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Capitolo 3 Le nuove disposizioni dettate dalla legge 47 del 2015

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Capitolo 3

Le nuove disposizioni dettate dalla legge

47 del 2015

3.1 Premessa

Con la legge 16 aprile 2015, n. 47 sono state apportate rilevanti “Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali”. L’intervento incide sulle disposizioni in materia di procedimento applicativo ed impugnazioni de libertate, il tutto nell’ottica di quanto disposto dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, Torreggiani contro Italia1, per la prorompente necessità di ridurre la

popolazione carceraria, sulla scia dello sviluppo delle indicazioni della Corte costituzionale, tese al superamento delle presunzioni, evitando, in qualche modo, un ritorno all’impostazione originaria della disciplina della materia2. L’intervento è inoltre riconducibile all’elaborazione della

1 Già materializzatasi nella c.d. legislazione svuota-carceri, nel cui contesto si segnalano le modifiche agli artt. 280 e 274, lett. c, c.p.p. (con l’elevazione a cinque anni della soglia della pena massima fissata per i reati ai quali può conseguire l’applicazione del carcere) e la interpolazione del comma 1-bis dell’art. 275 c.p.p. ove si esclude la detenzione carceraria in caso di prognosi di una condanna con pena inferiore a tre anni. Alla stessa filosofia sono ispirate le precedenti modifiche di cui all’art. 275 comma 4 c.p.p. ed all’art. 285-bis c.p.p. in tema di detenute madri. Completano questa filosofia la previsione di un onore specifico di motivazione dell’applicazione del carcere in relazione all’impossibilità di ritenere adeguato a fronteggiare le esigenze cautelari l’applicazione degli arresti domiciliari con le procedure di controllo del braccialetto elettronico.

2 Sicuri indici di questo assunto sono costituiti, innanzitutto, dalla nuova formulazione del comma 3 dell’art. 275 c.p.p. dove sono ridotte a tre (artt. 270, 270-bis, 416-bis c.p.) le

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Commissione Canzio e alle proposte dei lavori della sottocommissione, che si è occupata di questa parte della riforma nel contesto di una più ampia riscrittura del codice di procedura penale3. Il fine, era correggere alcune

patologie del sistema.

In linea generale, per poi soffermarsi più attentamente sugli aspetti relativi ad una maggiore effettività del controllo e ad una maggior tutela del diritto di difesa, la legge si compone di tredici disposizioni. In primo luogo sono stati previsti nuovi limiti generali al ricorso allo strumento cautelare e riservata la custodia in carcere ad ipotesi estremamente limitate4. C’è stata

una completa rivisitazione delle disposizioni concernenti la presunzione di adeguatezza della misura intramuraria, interventi sui presupposti applicativi di tutte le misure personali operando, in senso restrittivo, sulla connotazione che devono assumere le esigenze cautelari e ampliando la possibilità di applicazione cumulativa di misure coercitive ed interdittive5.

presunzioni assolute di pericolosità suscettibili di determinare la restrizione inframuraria, fatta salva la dimostrazione della mancanza di esigenze cautelari. Invero, non si assiste ad un completo “ritorno al passato”, perché la stagione emergenziale della c.d. sicurezza ha lasciato il segno, com’è noto, anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale, attraverso la costruzione della presunzione relativa di pericolosità. Sono riconducibili a questa stessa filosofia della valutazione da parte del giudice della variabilità delle situazioni di pericolosità anche le modifiche all’art. 276, comma 1-ter, c.p.p. ed all’art. 284, comma 5-bis, c.p.p. ove si prevede che il giudice, nel valutare la violazione alle prescrizioni del divieto di allontanarsi dal luogo della restrizione, ovvero le implicazioni di una accertata evasione debba tener conto se si tratti o meno di un fatto lieve (il riferimento è alle violazioni e non al fatto per il quale è stata applicata la misura).

G. Spangher,”Brevi riflessioni sistematiche sulle misure cautelari dopo la legge n. 47 del 2015”, in Dir. pen. contemp., 2015, p. 1.

3 Invero, non tutte le proposte sono state recepite in sede parlamentare.

4Oltre a relativizzare la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per alcuni delitti di particolare gravità, il legislatore sembra, da un lato, accordare al giudice un ampio potere di scelta della misura più adeguata al caso concreto, e, dall’altro, limitare la discrezionalità nella valutazione delle ragioni che potrebbero rendere necessario il ricorso alla custodia carceraria.

5 E’ stato modificato l’articolo 275 comma 3 c.p.p., per effetto del quale la custodia cautelare in carcere potrà essere disposta solo laddove risultino inadeguate altre misure interdittive o coercitive: il carcere, quindi, divene una extrema ratio, le misure, a differenza del passato, potranno essere applicate cumulativamente (ex articolo 299 comma 4 c.p.p.). L’articolo 1 modifica l’articolo 274 comma 1 lettera b) e c) c.p.p., laddove vengono modificati i presupposti per l’applicazione della misura cautelare in carcere, in quanto per potersi applicare detta misura richiede che il pericolo di fuga non sia solo concreto ma anche

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Si è, ancora, sancito l’obbligo del giudice della cautela di una motivazione che dia conto di un percorso decisionale autonomo (si fa riferimento alla necessità di “un’autonoma valutazione” da parte del giudice procedente di quanto indicato dall’art 292: indizi, esigenze cautelari elementi forniti dalla difesa, indeguatezza di misure graduate in caso di applicazione della custodia in carcere)6. La riforma, interviene anche sulla disciplina degli

arresti domiciliari7, inoltre, per quanto riguarda l’interdizione ex articolo

289 c.p.p., se il pubblico ministero aveva chiesto una misura coercitiva, non si deve dar luogo all’interrogatorio preventivo. Nel provvedimento legislativo sono state introdotte anche delle modifiche all’articolo 21-ter ord. pen.. Il testo regolava le modalità con cui genitori condannati, imputati o internati potevano essere autorizzati a visitare o assistere il proprio figlio minore infermo. Il primo comma prevede tale possibilità (previa autorizzazione del tribunale di sorveglianza o in caso di assoluta urgenza, del direttore dell’istituto) in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore, anche non convivente. Nel secondo

attuale. Si prevede, inoltre, che le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere desunte solo dalla gravità del titolo di reato per cui si procede. Si prevede una valutazione più approfondita degli elementi necessari per verificare l'opportunità di applicare la custodia cautelare in carcere, in quanto, oltre alla gravità ed alle modalità del delitto si dovranno prendere in considerazione anche altri parametri quali i precedenti, i comportamenti, la personalità dell'imputato, ecc. Comprendere le emende in ordine alla necessaria attualità del pericolo di fuga e di quello di reiterazione criminosa risulta assai agevole. E’ sufficiente ricordare le molteplici occasioni nelle quali la giurisprudenza di legittimità ha censurato quelle valutazioni fondate su mere congetture o composte da clausole di stile che richiamavano la gravità del fatto in contestazione.

6 Può apprezzarsi la potenzialità delle nuove disposizioni a limirare il ricorso dei giudici a motivazioni stereotipate, frequenti nella prassi ma contrarie alla principio costituzionale della riserva di giurisdizione. La prassi ha un comportamento completamente superficiale, infatti la norma era già prima della modifica precisa e dettagliata, il concetto di autonoma valutazione è già presente nell’obbligo di motivare, il giudice emette il provvedimento decisorio anche in funzione della giusitificazione che è tenuto a rendere al fine di dar conto del proprio operato. Ma ad un simile modo di procedere, si contrappone la tecnica del copia e incolla fatta propria in molti casi dai giudici. E. Nadia La Rocca, “Le nuove disposizioni in materia di misure cautelari personali”, Archivio penale n. 2, 2015, p. 2.

