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Quanti cani si possono avere in casa?

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Quanti cani si possono avere in casa?

Autore: Redazione | 29/12/2021

Ospitare troppi cani può implicare rischi per l’igiene e un eccessivo abbaiare che potrebbe disturbare la quiete pubblica.

Il tuo vicino ha la mania per i cani. Ne ha di tutti i tipi: da quelli di razza ai bastardini trovati per strada. Alcuni di questi vivono in un recinto, altri – i più

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piccoli – in casa. Sembrerebbe quasi un canile ma privo delle dovute autorizzazioni.

In tutto questo, tu – che vivi proprio lì di fronte – hai un continuo disturbo: in parte per gli escrementi che, essendo copiosi, non sempre possono essere eliminati nell’immediatezza, ma soprattutto per il chiasso che, nelle ore serali, gli animali spesso fanno richiamandosi tra loro e giocando. Consapevole del fatto che non si può impedire a una persona di tenere un cane con sé dentro l’appartamento – e, del resto, la recente riforma del condomino vieta qualsiasi divieto a riguardo (salvo vi sia l’unanimità di tutti i condomini) – ti chiedi però se esista un limite massimo a questo diritto. In altri termini, quanti cani si possono avere in casa? La risposta è stata data da una recente sentenza del Tar Piemonte [1]. Ecco cosa hanno detto i giudici amministrativi in questa pronuncia che, soprattutto nei centri di città, interessa più persone.

Avere un cane è un diritto. Il regolamento di condominio non può contenere limiti e divieti salvo ci sia il consenso di tutti i condomini. Tuttavia, il proprietario dell’animale ha una serie di obblighi; obblighi di carattere:

amministrativo: ad esempio, denunciare l’animale all’anagrafe canina secondo quanto prescrive la legge [2]: chi possiede un cane deve denunciarne obbligatoriamente la detenzione. Chi adotta o acquista un cane, dunque, ha l’obbligo di recarsi entro un certo periodo di tempo (di solito 2 settimane, mentre per i cuccioli c’è di norma tempo fino al terzo mese di vita) presso gli uffici preposti per sporgere regolare denuncia e iscrivere l’animale all’elenco nazionale. Viene così fornito al proprietario un codice alfanumerico che deve essere tatuato sull’animale;

civile: ad esempio, non recare molestie olfattive o acustiche ai vicini di casa, provvedere a tenere puliti e salubri gli ambienti in caso di escrementi, ecc.;

penale: ad esempio, non recare disturbo alla quiete pubblica delle persone che vivono attorno (non i due o tre appartamenti confinanti – nel qual caso vi sarebbe solo un illecito civile – ma tutto il palazzo o il circondario).

La legge quindi non dice quanti cani si possono avere in casa, ma solo quali sono gli obblighi che vanno rispettati. Quindi, in teoria, se si tiene salubre la zona, si allontanano i cattivi odori e si evita che i cani facciano rumore soprattutto durante la notte se ne possono tenere più di uno, anche cinque o sei. Ma è chiaro che più cresce il numero degli animali in casa, più diminuisce il controllo sul

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singolo. È più difficile pulire immediatamente gli escrementi di ognuno di essi, è praticamente impossibile pensare che non giochino e non abbaino tra loro. Ecco perché gli amanti degli animali che esagerano nell’offrire conforto a troppi cani impedendo poi agli organi di controllo di verificare l’effettivo stato delle cose, rischiano anche una ispezione disposta dalla Procura. E tutti gli atti sanzionatori che potranno conseguire ad una visita di controllo effettuata dai vari organi di vigilanza a partire dal comando carabinieri per la tutela della salute.

Di recente, peraltro, la Cassazione ha detto che è ben possibile il sequestro del cane tutte le volte in cui vi è la possibilità di reiterazione del reato (si pensi a una persona che sta fuori tutto il giorno e il cane, solo in casa, per la solitudine piange disturbando tutto il palazzo).

