1
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.EMANUELE KANT
CRITICA DELLA RAGION PRATICA
BRANI SCELTI TRADOTTI E COLLEGATI
CON INTRODUZIONE E NOTE
DI
GIOVANNI VIDARI
G. B.
PARAVIA &
C.TORINO
-MILANO
-FIRENZE -ROMA-NAPOLI-PALERMO
Depositi:Genova.Libreria FratelliTreves(A.L.I.) Trieste, Libreria L. Cappelli
t/0
JO'"
Nel curare questa edizione ridotta per uso scola stico della Critica della
ragion pratica mi
sonoattenuto ai seguenti criteri:
riportare integralmente le parti fondamentali dell’opera,
che
sono: tutta laprima
parte delprimo
capitolo {Deiprincipi
dellarajjwnjpura
pratica),buona
parte del secondo {Dell’oggetto dellaragion pura
pratica), e del terzo {Deimoventi
dellaragion pura
pratica)',delle altre parti rivolte
a
illustrare il postula della libertà {Dilucidazione critica dell’Analitica) e a risolvere l’antinomia della ragion pratica, e quindia
spiegare idue
altri postulati della immortalità del- l’anima e dell’esistenza diDio
(libro II: Dialettica dellaragion pura
pratica) riportareibraniche
sonoessenziali perla
comprensione
della dottrinaKantiana
nel suo sviluppo e nelle sue conclusioni.E
la stessacosa dicasi dei brani desunti dalla parte
seconda
del- l’opera {Metodologia dellaragion pura pratica
).Ho
quindi distribuita tutta la materia in sei capitoli, dei quali i primi quattro abbraccianol'Analitica, ilquinto
la Dialettica, il sesto la Metodologia.
A
rendere poi più agevole la lettura del testo, ho fatto precedere alle varie parti e ai passi riportati brevi cenni riassuntivi,che
possano servireanche
a collegare inun
tutto continuo le pagine dell’opera, ea
farnecomprendere
la possente unità, la profonda originalità, la severa bellezza.Ho
seguito nella traduzione l’edizione dell’Acca-demia
di Berlino,pur giovandomi
siadella traduzione francese del Picavet, sia di quella italiana del Capra,che
è nel complesso buona, salvo talune espressioni italianamentepoco
corrette o poco chiare, e alcune altrenon
esatte (1).Ho
aggiunto, in fine,una Appendice
riassuntiva,che
credo possa giovare allacomprensione
di tutta l’opera nei suoi concetti principali e nei loro colle-gamenti.
Torino, Novembre 1924.
Giovanni
Vidari.(1) Per es. la legge fondamentale della ragion pura pratica è tradotta dal Capra sostituendo la frase «in ogni tempo» a quella
«a un tempo», che traduce il tedesco *zugleich ». Così pure, alla fine dello stesso paragrafo, il Capra traduce «tlaseinzige Factum»
con «il fatto particolare», che non è esatto; sul finire del Capo II dell’Analitica (pag. 82 trad. Capra) ci sono due «finché» che non rendono bene il pensiero tedesco,ilquale piùchiaramenteèespresso nell’un caso da «purché» [so langc nuri, nell’altro da «fuorché»
(als bìoss); nella Dilucidazione critica della Analitica v’è un punto
in cui il testo tedesco ha irgendwo e irgendwann, che si devono tradurre « in qualche luogo e inqualchetempo»,non già « in qua- lunque luogo e in qualunque tempo» (trad. Capra pag. 119, ultima
riga) ecc.
INTRODUZIONE
1.
—
Dati storici e bibliografici.Le
principali operedi E. ICaut, nelle quali è trattatoil problema morale, sono tre: la Fondazione della meta- fisica dei costumi 1785; la Critica della ragion pratica
1788; la Metafisica dei costumi (in due parti: Dottrina del diritto, Dottrina della virtù), 1797.
E
tutt’e tre sicollegano strettamente fra loro, sebbene si possa tro- vare
una
certa differenza fra l’impostazione del pro-blema
etico nelledue
prime opere, e le deduzioni che se ne traggono nella terza.La
più importante di tutteè indubbiamente, dal
punto
di vista filosofico, la Cri- tica della ragion pratica (1).(I)Le minori opere moralidiKantsonodadividersi induegruppi:
u) quelle anteriorial 1770 (dal quale annosi suole far incominciareil
periodo criticista),e sono: Considerazioni sull'ottimismo, 1759; L'unico fondamento possibile di una dimostrazione dell’esistenza di Dio, 1763;
Ricerche sulla evidenza dei principi» della teologia naturale e della mo-
rale, 1764; Programma delle lezioni per il semestre invernale, 1765-66 (dovesipropongonoargomentidifilosofiamorale,trnd.ital.di A.Uczzo
in L’educazione nazionale, giugno 1924), 1766; Sogni di un visionario chiariticonsogni della metafisica, 1766 (dove si tratta dei rapporti fra moraleereligione, trad.ital.di SJ. Venturini, Milano, 1920e di P.Ca- kahellese nel voi. Scritti minori di E. Kant, Bari, 1923); b) quelle posteriori al 1770: Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, 1784 (trad. ital. LamaNNa, Lanciano, 1919); Recensioni
1
—
Kant-Vidaiu, Ragionpraticu.Quest’opera venne annunziata per la prima volta
al pubblico nella AUgemeine IAteraturzeiinng di Jena
il21
novembre
1787, fu lìnita di stampare nel dicembre di quell’anno, ecomparve
nel successivo.Un^
seconda edizionecuratadallo stesso Kant, è del 1792;una
quarta del 1797; della terzanon
sihanno
notizie. Seguironodopo
la morte di-Kant
(1804) altredue
edizioni (1818 e 1827); e poi essaricomparve nelle edizionipiù omeno
completedelle opere e degliscrittidi Kaut: nelvoi. Vili dellaediz. diEosenkranz
eSchubert,
Lipsia 1838-42;nel voi.
