• Non ci sono risultati.

CAPITOLO I Il contesto I.1 Le indagini archeologiche presso gli ex laboratori Gentili

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO I Il contesto I.1 Le indagini archeologiche presso gli ex laboratori Gentili"

Copied!
19
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO I Il contesto

I.1 Le indagini archeologiche presso gli ex laboratori Gentili

Il contesto del quale si offre in questa sede una proposta di restituzione museale è venuto alla luce durante le indagini archeologiche, ancora in corso di svolgimento, effettuate a partire dal dicembre del 2008 presso gli ex laboratori Gentili di Pisa. Nato agli inizi del Novecento con il nome di Istituto Galenico, trasformato successivamente in Istituto Gentili S.p.A., il complesso farmaceutico oggetto di indagine si situa nella parte

sudoccidentale della città, occupando un’area di circa 8.500 m2 compresa fra le vie

Sant’Antonio, A. Mario e G. Mazzini; luogo simbolo dell’economia pisana, esso è stato dismesso a partire dalla seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso, con il trasferimento della sede e delle strutture dell’azienda nella zona industriale ed artigianale di Pisa. L’area è così rimasta abbandonata fino ad anni recentissimi, quando ha preso avvio un imponente progetto di recupero edilizio ad opera della società Borgo Sereno di Lucca, che ha acquisito il complesso allo scopo di attuarne la riconversione funzionale, destinandolo ad

uso prevalentemente residenziale. L’opera1, iniziata nel 2008 e tutt’ora in fase di

attuazione, prevede la ristrutturazione edilizia ed il restauro conservativo dei tre nuclei storici di edifici prospicienti le vie suddette, al fine di ripristinare la morfologia sia degli spazi interni, mediante la demolizione di tramezzature incongrue e la conservazione e valorizzazione delle caratteristiche architettoniche di pregio, sia delle facciate interne, tramite lo smontaggio delle superfetazioni incongruenti; lo spazio al centro dell’area, liberato con lo smantellamento dei fabbricati industriali, sarà invece interessato dalla costruzione di un nuovo edificio ad uso residenziale, da un parcheggio interrato disposto su due livelli e dalle sistemazioni a giardino.

Poiché gli ex laboratori Gentili rientrano nell’area di declaratoria archeologica, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ha richiesto il controllo di tutte le fasi di movimentazione terra e lo scavo stratigrafico manuale delle eventuali evidenze messe in luce. Le indagini, eseguite dalla Giano, società della quale fa parte la scrivente, sotto la direzione scientifica delle funzionarie della Soprintendenza dott.ssa E. Paribeni e

(2)

successivamente dott.ssa S. Ducci, hanno previsto una fase preliminare di sorveglianza alle operazioni di campionamento del terreno, finalizzate al rilevamento dello stato ambientale dell’area; ad essa è seguito il controllo delle opere di escavazione, funzionali alla messa in posa dei sottoservizi all’interno dei due blocchi di edifici storici lungo via A. Mario (fig. 1, 1) e via G. Mazzini (fig. 1, 2), unitamente allo scavo stratigrafico manuale delle evidenze di volta in volta portate allo scoperto2.

fig. 1 - pianta dell’area del complesso degli ex laboratori Gentili

2 L’indagine archeologica contestuale al campionamento del terreno (assistenza allo scavo di trincee tramite mezzo meccanico e lettura archeologica dei carotaggi), eseguita nel novembre del 2006 sotto la direzione scientifica della dott.ssa Paribeni, aveva già consentito di individuare alcuni indicatori di produzione, quali scorie di lavorazione e frammenti di vetro in rottame; il controllo archeologico della movimentazione terra, iniziato nel dicembre del 2008 dopo la demolizione dei fabbricati industriali ed eseguito sotto la direzione scientifica della dott.ssa S. Ducci, ha immediatamente messo in evidenza le potenzialità archeologiche dell’area, dando vita ad una lunga campagna di scavo, interamente finanziata dalla Borgo Sereno S.r.l.. Allo stato attuale sono state completate le indagini all’interno degli edifici prospicienti via A. Mario e via G. Mazzini, in attesa che la messa in sicurezza degli stabili lungo via Sant’Antonio (fig. 1, 3) permetta l’intervento anche al loro interno.

(3)

L’intervento nell’area centrale (fig. 1, 4) è stato articolato in più fasi, sulla base delle esigenze di tutela delle eventuali evidenze sommerse, tenendo in considerazione la peculiare tecnica scelta per l’esecuzione dei diaframmi perimetrali dell’invaso del

parcheggio interrato3. Dopo la rimozione dei plinti in cemento di fondazione dei

fabbricati industriali, eseguita sotto controllo degli archeologi, sono state effettuate alcune trincee tramite mezzo meccanico lungo il perimetro del parcheggio interrato ed al centro dell’area, al fine di identificare le zone presentanti una buona conservazione delle

stratigrafie archeologiche4; sulla base dell’esito di queste si è successivamente proceduto

allo scavo manuale di tre saggi - uno dei quali ha restituito importanti evidenze - prima dell’inizio delle opere di realizzazione del parcheggio interrato5.

Le indagini così articolate hanno permesso di ricostruire in via preliminare6 la fasi di vita dell’area settentrionale del complesso degli ex laboratori Gentili, in corrispondenza del blocco di edifici storici situati in fregio a via A. Mario7. Qui ancora sullo scorcio del XII secolo insisteva un’ampia zona paludosa, nella quale l’unica emergenza era rappresentata da una ridotta porzione di terreno più elevato che ha restituito tracce delle attività di lavorazione del vetro ed in minor misura di leghe metalliche.

Tra la fine del XII secolo e gli inizi del successivo, in concomitanza con la riperimetrazione delle mura cittadine avviata da Cocco Griffi, l’area conosce un

3 È stata scelta la tecnica nota come jet grounting, che consiste nell’iniezione nel terreno, tramite una macchina perforatrice, di una miscela cementizia, così da formare serie contigue di micropali senza dover scavare e successivamente armare lo scavo per la creazione dei setti. La tecnica non permette alcun controllo visivo del terreno così perforato e cementato, essa inoltre si è rivelata inadatta alla conformazione del sottosuolo di Pisa, poiché laddove quest’ultimo presentava stratificazioni meno coerenti, la miscela cementizia è risultata ingovernabile, estendendosi anche al di fuori del perimetro previsto e danneggiando le fondazioni degli edifici circostanti.

4 L’edificazione degli stabili degli ex laboratori Gentili aveva infatti pesantemente alterato buona parte dello spazio centrale.