7 Il legislatore, nonostante l’obbligo di disporre la sostituzione degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere in caso di trasgressione delle prescrizioni ex articolo 276 c.p.p., e nonostante il divieto di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti del soggetto condannato per il reato di evasione, consente al giudice di derogarvi quando il fatto sia di “lieve entità”, (paramentro sicuramente incerto).

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comma viene indicata la possibilità (previa autorizzazione con provvedimento da rilasciarsi da parte del giudice competente) di assistere il figlio di età inferiore a dieci anni, in occasione di visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute. L’articolo 14 della legge del 2015 amplia la possibilità di far visita e assistere il figlio di persone condannate, estendendola alle ipotesi in cui egli sia affetto da handicap in situazione di gravità, ai sensi dell’articolo 3, comma 3 della legge 104 del 1992. Indipendentemente dall’età il figlio può essere visitato o assistito dai genitori. La situazione di gravità deve essere accertata dalle unità sanitarie locali. La legge in commento ha inserito nell’articolo in esame un comma 2-bis, ai sensi del quale i due commi precedenti si applicano anche nel caso di coniuge o convivente affetto da handicap grave. Per ultimo, ma non meno rilevante è l’intervento che attiene al giudizio di riesame, che è stato fortemente innovato, con previsioni, che attengono sia al procedimento che all’ambito dei poteri del tribunale distrettuale. La fisionomia del riesame cambia, con prescrizioni che attengono ai profili soggettivi e partecipativi ma anche alle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle scansioni temporali, seppur si proceda alla introduzione di termini per il deposito della motivazione, che possono in qualche modo elidere la celerità del controllo che è insita nel riesame, anche in vista del ricorso (in caso di esitivo negativo) alla corte di legittimità, ex articolo 311 c.p.p.. Le modifiche non possono che apprezzarsi, ed è sulle modifiche apportate dalla novella, per assicurare una maggiore effettività del diritto di difesa, e una maggiore effettività del controllo nel sistema delle impugnazioni de libertate, che svilupperò la mia trattazione.

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3.2 Disposizioni concernenti le impugnazioni in materia cautelare

personale: si rafforza il diritto del detenuto a presenziare

Le modifiche all’articolo 309 sono notevoli e hanno fortemente mutato il quadro dei poteri attribuiti al Tribunale del riesame in sede decisoria, hanno reso il procedimento più garantito, hanno rafforzato la posizione processuale e le garanzie difensive dell’imputato. In particolare l’articolo 11 della legge 2015 è intervenuto sulle disposizioni che riguardano: la partecipazione del ricorrente al giudizio di riesame avverso i provvedimenti applicativi di misure cautelari personali, i termini perentori che riguardano il procedimento e le conseguenze relative al loro mancato rispetto. L’articolo 12 ha modificato la disciplina dei termini nel giudizio di appello e l’articolo 13 ha inserito una nuova disposizione per il giudizio di rinvio davanti al Tribunale del riesame a seguito di annullamento della Corte di cassazione, assimilando tale giudizio a quello ordinario. Il comma 6 dell’articolo 309 recita adesso: “Con la richiesta di riesame possono essere

enunciati anche i motivi. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione e l’imputato può chiedere di

comparire personalmente.”

A questa si collega la novella del comma 8-bis: “Il pubblico ministero che

ha richiesto l'applicazione della misura può partecipare all'udienza in luogo del pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7.

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L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente8.”

La materia come sappiamo è stata regolata finora con un rinvio all’articolo 127 c.p.p., il modello è quindi quello di un procedimento camerale a partecipazione non necessaria: l’interessato ha il diritto di essere sentito se compare, se è detenuto o internato fuori della circoscrizione e ne fa richiesta può essere sentito prima dell’udienza camerale dal magistrato di sorveglianza del luogo. Con l’intervento dell’articolo 11 della novella, il soggetto sottoposto a misura potrà chiedere di comparire personalmente e il tribunale avrà l’obbligo di assicurare la sua presenza in udienza9. I detenuti

fuori distretto dovranno essere sempre tradotti (salvo i casi in cui ricorrano a norma dell’articolo 45-bis i presupposti per la partecipazione a distanza) per l’udienza qualora domandino di essere sentiti personalmente10. Non

sarà più applicabile il comma 3 dell’articolo 127 c.p.p. che prevede che allorché l’interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del

8Nel testo originario della proposta di legge n. 631 come nelle altre, la Commissione giustizia della Camera dei deputati, non vi era alcun riferimento alla problematica della partecipazione diretta dell’imputato all’udienza nella quale il Tribunale del riesame viene chiamato a decidere sull’impugnazione. Su iniziativa dei Relatori, on. Rossomando ed on. Sarro, sempre dinanzi a detta Commissione, sarebbe stato presentato il 13 novembre 2013 l’emendamento 8.03, aggiuntivo di un articolo 8-bis che contemplava, all’interno di una proposta recante larga parte delle innovazioni che all’esito dell’iter parlamentare avrebbero riguardato l’articolo 309 c.p.p., anche una modifica di contenuto identico a quella poi inserita nei commi 6 ed 8-bis. E. Marzaduri, “Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al Tribunale della libertà”, 2015, p. 3.

9 Con riguardo alla necessaria tempestività della richiesta di traduzione, la Suprema corte ha posto in evidenza che essa non deve pregiudicare la celerità del procedimento, ed ha precisato che la formulazione della richiesta deve avvenire “nella ragionevole immediatezza della recezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza camerale dinanzi al tribunale, Cass. sez. II, 30 aprile 2013, n. 20883, Campo, 255819, Cass. sez. VI, 4 novembre 2011, n. 42710, Ventrici, 251277, da citare anche la sentenza n. 35399/2010 delle Sezioni unite, che in motivazione hanno chiarito, con riferimento al giudizio camerale d’appello, ex art. 599 c.p.p., che “la manifestazione di volontà dell’imputato detenuto non è soggetta ad alcun limite temporale rigido e prefissato, ma debba comunque essere considerata tardiva e non efficace quando sia stata fatta in un momento tale che, nel singolo caso concreto, non vi sia più la possibilità di effettuare la traduzione per l’udienza”. 10 Ci si potrebbe chiedere legittimamente dove siano andati a finire i pericoli derivanti dalla pratica della traduzione ed i suoi ingenti costi in termini di uomini e mezzi che costituivano le ragioni della necessità di applicare, nel sistema precedente, un regime diversificato.

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giorno dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo, cosi come non sarà più applicabile il comma 4 secondo cui l’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. La riforma in un certo qual modo, ha sopito le diverse interpretazioni in Cassazione riguardanti l’ampiezza del diritto del detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del tribunale di presenziare su sua richiesta, all’udienza davanti al Tribunale della libertà. Diverse sono state le opzioni interpretative: una di queste, indicava che qualora l’interessato, detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del tribunale, avanzasse richiesta di essere sentito personalmente, l’organo decidente fosse vincolato, a pena di nullità, a disporne obbligatoriamente la traduzione all’udienza, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale, obbligo dalla cui violazione (ovvero dalla celebrazione dell’udienza senza il richiedente impedito) conseguiva una nullità assoluta ed insanabile dell’udienza e del provvedimento conclusivo, senza determinare l’inefficacia dell’ordinanza impugnata11. L’altra interpretazione, reputava

non esserci, nel procedimento camerale de libertate, nessun diritto

11Cass. Pen. sez. II, 15 maggio 2012 n. 22959; Cass. Pen. sez. VI, 22 gennaio 2008, n. 10319; Cass. Pen. sez. II, 4 dicembre 2006, n. 1099; Cass. Pen. sez. II, 20 settembre 2006, n. 32666. E. Marzaduri, in “Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al Tribunale dela libertà”, 2015, p. 6, sottolinea che aderivano a tale orientamento anche quelle decisioni nelle quali l’accoglimento della richiesta formulata dall’indagato detenuto fuori dalla circoscrizione del giudice dovesse essere subordinato alla tempestività della sollecitazione in relazione al momento in cui si era avuta notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, in quanto non sarebbe giustificato sanzionare con nullità il mancato compimento di un atto che l’autorità giudiziaria non sia stata posta in condizione di compiere, dati i tempi ristretti di svolgimento della procedura camerale di riesame (v. anche Cass., 30 aprile 2013, Campo, in C.e.d.., n. 255819; Cass., 4 ottobre 2011, Ventrici, ivi, n. 251277). Né mancavano considerazioni a favore del riconoscimento del diritto a presenziare all’udienza, ricavate dalla peculiarità del giudizio di riesame, “caratterizzato dalla facoltà per l’indagato, oltre che per il suo difensore, di avanzare una richiesta di riesame del tutto immotivata, riservandosi di formulare, per la prima volta, i motivi a sostegno del gravame solo nell’udienza di trattazione dell’impugnazione” (v. Cass., 17 ottobre 2013, Blam, in C.e.d., n. 256689.

