzionamento del sistema pubblico come condizioni di ambiente dell’azienda e, in quanto tali, da analizzare nell’ambito delle relazioni che la stessa instaura37.

Si puntualizza, inoltre, che nell’analisi che segue il capitale intellettuale degli enti locali è articolato nelle tre categorie del capitale umano, del capitale organizzativo e del capitale relazionale. Tale scelta è motivata dall’esigenza di semplificare l’analisi; si è, infatti, consapevoli delle profonde interazioni che esistono tra le categorie di capitale intellettuale e in ragione di ciò tali aspetti verranno, ove possibile, posti in evidenza38

Prima di procedere alla «contestualizzazione» del concetto di capitale intellettuale nelle realtà pubbliche, si ritiene opportuno rilevare che negli enti locali prevale un modello organizzativo di tipo burocratico e ciò condiziona notevolmente l’area di immaterialità delle aziende in parola.

Nella teoria weberiana, il modello burocratico si caratterizza, da un lato, per la struttura organizzativa basata su un’autorità legale-razionale e, dall’altro, per la formalizzazione dei comportamenti39.

Nelle aziende ed unità pubbliche ogni ufficio individua un superiore, che esercita le proprie prerogative in virtù del possesso congiunto e riconosciuto di maggiori competenze tecniche (autorità razionale) e di più elevate competenze professionali (autorità legale). Il modello burocratico deriva da un processo di delega di autorità e responsabilità da cui discende una chiara individuazione dei compiti, sempre più dettagliati man mano che si scende lungo la scala gerarchica.

37 Con riferimento alle relazioni intercorrenti fra la singola azienda pubblica e il sistema pubblico nel suo complesso, Borgonovi rileva “Non si trascura certo l’esistenza ed il rilievo di condizione e di regole (economiche) di funzionamento comuni per l’intero sistema, ma queste sono considerate come «condizioni di ambiente» delle scelte attuate dalle singole aziende, condizioni che determinano vincoli e opportunità. Interventi sul sistema pubblico considerato complessivamente sono interpretati ed analizzati dalla dottrina economico-aziendale come modificazioni delle condizioni di ambiente della specie «relazioni di settore (pubblico)», di cui occorre valutare i riflessi sul comportamento economico delle singole aziende pubbliche e dei gruppi di esse.” (BORGONOVI E., La pubblica amministrazione come sistema di aziende composte pubbliche, in BORGONOVI E.(a cura di ), Introduzione all’economia delle amministrazioni pubbliche, Giuffrè, Milano, 1984, p. 23).

38 Anche Donato rileva la necessità di «contestualizzare» il concetto di capitale intellettuale negli enti locali. L’Autore propone, infatti, “una rivisitazione dell’impianto concettuale delle risorse intangibili […] al fine di farlo opportunamente aderire alla peculiarità di un ente locale” (p. 157). A tal fine l’Autore, articola il capitale intellettuale in tre categorie: qualità delle risorse umane, qualità delle relazioni con gli interlocutori sociali (cittadini,altre amministrazioni pubbliche, sistema economico produttivo locale) e qualità del capitale organizzativo (funzionalità dei processi e capacità e propensione all’innovazione). Cfr. DONATO F, Qualità e risorse intangibili negli enti locali:

l’esigenza di sistemi di guida della gestione multidimensionale, in ANSELMI L. (a cura di), Principi e metodologie

economico aziendali per gli enti locali. L’azienda Comune, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 153-159.

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Il modello burocratico si caratterizza, infine, per l’esistenza di regole che guidano i comportamenti degli operatori e, di conseguenza, governano le decisioni e le azioni aziendali. Le regole, infatti, definiscono i confini dei singoli ruoli, le reciproche interazioni e le modalità di svolgimento dei compiti garantendo, in questo modo, l’impersonalità dei comportamenti.

Il modello delineato rappresenta la configurazione organizzativa tipica delle aziende ed unità pubbliche in ragione delle condizioni ottimali che si ritiene sia in grado di realizzare. In particolare, sotto il profilo giuridico, il modello burocratico garantirebbe l’imparzialità e la parità di trattamento di fronte alla legge; sotto l’aspetto economico, l’individuazione delle modalità razionali di svolgimento dei compiti favorirebbe il perseguimento dell’efficienza; sotto il profilo sociale, l’impersonalità dei comportamenti ridurrebbe la possibilità di favoritismi con conseguenze anche dal punto di vista etico in termini di riconoscimento di pari dignità e rispetto delle libertà degli individui40.