5 Al termine dello scavo dei saggi (giugno 2010) le indagini archeologiche sono state sospese per consentire la realizzazione dei setti tramite jet grounting; esse sono riprese da poco (agosto 2011), sotto la direzione scientifica del nuovo funzionario competente per il territorio dott. A. Camilli, con il completamento dei saggi all’interno degli edifici prospicienti via A. Mario e l’inizio delle escavazioni per la realizzazione dell’invaso del parcheggio, tutt’ora in corso. Entrambi gli interventi stanno restituendo importanti dati, non inclusi nel presente progetto di musealizzazione.

6 I risultati presentati in questa sede sono frutto delle osservazioni condotte nel corso delle indagini, per altro da completare. Solo di una parte della cospicua messe di reperti mobili è stato avviato lo studio, mentre è in corso di completamento la messa in fase delle stratigrafie afferenti ai diversi ambienti indagati. 7 Le indagini nel blocco di edifici lungo via G. Mazzini hanno restituito pochi dati; nella maggior parte degli ambienti di questo settore non sono, infatti, emerse evidenze archeologiche durante il controllo dell’asportazione dei livelli sottopavimentali fino alla quota di progetto. Solo in cinque stanze sono stati effettuati dei saggi stratigrafici, dei quali due estesi a tutta l’ampiezza delle stesse, che hanno messo in luce livelli di frequentazione postmedievali, ad eccezione di un ridotto lacerto pavimentale che i reperti assegnano al XIII secolo.

(4)

improvviso sviluppo urbanistico e viene completamente ridisegnata tramite la colmatazione della palude e la costruzione in rapida successione, lungo il fronte meridionale dell’attuale via A. Mario, di almeno quattro edifici, intervallati da assi viari secondari in corrispondenza dell’ideale prosecuzione dei tracciati degli odierni vicolo delle Conce e vicolo della Nunziatina. La rapidità e l’organicità dell’intervento sembrano rispecchiare un embrionale piano di sviluppo urbanistico, forse da ricondurre agli interessi economici ed all’espansione imprenditoriale della consorteria di nobili famiglie pisane, capeggiate dai Cortevecchia Gualandi, alla quale si deve la concomitante costruzione di un

nuovo ponte sull’Arno. Le fonti documentarie8 attestano, infatti, come nel 1182

quest’ultima si accordò con l’arcivescovo ed il capitolo, ottenendo il permesso di erigere un ponte che collegasse le due sponde del fiume all’altezza degli assi viari corrispondenti alle attuali vie Sant’Antonio e Santa Maria, ma il progetto venne fortemente avversato da altre nobili famiglie, contrarie al fatto che una fazione avesse in mano il secondo dei due

passaggi sull’Arno9. Ne nacque una lotta armata che devastò la città, tanto da impedire per

quell’anno la regolare elezione dei consoli, ma alla fine i Cortevecchia Gualandi ebbero la meglio ed i lavori, avviati nel 1183, portarono in breve tempo all’erezione di un ponte ligneo su piloni in muratura, munito di una parte centrale mobile per consentire il transito

fluviale10; nel medesimo torno di tempo l’area gravitante intorno all’attuale via

Sant’Antonio venne dotata di una nuova chiesa, intitolata ai Santi Cosimo e Damiano, che le fonti situano appunto nella “via nova quae ducitur ad caput Pontis novis”11.

Dei quattro edifici che compongono il nucleo storico indagato lungo via A. Mario, uno in particolare si distingue non solo per la maggior ampiezza, ma soprattutto per la presenza al primo piano di affreschi di notevole pregio, risalenti alla metà del XIII secolo, al di sotto dei quali i restauri hanno messo in luce le tracce di decorazioni pittoriche antecedenti, da ricondurre alla prima fase di vita della struttura. Insieme a queste, anche le estese pavimentazioni in cotto rinvenute testimoniano della destinazione esclusivamente residenziale che tali edifici ebbero al momento della loro costruzione, ma in un breve lasso di tempo, per motivi ancora non perspicui, gli ambienti al piano terra vennero adibiti ad attività produttive: le indagini hanno portato alla luce un’intera bottega destinata alla

8 Sulla questione cfr. RONCIONI 1844-1845,pp. 404-409, ripreso in TOLAINI 1992, p. 97.

9 All’epoca esisteva già il Pons Arni, ribattezzato poi Pons Vetus, che univa le due sponde in corrispondenza dell’attuale Ponte di Mezzo.

10 Il ponte, detto Pons Novus, venne distrutto da una piena nel 1419 e mai più ricostruito.

(5)

lavorazione delle leghe di rame, mentre altri indicatori attestano la concomitante prosecuzione della lavorazione del vetro e di quella del ferro. Le ceramiche pertinenti a questa fase del complesso annoverano, oltre alle produzioni locali in maiolica arcaica ed invetriata verde pisana, anche un’elevata percentuale di prodotti di importazione mediterranea: dalla Liguria (graffita arcaica tirrenica, ingobbiata monocroma, tegami da cucina invetriati di produzione savonese) e dall’Italia meridionale, in particolare da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, ma anche dalla penisola iberica (produzioni andaluse e valenzane, tra le quali esemplari a lustro metallico), dal Nordafrica (ceramiche smaltate e decorate in blu cobalto e bruno manganese di produzione tunisina) ed in minor misura dall’Oriente bizantino (Zeuxippus ware) 12.

Le attività produttive cessano bruscamente agli inizi del Quattrocento, come risulta dalla sequenza stratigrafica che mostra una netta cesura, rappresentata da un livello di

obliterazione di notevole potenza13 che segna uno stacco nella cronologia dei materiali: la

ceramica degli strati sottostanti a tale livello, infatti, non oltrepassa la soglia del XV secolo, mentre quella rinvenuta nelle stratigrafie soprastanti è ad essa posteriore. La datazione della defunzionalizzazione delle botteghe artigianali, alla quale segue un periodo di abbandono dell’area, induce ad ipotizzare come causa dell’improvvisa cessazione delle attività la conquista di Pisa da parte dei Fiorentini nel 1406 e la successiva politica messa in atto da questi ultimi, tesa a reprimere ogni possibile forma di resistenza anche tramite il drastico ridimensionamento dell’economia locale.