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incondizionato dell’indagato detenuto in luogo esterno alla circoscrizione di essere ascoltato all’udienza fissata per il riesame, ma solo quello di essere sentito dal magistrato di sorveglianza; con la possibilità per il giudice del riesame, di accogliere comunque la richiesta di audizione qualora non la ritenesse del tutto defatigatoria e di ostacolo al rispetto dei termini fissati dalla procedura per la decisione dell’impugnazione12, ovvero

di rigettarla nel caso di istanza che non fondasse espressamente su di uno specifico interesse a far valere questioni di fatto concernenti la sua posizione13. Il senso delle nuove disposizioni è quello di affermare quindi il

diritto del ricorrente a comparire all’udienza camerale14 fissata per la

trattazione anche se detenuto fuori distretto. La possibilità di esercitare tale diritto appare correlata alla formulazione della relativa richiesta15. La

riforma ha la chiara finalità di rafforzare la posizione processuale e le garanzie difensive dell’imputato, ma appare per certi versi inopportuna: il diritto dell’imputato di chiedere di comparire personalmente, non è stato in alcun modo riferito alla condizione detentiva dell’interessato, per cui un’interpretazione letterale potrebbe condurre al paradossale esito per cui,

12 Cass. Pen. sez. IV, 12 luglio 2007, n. 39834; Cass. Pen. sez. IV, 29 maggio 2013, n. 26993.

13 Cass. Pen. sez. II, 5 novembre 2014, n. 6023, Cass. Pen. sez. II, 10 gennaio 2013, n. 14678.

14Era necessario superare tutte le incertezze giurisprudenziali sul punto. Le ragioni che sostengono la conclusione di dover assicurare un vero e proprio diritto dell’imputato di comparire personalmente all’udienza in camera di consiglio, sono da ravvisarsi nel significato pregnante del contribuo personale dell’imputato, l’imputato conosce i fatti, solo con la presenza di esso il giudice avrà una visione completa della situazione. Inoltre, non si può equiparare la trasmissione di un verbale da parte del magistrato di sorveglianza e l’audizone da parte del giudice de libertate. Anche la Corte costituzionale si era pronunciata, riconoscendo “l’evidente importanza che il contraddittorio” avesse “a svolgersi innanzi al giudice che dovrà assumere la decisione”, un giudice altresì chiamato a disporre d’ufficio la traduzione del ricorrente se ritenuta opportuna, nel rispetto dei principi generali d’immediatezza e di oralità cui s’ispira l’attuale sistema processuale, Corte cost., sen. 31 gennaio 1991, n. 45

15 Coordinando questo elemento con quanto disposto dall’articolo 101 disp. att. c.p.p., dovrà ritenersi che in caso di mancata richiesta con la domanda di riesame, residuerà il diritto ad essere ascoltato alle condizioni ivi indicate, cioè, dal magistrato di sorveglianza, nel caso in cui il soggetto sia detenuto fuori distretto.

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ogni soggetto raggiunto da misura coercitiva, anche non detentiva, sarebbe costretto a rispettare una simile impegnativa sequenza per poter partecipare all'udienza camerale16. Quella in esame, si osserva, è una norma che

inserisce un diritto che già c’è17, ed è presente nell’articolo 127 del c.p.p..

In altre parole, l’articolo 309 comma 8, rinvia alle disposizioni generali per il procedimento in camera di consiglio, se in quest’ultima previsione il diritto a partecipare all’udienza viene riconosciuto senza limite alcuno, con la sola esclusione del detenuto fuori distretto, è solo con riguardo a questa specifica ipotesi che potrà avere significato richiamare i nuovi contenuti normativi18. In base a ciò, si ritiene abrogata per incompatibilità con la

legge di riforma, la parte dell’articolo 127 comma 4 c.p.p. che esclude il rinvio per il detenuto fuori distretto (essendo una soluzione che presupponeva l’inesistenza del diritto di costui a comparire personalmente all’udienza del riesame). Ulteriori perplessità scaturiscono dal profilo relativo al momento di presentazione della richiesta che non è specificato, e dalla richiesta di riesame che può essere presentata anche personalmente dall’imputato o indagato (ovvero da un soggetto che generalmente non dispone delle necessarie condizioni tecnico-giuridiche), il quale potrebbe quindi limitarsi a proporre l’impugnazione, anche senza motivi, confidando in una ragionevole possibilità di poter comparire all’udienza mediante una successiva richiesta di audizione19. Inoltre la scelta di comparire o meno

risponde ad esigenze e valutazioni difensive di natura tecnica, che sembra

16 E. Marzaduri, “Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al Tribunale della

libertà”, 2015, p. 8.

17 Sembra ravvisarsi, più che una volontà del legislatore, una sua inadeguatezza nello sviluppare una legislazione coerente, informata, integra.

18 P. Pazienza, “Le nuove disposizioni”, cit., p. 26.

19 P. Pazienza, “Le nuove disposizioni”, p. 26. Analogamente, P. Maggio, “I controlli”, p. 107.

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difficile pretendere già in sede di presentazione della richiesta di riesame, in un momento quindi in cui la difesa non ha ancora conoscenza degli atti di indagine presentati dal pubblico ministero a sostegno della richiesta di misura cautelare. Queste perplessità potrebbero essere sciolte consentendo al ricorrente di comparire all’udienza camerale anche qualora non ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6, ma abbia comunque sollecitato tempestivamente la sua traduzione. Appare certa la persistente possibilità per il detenuto fuori distretto di intervenire nel procedimento camerale, chiedendo di essere sentito, prima dell’udienza, davanti al magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, il comma 8° dell’articolo 309 c.p.p. rimane dunque immutato. Da evidenzare inoltre il fatto che il diritto in questione non sia incondizionato, il detenuto o internato è chiamato a sciogliere già all’atto della presentazione dell’impugnazione la riserva in ordine alla propria partecipazione all’udienza camerale, come suggerisce la congiunzione “e” che lega la nuova previsione innestata nel comma 6 al preesistente periodo concernente la possibilità di enunciare, con la richiesta di riesame, i motivi20, quanto il rigore della lettera del novellato comma

8-bis. Militano verso questa soluzione anche ragioni di ordine logistico e organizzativo: qualora la relativa istanza potesse essere formulata fino alla data dell’udienza, gli adempimenti necessari per la traduzione potrebbero non essere garantiti in tempi compatibili con quelli di trattazione e, in agguato, sarebbe il rischio di strumentalizzazione della domanda, che verrebbe “utilizzata” per impedire la celebrazione dell’udienza entro i prescritti termini21. La novella rafforza sicuramente le garanzie di

20 Il comma 6 ora stabilisce che con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi e l’imputato può chiedere di comparire personalmente.