IV
della ediz.Hartenstein,
Lipsia, 1839; nel voi.V
della ediz.Hartenstein,
Lipsia, 1867; nel voi. Vili della Philosophische Bibliothek diVON
Kirch-hann,
Berlino, 1869; nei voli. 1111-1112 della Universal Bibliothek diBeclam;
nel voi. 38della Philos. Bibliothekd<>!
Pórr,
Lipsia 1906; nel voi.V
della ediz. Kant’gesammelte Schriften, herausg.
von
der Koniglich-Preuss.Akademie
der Wiss., per cura di P.Natorp,
Berlin, Eeimer; o infine nel voi.V
delle E. Kant’a Werke, herausg. vonErnst
Cassirer, Berlin, 1914. Della Critica della ragionpratica vi èuna
traduzione latina delBorn
(1796-98), 4 voli., Lipsia;
una
traduzione francese del Barni, Parigi, Ladrange, 1848;una
inglese diAbbott,
London, 1889; un’altra francese del Picavet, Parigi, 1888-1902;una
italiana del Capra, Bari, 1909.dell’opera dell'Herder nullafilosofia della-Moria 1785; Fondazione della metafisica dei costumi, Riga, 1785(trad. ital. Vida
m
in •Biblioteca di Filosofia 8 pedagogia«, Torino, Paravia, 1923); Intorno al motto:questopuòesserbuonointeoria,ma.non.valz.in pratica,1793(trad.italiana
Lamanna, Lanciano, 1917); Per la pace perpetua, 1796 (trad. ital. di E. Lamanna nel volume citato. Lanciano, 1917); Dottrina del diritto e Dottrinadella virtù, 1797 (trad. ital. VidaRI nella«Biblioteca di Filo-' sofia e pedagogia». Torino, Paravia, 1923); Antropologia prammatica, 1798 (trad. ital. Vidaki nella •Biblioteca di Filosofia e pedagogia .
Torino, Paravia, 1921).
—
32.
—
La Critica della ragion pratica e le altre opere morali.La
Critica della ragion praticaha
la sua premessa necessaria nella Fondazione della metafisica dei costumi.Infatti, dato che si possa
da un
principiosupremo
ra- ' zionale dedurre logicamente il sistema dellenorme mo-
rali, costruire, cioè, quella che si dice metafisica dei costumi (fondamentalmente diversa dalla fisica dei costumi, cioè dalla descrizione e spiegazione scientifica dei costumi intesi
come
fatti di natura), bisognavaprima
di tutto ricercare iu che consistesseun
tal prin- cipiosupremo
razionale; cioè, in altre parole, porre ifondamenti, o procedere alla fondazionedella metafisica dei costumi.
Tale è il
problema
dell’operetta importantissima pubblicata nel 1785: in essaKant
partiva dalla espe- rienza dell’uomomoralmente buono
o, anzi, meglio, della volontàbuona
(che è runica cosa alm ondo
rico-lyiseiuta universalmente e assolutamente
buo
na), per assurgere alla detcrnynazione ^àel fondamento
di unalalc ljjtyità. che egli additava nell’ossequio alla legge per la legge,cioè alla legge per il valore universale della
massima
espressa nella legge:una
volontàèmoralmente buona
inquanto
ubbidisce alla legge per la legge, cioè agisce, per dovere.Ora
ildovere,in quantonon si rifeiiste a nessun contenuto empiricamente determinato o de- terminabile,espùineunaij^ggl^
à dalla ragion pura,la quale si rivelaper tal fattocapace di giudizi sintetici a priori pratici(I) o di imperare sulla volontà e deter-
(1)Giudiziosinteticoè|>erKantquellochecollegail soggettoa un predicatonon pensato implicitaméntein queliti:td èa prioriilgiudizio
minarla ad agire.
La
ragioupura
è, dunque, pratica:essanel concettodel dovere implica un potere legislativo della volontà e della condotta, clic
costiMiminppitnto
quello che si dice il potere p ratico delhi_ragioii pura, e elip .malcosa di ìJiofoiuiaiiH^LjjU-i8i^c^oti‘ori‘ticr> .li
e
ssa. Questo, infatti,non
si esercita che in 'quanto la,ragion puraapplichii suoi principi nelcampo
delle intuizioni sensibili, in quanto, cioè, diventiragione empirica o scientifica; quello invece, vale ajltfp il tere pratico (lidia raeion i>nra, si esercita solo in quanto
la ragione stessa appliihi_jl eonc(dt._o^jp^2_ijgl <jo.Yat,e
jJ
senza nessuna contaminazione empirica.