Secondo poi il Tar Lazio (sent. n. 13172/21) in casa non si può comprimere il numero di animali domestici. O meglio, la limitazione delle presenze non rientra nel potere del Comune. Pertanto, il Comune che impone l’intervento di bonifica igienico-sanitaria in un appartamento in condominio dove sono presenti animali domestici non può vietare di introdurne di nuovi.

Al tribunale amministrativo si era rivolta una donna, nel cui appartamento avevano effettuato l’accesso i funzionari di Comune ed Asl, richiamati dai condòmini vicini i quali avevano segnalato che l’immobile non presentava i requisiti igienico-sanitari necessari e idonei neppure in relazione alla cura dei sette gatti che all’interno erano accuditi. La donna si opponeva ai contenuti dell’ordinanza igienico-sanitaria facendo rilevare che non sussistevano effettive situazioni di pericolo né per l’ambiente, né per le persone, né per gli stessi animali domestici. Il sindaco, sosteneva la ricorrente, quale autorità sanitaria, non avrebbe le competenze per valutare comportamenti umani e stato di salute di persone o animali, a tal fine la donna produceva anche referti medici comprovanti la sua «perfetta salute psicofisica».

Il Comune intimato resisteva al ricorso, insistendo sulle condizioni di insalubrità dell’ambiente. L’intero condominio nel quale si trova l’abitazione della donna subiva, per il municipio, le conseguenze della situazione perché dall’appartamento provenivano cattivi odori. Pericolo che anche il Tar riscontrava pur accogliendo però una delle richieste arrivate dalla donna. «È privo di fondamento – scrivono i giudici amministrativi – il divieto di introdurre in termini assoluti animali nell’appartamento, senza termine né modalità o condizioni». Lo stato ed il benessere di questi ultimi è oggetto di tutela da parte del Comune, secondo il

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regolamento locale (ed i relativi standard di mantenimento e custodia di animali domestici), che non risulta essere contestato.

Note

[1] Tar Piemonte sent. n. 1378/17 del 29.12.2017. [2] L. n. 281/1999

Sentenza

TAR Piemonte, sez. II, sentenza 5 – 29 dicembre 2017, n. 1378 Presidente Picone – Estensore Malanetto

Fatto

In data 28.7.2011 i NAS dei Carabinieri di Alessandria effettuavano un’ispezione presso la proprietà dei ricorrenti, sita in (…), via (…); nel corso dell’ispezione

rilevavano la presenza di 29 cani e, ritenutane la detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali per numero, condizioni di custodia e promiscuità, ne ordinavano il sequestro amministrativo. I cani venivano affidati in

custodia all’Ente Nazionale Protezione Animali di Ovada; il sequestro veniva convalidato con ordinanza n. 599/2011 del direttore del corpo di polizia municipale.

Avverso l’ordinanza di convalida gli opponenti presentavano opposizione che, con il provvedimento n. 648/2011 qui impugnato, veniva parzialmente accolta, consentendo ai ricorrenti di tenere presso di sé 5 cani a scelta e confermando per

il resto il provvedimento opposto. Lamentano i ricorrenti che il provvedimento impugnato (che ha, in parte qua, confermato il sequestro) è invalido ed inefficacie,

oltre che afflitto da carenza di motivazione, difetto di istruttoria ed eccesso di potere. A sostegno della propria tesi le parti ricorrenti producono due valutazioni di

esperti (una allegata all’istanza di dissequestro presentata in sede amministrativa ed una redatta in data 30.8.2011) dalle quali emergerebbero considerazioni

diverse circa lo stato di detenzione dei cani; lamentano inoltre che il provvedimento impugnato sarebbe contraddittorio là dove, da un lato, ha confermato il ritenuto cattivo alloggiamento degli animali e, dall’altro, ha pur consentito agli interessati di mantenerne cinque Lamentano inoltre la violazione e

falsa applicazione del DPR n. 320/1954 e della l. n. 281/1991, in combinato disposto con l’art. 6 del DPRG n. 4359/1993, recante regolamento di attuazione