Il complesso conosce una nuova rivitalizzazione, anche urbanistica, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, quando a Pisa prende avvio una fase di grande rinnovamento con l’integrazione nello stato granducale ed il conseguente trasferimento in città di esponenti della nobiltà commerciale fiorentina. Al fine di creare spazi residenziali più ampi ed articolati, gli edifici lungo via A. Mario vengono accorpati tramite la chiusura degli stretti assi viari che li separano e la realizzazione di nuove facciate unitarie, mentre sul retro viene realizzato un chiostro colonnato munito di un camminamento coperto e

12 I dati qui brevemente riportati si devono allo studio che la dott.ssa Beatrice Fatighenti sta conducendo nell’ambito del suo progetto di dottorato presso l’Università degli Studi di Pisa (La ceramica bassomedievale

della Toscana settentrionale (secc. X-XIV). Produzione, circolazione, consumo); essi sono stati esposti in forma

preliminare nel corso del convegno “Insediamenti tardoantichi e medievali lungo l’Appia e la Traiana. Nuovi dati sulle produzioni ceramiche” (Santa Maria Capua Vetere, 23 e 24 marzo 2011); cfr. FATIGHENTI B., La ceramica bassomedievale a Pisa: dai commerci sub regionali alla circolazione mediterranea. Dati

preliminari dallo scavo degli ex laboratori Gentili (Pi), in c.s.

(6)

pavimentato in cotto, ed i restanti spazi aperti vengono adibiti a giardino. Per questa fase continuano le produzioni ceramiche locali, rappresentate da graffite a punta e a stecca sia monocrome sia policrome, da ceramiche a fondo ribassato, fino alle maculate ed alle marmorizzate, mentre per quanto attiene alle importazioni prevalgono le maioliche e la zaffera a rilievo di Montelupo, insieme a prodotti dalla Liguria (smalto berrettino, ceramiche graffite) e dalla Spagna (ceramiche a lustro metallico e a decori in azzurro)14.

Gli edifici manterranno questo aspetto fino alla fine del XVIII secolo, quando tutto l’isolato compreso fra le vie A. Mario, A. Manzoni, G. Mazzini e Sant’Antonio appare suddiviso in lotti adibiti a residenze private, talora munite di orti interni e botteghe, secondo una parcellizzazione che risponde alle nuove esigenze abitative dovute al sensibile incremento demografico registrato in città tra XVIII e XIX secolo. Agli inizi del secolo scorso l’isolato, divenuto di proprietà della famiglia Gentili, viene infine destinato agli omonimi laboratori farmaceutici.

14 La ceramica postmedievale è una delle classi di reperti mobili dei quali ancora non è stato ancora avviato lo studio.

(7)

I.2 Lo scavo delle manifatture del bronzo e del vetro

Il contesto del quale si propone in questa sede la restituzione museale è relativo alle attività di lavorazione delle leghe metalliche, del vetro e del ferro, portato alla luce durante le indagini effettuate nel complesso di edifici prospicienti via A. Mario e cronologicamente inquadrabile tra la fine del XII e gli inizi del XV secolo. Le evidenze ad esso pertinenti sono rappresentate sia da reperti mobili, alcuni dei quali costituenti degli

unica nel panorama archeologico non solo pisano, ma anche nazionale, sia da

apprestamenti e strutture che consentono di ricostruire i differenti cicli produttivi nella loro interezza e di comprendere l’articolazione spaziale e funzionale di una bottega del bronzo in epoca medievale.

fig. 2 - pianta degli edifici lungo via A. Mario con il posizionamento delle strutture di produzione identificate

I dati di maggior importanza, infatti, sono emersi nel corso dello scavo di un ambiente situato al piano terra dell’edificio di maggior ampiezza tra quelli che furono eretti sullo scorcio del XII secolo lungo il fronte della strada corrispondente all’attuale via A. Mario (fig. 2). In tale ambiente, al di sotto di un livello di obliterazione di considerevole

potenza15, è stata portata alla luce una superficie costituita da differenti strati,

15 Lo strato risultava composto prevalentemente da scorie di ferro e scisti, mentre tra l’esiguo materiale residuale si segnalano laterizi con tracce di combustione o di vetrificazione, carboni anche di ragguardevoli dimensioni e frammenti di crogioli e di maiolica arcaica; alla luce della cronologia dei materiali emersi nei livelli sottostanti e soprastanti e del fatto che tale strato si individua anche nelle successioni stratigrafiche

(8)

corrispondente al piano di calpestio dello spazio adibito alla realizzazione di manufatti in bronzo, dalla fusione della materia prima allo stoccaggio ed alla vendita. La superficie presenta innanzi tutto due strati con significative tracce di termotrasformazione, interpretati come bassofuochi dei forni di fusione, nei quali veniva alloggiato il crogiolo contenente i lingotti di rame/stagno o di bronzo (in quest’ultimo caso insieme probabilmente a rottami di bronzo); il rinvenimento di numerose tuyères indica come

questi venissero alimentati tramite mantici, azionati manualmente16, il cui ugello era forse

preservato dagli eccessivi sbalzi termici tramite una protezione ricavata da corni di

caprovini17. In prossimità di uno dei due forni individuati è presente un foro circolare,

circondato da residui di bronzo, il cui diametro corrisponde esattamente a quello di un

crogiolo18; tale zona era dunque riservata alla colatura della lega metallica nello stampo,

alloggiato a sua volta in un crogiolo, al fine di minimizzare le perdite del prezioso materiale. Accanto al foro ed al forno di fusione è stata portata alla luce una struttura costituita da alcuni mattoni di reimpiego disposti su due file affiancate, identici nelle dimensioni a quelli di alcuni lacerti pavimentali emersi nell’ambiente. L’orditura e la quota alla quale giacciono questi ultimi li assegnano alla prima fase di vita degli edifici, confermandone l’iniziale ed esclusiva vocazione residenziale; sembra probabile, dunque, che al momento dell’impianto della bottega nell’ambiente in esame il pavimento in cotto sia stato parzialmente smantellato, per adattare lo spazio alle attività che in esso si svolgevano, e che parte dei mattoni che lo costituivano sia stata reimpiegata per la messa in posa della struttura sopra descritta. Essa probabilmente fu utilizzata come

alloggiamento di un bancone ligneo19, sul quale gli stampi venivano frantumati ed i

manufatti in bronzo rifiniti tramite taglio e limatura20, come si evince dal consistente

strato di polvere di bronzo mescolato a numerosissimi oggetti in differenti stadi di lavorazione, rinvenuto sul lacerto pavimentale posto alla sua base.

di altri saggi, esso è stato interpretato come obliterazione e livellamento conseguente alla presa fiorentina di Pisa nel 1406.