Ma
se l’analisi della volontàbuona
ci porta a con-cludere
che la ragionpura
è pratica,non
si riesce però a capirecome mai
questo sia possibile.Rimane
cioèda
spiegarecome mai
la ragionpura
possaimpone un
dovere assoluto, oun
imperativoc
ategorico, allavolontà.
Che
cosa si deve presupporre in questa, perchè quella sia possibile 1 Rispondere a tale quesito vuoldire, secondo la terminologia Kantiana, far la Critica della ragion pratica, o anche,
come
altrimenti si dice,dimostrare
come
siano possibili igiudizisintetici apriori pratici. Ecco, adunque, sorgere dal seno stesso della Fondazione della metafisica dei costumi la Crìtica della ragion pratica.E come
in quella dal fatto della volontàsintetico quando quel collegamento.o quella sintesi è data, non dalla esperienza, ma dalla ragion pura (Cfr. Mabtinetti, Comincinoa, Pro- legomenidi Kant. pag. 108e210. Torino, Bocca, 191S). Ora Kant dice che vi sono giudizi sintetici apriori pratici, perche il giudizio
-
tu devi—
(«Tuhui un doveredacompiere»,nelcheappuntosiesprime ilconcettodel dovere essenziale alla moralità) collega il soggetto «Tu»
al predicato «devi» (il quale predicato non è pensato implicitamente in quel soggetto) con un nesso, che nessuna esperienza potrà maidare (perchè nessunaesperienza potrà maidimostrareelletuhaiun dovere),
ma ohe la sola ragion pura rivela e pone.
1
5
—
buona Kant
era giunto al principio del Dovere, così in questa dal principio delDovere
giunge all’idea della Libertà, nella quale trova la soluzione del problema.Ma
per giungere a tale risultato, clic costituisce la vera essenza dell’opera, ilKant
riprende inesame
quel me- desimo principio del Dovere a cui era arrivato nella Fondazione; onde la Critica, della ragion pratica inco- mincia conun
capitolo dedicato all’analisi dei principii fondamentali della ragionpura
pratica.3.
_
La Critica (iella ragion pratica e la Critica della ragion pura.Sononchè accade di doversi chiedere: la libertà,.- cui la Critica della ragion pratica conduce
come
a po-stulato necessario della moralità, non è essa in contrad- dizione con i risultati a cui era giunta la Critica della ragion
pu
raf Questa Critica, infatti, aveva dimostrato chenon
è possibile altraconoscenza che quella risultante dalla ajmUcazionc dei principiip
uri della_men
te ai dal' delle intuizi oni sensibili, cioè la conoscenza scicnthiea, la quaìe"è quindi necessariamente fenomenica; ora in- vece la Critica della ragion pratica ci porta ad affermare la realtà della libertàinun mondo
, coinè quello morale, a cuim
nonnon arriva«tirivi il dato del senso, e che anzi avrebbe. in qualsiasi dato sensibile la sua contaminazione. Qui, dunque, il filosofo è per ud latomesso
in rapporto conun mondo,
quello della pura moralità, chenon
è piùil rnònci?fenomenico, e per
un
altro è Condotto adam-
incttere
come
realeuna
libertà, che la Crìtica della ragion pura non^ aveva potuto affermare.Ma,
in verità, se essanon
lo aveva affermato,non
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lo aveva neppure escluso,
almeno come
possibile. In- fatti nella II Sezione della Dialettica della Critica della ragion pura, discutendoleantinomiepropriedellaCosmo-
logia razionale, cioè le tesi e le antitesi riguardanti l’ori-
gine e la costituzione del
mondo, Kant
aveva dimo- strato che nelmondo
delle cose insèodeinoumeni
l’esi-0
> stanza d’una causa libera è perfettamente possibile e pienamente conciliabile con la necessità delle leggi naturali. Se quindi ora la Critica della ragion pratica partendo dalla nozione del Dovere, giunge ad affermare la necessità diammettere
la Libertà, non è niente af-«iwM* ‘A*""1**
fatto in_contraddizione 'con la Critica precedente; anzi, in certo
modo
Tiè conferma i risultati, perchè dimostra1 la necessità della Libertà con argomenti d’ordine
non
teoretico,
ma
pratico, e riferisce tale necessità a quel'
mondo
di cose in sè o noumenico, nel quale la possibi- lità della Libertà era data dalla stessa Critica della ragion pura, e al quale, direi così, si accede soltanto per lavia della moralità e-partendodall’idea delDovere.Si
può
dire, adunque, che la Critica della ragionpra- tica, se perun
lato prosegue ed esaurisca* l’indagine speculativa incominciata nella Fondazione, perun
altro si riallaccia alla Critica della ragion pura, di cui ri-prende, giustifica e adopera
un
concetto fondamentale colà dato soltantocome
possibile.Ma
fra la Critica della ragion pratica e la Critica della ragion pura v’è ancheuna
analogia di costruzione.Infatti, se quella ha per suo problema essenziale: quali sono le condizioni, e quindi i limiti, dell’uso teoretico d o conoscitlvò’dèlla ragione; questa ha pure
un problema
analogo: quali sono le condizioni, ed eventualmentei limiti, dell’uso pratico della ragione.
