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APPELLO PER IL DIRITTO ALLA VITA DEI POPOLI JUGOSLAVI

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APPELLO PER IL DIRITTO ALLA VITA DEI POPOLI JUGOSLAVI

La intera popolazione della Jugoslavia, già provata da oltre due mesi di bombardamenti, è oggi sottoposta ad un'inaccettabile embargo sulla ricostruzione.

Dopo il blocco dei prodotti petroliferi (in vigore dal 1 maggio), dei voli (22 maggio), degli investimenti e dei beni jugoslavi nelle banche europee (15 giugno), il Consiglio della Comunità Europea sta discutendo un regolamento esplicitamente rivolto ad impedire la ricostruzione delle infrastrutture civili, come ponti e strade, impianti idrici. di riscaldamento e energetici.

Si tratta di una misura che sancirebbe anche giuridicamente uno stato di fatto che già vede la popolazione jugoslava esclusa da ogni forma di aiuto internazionale.

Le conseguenze di queste misure e di queste politiche, causando il protrarsi per un tempo indefinito dell'emergenza umanitaria, si tradurranno in breve tempo in un lungo elenco di vittime civili.

Subordinare, come hanno più volte, dichiarato esponenti del Governi e della Comunità Europea, la ricostruzione della Jugoslavia al quadro politico interno, oltre moralmente inaccettabile, è contrario ad ogni norma del diritto internazionale, infatti:

- il diritto alla vita, al cibo, alle cure mediche, alla difesa contro il freddo, ed anche allo sviluppo economico e ad un ambiente salubre, sono diritti sanciti da convenzioni internazionali validi per tutti gli esseri umani e che non possono essere subordinati a considerazioni politiche.

- La Carta delle nazioni Unite riserva la applicazione di sanzioni economiche al Consiglio di Sicurezza e solo in dipendenza di situazioni di pericolo per la sicurezza internazional e. La stessa assemblea generale della Nazioni Unite ha più volte condannato la applicazione di sanzioni economiche unilaterali da parte di Stati o gruppi di Stati con finalità politiche.

Per questi motivi e per evitare che il nostro paese divenga complice di un nuovo possibile genocidio chiediamo al Governo

• Che siano immediatamente riattivati i progetti di cooperazione e di assistenza ai profughi già in essere prima della guerra

• Che , a fianco degli interventi a favore della popolazione del Kossovo, si attivino subito interventi di emergenza in particolare volti a assistere i profughi serbi e rom dal Kossovo, a proteggere le popolazioni dall'inverno e a sostenere la bonifica dei terreni inquinati dai bombardamenti

• Che l'Italia dichiari la propria indisponibilità a violare le convenzioni sui diritti umani e quindi ad applicare le sanzioni economiche. contro la Jugoslavia già in vigore e si opponga, come già impegnato anche dal Senato, alla adozione di un ulteriore embargo sulla ricostruzione.

Associazione Un ponte per...

LE BUGIE DI GUERRA #1

LA "GUERRA UMANITARIA" E LE

"FOSSE COMUNI" IN KOSOVO

#1

I titolo dei giornali, nei giorni immediatamente successivi alla fine della guerra contro la Jugoslavia, parlavano di decine di migliaia di morti: un vero e proprio genocidio che avrebbe giustificato i bombardamenti Nato. Le relazioni degli incaricati del Tribunale inter- nazionale contro i crimini di guerra nella ex Jugoslavia parlano, invece, di tutt'altra realtà.

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Rassegna stampa curata da:

"Comitato contro le guerre" di Conegliano

si riunisce il lunedì presso l'Arci

"Comitato contro la guerra" di Treviso

si riunisce il giovedì presso Palazzo Onigo e-mail: vilca@libero.it

c.i.p. via Gorizia 6 Treviso – Dicembre 1999

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Nato sono diventate forza Onu. La più grave di queste riguarda proprio la radicale pulizia etnica e la violenza perpetrata dall'Uck nei confronti dell'insieme della popolazione kosovara. Dove sono le misure volte a far rientrare la popolazione espulsa dal Kosovo? Dove sono le misure dirette a sciogliere l'Uck, la cui presenza non era prevista nell'accordo e che ora è stata addirittura tras form ata in corpo di polizia? Chi tace acconsente, e l'Onu tace. Le forze della pace italiane non possono e non devono permettere che il paese si faccia complice di una tale fars a sanguinosa. L'intervento in Kosovo deve essere ridiscusso dalle fondament a, cioè dall'imbroglio di Rambouillet, in cui Dini appare reo confesso.