16 Come induce ad ipotizzare la mancanza di condotti idraulici per l'azionamento meccanico, peraltro tipico della rivoluzione tecnica della fine del XIV - inizi del XV secolo; cfr. ZAGARI 2005, pp. 76 ss.

17 V. infra p. 11; all’alloggiamento dei mantici erano forse funzionali alcune buche circolari identificate nell’ambiente.

18 Sui reperti mobili afferenti alle lavorazioni artigianali attive nell’area v. infra pp. 9 ss.

19 La presenza di un ulteriore piano rettangolare di mattoni, identificato in prossimità del bancone, è forse da interpretare come base di appoggio di uno sgabello.

20 Sono stati rinvenuti alcuni strumenti impiegati probabilmente in tale fase di lavorazione, come una pinza in bronzo e numerose pietre pomici.

(9)

La bottega era probabilmente completata da una parte dedicata allo stoccaggio ed alla vendita dei prodotti finiti. Alla prima è forse da riferirsi una struttura parzialmente seminterrata in mattoni di reimpiego, rinvenuta in appoggio al muro perimetrale est dell’ambiente; i numerosi chiodi in ferro venuti alla luce sul fondo del taglio del piano di calpestio nel quale è alloggiata fanno ipotizzare che fosse chiusa da un coperchio in legno. In prossimità di questa un bancone in muratura, in corrispondenza di un affaccio sul fronte di via A. Mario, consentiva forse la vendita dei prodotti in essa contenuti, in ottemperanza al divieto di vendere “fuori di bottega” esplicitamente indicato nel Breve artis

fabrorum pisanae civitatis al capitolo XLVII21.

L’ingente quantità di reperti22 - per lo più in frammenti - legati al ciclo produttivo del

bronzo è venuta alla luce nelle aree limitrofe ed esterne alla bottega, in strati residuali delle attività di ripulitura degli ambienti di lavorazione o in successivi rialzi del piano di calpestio, resisi necessari a seguito del progressivo innalzamento della quota dell’acqua di falda e realizzati sfruttando terra di risulta e materiale provenienti dalle pertinenze dell’adiacente bottega e dai chiassi circostanti23.

Oltre ai frammenti di crogioli impiegati per la fusione del bronzo, alcuni dei quali recanti ancora sul fondo le tracce di questa lega, e ad un esemplare eccezionalmente integro, il dato di maggior interesse è rappresentato dagli stampi fittili utilizzati per modellare i manufatti prodotti nella bottega. Essi sono stati rinvenuti in frammenti, poiché venivano frantumati successivamente al raffreddamento della colatura per estrarne gli oggetti da rifinire, ma alcuni esemplari stracotti hanno consentito di identificarne la tipologia, il cui

unico confronto attualmente noto proviene da contesti inglesi24. Si tratta di stampi per la

fusione a grappolo a matrice multivalve, costituiti da più lastre sagomate su entrambe le facce, in modo tale che spesso il negativo impresso sull’una non corrispondesse al

21 SIMONETTI 1894, p. 54.

22 Il materiale è in corso di studio e deve ancora essere quantificato con precisione, tuttavia ad una stima preliminare si contano un centinaio di cassette di frammenti di crogioli, circa 30 cassette di frammenti di stampi in ceramica, 20 cassette di manufatti in lega di rame, 10 cassette di materiali in ferro, 40 cassette di scorie e laterizi vetrificati, 8 cassette di tuyères, 5 cassette di piano forato in argilla ed altre 12 cassette di materiali vari legati alla produzione.

23 Oltre a numerosi frammenti di stampi fittili e crogioli con tracce residuali di bronzo, tali strati hanno restituito materiali eterogenei riconducibili a scarichi domestici e depositi di origine fluviale, peculiari delle stratigrafie dei chiassi (resti ossei, frammenti ceramici - databili ad un arco cronologico che va dagli inizi del XIII alla seconda metà del XIV secolo - stoviglie in vetro, salvadanai, monete - tra le quali si segnalano tre denari grossi in argento e due tessere monetali nel medesimo materiale - ed un candelabro in bronzo). 24 Si tratta degli scavi effettuati nell’area urbana di Londra, in particolare quelli presso la Guild Hall Art Gallery; cfr.EGAN -PRITCHARD 2010,p. 122 s.

(10)

negativo sull’altra; al momento dell’assemblaggio esse erano combinate fra loro e chiuse da un’incamiciatura fittile che, nel caso di matrici identiche, recava impressa sulla superficie esterna l’impronta del prodotto da ottenere.

Un saggio di scavo effettuato a sud della bottega, in un’area porticata delimitata ad est da un muro di recinzione, che la separava dal vicolo interposto fra l’edificio di maggior pregio e gli altri fabbricanti prospicienti via A. Mario, ha portato alla luce il forno di cottura degli stampi, che è stato asportato tramite cassaforma in gesso. La struttura misura circa 1,2 x 0,5 m e si presentava rasata pochi centimetri al di sopra del piano di posa; in essa si riconosce il prefurnio, di circa 70 cm di lunghezza, e la camera di combustione costituita da una cella circolare di circa 50 cm di diametro; al di sopra della rasatura sono stati recuperati gran parte del piano forato e diversi elementi pertinenti alla copertura. Questo ritrovamento fa supporre che tutti i reperti fittili quali crogioli, stampi e gli stessi forni, venissero realizzati da addetti specializzati che lavoravano all’interno dell’officina.

Gli stampi fittili erano impiegati per la realizzazione di differenti tipologie di fibbie ed

anelli in bronzo, rinvenuti in gran numero durante le indagini25; tali reperti testimoniano

dei diversi stadi di lavorazione necessari per arrivare al prodotto finito poiché, accanto ad esemplari pronti per essere commercializzati, sono stati recuperati reperti bronzei ancora nello stampo fittile, esemplari appena estratti con più o meno evidenti tracce di colatura del metallo, malfatti e scarti. L’analisi preliminare di questa classe di materiale ha consentito di individuare numerosi tipi fondamentali e relative varianti, attestati nelle diverse fasi di lavorazione e rappresentati principalmente da fibbie ad anello, ad omega (o a “D”) con o senza sporgenze laterali, a doppio anello (o a “otto”) rettangolari e quadrate, da anelli di differente diametro (inferiore ad 1 cm, di circa 1/1,5 cm e superiore a 2 cm) ed infine da placchette decorative. La produzione era comunque più ampia di quella riflessa dalle attestazioni materiali, poiché di alcuni anelli e fibbie si possiede il negativo negli stampi, mentre di alcuni stampi non è stato rinvenuto il positivo in bronzo. Se il prosieguo delle ricerche consentirà di distinguere i prodotti locali da quelli importati e di approfondire la tecnica di lavorazione, la quantità di tipi, la loro scansione cronologica e la