Di
li deriva che tanto l’una quanto l’altrahanno una
parte, dettaAna-
jA
f'J
/ur^teUjt r\
£*(,
rtOi VA*
—
7—
litica, in cui si
esaminano
gli elementi costitutivi della ragione oteoretica opratica, e un’altra, detta Dialettica, in cui si esamina l’esplicazione della Ragione nel suo processo e si scoprono i limiti entro cui essa simuove,
epperòledifficoltà (le antinomie) a cui soggiace,quando
quelle condizioni di sviluppo non sono osservate.
L’Analitica e la Dialettica (alle quali nella Critica della ragion pura precede, per la particolar natura della co- noscenza, la Estetica) (1) costituiscono la Dottrina ele- mentare; a questa poi segue in
ambo
i casi la Metodo-logia, che studia nell’un caso il
metodo
di espressione della Ragion teoretica, e nell’altro ilmodo
di tradurrein atto
da
parte del soggetto la Ragion pratica oggetti-vamente
valida.(1) Qualche studiosodi Kant hn peròrilevato chel’Analitica della Ragionpraticatermina con un capitolo(ilterzo:
Da
motivideltaragionpura pratica) che in parte corrisponde all’Estetica della Ragion pura, in quanto nell’una e nell’altra si studia il rapporto necessario fra la sensibilitàe la Ragione. Diceinfattiil Dei.bos (La phdosoplue pralique de Kant, pag. 423, Parigi, Alcan) che la Critica della ragion pratica
.comprendra aussi une eBlhétique, dont l’objet sera le rapport neces- saire'de la raison mire pratlque aver la sensibilità, autremont dit, le
«entiment mora]..
W.
Cantoni C., E. Kant, II, 119. La ragione poi por cui l’Estetica occupail primo posto nella Criticadellaragion pura, e la sua parte corrispondente è nel terzo dei capitoli della Analitica nella Critica iella ragion pratica, sta in ciò che nella vita conoscitiva si parte dalla conoscenza Betisihile per arrivare alla intellettuale e atta razionale, nella vita morale invece si parte dai principi pur. della ra- lyone per scendere alla loro attuazione nella sensibilità (Cfr. Dilucida, zinne criticadella Analiticadella ragion pura).Fra le due critiche la cojrjjggjjj^nza si può rappresentare cosi:
Critica della ragion gura(Wt.) Critica della ragion pratica
( 1» dei principii
tEstetica
(
Analitica 2° dei concetti Dottrina elem. AnaliticalJ^Dott. elem.
J
'
3°..dei motivi
I Dialettici»
-1 'Dialettica
Metodologia Metodologia.
11tlii1-
4.
—
La Critica della ragion pratica per rispetto al problema morale.Bisulta chiara dalle cose dette la grande importanza che
ha
la Critica della ragion pratica per rispetto alproblema morale.Sequestosiformulacosì:
—
inchecosa consiste la volontàmoralmente
buona, oda
che cosa essa deriva la sua bontà? e di conseguenza: che cosa sipresuppone nell’uomo perchè tale bontà si realizzi?
—
noi
dobbiamo
riconoscere cheKant
trovauna
rispostaal
primo problema
nella Fondazione, e poi a tutti e due insieme uniti e intimamente collegati nella Crìtica della ragion pratica. Egli sostiene,come
fu già accennato, che l’essenza delhi/^nornlita. fifa, nella, osservanza
delD ove^c^uro
, del Dovere per il Dovere, e che, quindi, qualunque spiegazione delDovere
(epperò anche qua- lunque motivazione (1) di esso) che sia trattada
fonte estranea al Dovere (il piacere, la felicità, la perfezione)non
riesce a spiegarlo nè, di conseguenza, a motivarlo.Il
Dovere
si spiega da sè, e la volontà moralenon ha
(1) Qualche pensatore (E. Juvalta, Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica, Pavia. 1901;Ilvecchiocilnuovo problema della morale, Bologna. Zanichelli, 1914) ha con acutezza distintoil problema dplla giustificazione da quello della motivazione (esigenza giustificativa, esigenza esecutiva). Ma la distinzione, se l necessaria nel campo della esperienza, dove le ragioni che giustificano una linea di condotta non coincidono necessariamente con ianot-ivichcladeterminano,nonha,più ragion d’essere nel campo propriamente morale, dove il fopdapimfo ultimo della condotta non imo non essere identico col nyitivo di essa:
l’idea delDovereperilDovere o delDoverepuro nonèsoltantoilfon-
damentoolaragion d’essere dellamassima morale,maè.ancheilmotivo da cui la condotta t’ determinala: che senon fosse determinata da tal motivo,cioèdataleidea, casserebbe ipso facto di essere morale, (’on ciò si vuoldiro chela distinzione sostenuta implica giù mi concettodi mo-
ralità diversoda quellochelafaconsistere nella osservanzadel Dovere peril Dovere.