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partecipazione dell’indagato, ma nello stesso tempo, si prende atto che la scelta del legislatore è stata anche quella di non prevedere alcun coinvolgimento della persona offesa nel procedimento, andando in senso contrario a quello che è l’orientamento normativo attuale22 che cerca di

potenziare, soprattutto per i reati con violenza alla persona, la conoscenza e la possibilità di interloquire della persona offesa stessa rispetto a quelle che sono le scelte del giudice della cautela. Con questa riforma resta il fatto che, il ruolo del riesame, (se il difensore riterrà utile attivarlo) si rafforza significativamente, acquistando un nuovo ruolo e una nuova valenza.

22 Cosi la legge n. 119 del 2013, con la quale è stata introdotta, nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, un’obbligatoria forma di interlocuzione con la persona offesa. In particolare, il nuovo testo dell’articolo 299 comma 3 c.p.p. onera la parte che richiede la modifica dello stato cautelare, a pena di inammissibilità dell’istanza, di notificare la richiesta, contestualmente, al difensore della persona offesa, e in mancanza di questo, alla persona offesa. La facoltà di interlocuzione nel merito delle istanze de libertate è riconosciuta tanto nella fase delle indagini preliminari, che in quella successiva alla chiusura delle stesse. L’informativa della persona offesa, infine, è stata estesa ai conseguenti provvedimenti estintivi o modificativi delle misure cautelari emesse dal giudice. La ratio delle disposizioni è, con ogni evidenza, quella di rendere partecipe la vittima di siffatti reati dell’evoluzione dello status cautelare dell’indagato, permettendo altresì alla stessa di presentare, entro un breve termine, memorie ai sensi dell’art. 121 c.p.p., al fine di offrire all’autorità giudiziaria procedente, ulteriori elementi di valutazione pertinenti all’oggetto della richiesta. Tali previsioni si inseriscono nel più ampio ventaglio delle misure intese a rafforzare il diritto partecipativo della persona offesa, rappresentate dalla modifica dell’art. 101 co. 1 c.p.p., che ha introdotto l’obbligo a carico dell’organo che riceve la notizia di reato (qualsiasi reato non lesivo di interessi diffusi) di informare la persona offesa, della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dell’obbligatorietà dell’avviso ex art. 408 c.p.p. alla persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona (anche in assenza di esplicita richiesta), dall’inclusione tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415 bis c.p.p.) del “difensore della persona offesa o, in mancanza di questo”, della “persona offesa” quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p. È palese, pertanto, la volontà del legislatore di rendere informata la persona offesa di ogni evoluzione della vicenda che la riguarda come vittima, nei diversi snodi procedimentali. L’opzione legislativa a favore di una sorta di contraddittorio anticipato, a pena di inammissibilità dell’istanza cautelare, ha ricevuto comunque convergenti critiche da parte dei primi commentatori. G. Sepe, “Violenza di genere e consultazione della persona offesa nelle vicende estintive delle misure cautelari”, Dir. pen. contemp., 2014, p. 8 ss.

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Per quanto concerne l’appello cautelare, si esclude l’operatività della novella, le disposizioni dei commi 6 e 8-bis non sono richiamate dall’articolo 310 c.p.p.. Si continua a rinviare all’articolo 127 c.p.p. per lo svolgimento dell’udienza camerale23.

23 Anche qua è avanzabile una critica, essendo proprio l’appello. il luogo dove sono maggiormente rilevanti le questioni di fatto.

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3.3 Il diritto di differimento dell’udienza

Nella pratica giudiziaria si manifestano frequentemente esigenze di approfondimento e analisi del materiale trasmesso, che nei procedimenti particolarmente complessi si rivelano poco compatibili con il breve termine per la decisione ex articolo 309. Per soddisfare tali esigenze si è introdotto il comma 9-bis dell’articolo 309: “su richiesta formulata personalmente

dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi sono giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell’ordinanza sono prorogati nella stessa misura”. La ratio è consentire alla difesa di prepararsi al meglio24; la

nuova disposizione ha introdotto la possibilità per l’imputato/indagato “personalmente”25 di chiedere un differimento dell’udienza per giustificati

motivi che potrebbero essere legati alla necessità proprio di consentire alla difesa di approntare una certa linea difensiva e che dovranno essere

24 Cosi come ipotizzava l’innovazione della Commisione Canzio, ad esempio in caso di una eventuale tempestiva richiesta di accesso alle registrazioni delle conversazioni intercettate, ma i vantaggi del differimento erano altresì nella maggiore possibilità per il tribunale, nei casi di particolare complessità di effettuare una valutazione autonoma e adeguatamente approfondita. E. Marzaduri, “Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al Tribunale della libertà”, 2015, p.13.

25 E’ interessante notare come tale potere è stato attribuito dal legislatore esclusivamente alla persona dell’imputato, senza prevedere la possibilità di demandarne l’esercizio ad un procuratore speciale, tenuto conto del fatto che tale richiesta ha una natura fortemente tecnica.

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apprezzati dal tribunale26. Si tratta di un’esigenza particolarmente sentita

rispetto ai numerosi procedimenti in cui la mole degli atti delle indagini e/o la complessità del procedimento in sé per il numero di parti e di imputazioni non consenta un compiuto studio degli atti o la predisposizione di ogni necessaria attività difensiva in tempo utile a contestare l’iniziativa cautelare dinanzi al tribunale distrettuale27. La ragione di ricollegare la

richiesta di differimento del termine ad una manifestazione di volontà dell’imputato è sicuramente dovuta alla delicatezza di un tema come quello della privazione della libertà personale. Difficilmente davanti a tale richiesta fondata sulla complessità della vicenda processuale il tribunale la rigetterà. Non può comunque non valutarsi negativamente che la scelta legislativa sia stata, nell’iter parlamentare, quella di non dare la possibilità di differimento di ufficio ai giudici del riesame cui spetta la decisione28.

Nel comma 9-bis tale possibilità è stata soppressa. Sicuramente difficoltà di ordine organizzativo e pratico potrebbero insorgere per il collegio giudicante, soprattutto per i procedimenti particolarmente complessi e nelle

26 La verosimile integrazione del materiale probatorio da parte della difesa, sia da parte dell’accusa, anche con materiale nuovo ma anche precedente e non depositato danno una valenza maggiore al riesame. Il diritto di chiedere un differimento dell’udienza non è concesso al pubblico ministero (che comunque potrà introdurre elementi idonei a contrastare le argomentazioni difensive) ed è stato escluso, nei vari passaggi parlamentari, un potere d’ufficio (inizialmente ipotizzato).

27 P. Borelli, “Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure

cautelari personali”, Dir. pen. contemp., 2015, p. 27.

28 Inizialmente, in seno alla Commissione giustizia del Senato, la possibilità di differimento dell’udienza era sata collegata anche ad un’iniziativa officiosa del giudice, che, con provvedimento motivato, poteva disporre in tal senso sulla base della complessità del caso e del materiale probatorio, doveva poi essere la Camera in seconda lettura ad eliminare l’ipotesi di differimento d’ufficio, ma in Senato, venne riproposta la versione già approvata precedentemente dal medesimo ramo del Parlamento; versione che non venne tuttavia condivisa dalla Commissione Giustizia, nel cui ambito si segnalò come un differimento di termini incidenti sulla libertà personale dell’imputato poteva giustificarsi solo sulla scorta di una scelta operata da tale soggetto per ottenere un maggior approfondimento del controllo cautelare. E peraltro, vi fu anche chi pur avendo dato voto contrario all’emendamento, segnalò l’esigenza di una successiva riflessione in sede di giudizio assembleare. Ma nel successivo prosieguo dei lavori queste incertezze non dettero corpo a ripensamenti e la disposizione venne approvata senza alcuna modifica. E. Marzaduri, “Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al Tribunale della libertà”, 2015, p. 13 ss.