25 La quantità di tali reperti è davvero ingente, anche tenuto conto della riciclabilità della materia prima. Lo studio delle produzioni in bronzo, avviato dalla dott.ssa C. Toscani nell’ambito delle materie curriculari della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università di Pisa, è ambito di ricerca del progetto di dottorato del dott. Francesco M.P. Carrera (Gli scavi degli ex laboratori Gentili a Pisa ed i manufatti

in lega di rame, secoli XII - XIV. Organizzazione delle aree di lavorazione, tecniche produttive e commerci), in corso

(11)

loro commercializzazione, allo stadio attuale degli studi è comunque possibile ipotizzare per i manufatti in bronzo un utilizzo come elementi dell’abbigliamento ecclesiastico, civile e militare, sia maschile sia femminile. I numerosi confronti iconografici rintracciati sugli abiti occorrenti in monumenti funerari, vetrate di edifici religiosi, dipinti e raffigurazioni storiche di varia natura dell’Europa occidentale tra XI e XIV secolo ne attestano infatti l’uso come asole e fibbie per calzature, speroni, legacci, borse, cinture ed elementi

dell’armatura, sia con una funzione pratica sia come ornamento26. Si tratta di una

produzione destinata a ceti medio - alti, imitata da esemplari in ferro meno costosi, che raggiunge l’apice nel XIV secolo, quando le leggi suntuarie limitarono in Toscana l’uso di oggetti ornamentali in metallo pregiato, facendo sì che le committenze aristocratiche si rivolgessero a manufatti in bronzo, meno preziosi ma ugualmente eleganti e ricercati.

Alla luce dell’impiego ipotizzato per l’oggettistica in bronzo, è possibile che l’attività della bottega degli ex laboratori Gentili fosse collegata a quella delle concerie presenti nell’area immediatamente a nord di via A. Mario, riecheggiata nel toponimo “vicolo delle Conce” ancora in uso per uno degli assi stradali paralleli al corso dell’Arno. L’impiego di stampi con matrici differenziate per l’una e l’altra faccia, accanto a quelli funzionali alla realizzazione di un medesimo manufatto identico per forma e dimensione, induce ad ipotizzare l’esistenza della produzione contemporanea dei diversi elementi necessari alla realizzazione di uno specifico capo di vestiario, attestando la presenza, oltre a quella ordinaria, di una produzione su commissione tesa a soddisfare di volta in volta le esigenze delle concerie.

L’esistenza nel quartiere gravitante intorno all’area degli ex laboratori Gentili di un’embrionale filiera produttiva che legava le manifatture del bronzo e delle pelli - nonché del ferro e del vetro, come si vedrà più avanti - trova conferma nel rinvenimento, in un’area qualche metro più a nord del forno per gli stampi fittili, di una grande buca contenente ossi di corna di caprovini, tagliati alla base ed in punta. Come già accennato, è possibile che questi venissero impiegati a protezione dell’ugello del mantice, così da evitare che l’espansione del metallo, dovuta all’esposizione a temperature elevate, li facesse incastrare nella tuyère, danneggiando la struttura del forno. È probabile, dunque, che i conciatori, che acquistavano le pelli da lavorare assieme agli arti inferiori ed alla testa, fornissero ai fabbri gli ossi ed i corni necessari al procedimento produttivo sia come

26 STIBBERT 1975 e LEVI PISETZKY 1964-1969. Alcuni tipi, tuttavia, non hanno attualmente confronti né iconografici né archeologici.

(12)

cappucci dei mantici sia come additivo aggiunto all’impasto ceramico di crogioli e stampi per aumentare la resistenza agli shock termici ai quali erano sottoposti27.

La manifattura del vetro presso gli ex laboratori Gentili offre tracce archeologiche più

rarefatte28 rispetto a quella delle leghe di rame, ma di grandissima importanza in

considerazione sia del silenzio pressoché totale delle fonti archeologiche ed archivistiche per i secoli antecedenti al XIV sia dell’elevata qualità di parte della produzione - per altro non esigua - che sembra collocare Pisa fra le protagoniste dell’arte vetraria medievale

italiana29. A tale attività è pertinente l’impronta del condotto igneo di un forno

probabilmente da fusione30, identificato poche decine di metri a sud della bottega dedicata

alla lavorazione del bronzo, in quella porzione di terreno emergente rispetto alla palude che ancora sullo scorcio del XII secolo interessava la zona degli ex laboratori Gentili. La struttura attesta che l’officina vetraria era già attiva in questa fase, in concomitanza con la lavorazione metallurgica indicata da alcuni frammenti di crogioli e pani di ematite; essa venne obliterata in occasione della costruzione degli edifici sul fronte di via A. Mario e parte del suo elevato, costituito da mattoni con consistenti tracce di vetrificazione, gettato in un’area limitrofa. È da quest’ultima che proviene la maggior parte degli indicatori di produzione del vetro, rinvenuti in butti di materiale e strati residuali dell’attività di ripulitura degli ambienti adibiti alla lavorazione, identificati durante lo scavo - purtroppo parziale - dell’asse viario secondario posto in corrispondenza dell’ideale prosecuzione del tracciato dell’odierno vicolo delle Conce. Questo chiasso, realizzato tramite il livellamento

27 Tale dato rappresenta uno dei primi risultati dello studio condotto da Francesco M.P. Carrera nell’ambito del suo progetto di dottorato; v. supra nota 25.

28 Le indagini condotte nell’agosto - settembre 2011 hanno in realtà permesso di identificare altri due forni per la lavorazione del vetro, posti negli edifici ad est di quello che ospitava la manifattura del bronzo; dal loro studio emergerà quasi certamente un quadro più articolato dell’officina vetraria rispetto al contesto oggetto del presente lavoro.