Di contro, numerose sono le critiche al modello weberiano. Si segnala in particolare, la mancata considerazione dei bisogni, delle aspettative, delle motivazioni e degli obiettivi dei singoli individui. Si tratta di elementi che influenzano lo svolgimento dell’attività e si pongono, pertanto, in contrasto con la visione razionalistica e meccanicistica propria del modello burocra-tico. I contributi in dottrina sono numerosi e ad essi si rimanda per un esame più approfondito41.

In questa sede ci preme sottolineare che le caratteristiche del modello burocratico connotano in modo diverso le differenti aziende ed unità pub-bliche incidendo profondamente sul loro funzionamento e, di conseguenza, sul perseguimento dell’economicità in senso ampio42. La considerazione del

40 Cfr. BORGONOVI E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Quarta Edizione, Egea, Milano, 2004, pp. 215-216.

41 Il dibattito sul modello organizzativo burocratico ha coinvolto numerosi Autori. Merton, in particolare, ha individuato negli elementi costitutivi del modello e non nelle carenze di progetta-zione, le cause delle sue disfunzioni. Cfr. MERTON R., Teoria e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 1966. Edizione originale: Social Theory and Social Structure, Free Press, Glencoe, 1949. Gouldern, invece, differenzia il modello burocratico in base alle modalità di emanazione e applicazione delle regole. Cfr. GOULDNER A. W., Modelli di burocrazia aziendale, Etas Kompass, Milano, 1970. Edizione originale: Patterns of Industrial Bureaucracy, The Free Press, New York, 1954. Selznick pone particolare enfasi agli aspetti relativi alle aspettative, alle motivazioni e ai valori individuali. Cfr. SELZNICK P., La leadership nelle organizzazioni, FrancoAngeli, Milano, 1976. Edizione Originale:

Leadership in Administration. A Sociological Interpretation, Harper & Row, New York, 1957. Anche

Crozier e Friedberg pongono in evidenza come all’interno della burocrazia i singoli individuai sviluppino comportamenti volti a perseguire le proprie finalità, talvolta aggirando o contrastando gli scopi dell’organizzazione. Cfr. CROZIER M.,FRIEDBERG E., Attore sociale e sistema, Etas Libri, Milano, 1978. Edizione originale: L’acteur et le sistème, Seuil, Paris, 1977.

42 Pugh et Alii considerano le peculiarità del modello burocratico e, in particolare, la strutturazione delle attività, l’accentramento dell’autorità e il controllo gerarchico sul flusso di lavoro, delle vere e proprie variabili che presentano delle intensità di manifestazione differenti nelle diverse aziende. (Cfr. PUGH D.S.,HICKSON D.S.HININGS C.R.,TURNER C., Dimension of

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modello organizzativo è, pertanto, fondamentale al fine di comprendere il funzionamento dell’azienda e, nello specifico, le modalità di manifestazione della conoscenza e della fiducia e, quindi, gli intangibles delle organizzazioni in esame.

2.4.1. Il capitale umano negli enti locali

Le competenze del personale sono la manifestazione principale della conoscenza tacita degli individui. Negli enti locali, il personale può essere suddiviso in tre macro-categorie: il nucleo operativo, i dirigenti e i rappresentanti politici eletti dai cittadini.

Coloro che fanno parte del nucleo operativo sono selezionati in virtù delle competenze tecniche che posseggono; ad esempio, nella Provincia sono richieste competenze ingegneristiche, economiche, ambientali, ecc. A ben vedere, gli ambiti di attività di un ente locale sono numerosi e le competenze necessarie sono, quindi, differenti; la specializzazione del lavoro risulta, pertanto molto marcata.

Diversa è la posizione dei rappresentanti politici e, a seguito dei recenti interventi legislativi, anche dei dirigenti. La scelta dei primi da parte degli elettori risponde a logiche diverse rispetto a quelle proprie della selezione degli operatori aziendali. I rappresentanti politici, infatti, sono scelti sulla base delle idee, dei valori e delle istanze di cui si fanno portavoce. Le competenze di tipo tecnico, dunque, assumono minore importanza rispetto al rapporto fiduciario che essi sono in grado di instaurare con gli elettori.

Con riferimento ai dirigenti, fondamentali risultano le competenze non solo di tipo tecnico ma anche relazionale. I dirigenti, infatti, costituiscono il raccordo tra il nucleo operativo e i rappresentanti politici; pertanto, con riferimento ad essi, è rilevante la capacità di coordinamento degli operatori aziendali e la capacità di collaborazione con i politici. L’introduzione del meccanismo dello spoil system ha enfatizzato l’importanza del rapporto fiduciario tra politici e dirigenti, mediante l’introduzione della nomina e revoca politica dei dirigenti stessi43. Riteniamo opportuno sottolineare che

Organization Structure, in “Administrative Science Quarterly”, vol. 13, n. 1, 1968; PUGH D.S., HICKSON D.S.HININGS C.R.,TURNER C.,An Empirical Taxonomy of Structures of Work Organizations, in “Administrative Science Quarterly”, vol. 14, n. 1, 1969).