—
9—
motivazione possibile al eli fuori della coscienza del dovere: nel che consiste il cosiddetto sc
otimento mo
-rple./khe
non
è affattoun
sentimento nel sensoempiricoo, dice Kant, patologico della parola,
ma
è piuttosto, e soltanto, l’avvertimento della autorità imperativa delDovere
o <U:lIa^Leg
ge.Che poi il
Dovere imperando
per sè solo esprima l’universalità propria della Ragione, in cui consiste la dignità dell’uomo; che quindi l’osservanza delDovere
per ilDovere
voglia dire fareomm'gh^illatHgni^^hd-
1
’
uomo
o rispettarne la personalità come
avente valore di linil^s e^noìm^meMoTTSein^Ie
potere dellaRagione
pura o universale di imporreda
sèun
principio assolutamente imperativo consista l’autonomia; e cheinfine l’autonomia sia,per altro verso,proprio lalibertà, cioè il potere di darsi delle
norme
che,avendo
validità universale, sono leggi:— qu
este sono tutte pronosizioni che costituiscono il tessuto dell’Etica kantiana, che esauriscono, oserei dire, tutto ilcampo
della dottrina morale, e che egli, Kant, deduce o sviluppa nellaAna-
litica, traendolè fuori dalle premesse poste o illustrate nel
primo
capitolo della Critica della ragion pratica.Quest’opera, adunque, anche considerata soltanto nel suo
primo
liftro, l’Analitica (divisa nei tre capitoli:iprincipii, gli oggetti, imotividellaragion
pura
pratica) èun
trattato di morale importantissimo per profondità di visione e di soluzione del problema.Ma
essava
considerata anche in rapporto al se-condo
libro, la Dialettica, che èima
partenon
so- vrapposta,ma
intimamente legata allaprima
e a tutto il pensiero kantiano, e dove, sono affrontati e risolti problemi che della moralità sono clementi essenziali. Infatti in essaKant
dimostra che la leggemorale elei Dovere, in quanto richiede la piena subor- dinazione a sè di ogni motivo sensibile, presuppone bensì per
un
lato la libertà,ma
presuppone anche perun
altrocheilSupremo
bene,realizzato dalla osservanza del Dovere per il Dovere, si unifichi, secondo quanto laEagione
esige nella sua aspirazione all’Assoluto, conil
Bene
sensibile, cioè con la Felicità: unificazione esprimentesi nel concetto delSommo
bene, e possibilesoltanto per l’ammissione di
due
altri postulati, che sono l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio. I due beni, cioè ilSupremo
o la Virtù (osservanza del Dovere per il Dovere), e il bene sensibile, cioè la Feli- cità (che, per quantonon
considerato, anzi escluso, dalla Virtù,non
cessa di essere bene),devono
evidente- mente, per quellamedesima
esigenza dell’Assoluto, che è propria dellaRagione
in tutti i suoi campi, nel teoretico e nel pratico, comporsi in unità.Ma come
accadrà la composizione1Non
peruna
riduzione della Virtù a Felicità, o della Felicità a Virtù, perchè le loromassime
sono assolutamente eterogenee; neppure peruna
azione causale della Felicità sulla Virtù, perchè essa contjLminpr^bhp aUe radici la Virtù stessa, nè per un’azione inversa della Virtù sulla Felicità, perchèla Virtù, in quanto sia,
come
s’è detto, l’osservanza del Dovere per il Dovere,non
ha, nelmondo
sensibile,nessuna azione nella produzione di effetti felicitanti.
Siamo dunque
di fronte adima
antinomia: perun
lato, alla necessità razionale della composizione dei due ter-mini opposti nel
Bene
assoluto o totale, e per un altro alla impossibilità della composizione stessa, almeno fino aquando
cimanteniamo
nelcampo
della esperienza.Ma
l’antinomia deve risolversi, altrimenti si cadrebbe .nelloscetticismomorale, cioèsi sarebbe tratti a dubitare
—
11della legge morale, la cui osservanza è elemento essen- ziale del
Sommo
bene. Ora, l'antinomia sipuò
risolvere,quando
si pensi che la Virtù, in quanto appartenenteal
mondo
sovrasensibile o intelligibile,produca
in esso la felicità.Ed
è qui che si affacciano i due postulati della im- mortalità delTanima,come
concezione derivante dalla stessa natura spirituale della Virtù, e della esistenza di Dio,come
condizione richiesta dalla esigenza della adeguazione della Felicità alla Virtù: postulati, che, inaccessibili alla Ragion teoretica, diventano neeessarii nel caso della Ragion pratica.Così la dottrina morale,
pur
costituendosi inmodo
assolutamente razionale, cioè senza fare appello a cre- denze religiose, ci
conduce
necessariamente, per la solu- zione più profonda e completa dei problemi che scatu- riscono dal suo seno, fiu sulla soglia della religione, e riesce a farci vederecome
neeessarii per la stessa spie- gazione razionale o filosofica, non della moralità,ma
dei problemi sorgenti dalla moralità stessa, quelli che sonoi principii o le credenze fondamentali della religione.