29 Lo studio della produzione vetraria degli ex laboratori Gentili è ambito di ricerca del progetto di dottorato, in corso presso l’Università degli Studi di Pisa, della dott.ssa Caterina Toscani (I vetri dagli scavi

degli ex laboratori Gentili, Pisa. Dalle attività produttive di XII-XIV secolo ai contesti di XIX secolo), che con questo

contributo approfondisce l’analisi già affrontata in occasione della tesi finale della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici (Gli indicatori della produzione del vetro dagli scavi degli ex laboratori Gentili

(PI), secc. XII-XIV. Progetto di ricerca e analisi preliminare dei reperti ), discussa presso il medesimo ateneo. È

inoltre in corso di riedizione il volume di Daniela Stiaffini, Il vetro nel Medioevo. Tecniche, strutture, manufatti, aggiornato con i risultati emersi dalle indagini condotte nell’area pisana degli ex Gentili. A queste studiose, come a B. Fatighenti e Francesco M.P. Carrera, vanno i miei più sentiti ringraziamenti per aver condiviso con me i risultati delle loro ricerche.

30 In base ai pochi resti archeologici risulta difficile comprendere se il forno fosse destinato alla preparazione della fritta, alla fusione della miscela vetrificabile o alla ricottura dei prodotti finiti, stante anche l’inesistenza di tipologie specifiche per le differenti strutture; sulla questione cfr. STIAFFINI 1999, pp. 43 ss.

(13)

della porzione di terreno più elevata ai margini della zona paludosa, era munito di canali per il deflusso delle acque, indispensabili per il mantenimento della funzionalità della strada, stante il precario equilibrio idrogeologico dell’area e le frequenti inondazioni che colpivano questa zona della città. Essi sono stati progressivamente colmati con i residui della pulitura delle officine, come testimonia il rinvenimento al loro interno di limature di bronzo, scarti di lavorazione, stampi fittili, strati di malfatti e frammenti di pani di vetro, nonché dei resti dei pasti degli artigiani che operavano nell’area.

Gli indicatori di produzione del vetro, che attestano la continuità di vita dell’officina almeno per tutto il XIII secolo, sono rappresentati da elementi pertinenti alla quasi totalità delle fasi del processo produttivo e permettono di affermare che presso gli ex laboratori Gentili era attiva una manifattura che effettuava probabilmente l’intero ciclo di

lavorazione, dalla calcinazione31 delle materie prime alla fusione (crogioli con consistenti

residui vetrosi sul fondo e sulle pareti, scorie, masse vitree quali pani32, nuclei e schegge), alla lavorazione tramite soffiatura (prove di fluidità come gocce, aggregati di gocce e colaticci, colletti, residui della modellazione quali pinzature e ritagli) fino alla rifinitura del manufatto (filamenti e riccioli) ed all’accantonamento del materiale residuale da impiegare

nei successivi processi di fusione, quale vetro in rottame33 e malfatti. Questi ultimi,

unitamente ai frammenti di oggetti finiti, permettono di ricostruire la gamma dei manufatti che uscivano dall’officina: si tratta di una produzione di uso comune, rappresentata per la maggior parte da vasellame per la mensa e la dispensa ed in minor misura da fiale da spezieria, alla quale in una fase avanzata si affianca una produzione di maggior prestigio, costituita da vetri da finestra in verde smeraldo e viola scuro di buona fattura, come si evince dalla trasparenza e dalla sottigliezza della lastra nonché dalla scarsa presenza di bolle d’aria, forse destinati alla realizzazione di vetrate istoriate policrome in uso nell’architettura ecclesiastica del tempo. La produzione annovera dunque bicchieri di vetro incolore, raramente con sfumature verde chiaro o gialle, bottiglie in vetro incolore, coppe e coppette, incolori o più raramente blu e talora decorate con filamenti in

31 Per questa fase, allo stato attuale della ricerca, non esistono dati sicuri; essa è indiziata dal volume della produzione, che avrebbe reso antieconomico l’acquisto di miscela vetrificabile prodotta altrove.

32 Da annoverare anche fra i prodotti destinati alla commercializzazione; non tutte le vetrerie, infatti, si occupavano della preparazione della miscela vetrificabile, preferendo acquistarla presso altre officine sotto forma di pani pronti per la fusione.

33 La pratica di riciclare vetro pertinente anche ad epoche più antiche, largamente attestata per il medioevo, è indicata dalla presenza fra i reperti attinenti a questo ciclo produttivo di frammenti di contenitori di forme aperte e tessere musive in pasta vitrea blu di epoca romana.

(14)

prossimità dell’orlo, ed infine ampolle ed alambicchi in verde chiaro, gialle o trasparenti, per le quali sembra di potersi escludere un uso liturgico data la scarsa qualità della fattura e del materiale. La produzione doveva essere maggiormente variegata, poiché i malfatti e gli scarti di fusione e lavorazione presentano una varietà di colori più ampia rispetto a quella degli oggetti finiti, grazie alla quale si è conservata traccia della realizzazione di manufatti in vetro turchese, marmorizzato e soprattutto in vetro al rame. Quest’ultimo, finora noto per produzioni muranesi della fine del XIII - prima metà del XIV secolo ed in minima parte per contesti valdarnesi, è un vetro di colore rosso, ottenuto tramite l’aggiunta alla miscela vetrosa di ossidi di ferro e rame; la sua produzione presso gli ex laboratori Gentili conferma il legame tra le attività dei vetrai e quelle dei fabbri, che fornivano ai primi il componente necessario ad ottenere la colorazione rossa e probabilmente anche gli strumenti necessari alla lavorazione34.

Solo uno studio più approfondito delle fonti potrebbe chiarire, inoltre, se esistevano dei rapporti di subordinazione tra vetrai e fabbri: l’assenza nelle fonti documentarie di testimonianze attinenti alle officine vetrarie a Pisa ed in particolare nella zona degli ex laboratori Gentili, dove la quantità dei reperti testimonia di una produzione considerevole di manufatti vitrei, anche ricercati, nell’arco cronologico interessato dall’attività della nostra officina, e la mancanza di informazioni sull’approvvigionamento di materie prime, come la soda o la silice, che doveva essere stato rilevante, sollevano diversi interrogativi sullo status dei vetrai, unitamente al fatto che essi non compaiono né fra i contribuenti del

Comune di Pisa nei catasti del XIII e XIV35 secolo né fra i pisani che prestarono

giuramento ai senesi nel 1294, a differenza dei fabbri36. Tali osservazioni inducono a

ritenere che essi fossero maestranze itineranti e dunque non appartenessero al corpus cittadino o che fossero alle dipendenze dei fabbri, ai quali spettava il diritto di vendere nelle proprie botteghe anche il vasellame vitreo.