Il manifesto 19/11/1999

GLI INGLESI SOSPENDONO LA RICERCA

DELLE VITTIME

Gli investigatori inglesi sui crimini di guerra in Kosovo hanno deciso ieri di sospendere la ricerca dei kosovari di etnia albanese che sarebbero stati uccisi dai serbi durante la guerra

«umanitaria» e sepolti in fosse comuni. Motivo ufficiale: arrivo dell'inverno. Ma la decisione suona alquanto strana, sia perché le condizioni metereologiche non sono ancora proibitive nella regione, sia perché nella precedente guerra balcanica, in Bosnia, le ricerche erano continuate anche durante l'inverno. Sulle reali cifre del conflitto è infatti in corso già da un po' di tempo un profondo ridimensionamento. Si è pana, infatti, dal dato

«ufficiale» Nato di più di 11 mila a quello del Tribunale internazional e dell’Aja, che è di 2108. Ma gli inglesi, sospendendo le operazioni, hanno affermato con sicurezza che le ci fre «vere» sono quelle fornite dalla Nato, nonostante essi abbiano ufficialmente trovato solo 508 corpi e in molte presunte fosse comuni non sia stato trovato alcun cadavere. Il team inglese ha dichiarato che riprenderà le operazioni ad aprile, con arrivo della primavera. Forse.

AVVENIMENTI 31 OTTOBRE 1999

LA VERITA' SUI CRIMINI IN KOSOVO

Evidentemente, alcune centinaia di morti non erano "sufficienti" per la Nato a giustificare i "bombardamenti umanitari" contro la Serbia. E allora ecco lievitare il numero delle vittime, uomini, donne e bambini, gettati nelle fosse comuni. Poi la guerra è finita. E quando i funzionari del Tribunale contro i crimini nella ex-Jugoslavia, anche americani del Fbi, sono andati a fare la macabra conta, si sono accorti che qualcosa non tornava...

ANGELO DI SILVIO

L'ordine del Tribunale internazionale contro i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (Icty) era stato perentorio: «Trovate le prove del genocidio perpetrato dai serbi sugli albanesi. Trovate le fosse comuni ». Loro, centinaia di medici, patologi, infermieri e investigatori di quindici Paesi della comunità internazionale, sono arrivati in Kosovo con il solo scopo di catalogare, inventariare, numerare, selezionare, anche il più piccolo dettaglio. E per quattro mesi hanno scandagliato cimiteri spontanei, pozzi, prigioni, giardini, battendo il Kosovo centimetro dopo centimetro: da Djakova a Pec, da Pristina a Kosovska Mitrovica.

Ma dai resoconti delle missioni che per prime hanno ultimato il loro macabro lavoro - quelle spagnola e quella statunitense del FBI - affiorano dati assolutamente sorprendenti. Le loro relazioni finali, se confermat e da quelle degli altri tredici Paesi, potrebbero creare un terremoto e incrinare le cert ezze di chi aveva gridato al genocidio (Tribunale dell'Aja compreso): «Ci hanno fatto credere, all'inizio, che i morti fossero 44.000, poi hanno ribassato a 22.000 e ora si parla di 11.000. Voglio proprio vedere dove si arriverà alla fine».

Lo sfogo è di Emilio Perez Pujol, lo spagnolo direttore dell'Istituto anatomico forense di Cartagena. Pujol e i suoi colleghi avevano il compito di setacciare la zona intorno a Istok, dove le bombe della Nato avevano colpito anche il locale, e moderno, carcere. I patologi iberici hanno rinvenuto i corpi di 187 persone, tutte sepolte in fosse singole. Nessuna fossa comune, dunque, ma 187 vittime della violenza delle forze di sicurezza di Milosevic. Pujol rincara la dose: «Ci avevano detto di prepararci a praticare più di 2.000 autopsie e che avremmo completato il nostro lavoro soltanto alla fine di novembre. Il risultato è stato assai diverso: i cadaveri che abbi amo scoperto sono stati 187 e siamo già di ritorno».