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ipotesi di richieste cumulative di riesame, in cui solo alcuni dei ricorrenti si avvalgono del potere di differimento. La richiesta deve essere formulata entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, quanto alla natura del termine, nulla dice la disposizione, anche se si prospetta la perentorietà. La decisione di accoglimento dell’istanza da parte del tribunale dovrà essere emessa e comunicata prima prima della data dell’udienza una volta riconosciuta la sussistenza di gusitificati motivi, che dovranno essere indicati nella motivazione del provvedimento del collegio. Ci si chiede se il tribunale potrà differire l’udienza per motivi diversi da quelli espressi dall’imputato. La risposta potrebbe essere negativa se prendiamo come riferimento la scelta del legislatore di escludere un potere officioso in materia dell’organo giudicante. Il rigetto della richiesta ex articolo 309 comma 9-bis c.p.p. non è impugnabile, non essendoci una previsione ad hoc.

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3.4 Disposizioni in tema di motivazione dell’ordinanza applicativa

delle misure cautelari: maggior garantismo o deterioramento del

controllo critico del Tribunale del riesame?

L’esigenza di assicurare effettività, maggiore effettività al diritto di difesa, non è solo contenuta nelle nuove disposizioni concernenti il diritto del detenuto a presenziare e nel diritto al differimento dell’udienza. La riforma ispirata ad un maggior garantismo sembra ripercuotere i suoi effetti anche in tema di motivazione dell’ordinanza applicativa delle misure cautelari. Difatti, uno degli aspetti più significativi della nuova legge è la modifica del comma 9 dell’articolo 309: “Entro dieci giorni dalla ricezione degli atti

il tribunale, se non deve dichiarare l'inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l'ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Il tribunale annulla il provvedimento

impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”.

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Tale modifica è coerente con la novella riguardante le lettere c) e c-bis) dell’articolo 292 c.p.p e nasce, da un’esigenza avvertita da tempo, mettere al bando le motivazioni che non contengano una rielaborazione critica degli argomenti spesi dal pubblico ministero nella sua richiesta (o dalla polizia giudiziaria in atti del procedimento su cui tale richiesta si fondi) 29. Di qui

l’obbligo, per il giudice della cautela, di valutare “autonomamente” indizi di colpevolezza, esigenze cautelari, motivi per i quali siano stati ritenuti irrilevanti gli elementi forniti dalla difesa, e ragioni che impongono il ricorso alla custodia in carcere30. Nel pretendere che l’ordinanza sia

“autonomamente” motivata, la novella normativizza la regola giurisprudenziale della rielaborazione critica dei contenuti valutativi della richiesta, senza, si direbbe, precludere tout court il riferimento a tali contenuti e la loro trasposizione nell’impianto motivazionale. Il legislatore non fa dunque che recepire un consolidato orientamento, conferendogli opportuna stabilità e prevenendo quei possibili annacquamenti del principio di cui, è inutile negarlo, in passato anche la Suprema Corte si è resa talvolta complice. L’intervento normativo suscita comunque perplessità: non sarà più misurabile il quantum di autonomia dell’ordinanza applicativa della

29 In primo luogo, è stato ancora una volta aggiornato il modello legale di motivazione dell’ordinanza cautelare. Oggi non basta più la «esposizione» delle esigenze cautelari, degli indizi di colpevolezza (gli uni e gli altri, accompagnati dalla indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti, e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato), dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, nel caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure: accanto all’esposizione, di tutto questo occorre anche la «autonoma valutazione» (art. 292 comma 2 lettere c e c-bis c.p.p.). In secondo luogo, e soprattutto, sono stati ridefiniti i poteri decisori del giudice del riesame: il tribunale ha l’obbligo di «annullare il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa» (art. 309 comma 9 c.p.p., applicabile anche al riesame delle misure cautelari reali in virtù del richiamo contenuto nell’art. 324 comma 7 c.p.p.).

30 F. Caprioli, “Motivazione dell’ordinanza cautelare e poteri del giudice del riesame”, 2015 p. 1 e ss..

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misura rispetto alla richiesta cautelare, si costringe il giudice del riesame ad una difficile ricognizione dell’itinerario mentale seguito dal giudicante e si induce il giudice della cautela a mascherare i propri percorsi razionali per sottrarsi all’accusa di sudditanza argomentativa. Inoltre, non può dirsi che la motivazione redatta par voie d’incorporation sia una motivazione oggettivamente mancante31. L’obbligo di sanzionare con l’annullamento la

motivazione non autonoma, costringe a considerare il Tribunale del riesame come un organo di vigilanza dell’operato del giudice della cautela invece che organo con la funzione istituzionale di stabilire se esistono ragioni che giustificano la restrizione della libertà personale e se tali ragioni emergono dal provvedimento impugnato32.

31F. Caprioli, “Motivazione dell’ordinanza cautelare e poteri del giudice del riesame”, 2015 p. 2, Caprioli sottolinea inoltre che equiparare la motivazione non autonoma alla motivazione mancante significa attribuire all’impegno argomentativo profuso dall’organo giudiziario un valore corrispondente, e perfino superiore, a quello dell’oggettiva qualità degli argomenti addotti a sostegno del provvedimento coercitivo: con la conseguenza che l’ordinanza cautelare potrà essere emendata dal Tribunale del riesame se motivata in maniera grossolanamente illogica, mentre dovrà essere inevitabilmente annullata allorché il giudice si limiti a rinviare alle taglienti e inconfutabili argomentazioni del richiedente. Cosi facendo il Tribunale del riesame finisce per assumere compiti di vigilanza disciplinare sull’operosità del giudice della cautela che appaiono eccentrici rispetto alla sua funzione istituzionale di stabilire se esistono ragioni che giustificano la restrizione della libertà personale e se tali ragioni emergono dal provvedimento impugnato; inoltre, ci si potrebbe domandare, perché costringere il giudice della cautela a esercizi di stile argomentativo che nulla aggiungono alla sostanza logica e probatoria della richiesta del pubblico ministero. In sintesi, i giudici che ricorrono alla tecnica del taglia e incolla, secondo l’autore, devono essere adeguatamente sanzionati, se del caso, sotto il profilo disciplinare e della responsabilità civile. Ma sul versante processuale, motivazione mancante e motivazione non autonoma sono patologie la cui equiparazione non sembra pienamente giustificata.

32 Una delle prime pronunce di annullamento di un’ordinanza cautelare per la mancanza di autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze di cautela da parte del giudice per le indagini preliminari e, dunque, per la violazione degli articoli 292 e 309 c.p.p., è quella del Tribunale di Napoli, sez. XII, Riesame, Collegio C, ord. 19 maggio 2015. Il tribunale, dopo la ricognizione del nuovo dato normativo entrato in vigore in data 8 maggio 2015, ha rilevato che nel provvedimento impugnato mancava “una sia pur sintetica valutazione autonoma dei fatti dei fatti rappresentati dal P.M.”, i quali erano stati trasfusi “pedissequamente nell’ordinanza impugnata senza alcuna rielaborazione”; ha poi precisato che le difese avevano specificamente eccepito il predetto difetto della misura custodiale, sottolineando che l’autonoma valutazione avrebbe dovuto riguardare le posizioni di ciascun indagato; ha concluso, infine, che, a seguito della riforma dell’art. 309, co. 9, c.p.p., è precluso al tribunale del riesame “il potere di integrare, argomentare o valutare ex novo elementi fondanti il titolo custodiale”, essendo stata espressamente prevista per simili fattispecie la sanzione processuale dell’annullamento del provvedimento.