34 Gli strumenti impiegati sia per la miscelazione e la calcinazione delle materie prime sia per la lavorazione del bolo tramite soffiatura sono di difficile rinvenimento non solo in ragione della riciclabilità del materiale impiegato, generalmente ferro, ma anche perché di proprietà del mastro vetraio, che li portava con sé quando l’officina cessava la produzione; cfr. STIAFFINI 1999, pp. 69 ss. Non è da escludere tuttavia che fra i

numerosi reperti in ferro rinvenuti - ancora tutti da restaurare e studiare - si trovino anche attrezzi per la lavorazione del vetro, vista la fine repentina delle manifatture degli ex laboratori Gentili che può averne favorito l’abbandono in loco, come per alcuni degli strumenti dei bronzisti.

35ANTONI 1982;sulle fonti documentarie sull’arte vetraria a Pisa v. infra cap. II.1.

(15)

Il settore produttivo è infine completato dagli spazi destinati alla lavorazione del ferro, identificati in un’area limitrofa alla bottega del bronzo; al di sotto di un livello di considerevole potenza, costituto da scorie di fusione e scarti accumulati durante le fasi di vita dell’officina e forse qui reimpiegati per obliterare l’attività all’indomani della presa di Pisa da parte di Firenze nel 1406, sono venuti alla luce apprestamenti funzionali sia all’attività di riduzione del minerale sia alla forgiatura del metallo; ai primi si assegnano la parte terminale di un forno per la trasformazione dell’ematite - per altro rinvenuta durante gli scavi - in massa spugnosa o bluma, costituito da una struttura in laterizi e pietre posti in circolo a racchiudere uno strato ricco di ossidi di ferro e scorie, ed una buca circolare di circa 50 cm di diametro, messa in luce ad una quota leggermente più elevata, anch’essa ricolma di ossidi di ferro forse accantonati in vista di un successivo riutilizzo. In uno spazio prossimo a quello destinato alla riduzione del materiale, era situato il fuoco di forgia, posto accanto ad un basamento rettangolare, probabilmente funzionale all’impianto di un’incudine per la martellatura, mentre l’area di raccordo tra le due zone di lavoro risultava completamente “inquinata” da uno strato di ossidi di ferro, probabilmente formatosi a seguito del continuo spostamento delle maestranze tra questi due settori.

(16)

I.3 Il complesso degli ex laboratori Gentili nel quadro dello sviluppo del quartiere di Chinzica

I dati emersi in occasione delle indagini archeologiche effettuate presso gli ex laboratori Gentili si inseriscono, arricchendolo di nuove informazioni, nel quadro delle conoscenze note sul quartiere di Chinzica e sul suo sviluppo in epoca medievale37.

Com’è noto, l’insediamento a sud dell’Arno si sviluppa come agglomerato indipendente sorto intorno alla chiesa di Santa Cristina, ed è indicato nei documenti più antichi con il termine di villa - ovvero insediamento non fortificato a carattere rurale - di Chinzica. È questo un toponimo assai eloquente sulla precocità dell’abitato in quest’area, essendone

stata riconosciuta l’origine longobarda38, il cui significato di “luogo scosceso

particolarmente se prodotto dalle acque” ben si attaglia a quella parte dell’Oltrarno intorno alla chiesa di Santa Cristina dove, al momento dell’arrivo dei Longobardi a Pisa, ancora era visibile la traccia di un tratto abbandonato del fiume Arno, sotto forma di via cava o forra, e dove il rilievo quotato della città mostra tutt’oggi un avvallamento.

Polo di aggregazione dell’insediamento, la chiesa di Santa Cristina è fra le più antiche di Pisa e ricorre nelle fonti documentarie già alla metà del secolo VIII; essa si situa all’estremità occidentale dell’asse viario noto come Carraia Maggiore, corrispondente alle attuali via Toselli - via San Martino, nella quale confluivano due importanti arterie di collegamento extraurbane, la via Aemilia Scauri e quella che in sinistra d’Arno collegava Pisa a Firenze, e che andava ad innestarsi in quello che anteriormente al XII secolo

costituiva l’unico ponte cittadino39. Fino a poco oltre la metà di questo secolo

l’agglomerato intorno alla chiesa rappresenta l’unica emergenza dell’area in un paesaggio sostanzialmente rurale, punteggiato di vigne, orti ed abitazioni di agricoltori, le cosiddette

cassine, come traspare dalle fonti coeve; sullo scorcio del Mille, parallelamente allo sviluppo

della parte a nord dell’Arno oltre i confini della ristretta civitas altomedievale, anche l’insediamento di Chinzica inizia ad espandersi lungo l’asse portante orientale

37 Su Pisa e su Chinzica in epoca medievale si vedano a titolo indicativo NUTI 1982,GARZELLA 1990, REDI 1991,TOLAINI 1992 e 2007.

38 ARCAMONE 1978.

39 Il ponte univa le due sponde tra la chiesa di Santa Cristina a sud e quella di San Salvatore in Porta Aurea a nord, ubicata dove ora sorge l’edificio dedicato alla Madonna dei Galletti.

(17)

rappresentato dalla Carraia Maggiore, in fregio alla quale i documenti attestano il sorgere

di chiese di nuova fondazione che segnano le tappe dello sviluppo dell’insediamento40.

L’incremento abitativo del settore occidentale risulta di minor consistenza: a lungo il solo edificio di una certa rilevanza rimane il monastero benedettino di San Paolo a Ripa d’Arno, noto a partire dal 1032, intorno al quale si addensa il borgo intitolato al medesimo santo, e le fonti riflettono l’immagine di un’area semispopolata a vocazione ancora rurale; i dati emersi dalle indagini archeologiche effettuate presso gli ex laboratori Gentili forse rendono in parte ragione di questo diseguale ampliamento dell’abitato, laddove testimoniano dell’esistenza nella zona di un’ampia area di acque stagnanti, sicuramente malsana e poco adatta all’insediamento41.

Nel corso della prima metà del XII secolo lo sviluppo di Chinzica si fa più intenso,

coinvolgendo sia il settore orientale gravitante intorno alla Carraia Maggiore42 ed a Santa

Cristina, il cui nucleo abitativo risulta pienamente urbanizzato e connotato da un reticolo di strade ed edifici tipici delle città, sia in minor misura quello occidentale, dove la trama più rarefatta dell’abitato si arricchisce di nuovi edifici sacri in prossimità dell’isolato dei futuri laboratori Gentili: San Cassiano (1147), situata in corrispondenza dell’attuale piazza A. Saffi, e Santa Maria Maddalena (1156), lungo la via corrispondente all’odierna via G. Mazzini. In linea con questi dati, che vedono nella metà del XII secolo l’inizio della frequentazione più intensa del settore compreso tra Santa Cristina e San Paolo, le ricerche archeologiche svolte nell’area degli ex laboratori Gentili mostrano che nel medesimo torno di tempo qui si avvia una ridotta attività di lavorazione del vetro e delle leghe metalliche.