E
mentre è salvata la purezza e l’austerità della morale,
^
è anche delineata dalla religione
una
interpretazionesgombra
d’ogni elemento empirico e utilitario, epperò purissima efondamentalmente
morale.La
religionenon
è necessaria per fondare la morale, perchè questa si fondada
sè o meglio trova il suo fonda-mento
nella stessa natura razionale;ma
la religione sidimostra
come un complemento
necessario della mora-lità,
da
cui, d’altra parte1, deriva la purezza de" suoi principii.
Dalla vastissimabibliografia (cfr.
Ceberweu-Heinze,
Grundrìss d. G. d. Ph}°, parte III) intorno alla dot- trina morale di E.Kant
trarrò quelle notizie che più facilmente possono servire aun
lettore italiano..1) Delle opere nostre ricordo:
HoselliO.,LadottrinadelsentimentomoralediKant.Savona.1914.
( ANTONI C., E. Kant. II voi., Milano, Hoepli, 1884.
< HiAppei.i.i A., Sul carattere formale del principio elico, 1884.
Croce B., La filosofia della pratica. Bari, 1909.
Dentice d’Accadia. Il razionalismo religioso di Kant. Bari, Laterza, 1920.
Martinetti P., Sul formalismo della morale kantiana. Estratto dalla aMiscellanea di studi», pubblicata pel cinquante- nario della R. Accademia Scientifico-letteraria di Milano.
Orestano, Ilconcetto della virtù in Kant. Palermo, 1901.
Bensì G., Formalismo e amoralismo giuridico. Verona, 1914.
Rosmini A., Principiidellascienza mondee Storia comparativa
e critica dei sistemi intorno al principio della morale in
«Opere edite o inedite», voi. XII. Milano, Pogliani, 1837.
Nuova
ediz. di G. Gentile. Bari, Laterza.Rossi
P„ La
dottrina Kantiana della educazione. Torino, Pa- ravia, 1902.Vidari G., Il moralismo di E. Kant in « Rivista filoso- fica», 1906.
B) Delle opere straniere:
I-
—
Barni I., Examen de la Critique de la Raison praiique- Paris, 1851.Boutroux
E.,La
morale de Kant in « Revue des Cours et dee Confércnccs».Cousin V.. Philosophie de Kant*. Parigi, 1863.
Cresson, La morale de Kant. Parigi, 1904.
Delbos V., La philosophie pratique de Kant. Parigi, 1905.
FouillÈk A., Gritique des systèmes de morale contemporains.
3“ ediz. Parigi, 1893.
Parodi D., Le problème ntoral et la pensée contemporaine*.
Parigi, 1921.
Fischer Kono, Geachiehle der netieren Philoaophie . Heidel-
berg, 1899.
V
voi. . j c iLehmann
0., TJeber Kants Prmctpten der Ethik ima Scho- penhauers Beurlhedung ders. Berlin, 1880.PaUlsen F., J. Kant, sein Leben w. seinc Lehre. 6*ediz. btutt-
Schopenhauer, Ueberdie Freiheit des menach.
W
illena; Ueberdna Fondament der Mordi. Francoforte, 1841 (in
Werke. Leipzig, 1873-74, voi. IV). Trad. frane., 10» ediz.
Parigi. Alcan.
Willm, Histoirc de Paris, 1846.
Io philoaophie allemande depuis Kant.
Prefazione - Introduzione.
La
Critica della ragion pratica ha,come
la Critica della ragionpura una
Prefazione euna
Introduzione.La
Prefazione è rivolta a stabilire il rapporto fra que- st’opera e le precedenti, a rispondere ad alcune obie- zioni e a confermare, in genere, l’uso di principii puri della ragione.L’Introduzione ritorna sul concetto principale ili
Critica della ragion pratica, che
Kant
vuole nettamente distinguereda
quello di Critica della ragion pura. In- fatti nell’uso speculativo dei principii puri della ragione non si può andare al _di là della esperienza, onde, in tal caso, è giusto parlare diuna
Critica della ragion pura; invece nell’uso pratico dei principii_puri della ragione (uso che si rivela nella moralità, cioè nella vo- lontà buona), i principii puridevono
applicarsi indi-pendentementedall’esperienza, onde
non
sipuò
piùfareuna
Critica della ragion pura pratica,ma
piuttostouna
Critica della ragion pratica. Se
da una
parte la ragione nq)l’uso speculativo trascende i suoi limitiQuando
pre- tende di fareuna
applicazione dei principii puri al di là dell’esperienza, dall’altra la ragione nell’uso pratico—
15—
trascende i suoi limiti
quando
si illude di derivare i proprii principii dall’esperienza.Che
poi la ritirimi mira sia uralica, cioè contenga in sè i principii direttivi della condotta, epperò implichi necessariamente la libertà, è ciò che l’opera si propone di dimostrare.Se noi ora possiamo trovare ragioni per dimo- strare che questa proprietà (la libertà) appartiene ve-
ramente
alla volontàumana
(e quindi anche al volere di tutti gli esseri razionali), allora verrà con ciò dimo- stratonon
solo che {a ragion pura^^ ^ere
nraticama
che essa sola, enon
la ragione empiricamente limi- tata, è pratica inmodo
assoluto. Di conseguenza noi avremo,non
da svolgereuna
Crìtica della ragion pura pratica,ma
soltantoda
trattare della ragion pratica in genere. Infatti la ragion pura,una
volta che siasidimostrato che esiste,
non ha
bisogno di nessuna critica.Essa è
appunto
quella che include il criterio per la cri- tica di ogni suo uso.La
critica della ragion pratica in genere ha, dunque, l’ufficio di trattenere la ragione empiricamente condizionata dalla pretesa di porgere essa sola inmodo
esclusivo il principio determinante del volere. L’uso della ragion pura,una
volta che ha stabilito che essa esiste, è soltantoimmanente;
invece l’uso della ragione empiricamente determinata, che aspira al dominiouniversale, è trascendente, e si esprimein pretese e precetti, che
vanno
al di là del suocampo:
il che è
appunto
l’inverso ili ciò che si potè dire della ragionpura
nell’uso speculativo.I principii fondamentali della Critica della ragion pratica.