delle l.r. Piemonte n. 34/1993; in particolare la legge regionale e il relativo regolamento di attuazione non vieterebbero in sé la detenzione di più di cinque

cani, fatti salvi la tutela dell’igiene pubblica e il benessere degli animali;

l’autorizzazione sanitaria, inoltre, sarebbe necessaria solo per i cani detenuti a scopo di allevamento, ricovero, pensione, commercio, addestramento, mentre i ricorrenti hanno detenuto gli animali a solo scopo affettivo. Lamentano da ultimo la

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violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000, non sussistendo nel caso di specie presupposti di urgenza tali da legittimare il provvedimento impugnato. Si è costituito il comune resistente deducendo che, già

in data 7.10.2010 ed in seguito a lamentele dei vicini, il servizio veterinario di igiene e sanità pubblica della ASL competente aveva effettuato un sopralluogo presso la proprietà dei ricorrenti, riscontrando una situazione critica; il comune aveva quindi emesso l’ordinanza n. 94/2011, con la quale aveva prescritto ai ricorrenti di provvedere allo sgombero di materiali ivi accumulati, alla pulizia e disinfezione dell’area e ad una manutenzione adeguata. L’ordinanza rimaneva inottemperata. In seguito a nuovi esposti veniva effettuato un sopralluogo da cui

scaturiva il verbale poi oggetto di convalida e successiva opposizione. La fase esecutiva del provvedimento impugnato appariva piuttosto travagliata in quanto la

proprietà dapprima rifiutava l’accesso, quindi non interveniva spontaneamente. In data 30.9.2011 interveniva la Procura della Repubblica, che disponeva l’ispezione dell’abitazione e l’adozione di tutti i provvedimenti necessari per l’esecuzione degli

atti impugnati; nel contesto di un nuovo sopralluogo del 6.10.2011 venivano individuati ulteriori 14 cani, oltre ai 29 già oggetto dei provvedimenti impugnati; i cani risultavano convivere con ratti, con i quali condividevano cibo ed acqua, oltre

che essere affetti da patologie comportamentali. Contestava pertanto in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso, chiedendone la reiezione. All’udienza del 5.12.2017 la causa veniva discussa e decisa nel merito; ai sensi dell’art. 73 c.p.a.

venivano sottoposti al contraddittorio delle parti la problematica della intervenuta perdita di efficacia del provvedimento di sequestro, nonché il difetto di

giurisdizione su eventuali addebiti di costi di mantenimento degli animali cui parte ricorrente effettua riferimento nella memoria depositata per la discussione di

merito.

Diritto

L’esposizione di cui al ricorso introduttivo risulta lacunosa sia in fatto che in diritto.

Preliminarmente occorre individuare la natura dell’atto impugnato. Come chiaramente evincibile dalla narrativa in fatto del provvedimento, e come posto in

evidenza anche dalla difesa dell’amministrazione, il provvedimento sindacale oggetto di censura è stato emesso ai sensi dell’art. 19 della l. n. 689/1981 in seguito all’opposizione che i ricorrenti hanno proposto avverso i provvedimenti di sequestro adottati nei loro confronti. Non è quindi pertinente il richiamo che, con il

terzo motivo di ricorso, si effettua all’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000, neppure menzionato nell’atto impugnato. Per contro, recita l’art. 19 comma 3 della l. n.