Entro la metà del XII secolo sembra pienamente compiuto il processo di integrazione tra gli abitanti della città di Pisa e quelli della villa di Chinzica - toponimo che si va contestualmente estendendo all’intero Oltrarno - non percependosi più nei documenti alcuna distinzione politico - giuridica fra i due gruppi, considerati entrambi cittadini pisani

40 Nella seconda metà del secolo XI nelle fonti documentarie appaiono per la prima volta i nomi delle chiese di S. Cristoforo (1062), sita in via F. Dal Borgo ed ora edificio residenziale, San Martino (1067) e Sant’Andrea “in Casainvilia” (1095), nell’area dove i Fiorentini faranno erigere la Fortezza Nuova; contestualmente si segnala nei documenti la significativa estensione del toponimo Chinzica anche alla parte orientale dell’Oltrarno.

41 Presso gli ex laboratori Gentili, infatti, non sono venuti alla luce reperti ceramici anteriori al XII secolo. 42 Alla prima metà del XII secolo risalgono le scomparse chiese di San Sebastiano (1111), dietro le attuali Logge dei Banchi, e San Lorenzo (1127), ubicata in piazza La Pera ed oggetto di indagini archeologiche, e quella di San Sepolcro (1138) nonché i tre ospedali presso quest’ultima, nelle vicinanze di San Martino ed in località Casainvilia.

(18)

a pieno titolo. Testimonianza concreta del compimento di tale processo è il tracciato delle nuove mura urbiche, iniziate nel 1155, che inglobano ampie aree ancora non urbanizzate, come il settore meridionale di Chinzica dove sorgeranno tra il 1166 ed il 1195 la chiesa e

l’ospedale di Sant’Egidio43, attestando che la progettazione della cinta muraria di Cocco

Griffi rispondeva ad un piano di sviluppo che prevedeva il progressivo espandersi della città anche a zone ancora non occupate.

La crescita demografica ed il conseguente intensificarsi dell’urbanizzazione, che segnano anche la seconda metà del XII secolo, saldano infine le vicende delineate dalle indagini archeologiche presso gli ex laboratori Gentili con la storia dello sviluppo del quartiere di Chinzica e più in generale della città di Pisa. Tra la fine del XII secolo e gli inizi del

successivo, come anticipato44, l’area oggetto di indagine viene completamente ridisegnata

a seguito della costruzione del Pons novus e della lottizzazione, probabilmente connessa agli interessi economici di alcune nobili famiglie pisane come i Gualandi ed i Gambacorta, che porta alla costruzione degli edifici sia lungo via A. Mario sia lungo il nuovo asse stradale

(odierna via Sant’Antonio) che fa capo al ponte45, dove viene eretta la chiesa intitolata ai

Santi Cosimo e Damiano (1191).

Come delineato nel paragrafo precedente, a partire dalla fine del XII si consolida e si espande la vocazione artigianale già mostrata dall’area, con le officine di lavorazione delle leghe metalliche e del vetro, che vanno ad arricchire il quadro delle produzioni d’eccellenza di una città dallo spiccato carattere mercantile quale era Pisa all’epoca. Solo il prosieguo degli studi potrà chiarire le direttrici di smercio dei manufatti usciti dalle botteghe degli ex laboratori Gentili ed inserire i dati emersi dalle indagini archeologiche nel più ampio contesto sia del tessuto urbano sia della rete di rapporti commerciali che la città intratteneva nell’intero Mediterraneo in età medievale.

43 Ubicati all’angolo tra l’attuale Corso Italia e via G.B. Cottolengo, si trovavano all’estremità sud del tracciato viario noto nelle fonti come Carraria Pontis veteris, poi Sancti Egidii, il secondo asse viario più importante di Chinzica, che si innestava nel nuovo ponte eretto all’inizio del XII secolo in corrispondenza dell’attuale Ponte di Mezzo. Indagini svolte nell’estate del 2010 dalla scrivente, in occasione del rifacimento dei sottoservizi in Corso Italia, hanno permesso di portare alla luce lacerti della pavimentazione stradale in laterizi, risalente ad una fase più avanzata di pieno XIII secolo. Sull’intervento è in corso di stampa un contributo sul Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ad opera della scrivente e di S. Ducci, F. Carrera, M. Bonaiuto.

44 V. supra p. 3.

45 Il saggio di scavo effettuato nel settore retrostante le case torri lungo il fronte di via Sant’Antonio, ancora da indagare, ha portato alla luce, al di sotto delle stratigrafie pertinenti all’impianto di aree ortive nel XVI secolo, i livelli di cantierizzazione degli edifici, che sembrano confermare la cronologia proposta per le case lungo via A. Mario.

(19)

Figura

fig. 1 - pianta dell’area del complesso degli ex laboratori Gentili
fig. 2 - pianta degli edifici lungo via A. Mario con il posizionamento delle strutture di produzione  identificate
fig. 3 -  pianta della città con i toponimi in uso nel XII – XIV secolo (modificata da T OLAINI  1992)

Riferimenti

Documenti correlati

[Cordero C., Guglielmetti A., Bicchi C., Liberto E., Baroux L., Merle P., Tao Q., Reichenbach S.E., Comprehensive two-dimensional gas chromatography coupled with time of flight

We have found that prior adherence to a typical Italian Mediterranean diet, measured with the Italian Medi- terranean Index, was associated with a lowered risk of weight gain (in

The analysis is developed, through the tracing and study of all the documentation concerning the organisational models of the groups taken as part of the sample

When we compared such a rapamycin-dependent increase in cytosolic UP components with the dose-dependent increase in ATG-like vacuoles primarily expressed by graph Figure 1F we

Il progetto dell’Atlante del cibo di Torino metropolitana [Dansero, Fassio, Tamborrini 2018] si muove nella direzione di costruire delle rappresentazioni del

The intracrystalline fraction isolated from Chicoreus and Strombus was tested for closed system behaviour via leaching experiments; for both species, the concentration of free and

Come si è detto, l’ambito temporale di operatività della norma è costituito dal biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento; qualora l’atto sia stato

Figure 1 schematizes the entire process of manufacturing and experimental testing of 3D complex stereolithographic gear models adopted in the present