Anche le autopsie delle vittime (più di cento) rinvenute nel carcere di Istok hanno dato risultati contrastanti: in molti sono stati uccisi dalle raffiche di mitra dei secondini serbi, ma altrettanti, però, sono stati dilaniati dalle bombe sganciate dai jet Nato.

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Accanto agli spagnoli, dicevamo, anche la missione del Federal Bureau of Investigation (FBI). All'equipe americana, composta da 59 tra patologi, criminologi e an- tropologi è andata in sorte la zona di Djakova. Gli investigatori Usa hanno cominciato la loro missione lo scorso 23 giugno. Il loro lavoro si è concentrato su cinque siti nei pressi di Djakova e due intorno a Pec (capoluogo del settore controllato dai militari italiani).

A Djakova, secondo il comandante sul campo del FBI Roger Nisley, «in una casa abbiamo trovato i corpi di 6 uomini uccisi con armi da fuoco; in una seconda abitazione, completamente incendi ata, abbiamo scoperto i resti di una ventina di persone». Scoperte simili sono state fatte anche negli altri tre siti del capoluogo della Methoja. «Nei pressi di una moschea –ha aggiunto Nidsley- abbiamo rinvenuto due scheletri. Secondo le testimonianze ci sarebbero stati, invece, almeno trentadue cadaveri.

In un altro sito abbiamo ritrovato i resti di cinque maschi adulti. Nell'ultimo, i corpi di diverse persone ass assinate». A Pec, sempre secondo il FBI, nei pressi dei due siti scoperti, sono stati recuperati i corpi, rispettivamente, di sei persone, inclusi quelli di una madre e del suo bambino, uccise con armi da fuoco, e di altre nove, che hanno subito torture. Ora si attende l'esito delle altre tredici squadre al lavoro nella (ormai ex) provincia jugoslava. Ma già i primi, e frammentari risultati fanno trapelare nuovi scenari.

Le ricerche condotte hanno finora evidenziato altri clamorosi casi di "sparizione" delle vittime. Non si ha nessuna traccia, per esempio, dei presunti 130 morti di Izbica, dei 96 di Klina, degli 82 di Kralijan. Su queste basi, il Tribunale Internazionale dell'Aja potrebbe essere costretto a riformulare i capi d'accus a contro il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic e il suo entourage. Ma soprattutto, la comunità internazionale potrebbe scoprire che una delle più forti motivazioni -il genocidio- portate come giustificazione alla "guerra umanitaria" nel Kosovo da parte dell'Alleanza atlantica era inventat a.

L'argomento, quindi, resta delicato. Non erano di certo inventate le stragi della Bosnia che, è giusto ricordarlo non furono solo dei serbi contro i musulmani, ma anche dei croati contro i serbi e i musulmani e, seppur in maniera molto minore, dei musulmani nei confronti del nemico di turno.

Ma durante la guerra della Nato contro la Jugoslavia di Milosevic la "psicosi da foss a comune", è stata sicuramente un'efficace arma di propaganda.

Le prime testimonianze sull'esistenza delle tombe collettive le fornivano i profughi alle frontiere macedoni e albanesi di Blace e Morina, compilando liste di nomi dei presunti scomparsi.

E non sempre è stato facile veri fi carne la veridicità. E' rimasto emblematico il caso della inesistente fossa di Ljubenic, nei pressi di Pec. Lo scorso 9 luglio, durante la rituale riunione mattutina con la stampa internazionale, Jan Joostin, uffici ale danese, a quel tempo portavoce della Nato a Pristina, riferì della scoperta da part e dei militari italiani di stanza a Pec, di una fossa comune contenente i resti di 350 persone.

L'impressione fu grande, il clamore tra i giornalisti italiani presenti a quel tempo in Kosovo pure, e la notizia occupò stabilmente per tre giorni le prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali. Chi scrive, non assistette a quella conferenza stampa ma trovandosi a Pristina, e data la portata delle dichiarazioni del colonnello Joostin, decise di partire alla volta di Pec e di verificare.