Il
primo
capitolo dell'Analitica sicompone
di otto paragrafi e due appendici: nei primiKant
analizza lanatura dei principii pratici in genere e dei principii pratici categorici in ispecie; nelle due appendici tratta della deduzione dei principii pratici puri o della facoltà propria della ragion pura di varcare nell’uso pratico i
limiti proprii della ragion stessa nell’uso teoretico.
I.
Kant
incomincia con porre inuna
definizione la di- stinzione netta fra i principii pratici soggettivi, i quali si dicono massime, e i principii pratici oggettivi, che sidicono leggi (1):
massime
sono iprincipii pratici che dal soggetto sono considerati validi soltanto per lui; leggi sono i principii pratici che dal soggettovengono
consi- deraticome
validiperilvolerediogniessereragionevole.Le massime
poinon
sono leggi perchè evidentementesi adattano variamente alle particolari disposizioni del
(1)La parola•legge»(Oeeetz)appareadoperatada Kant in unsenso generale come esprimente in genere una necessità,
(=
regola), e inun senso più ristretto come esprimente la necessitàoggettiva assoluta.. l
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—
soggetto; le leggi invece diventano imperativi, se ed in quanto si riferiscano a soggetti (come l’uomo), nei quali non sia la ragione runico principio determinante del volere, e significano che, se la ragione sola determi- nasse la volontà, l’azione accadrebbe
immancabilmente
secondoun
tal principio.A
secondapoicheleleggi,determinandole condizioni della causalità del volere,hanno
onon hanno
riguardo all’effetto e alla capacità soggettiva di produrlo, sono imperativi ipotetici o categorici. Nelprimo
caso sono semplici precetti, nel secondo sono vere e proprie leggi.Le distinzioni di
Kant
si possono riassumere così:Principii pratici
soggettivi oggettivi
o o
massime
regole(norme)categorici o leggi (necessità oggettiva
assoluta) ipotetici oprecetti (necessitàsoggettiva
relativa)
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V1
È
interessante infine osservarecome Kant
procede nella sua trattazione viore geometrico, analogamente al- l’Etica di B. tSpinoza, ponendo, cioè, primauna
deli-. |
nizione, e poi procedendo alla dimostrazione di teoremi e alla deduzione di corollarii e di scolii. e scendendo
infine alla formulazione di problemi.
L
»*>cbV§ 1.
—
Definizione.I principii pratici sono proposizioni, che esprimono
una
determinazione universale del volere, la qualeha
sotto di sè parecchie regole pratiche. Esse sono sogget- tive o massime,
quando
la condizione viene dal soggetto consideratacome
valida soltanto per la sua volontà;£
—
Kant-Vìdahi,Ragionpratica.f
stessacene
consideratacome
valida oggettivamente, cioè per la volontà di ogni èssere razionale.Scollo.
Se si
ammette
che la ragion pura possa contenere in séun
principio pratico, cioè sufficiente a determinareil volere, allora ci sono leggi pratiche; in caso contrario, tutti i principii pratici saranno semplici massime. Nel volere di
un
essere razionale che abbia affezioni sensi-bili(1)
può
sorgere un conflitto fra lemassime
e le leggi praticheda
lui stesso riconosciute.Per es., ciascuno
può
farsiuna massima
dinon
sop- portare invendicata alcuna offesa, eppure nello stessotempo
vedere, che questanon
è una. legge pratica,ma
soltantoima
sua massima, mentre,come
regola per la volontà di ogni essere razionale, inuna
sola emedesima
massima,non può
andar d’accordo con sestessa. Nella conoscenza della natura i principii di ciò che accade (p. es., il principio dell’uguaglianza del- l’azione e della reazione nella trasmissione del movi- mento) sono nello stesso
tempo
leggi della natura, poiché l’uso della ragione là è teoretico e determinato dalla natura dell’oggetto. Nella conoscenza pratica, cioè in quella che si occupa semplicemente dei motivi deter- minanti della volontà, i principii che c’imponiamo,non
sono ancora perciò delle leggi, alle quali sia ine- vitabile sottostare, perchè la ragione nell’uso praticoha da
fare col soggetto, cioè con lafacoltà di desiderare, e secondo la disposizione particolare di questa facoltàsi
può
adattare variamente la regola.La
regola pratica è sempreun
prodotto della ragione, perchè prescrivo l’azione,come mezzo
all’effetto,come
fine.Ma
perun
essere, per cui il motivo determinante della volontà
non
è affatto soltanto la ragione, questa regola èun
imperativo, cioèuna
regola che viene caratterizzata(1) Si può tradurre coai ('espressione kantiana «in einem patitolo- gisch-afficirten Willen» (g. v.).