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Alla parziale ridefinizione dei contenuti dell’ordinanza cautelare si accompagna la modifica delle prerogative decisionali del Tribunale del riesame. Il 309 comma 9 c.p.p. impone al di annullare l’ordinanza coercitiva che manchi della motivazione o non contenga l’autonoma valutazione condotta a norma dell’articolo 292 c.p.p., degli indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari e degli elementi forniti dalla difesa. Cosi facendo, si riapre il dibattito sui rapporti tra motivazione dell’ordinanza coercitiva e poteri del giudice del riesame.

In passato l’orientamento dominante riteneva colmabile dal tribunale adito, ex articolo 309 c.p.p., ogni lacuna valutativa e motivazionale dell’ordinanza impugnata (visto il carattere interamente devolutivo del riesame). La decisone del Tribunale della libertà e l’ordinanza avrebbero creato una fattispecie complessa composta da due atti, uno integrabile dall’altro. Recentemente, si è formato un diverso orientamento che ha equiparato la mancanza di motivazione in senso grafico e motivazione graficamente presente ma sostanzialmente apparente, laddove i giudici di legittimità hanno optato per ritenere annullabile il provvedimento anche in quest’ultimo caso, senza beneficiare del potere di integrazione da parte del Tribunale del riesame. Alla motivazione apparente sono stati equiparati i casi in cui il giudice della cautela, operando un rinvio al contenuto di un altro atto del procedimento ovvero recependone integralmente il contenuto, non avesse dato conto di un’effettiva analisi critica del materiale richiamato e all’elaborazione di una decisione finale originale rispetto ad esso, utilizzando clausole di stile o frasi apodittiche. Affini a queste, i casi in cui il giudice avesse riportato con la trasposizione integrale del testo con gli

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strumenti informatici la richiesta del pubblico ministero aggiungendo espressioni generiche, dietro le quali non vi era nessun procedimento valutativo33. Come già affermato, la scelta del legislatore è diretta nel senso

di prevedere, accanto all’obbligo per il giudice di effettuare una valutazione autonoma sui punti della decisione prima enunciati, un potere-dovere del tribunale di verifica del rispetto della norma, con la possibilità solo di annullare e non più integrare34 il provvedimento quando ravvisi un’assenza

di motivazione. Ma nel caso di un’ordinanza che non difetti di autonoma valutazione, ma che sia fondata su un percorso logico giuridico non avvallabile o incompleto o basato su una lettura erronea degli atti di indagine? In questi casi non vi è ragione di ritenere che il tribunale non possa respingere la richiesta di riesame e confermare l’ordinanza impugnata sostituendo o completando con le proprie valutazioni il ragionamento del primo giudice della cautela35. Quindi, la legge di riforma ha cercato di

33 P. Borelli, “Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure

cautelari personali”, Dir. pen. contemp., Milano, 2015, p. 25 ss.

34 Chi negava al Tribunale del riesame il diritto di sostituirsi interamente al primo giudice nel motivare il provvedimento di coercizione personale faceva notare, in primo luogo, come ad ammettere l’esistenza di un simile potere integrativo sarebbero divenuti lettera morta gli obblighi di motivazione imposti al giudice della cautela dall’articolo 292 c.p.p. e, prima ancora dagli articoli 13 comma 2 e 111 comma 6 Cost. e dall’articolo 5 paragrafo 2 Conv. eur.. L’orientamento consolidato, premiava le pratiche lassiste: consapevoli del potere di supplenza affidato al Tribunale del riesame, i giudici chiamati a pronunciarsi sulla richiesta cautelare non erano certo stimolati all’impegno argomentativo. A uscirne interamente vanificata era la stessa funzione di controllo attribuita al giudice dell’impugnazione, chiamato a concorrere con il primo giudice nell’adozione del provvedimento coercitivo più che valutarne la conformità alla legge. F. Caprioli, “Motivazione dell’ordinanza cautelare e poteri del giudice del riesame”, 2015, p. 10. Tutto ciò chiaramente mortificava i diritti difensivi del destinatario della misura, che avrebbe avuto contezza delle ragioni giustificatrici della coercizione solo all’esito della procedura di riesame, trasformava un mezzo di impugnazione nato con finalità esclusivamente difensive nello strumento per porre rimedio alle più gravi carenze del provvedimento cautelare; con il duplice effetto di rendere inoperative le previsioni di nullità contenute nell’articolo 292 c.p.p. e di ridurre a zero, o ad ipotesi marginali, quel potere di annullamento dell’ordinanza coercitiva che il legislatore del 1988 aveva solennemente attribuito al Tribunale del riesame dopo le reticenze del suo predecessore.

35 “Ove manchi il potere di annullare, appartiene alla fisiologia del sistema che “l’asserito vizio finisca sommerso dal gravame”, rendendo inutile la previsione sanzionatoria, F. Cordero, “Procedura”, 2012, p. 515, P. Ferrua, “Poteri istruttori del pubblico ministero e

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evitare quegli appiattimenti del giudice sulle richieste del pubblico ministero tradottisi nella diffusa e censurabile pratica del copia e incolla. Anzi, si richiede al giudice un giudizio autonomo e distinto circa la consistenza degli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare. I primi commentatori della nuova disposizione sono d’accordo nel ritenere che il legislatore si sarebbe limitato a dare veste normativa ad approdi giurisprudenziali già consolidati. La previsione dell’obbligo di annullamento delle ordinanze che non contengono “l’autonoma valutazione”, a norma dell’articolo 292 c.p.p., riprenderebbe i contenuti dell’orientamento già incline a ritenere non integrabile dal Tribunale del riesame l’ordinanza impugnata. Il legislatore codifica dunque due deroghe alla possibilità, per il Tribunale de libertate, di confermare il provvedimento impugnato, “anche per ragioni diverse da quelle indicate nella sua motivazione”36.

nuovo garantismo: un’inquietante convergenza degli estremi”, in G. Grevi, “Misure cautelari e diritto di difesa nella legge 8 agosto 1995 n. 332”, Milano, 1996, p. 260.

36 Riassumento brevemente, secondo l’orientamento da sempre prevalente il Tribunale della libertà poteva annullare, revocare, confermare il provvedimento anche per ragioni diverse da quelle indicate, sanando, con la sua motivazione le carenze argomentative del provvedimento stesso. Il limite al potere di rimediare alle carenze motivazionali del giudice per le indagini preliminari, è stato fissato nei casi in cui manca del tutto il segno grafico della motivazione del provvedimento (come nell’ipotesi della sola indicazione delle norme di legge violate, ovvero quando il supporto motivazionale sia meramente apparente). Il Tribunale doveva quindi sopperire alle necessarie integrazioni e non annullare il provvedimento. Il potere di pronunciare l’annullamento era riservato al giudice di legittimità. La dichiarazione di nullità doveva essere relegata ad extrema ratio delle determinazioni adottabili, in quanto essa discende dalla dimostrazione di una concreta lesione del diritto di difesa e non dal fatto che l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari abbia recepito integralmente ed acriticamente la richiesta del pubblico ministero. Negli ultimi anni si è fatto largo un diverso orientamento che sanziona con l’annullamento anche l’adozione di misure cautelari prive di autonoma valutazione. In una decisione la Corte di Cassazione, ha confermato l’annullamento di un’ordinanza cautelare nella quale era integralmente riportata la richiesta del pubblico ministero (vedi Cass. pen., sez. VI, 1 febbraio 2007, n. 35823, in CED, Cassazione, n. 237841). Nella medesima prospettiva di questa Sentenza si inserisce un’altra decisione che ha rimarcato come la circostanza che l’indagato conosca gli elementi dedotti dall’accusa non riveste alcuna rilevanza agli effetti della conoscenza che solo la motivazione può soddisfare (vedi Cass. pen., sez. II, 14 giugno 2012, n. 25513, in CED, Cassazione, n. 253247). Assegnare al tribunale il potere di confermare il provvedimento anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento, presuppone che il provvedimento genetico enunci le ragioni circa l’an e