Arrivati all'Hortel Methoja, quartier generale dei bersaglieri italiani, fummo

dall'ultima relazione della Del Ponte. Il primo consiste nel fatto che il Commissario dell'Onu per il Kosovo, Bernard Kouchner, ha contribuito all'ampliamento del numero dei cadaveri, suggerendo la ci fra di 11 mila, che nemmeno la Nato si è sentita di riprendere.

Ciò è indicativo, perché mostra che la sudditanza dell'Onu verso gli Usa implica, attraverso un comportamento di parte, la violazione sistematica degli accordi che hanno permesso alle forze Nato di trasformarsi in forze Onu ed entrare nel Kosovo. Ricordiamo ai lettori che nessuna forza Nato/Onu entrò nel Kosovo prima dell'approvazione dell'accordo da parte del Parlamento di Belgrado. Il secondo elemento è di tipo politico.

Il rapporto Stratfor infatti nota che «nel caso gli Stati uniti e la Nato si fossero sbagliati, quei governi dell'Alleanza che, come l'italiano e il tedesco, dovettero fronteggiare pesanti critiche, potrebbero venirsi a trovare in difficoltà». Il rapporto conclude osservando che

«saranno molte le conseguenze qualora risultasse che le dichiarazioni della Nato riguardo alle atrocità serbe erano largamente fals e».

La necessità della dirigenza Nato di correre ai ripari discende anche dalla consapevolezza che intorno all'Uck si sta ormai creando un vuoto colmabile solo col rientro di Belgrado nel territorio della provincia jugoslava, da effettuarsi a fianco dell'Onu. Sempre il 17 ottobre Peter Finn del Washington Post così intitolava una sua corrispondenza da Pristina: «Si affi evolisce l'appoggio per i ribelli del Kosovo: gli etnico- albanesi costernati dalla violenza e dall'arroganza dell'Uck». Quattro giorni prima, il 13 ottobre, sempre sul Washington Post, era apparso un articolo in cui si denunciava che «le forze dell'intolleranza minacci ano di logorare il Kosovo».

Il maggiore quotidiano di Washington è stato, anche se in forma meno fanatica del New York Times, uno dei principali sostenitori della politica di Clinton contro la Jugoslavia.

Tuttavia, col prolungarsi della guerra, aveva cominciato a offrire spazi importanti alle critiche. Inoltre il Washington Post è stato assolutamente esplicito sulla vera ragione per cm' le truppe Nato riuscirono alla fine ad entrare nella provincia jugoslava, vale a dire l'abbandono di Milosevic da Parte dei russi. Il giornale è un importante catalizzatore a livello nazionale dei focus groups su cui i democratici basano la loro influenza politico- intelletuale. Leggendo gli articoli summenzionati, sembra essere ritornati alle fasi più nere della guerra, quelle antecedenti il salvataggio russo, quando il Post si sentiva molto a disagio, cominciando a temere che gli Stati uniti si fossero cacciati in un ginepraio. Oggi il periodo postbellico viene visto come un pantano da cui gli Usa farebbero bene a uscire, ma senza sapere esattament e come.

L'evoluzione della situazione richiede che anche in Europa, e in Italia in particolare, la questione venga riaperta, rimettendo in discussione sia la partecipazione italiana alla forza Onu, sia la validità di tutta l'operazione. Collegando la presenza dell'Onu con la precisa analisi del Washington Post circa il regime che regna nel Kosovo, non si può non concludere che l'Onu e la Kfor-Nato sono istituzionalmente corresponsabili della pulizia etnica che ha colpito oltre 200 mila persone tra serbi, rom ed ebrei. Inoltre, data la natura, perfettamente conosciuta, dell'Uck, l'Onu è istituzionalmente corresponsabile delle uccisioni e dei rapimenti che caratteri zzano la vita quotidiana nella provincia jugoslava.

L'Onu ha legittimato quelli che il Washington Post chiama giustamente i ribelli, lascian- doli inizialmente scorrazzare liberamente, e riconoscendoli come un corpo di polizia.