689/1981, che “Quando l'opposizione al sequestro è stata rigettata, il sequestro cessa di avere efficacia se non è emessa ordinanza-ingiunzione di pagamento o se

non è disposta la confisca entro due mesi dal giorno in cui è pervenuto il rapporto e, comunque, entro sei mesi dal giorno in cui è avvenuto il sequestro.” In sostanza

il provvedimento confermato in sede di opposizione resta una provvedimento di

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natura cautelare, destinato a perdere automaticamente efficacia ove non intervenga la confisca – che lo assorbe- e comunque nel massimo termine di sei mesi. Sul punto, nonostante il rilievo d’ufficio, all’udienza di discussione la parte nulla ha chiarito, sicché non è dato comprendere se il sequestro sia mai stato mutato in confisca o meno; resta vero che (prescindendo da ulteriori eventuali problematiche di giurisdizione) la perdita automatica di efficacia degli atti qui in

contestazione priva i ricorrenti di interesse attuale al presente ricorso; tale circostanza assorbe le censure di merito. Né questo Tar può vagliare la problematica dei costi di mantenimento. Non è infatti da escludere che, al sequestro, sia seguita una confisca posto che, con la memoria depositata in data 4.11.2017 ma non notificata, parte ricorrente lamenta l’illegittimità della richiesta

(intervenuta circa sei anni dopo il provvedimento impugnato) di spese di pagamento per il mantenimento dei cani che l’amministrazione ha riferito anche a

provvedimenti diversi da quelli per cui è causa e il cui contenuto in questa sede non è noto. Premesso che la domanda nuova contenuta in una memoria difensiva è inammissibile, in quanto neppure oggetto di notificazione, si evince dalla missiva

con la quale sono state reclamate dai ricorrenti le spese di mantenimento che le stesse sono da collegarsi a due ordinanze (n. 599/2011 e 792/2011), la seconda delle quali, come detto, non è oggetto del presente giudizio. Inoltre, anche volendo

prescindere dalla problematica della notificazione, resta vero che l’eventuale sequestro avrebbe perso efficacia ai sensi di legge, ancorché manchi in atti alcuna

spiegazione circa il successivo iter procedimentale. Da ultimo, con riferimento alle spese accessorie si porrebbe, come evidenziato in udienza, anche un problema di giurisdizione. Si legge infatti in giurisprudenza: “la giurisprudenza amministrativa,

esprimendo un orientamento condivisibile, ha avuto modo di chiarire che la giurisdizione sul provvedimento di convalida del sequestro cautelare amministrativo spetta al giudice ordinario, inerendo ad un procedimento volto all’irrogazione di sanziona amministrativa (a titolo esemplificativo TAR Basilicata, 5

settembre 2011, n. 459; TAR Campania, Napoli, sez. III, 20 agosto 2010, n. 17205;

questo stesso Tribunale, sez. I, 20 gennaio 2006, n. 103). Peraltro, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che né l’atto che dispone la misura cautelare, né il

provvedimento di rigetto dell’opposizione in sede amministrativa contro la medesima (ovvero dell’istanza di dissequestro) sono impugnabili in sede giurisdizionale, mentre l’accertamento dell’illegittimità della suddetta misura può

essere richiesto con ricorso ex art. 22 della legge n. 689/1981 contro il provvedimento di confisca” (Cass., sez. III, 9 agosto 2000, n. 10534)” (Tar Veneto

n. 834/2014). Nel merito pare comunque non inutile rilevare che le relazioni depositate in giudizio dai ricorrenti non sono idonee a sconfessare i plurimi accertamenti disposti dall’amministrazione e prodotti in giudizio, aventi tutti esito

sostanzialmente univoco circa la condizioni critiche in cui venivano tenuti gli animali; tra l’altro, nella relazione datata 2.8.2011 invocata a proprio favore da

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parte ricorrente, si legge espressamente che il veterinario redattore dott. Moriconi

“non ha potuto osservare gli animali”. Il ricorso risulta, per la assorbenti ragioni già esposte, in parte improcedibile, per la perdita di efficacia ex lege del

provvedimento di sequestro, e in parte inammissibile perché la memoria contenente le doglianze circa i costi di mantenimento non è stata notificata e la problematica attiene comunque alla giurisdizione del giudice ordinario. Le spese

seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il

ricorso in parte inammissibile e in parte improcedibile; condanna i ricorrenti a rifondere a parte resistente le spese di lite, liquidate in € 3000,00 oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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