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Molti i possibili profili critici della novella. Se il suo scopo, per quanto riguarda l’integrazione della motivazione da parte del riesame è davvero quello di richiamare i contenuti essenziali della motivazione cautelare, il modo in cui tale selezione è stata effettuata non può che lasciare perplessi. Per quanto riguarda i dati espressamente richiamati ( in primo luogo il generico riferimento agli elementi forniti dalla difesa, sotto il profilo dell’assenza di una loro autonoma valutazione) si nota il mancato richiamo alla fattispecie della mancata esposizione dei motivi per i quali tali elementi a favore non sono stati ritenuti rilevanti, cosi come invece richiesto dall’articolo 292 comma 2 lettera c-bis). Volendo escludere un’interpretazione eccessivamente restrittiva del dato testuale, si dovrebbe comunque ritenere possibile arrivare alla conclusione secondo cui il rinvio alla mancata autonoma valutazione di tali elementi comprenda anche l’ipotesi in cui non siano state indicate le ragioni della loro irrilevanza. Altro punto di frizione rispetto all’esigenza di tutela dei diritti del soggetto si ravvisa nel mancato riferimento nel comma 9, a tutte le tipologie di elementi a favore dell’imputato richiamati dall’attuale comma 2-ter

il quando della cautela, e trasferisce sul riesame una funzione non solo integrativa ma funzionalmente surrogatoria dell’obbligo motivazionale. In questo contesto è intervenuta la modifica dell’articolo 309 c.p.p.. La disposizione, imponendo al tribunale di annullare non solo il provvedimento privo in senso grafico della motivazione, ma anche quello che non presenta l’autonoma valutazione, introduce un’eccezione al generale potere di integrazione dell’organo dell’impugnazione. Il Tribunale della libertà deve integrare il provvedimento quando, pur in presenza di un’autonoma valutazione degli elementi addotti dalla pubblica accusa, ravvisi una motivazione insufficiente o un vizio di carattere logico, fattuale o giuridico nel ragionamento del giudice. Simili difetti possono investire sia il tema dei gravi indizi di colpevolezza, che quello relativo alle esigenze cautelari, anche sotto il profilo dell’adeguatezza e dell’idoneità della misura cautelare prescelta, ma non potrà condurre all’annullamento. Il Tribunale della libertà dovrà inoltre completare l’ordinanza qualora la carenza motivazionale emersa concerna solo l’esposizione degli elementi previsti a pena di nullità dell’articolo 292 c.p.p.. Ne consegue che, anche dopo la riforma, un provvedimento cautelare che impiegasse la tecnica di redazione del richiamo per relationem e che, dunque, contenesse ampi riferimenti agli atti delle indagini, al più imporrà al tribunale un’integrazione, ma non potrà essere annullato. La ragione di una simile disciplina è garantire la realizzazione del diritto di difesa inteso come contraddittorio. Se manca l’autonoma valutazione degli elementi indiziari o di quelli che manifestano i gravi indizi, manca il terrendo di gioco su cui si può sviluppare il contraddittorio tra le parti.

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dell’articolo 292 (tale norma non è da considerare un doppione di quella contenuta nel comma 2 lettera c-bis, in quanto quest’ultima riguarda elementi logici, mentre la prima si riferisce ad elementi di fatto). Se infatti, da un lato, il generico riferimento agli elementi forniti dalla difesa operato dalla novella può includervi l’attività di investigazione difensiva, dall’altro, resta trascurato l’apporto che può derivare dall’imputato dagli accertamenti sui fatti e circostanze a lui favorevoli cui abbia, eventualmente, provveduto il pubblico ministero in fase di indagini ai sensi dell’articolo 358 c.p.p.. Problematico anche il richiamo all’omessa valutazione delle esigenze cautelari e degli indizi, senza alcuna esplicita menzione degli altri aspetti considerati dall’articolo 292 c.p.p., come l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti, delle ragioni per cui assumono rilevanza. Ci si chiede, se anche in questo caso, la nuova fattispecie di annullamento dell’ordinanza, debba ricondursi ai soli vuoti integrali della motivazione sul punto, ovvero anche ad ogni ipotesi di difformità della motivazione cautelare rispetto al modello legale delineato dall’articolo 292 c.p.p.. Criticabile anche il mancato richiamo della lettera c-bis) nella parte in cui richiede, per il caso della custodia cautelare in carcere, l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni che escludono la possibilità di soddisfare le esigenze cautelari con misure meno afflittive (nel rispetto del principio di adeguatezza e extrema ratio indicati nell’articolo 272 comma 3 c.p.p.). Sarebbe stata opportuno, prevedere espressamente l’annullamento da parte del Tribunale del riesame non solo in caso di mancanza assoluta della motivazione ma anche nei casi di motivazione meramente apparente o solo parziale, in quanto carente sotto uno dei diversi profili che, il giudice della cautela, ai sensi dell’articolo 292 c.p.p., è tenuto a considerare a pena di

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nullità. La stessa dottrina mette in luce le conseguenze pregiudizievoli in termini di sacrificio di alcuni principi fondamentali costituzionali che la soluzione porta con sé: il riferimento è all’articolo 111 della Costituzione, nella parte in cui impone che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivati; all’articolo 13 comma 2, che consente le limitazioni della libertà personale solo a fronte di un atto motivato dell’autorità giudiziaria, nonché, come già indicato all’articolo 24 Costituzione sotto il profilo del diritto di difesa. Con riguardo all’articolo 13 della Costituzione, si nota come, ammettendo il potere di integrazione ad opera del giudice del riesame, si finisca per esonerare di fatto quello di prima istanza dall’obbligo di motivazione. Rispetto a tale critica si obietta osservando come a fronte di eventuali deficit del provvedimento originario ci sia la possibilità per la parte interessata di ricorre alla Corte di Cassazione per saltum contro l’ordinanza originaria. L’argomento non convince, con il ricorso diretto in Cassazione rimane precluso ogni tipo di controllo nel merito sull’ordinanza, e si corre il pericolo che possano continuare a produrre effetti provvedimenti infondati nei loro presupposti di fatto e che risultino avvallate prassi applicative discorsive della garanzia che l’obbligo di motivazione rappresenta. Inoltre, il riconoscimento al Tribunale del riesame del potere di integrazione determina un particolare effetto sui rapporti tra gli organi che impongono la coercizione e quelli che operano una valutazione critica sulla originaria valutazione. Non si rispetta la giusta indipendenza che deve sussistere tra controllante e controllato. Si affida al controllante “un’anomala posizione di supporto” dell’operato di chi ha disposto la misura. Sarebbe al riguardo configurabile un difetto di legittimazione all’organo del riesame. Il diritto di difesa è infine compresso