43 Con l’emanazione della l. 127/97 “si affermano progressivamente nuovi raccordi fiduciari tra organi di governo e incarichi dirigenziali, aprendo spazi via via crescenti a dirigenti assunti a contratto di durata non superiore all’organo politico”. La legge, infatti, sancisce che l’attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di direzione a seguito di concorsi. (VANDELLI L., Ordinamento delle autonomie locali: 1990-2000. Dieci anni di riforme, Maggioli, Rimini, 2000, pp. 1211-1212) Sul tema cfr., inoltre, DEL VECCHIO M., Dirigere e governare le

amministrazioni pubbliche. Economicità, controllo e valutazione dei risultati, Egea, Milano, 2001, pp.

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la capacità di collaborare dei dirigenti e dei politici è un aspetto fondamen-tale ai fini della formulazione ed implementazione di strategie che consentono di creare valore pubblico. L’allineamento tra i due soggetti costituisce una risorsa immateriale critica per l’ente locale e deve essere, di conseguenza, attentamente monitorata e gestita.

Nell’ambito del capitale umano figurano anche le risorse immateriali espressione della fiducia del personale, principalmente del nucleo operativo, nei confronti dell’azienda. La motivazione, la fedeltà e il clima organizzativo sono aspetti molto importanti anche negli enti locali, nonostante siano spesso trascurati a causa del perpetuarsi di un modello organizzativo di tipo burocratico che mal si concilia con la considerazione di elementi di tipo soggettivo. L’osservazione secondo la quale la fedeltà del personale costituisce un aspetto critico va, però, opportunamente circostanziata. In effetti, è vero che nel settore pubblico sono rari i casi di dipendenti che si dimettono o vengono licenziati ma, all’interno del sistema, il fenomeno della mobilità è rilevante e i trasferimenti da un’azienda ad un’altra sono molto frequenti. Di conseguenza, poiché l’oggetto di analisi è la singola azienda pubblica, la fedeltà dei dipendenti è una dimensione rilevante e deve essere opportunamente considerata e gestita. Non dimentichiamo, infatti, che eventuali trasferimenti di personale determinano la perdita di competenze e la necessità di reperirne di nuove.

2.4.2. Il capitale organizzativo negli enti locali

Nelle aziende pubbliche, l’analisi della conoscenza strutturata merita un’attenzione particolare. Il modello organizzativo di tipo burocratico enfatizza il ruolo delle regole e della conseguente formalizzazione dei comportamenti. In tale contesto, la progettazione e l’utilizzo di procedure, ossia la conoscenza codificata, assume notevole importanza.

È bene puntualizzare che nelle realtà pubbliche le procedure sono costruite rispettando i dettati normativi. Nel linguaggio giuridico si usa il termine «procedimento amministrativo» per designare l’insieme delle fasi che devono essere attuate affinché un atto possa produrre gli effetti giuridici voluti44. Procedimento amministrativo non è però sinonimo di

procedura; i due concetti, a nostro avviso, sono in parte sovrapponibili ma non coincidenti.

Nella procedura, accanto agli aspetti giuridici che connotano il procedimento amministrativo, figurano anche aspetti gestionali. La

44 Con riferimento ai principi in tema di attività amministrativa e, in particolare, ai procedimenti e agli atti amministrativi, cfr. CARETTI P.,DE SIERVO U., Istituzioni di diritto pubblico.. Terza edizione aggiornata, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 374-378.

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procedura, nello specifico, è conoscenza strutturata che può essere impiegata da coloro che operano in azienda per assumere decisioni e compiere azioni. La procedura va oltre la norma ed è legata allo specifico contesto aziendale di riferimento45.

Le procedure devono essere aggiornate al fine di tener conto non solo dei cambiamenti normativi ma soprattutto delle mutate esigenze degli utenti, dei contribuenti, degli operatori aziendali e degli altri stakeholders. In caso contrario, anziché essere una ricchezza, esse costituirebbero un freno allo svolgimento efficace ed efficiente dell’attività aziendale. Le procedure, in altri termini, devono essere viste come un mezzo che consente all’ente locale di perseguire le proprie finalità istituzionali; il loro rispetto non deve in alcun modo costituire il fine dell’azione amministrativa46.