Alle forze che In Italia hanno lottato contro la guerra non deve sfuggire il fatto che ci sono state molteplici violazioni dell'accordo con Belgrado, in virtù del quale le truppe

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le tante fosse comuni segnalate e scavate dove non si è trovata una sola vittima. Il documento dell'Aja non dice poi chi sono le vittime, giacché non basta dire «albanesi»:

infatti proprio ieri, in strana sintonia ed equilibrio inedito con le rivelazioni dell'Aja, la Nato da Pristina ha reso noto in un documento che dice che dall'entrata della Kfor sono state uccise ben 400 persone, serbe, rom e albanesi «collaborazionisti», «in misura sorprendent e» dice la Nato se messe in rapporto «alla bassa la percentuale dei serbi rimasti». Inoltre la Del Ponte non dice - ma come può dirlo ora? - il periodo in cui le uccisioni sono avvenute, se prima, durante la guerra, o immediatamente dopo, né spiega se tra le fosse comuni indagate dal Tribunale dell'Aja ci siano anche quelle in cui sono seppellite - come a Ugljare, Lipljane o Gnjilane - vittime civili serbe.

Comunque sia non è un giallo. E' iniziata la conta dei morti della guerra. Dal rigore non strumentalizzabile della ricerca, dalla verità, dipenderà la possibilità che la storia passi nei devastati Balcani (la crisi a Belgrado è legata a queste «verità», come alla definitiva «attribuzione» del Kosovo), e che l'orrore per quei corpi maciullati non si tras formi in nuova «ragione» etnica.

il manifesto 18/11/1999

Le bugie della Nato la crisi dell'Onu

JOSEPH HALEVI Nell'ultimo mese si è registrata, da parte dei dirigenti politici della Nato ed europei, un'ansiosa corsa a giustificare la guerra lanciat a nell'Adriatico contro la Jugoslavia. Le giustificazioni più patetiche ma significative sono quelle rilasciate alcuni giorni fa dal nuovo segretario dell’Alleanza Atlantica, il britannico Robertson, in visita in Ungheria. I duemila morti, egli ci dice, divulgati dal Tribunale presieduto da Carla del Ponte, non saranno i diecimila che la Nato sperava di trovare, ma da duemila a quattromila «il passo è breve», e quattromila è cifra di tutto rispetto. In pratica è come se fossero diecimila.

Non è poco come «interpretazione» di un testo del Tribunale dell'Aja assai cauto e che ammette come la maggior parte delle «sepolture» siano individuali, più riconducibili cioè alla feroci a dei combattimenti (qualcuno li ha dimenticati?) che del presunto sterminio.

Il fatto è che agli organizzatori della guerra, in Bosnia prima e nel Kosovo poi, il terreno comincia a bruciare sotto i piedi. Negli Stati Uniti ci si chiede dove sono i killing fields, cioè i campi pieni di cadaveri che la Nato aveva promesso di scoprire una volta entrata in Kosovo. Il 17 ottobre la Fondazione Stratfor, un centro di studi strategici di Austin, nel Texas, aveva emesso un dettagliato rapporto che analizzava tutta la vicenda, iniziando dalla fabbricazione della ci fra di 10 mila morti e terminando con la domanda «che è successo?» (chi volesse trovarlo: http://www.stratfor.com/crisis/kosovo/genocide.htm).

Due elementi di rilievo emergono dallo studio della Stratfor, tutt'altro che smentito

accolti dal disincanto dell'addetto stampa militare, capitano Attilio André. «Non sarete mica venuti per la bufala (testuale, ndr) della fossa comune?» Ribattemmo di aver avuto la notizia a Pristina e di esserci precipitati. L'uffi ciale italiano ci informò che della fossa di Ljubenic non ne sapeva nulla e che comunque Ljubenic (pochi chilometri da Pec) era nella zona di competenza degli alpini della Brigata Taurinense. Il capitano André aggiunse inoltre che gli stessi Alpini, che pure a quel tempo conducevano ricerche ad hoc, erano tras ecolati. Quindi la fossa non esiste, domandammo. La risposta di André fu molto chiara: «Gli albanesi ci hanno consegnato una lista con i nomi di 51 persone disperse.