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se si considera che, in caso di integrazione della motivazione, l’accusato viene a conoscere delle ragioni giustificatrici della privazione della propria libertà solo dopo aver esperito l’unico mezzo di impugnazione nel merito a sua disposizione: in qualche modo esercita al buio le doglianze nel merito della misura. Quindi in definitiva, la novella, mette al bando dal sistema ogni tipo di argomentazione apparente o per relationem e questa operazione è idonea a precludere al Tribunale del riesame ogni intervento integrativo basato su quel paventato rapporto di complementarietà tra ordinanza applicativa e provvedimento di conferma in sede di riesame. L’imposizione dell’intervento più radicale, l’annullamento, con il quale viene meno la cautela e il soggetto viene messo in libertà, restringe, in una prospettiva garantista, il potere del giudice del riesame di sostituire con le proprie valutazioni le lacune del provvedimento cautelare. Questa espressa positivizzazione del dovere di annullamento della motivazione cautelare assente o carente di alcuni requisiti conduce a chiedersi se la novella porti con sé o richieda un cambio di vedute circa la natura da riconoscere al riesame. Come già detto nel primo capitolo il riesame è stato introdotto con la legge n. 532 del 1982 per assicurare ai soggetti sottoposti a privazione della libertà personale, la possibilità di controllare il rispetto della legalità sostanziale della misura. Inizialmente la sua funzione era riequilibrare le posizioni di accusa e difesa nella vicenda cautelare, oggi il riesame è strumento di garanzia, che verifica l’adeguatezza, la proporzionalità la legittimità dell’azione cautelare, un tribunale sicuramente più attento al rispetto dei principi costituzionali e alla posizione del soggetto privato della libertà. Oggi si può affermare, che al riesame, resta affidata l’essenziale funzione di primo effettivo controllo sul corretto esercizio del potere

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cautelare. E’ davvero cosi? Si deve ricordare, che il giudizio ex articolo 309 c.p.p., interviene solo successivamente all’esercizio del potere coercitivo e questo comporta che il contraddittorio davanti ad un organo giudiziario circa il rispetto sulla sussistenza dei presupposti applicativi della misura, e quindi sulla legittimità dell’ordinanza, avviene soltanto quando la privazione della libertà è stata posta in essere. Da sempre un aspetto controverso è quello di stabilire se il riesame costituisca un gravame, oppure un rimedio diretto all’invalidazione (intesa come revoca o annullamento del provvedimento applicativo della misura). Sicuramente la presa di posizione del legislatore in favore dell’annullamento del provvedimento cautelare in luogo dell’integrazione della motivazione, farebbe presumere una concezione del giudizio di riesame non come una valutazione del rapporto giuridico sotteso al provvedimento ma come decisione limitata ad un vaglio sull’atto con il quale il potere cautelare sia stato esercitato. Più che un giudizio ex novo sulla vicenda cautelare, il procedimento de libertate viene configurato come rimedio per l’invalidazione di un atto che si ritenga illegittimo.

Orientamenti certo più favorevoli evidenziano il fatto che, l’attribuzione, al tribunale, del solo potere di annullare, (e non più integrare) l’ordinanza cautelare nel caso in cui si ravvisi un “appiattimento acritico” del giudice sulla “parte pubblica”, quanto al percorso valuativo, (e quindi, di fatto, un’assenza di motivazione) per un verso, consente di porre fine a un risulato che giustamente veniva definito come paradossale: con l’impugnazione, il soggetto ristretto in base ad un titolo inadeguatamente motivato, non solo non otteneva la dichiarazione di nullità ex art. 292,

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comma 2, c.p.p., pur trattandosi di una invalidità espressamente prevista dalla legge come rilevabile d’ufficio, ma finiva per fare un favore al giudice emittente, in soccorso del quale interviene, proprio grazie al riesame, il tribunale, che consolida così l’azione cautelare. Per altro verso, restituisce coerenza al sistema, perché il preesistente implicito riconoscimento di una sorta di delega al giudce del controllo rispetto ad obblighi che non possono essere adempiuti dal giudice che dispone la misura restrittiva contrasta con l’estrema attenzione con cui il legislatore ha inteso disciplinare tale tematica nell’articolo 292 c.p.p., ove lo sforzo di analisi supera persino quello dedicato alla motivazione della sentenza dibattimentale.37

37 E. Turco, “La riforma delle misure cautelari”, Proc. pen e giustizia, 2015, p. 13, E. Marzaduri. “Linee di riforma delle impugnazioni de libertate”. Relazione svolta in occasione del Convegno annuale dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale, Dir. pen. contemp., 2014, p. 11.

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3.5 Ulteriori effetti della novella: il nuovo testo del decimo comma

dell’articolo 309

Nel testo finora vigente il decimo comma dell’articolo 309 prevedeva che l’ordinanza applicativa perdesse efficacia in due sole specifiche ipotesi: da un lato quella in cui gli atti posti a sostegno della richiesta di misura non fossero stati trasmessi entro il termine di cinque giorni dalla richiesta, ai sensi del quinto comma dello stesso articolo 309; dall’altro, quella in cui la decisione sulla richiesta di riesame non fosse intervenuta entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, ai sensi del nono comma dell’articolo 309 c.p.p38.. A tale proposito si era consolidata in giurisprudenza

l’interpretazione secondo cui il termine doveva ritenersi rispettato se, entro il decimo giorno dalla ricezione degli atti, il tribunale avesse deliberato sulla richiesta di riesame ed avesse provveduto al deposito del dispositivo: non risultando invece necessario il deposito, nei dieci giorni, anche della motivazione dell’ordinanza (in assenza di previsioni specifiche, si faceva rinvio ai contenuti dell’articolo 128 c.p.p., dove, come noto, è previsto un termine meramente ordinatorio di cinque giorni, non di rado disatteso dalla prassi giudiziaria) 39. Pacifica era anche l’ulteriore affermazione per cui, in

38Corte di cass., Uffico del massimario, “Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari”, Rel. n. III/03/2015.

39 Questo orientamento finiva per sacrificare il diritto dell’imputato ad avere una tempestiva risposta alla domanda di controllo sulla legalità del provvedimento restrittivo: il deposito di una decisione non accompagnata dalla comunicazione delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura cautelare personale non sembra poter assolvere al disposto dell’articolo 5 par. 4 Cedu, che intende tutelare l’individuo contro l’arbitrio e che, quindi, deve assicurargli una garanzia fondamentale: sapere il perché della propria detenzione.

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caso di perdita di efficacia della misura ai sensi del combinato disposto dell’articolo 309, nono e decimo comma, “è legittima la reiterazione della misura cautelare, ancorchè applicata prima che sia posto in esecuzione il provvedimento di liberazione conseguente alla perdita di efficacia della precedente ordinanza, poiché la regola della preclusione processuale, in forza del principio del “ne bis in idem”, opera solo quando il provvedimento sia annullato in conseguenza di un riesame nel merito e non quando l’inefficacia della misura sia conseguenza di vizi puramente formali”40. Un contrasto giurisprudenziale era invece insorto sulla

necessità, per il giudice procedente, di espletare un nuovo interrogatorio dell’indagato prima del ripristino del regime custodiale41.

Con la novella, le maglie dell’inefficacia del provvedimento cautelare si sono ampliate, la nuova formulazione del decimo comma dell’articolo 309 c.p.p. introdotto dall’articolo 11 comma quinto recita: “Se la trasmissione

degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L’ordinanza

Inoltre, anche se la nostra giurisprudenza fa decorrere i termini per il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame dalla data del deposito della motivazione e non da quella del deposito del dispositivo, non si possono negare evidenti conseguenze sul piano della possibilità di procedere in tempi brevi e comunque prevedibili all’impugnazione della decisione emessa ai sensi dell’articolo 309 c.p.p.. E. Marzaduri, “Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al Tribunale della libertà”, 2015, p. 18. Vedi anche Corte di cass., Uffico del massimario, “Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari”, Rel. n. III/03/2015.

40 Cass. sez. V, 15 luglio 2010, n. 35931, Toni, 248417.

41 Sul punto sono intervenute le Sezioni unite, affermando che il giudice “non è tenuto ad interrogare l’indagato prima di ripristinare nei suoi confronti il regime custodiale né a reiterare l’interrogatorio di garanzia successivamente all’esecuzione della nuova misura, sempre che tale adempimento sia stato in precedenza regolarmente espletato e sempre che l’ultima ordinanza cautelare non contenga elementi nuovi e diversi rispetto alla precedente, sez. un., 24 aprile 2014, n. 28270, Sandomenico, 260016.

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