Nelle aziende pubbliche la conoscenza si manifesta, inoltre, nei software e nei database a disposizione. Si tratta di strumenti che in molti casi superano i confini della singola azienda pubblica e permettono di collegare la stessa con le altre unità del sistema pubblico e con i principali stakeholders, in primis gli utenti. Di conseguenza, i software e i database sono importanti non solo perché immagazzinano conoscenza indispensabile per lo svolgimento dell’attività amministrativa ma anche perché facilitano le relazioni dell’azienda con gli altri soggetti dell’ambiente esterno.

Nell’ambito della categoria di capitale intellettuale considerata figura anche la cultura organizzativa del singolo ente locale47. È, tuttavia, opinione

diffusa che le aziende ed unità pubbliche siano accomunate da un substrato

45 La necessità di ripensare al ruolo delle procedure nell’ambito delle aziende pubbliche è evidenziata da Tonti. L’Autore, in particolare, precisa: “Si assiste […] ad un superamento del ruolo «formale» della procedura, conferendo sempre più alla procedura il ruolo di strumento di «integrazione organizzativa» che consenta di mantenere il giusto equilibrio tra specializzazione negli atti e nei singoli compiti e integrazione rispetto ai risultati.” (TONTI A., Il problema delle

procedure nelle amministrazioni pubbliche: aspetti di conoscenza, in “Azienda Pubblica”, n. 1, 1993, p. 44).

Per un approfondimento sulle problematiche dell’interpretazione, della valutazione e della riprogettazione delle procedure, cfr. TONTI A., Il problema delle procedure nelle amministrazioni

pubbliche. Aspetti d’interpretazione e di riprogettazione, in “Azienda Pubblica”, n. 1, 1994.

46 Merton rileva che il rispetto puntiglioso delle regole può dare origine a fenomeni di «trasposizione delle mete». Il rischio è, infatti, che le regole non siano considerate il mezzo per conseguire gli scopi dell’organizzazione, ma diventino il fine stesso di chi opera nella burocrazia. Cfr., MERTON R., Teoria e struttura sociale, cit., p. 322 e ss.

47 Molteplici sono le definizioni di cultura organizzativa proposte in letteratura. Schein, ad esempio, fa riferimento ad “uno schema di principi di fondo […] che sono impliciti, accettati senza discutere e inconsci, a meno che essi vengano deliberatamente portati alla superficie da un qualche processo di indagine.” (SCHEIN E.H., Cultura organizzativa e processi di cambiamento aziendale, in “Sviluppo & Organizzazione”, n. 84, 1984, p. 23); Pettigrew, invece, parla di un sistema di significati accettati pubblicamente e collettivamente da un dato gruppo in un determinato periodo. Cfr. PETTIGREW A.M., On Studying Organizational Cultures, in “Administrative Science Quarterly”, vol. 24, n. 4, 1979.

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culturale di tipo burocratico che ostacola il cambiamento ed è focalizzato sugli aspetti di regolarità formale piuttosto che sui risultati dell’azione 48.

Esso, inoltre, si connota per la scarsa comunicazione sia all’interno, tra i diversi livelli organizzativi, che verso l’esterno e per la tendenza alla specializzazione, con la conseguenza di enfatizzare il valore delle profes-sionalità individuali a scapito di una visione sistemica dell’azienda. Il substrato culturale di tipo burocratico comune a tutte le aziende ed unità pubbliche non impedisce l’affermarsi di culture organizzative specifiche49. I

fatti dimostrano l’esistenza di aziende pubbliche più votate all’innovazione e, quindi, caratterizzate da una cultura organizzativa che si differenzia, sia pur con sfumature diverse, da quella burocratica prevalente50.

2.4.3. Il capitale relazionale negli enti locali

Le relazioni che l’ente locale instaura sono numerose e di tipo diverso. In primo luogo, è opportuno considerare un tipo di relazione che ha valenza prettamente politica e lega l’ente locale al proprio soggetto economico originario. A ben vedere, quest’ultimo è un soggetto interno all’azienda poiché ad esso è attribuito il potere volitivo. La delega di tale potere a rappresentanti eletti democraticamente giustifica la considerazione della relazione in oggetto nell’ambito della categoria del capitale relazionale. La fiducia degli elettori, infatti, è frutto dell’azione politica e, quindi, della capacità dei rappresentanti di farsi portavoce delle istanze della comunità di riferimento. Non può essere trascurato il fatto che la fiducia è un elemento essenziale per la rielezione.