—
19—
mediante
un
dovere, esprimente la necessità oggettiva delazione, éd essa significa che, se la ragione deter- minasse interaniente la volontà, l’azione avverrebbeimmancabilmente
secondo questa regola. Gl imperativihanno dunque
valore oggettivo, e sono affatto differenti dalle massime, in quanto queste sono principi! sogget- tivi. Quelli, invece, o determinano le condizioni della causalità dell’essere razionale,come
causa efficiente,semplicemente riguardo all’effètto e alla capacità di produrlo, o determinano soltanto là volontà, sia questa sufficiente o no all’effètto. I primi sarebbero imperativi ipotetici, c conterrebbero semplici precetti dell abilità; i secondi invece sarebbero imperativi categorici e soltanto leggi 'pratiche.
Dunque,
lemassime
sono bensì principii,ma
non imperativi.Ma
gli stessi imperativi, se sono condizionati, cioè se determinano la volontà,non
sem- plicementecòme
volontà,ma
soltanto relativamente a un effetto desiderato, cioè se sono imperativi ipote- tici, sono bensì precetti pratici,ma non
leggi. Queste ultimedevono
bastare a determinare la volontàcome
volontà, ancor
prima
che iodomandi
se ho il potere necessario aun
effetto desiderato, o che cosadebba
fare per produrlo. Quindi esse
devono
essere catego- riche, altrimentinon
sono leggi, perchèmanca
loro la necessità, la quale, se dev’essere pratica, dev’essere indipendenteda
condizioni sensibili, quindida
condi- zioni che aderiscano accidentalmente alla volontà. Se, p. es., dite a qualcuno, che egli deve lavorare e rispar- miare nella giovinezza, pernon
stentare nella vecchiaia, questo èun
precetto pratico giusto, e nello stessotempo
importante, della volontà.Ma
si vede facilmente chela volontà qui è diretta a qualche altra cosache si sup-
pone
sia la desiderata, e che questo desiderio dev’essere lasciato a lui, all’agente stesso, sia che egli preveda ancora altri mezzi oltre alpatrimonio che si fosse acqui- stato, oppure chenon
speripunto
di diventare vecchio, o che pensi, cheun
giorno, in caso di povertà, potràcampare
alla peggio.La
ragione, dalla quale solamente possono derivare tutte quelle regole che contengonola necessità,
pone
bensì in questo suo precetto anche—
la necessità (poiché altrimenti esso non sarebbe
un
imperativo),ma
la necessità è condizionata soltanto soggettivamente, enon può
essere supposta nello stesso grado in tutti i soggetti. Invece, affinchè la ragione possa dare leggi, si richiede che essa abbia bisogno di presupporre semplicemente se stessa: infatti la regola è oggettiva è universalmente valida soloquando
essa vale senza condizioni accidentali e soggettive, che distinguono un essere razionaleda
un altro. Se p. es., dite ad alcuno che egli non devemai
fare promessefalse, questa è
una
regola, che riguarda semplicementelasua volontà:ifini,chel’uomo
può
avere,possonovenire o noconseguitimedianteessa; ilsemplice volere è ciòche dev’essere determinato interamente a priori mediante quella regola. Ora, se si trova che questa regola ò pra- ticamente giusta, essa èuna
legge, perchè èun
impe- rativo categorico.Dunque,
le leggi pratiche si riferi-scono soltanto alla volontà, senza considerare ciò che vien effettuato mediante la causalità di essa; e si
può
astrarre dalla causalità (come appartenente al
mondo
sensibile), per avere queste leggi pure.
A
questo punto sorge la questione: Fra i principii, secondo cui il soggetto agisce, ve ne sono alcuni che possono essere ritenuti per leggi; e di che natura essisono?
A
questadomanda Kant
risponde eoi tre teoremi successivi, il cui contenuto sipuò
riassumere e chiarire così:1" I principii pratici ohe, in quanto si riferiscano a
un
oggetto del desiderio, sipossondire materiali,hanno
questi duecaratteri: 1° di essere empirici; 2° di non poter fornire leggi;
2° I principii pratici materiali sono,
come
tali, tutti quanti diuna
sola emedesima
specie, cioè appar- tengono al principio universale dell’amor
proprio o della propria felicità;3° I principii pratici di validità universale, e