Altre relazioni dell’ente locale hanno natura istituzionale e sono la diretta conseguenza dell’appartenenza ad un sistema pubblico che abbiamo definito essere debolmente connesso. Assumono pertanto rilievo le

48 Bonti, a riguardo, osserva “quando si vuole parlare di cultura organizzativa con riferimento ad un’unità pubblica si è soliti fare riferimento al concetto di cultura burocratica, laddove non può sfuggire alla riflessione come quest’ultima accezione non sia tale da qualificare la singola unità pubblica, così differenziandola dalle altre appartenenti al medesimo sistema, risultando piuttosto quale connotato peculiare di quest’ultimo.” (BONTI M.C., Dal sistema burocratico alla cultura della

qualità nelle amministrazioni pubbliche. Modelli di analisi e strumenti operativi, Giuffrè, Milano, 2000, p.

61). Per un’analisi più approfondita dei tratti e delle conseguenze della cultura burocratica si veda MUSSARI R., Il management delle aziende pubbliche. Profili teorici, Cedam, Padova, 1994, pp. 101-103.

49 Catturi, in proposito, osserva “[…] ogni azienda ha una sua specifica cultura che è sintesi unica e senza uguali di quella singolarmente posseduta dagli uomini che la compongono e ne costituiscono la componente vitale; e se ogni persona è irripetibile nei sentimenti, nei valori etici, nelle attese, nelle speranze, nelle prospettive, nella storia vissuta, anche le aziende lo sono altrettanto.” (CATTURI G., L’azienda universale: l’idea forza, la morfologia e la fisiologia, Cedam, Padova, 2003, p. 35).

50 Si pensi, a titolo di esempio, agli enti locali che redigono il bilancio sociale oppure a quelli che hanno dato vita a progetti innovativi in tema di controllo di gestione.

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relazioni che l’ente locale instaura con le altre aziende ed unità pubbliche; le relazioni in oggetto sono nella maggior parte dei casi imposte dall’ordinamento. A titolo di esempio, si considerino gli atti di indirizzo e programmazione emanati dagli enti sovraordinati e i controlli esterni (nell’ambito dei quali rientra il rilascio di autorizzazioni, pareri vincolanti e simili) cui sono sottoposti gli enti locali da parte della Corte dei conti, degli organi regionali di controllo, delle autorità, dei comitati di vigilanza e dei comitati tecnici. Le relazioni descritte sono necessarie ai fini dell’emana-zione di atti amministrativi giuridicamente efficaci e, più in generale, influenzano lo svolgimento dell’attività aziendale. In considerazione di ciò, esse debbono essere adeguatamente visualizzate anche al fine di evitare che si trasformino in colli di bottiglia per l’azione pubblica. Riteniamo che in tali circostanze più che all’aspetto della fiducia particolare attenzione debba essere riservata agli strumenti tecnici della relazione (es.: software, reti) così da garantire informazioni corrette e tempestive.

L’attività degli enti locali è resa possibile dall’impiego di risorse finanziarie acquisite mediante l’esercizio del potere impositivo. I tributi, nello specifico le imposte, sono corrisposte da soggetti che non usufruisco-no direttamente dei servizi ma concorrousufruisco-no, in relazione al reddito o al patrimonio, a coprirne i costi. La fiducia dei contribuenti nei confronti dell’ente locale deriva, da un lato, dall’equità del sistema tributario e, dall’altro, dall’utilizzo efficiente oltreché efficace dei mezzi finanziari acquisiti. La mancata considerazione di tali aspetti da parte delle aziende pubbliche è una delle cause, ovviamente non l’unica, della persistenza di fenomeni di elusione e evasione fiscale. Gli enti locali non dispongono, tuttavia, di un’autonomia finanziaria completa; non sono cioè in grado di acquisire autonomamente tutte le risorse finanziarie necessarie per lo svolgimento dell’attività aziendale e ricorrono, pertanto, ai trasferimenti di altri enti pubblici51. In via semplificata, ai fini della visualizzazione delle

risorse immateriali, possono essere considerate le sole relazioni che vedono coinvolti l’ente locale e i contribuenti della comunità di riferimento, poiché su di esse è possibile intervenire ovviamente nel rispetto dei dettati normativi. In ogni caso, l’utilizzo efficiente ed efficace riguarda tutte le risorse finanziarie acquisite e concerne, quindi, anche quelle trasferite da altri enti dello Stato.

Altre relazioni dell’ente locale sono la conseguenza della titolarità di funzioni pubbliche, ossia dal potere e dalla responsabilità di intervenire su determinate aree di bisogno. Vanno, pertanto, considerate le relazioni

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Figura

Figura 2.1 –Le interazioni tra le categorie di capitale intellettuale
Figura 2.3 – Il processo di misurazione

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