Loro sostengono che sono state uccise. In una casa abbiamo ritrovato tre mucchietti di cenere e i resti di esseri umani. I locali sostengono che si tratta dei 51 scomparsi.

Personalmente credo che quella cenere possa essere il penoso resto più di due che di cinquanta persone, però».

Nello stesso posto, due giorni più tardi raccogliemmo la testimonianza di un altro militare italiano, il maresciallo Frances co Cariati (instancabile factotum a disposizione della stampa), che ci disse. «A Ljubenic è stato trovato un cerchio con al centro un mucchietto di cenere. Possono E sere al massimo i resti di quattro o cinque persone». E che cosa ne pensano gli investigatori che stanno raccogliendo le prove per conto del Tribunale dell'Aja?, replicammo. Anche in questo caso la risposta fu cristallina: «Nessuno degli investigatori ha conferm ato la notizia dell'esistenza della fossa comune».

Un'invenzione bella e buona o soltanto malafede e approssimazione? La risposta, questa voli fu un'alzata di spalle. Decidemmo di verificare con i nostri occhi.

Raggiungere Ljubenic non fu facile. A quel tempo c'erano all'opera gli sminatori del nostro esercito. Arrivammo davanti a una casa. Sull'entrata scorgemmo un nastro bianco e rosso lasciato dai militari del Boe della Garibaldi (il nucleo di bonifica). Dietro l'edificio principal e, un orto. Dal lato, spuntavano un torace e un teschio. Poco più in là, una spina dorsale. Il tanfo era as fissiante. Nell'orto c'erano tre piccole piazzole nere di cenere. Si trattava dei resti di cadaveri bruciati. Forse quattro o cinque, non trecento- cinquanta.

l'Unità 20/10/1999

Nelle fosse del Kosovo 200 morti

Ecco le cifre di Fbi e dei medici legali spagnoli

PAOLO SOLDINI BRUXELLES. Quanti kosovari di etnia albanese sono stati uccisi dai serbi durante la guerra? All'inizio dello scorso agosto l’amministratore dell'Onu Bernard Kouchner avanzò la ci fra di 11 mila .attribuendola a forti del Tribunale penale per i crimini nella ex Jugoslavia (Itcy) e venne seccam ente smentito da un portavoce dello stesso tribunale, il quale precisò che le indagini sugli eccidi erano in corso e non si potevano fornire ci fre.

Ora le indagini sono, almeno provvisoriamente, concluse e avrebbero portato a un

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risultato ben lontano da quello indicato da Kouchner, ma anche dalle 10 mila vittime di cui hanno sempre parlato i responsabili Nato.

In queste cifre veniva radicata la necessità di fermare il “ genocidio” addotto come motivi dei bombardamenti alleati contro la Serbia. I cadaveri ritrovati finora (ed è bene sottolineare finora) sarebbero sull'ordine delle centinaia. Si tratta di una contabilità certam ente impropria e ben triste. Centinaia di persone uccise, e in molti casi con documentata efferatezza (in alcune foss e sono stati trovati corpi di bimbi di 4 anni e di vecchi di oltre 90), costituiscono comunque un formidabile atto d'accusa contro i dirigenti serbi. Ma la differenza nell'ordine di grandezza tra qualche centinaio e diverse decine di migliaia è tutt'altro che indifferente in relazione al giudizio da dare sull'iniziativa Nato e costituisce dunque un delicato problema politico.

Il rapporto dell’ITCY dovrebbe essere pronto per la fine del mese. Ma sul numero delle vittime che vi è indicato esistono altre fonti, tutte attendibili e al di sopra di ogni sospetto. Come l'Fbi americana. Dalla fine dell'agosto scorso si trovano in Kosovo 62 tra agenti investigativi, analisti di laboratorio e media legali che, coordinati da quattro specialisti dello Armed Forces Institute of Pathology (AFIP), sono stati invitati dal Tribunale proprio per trovare le prove degli eccidi. Finora gli uomini dei Fbi che hanno indagato nella zona controllata dai contingenti Kfor britannico e canadese, hanno trovato prove dell'uccisione di 124 kosovari albanesi, probabilmente nei mesi di marzo e aprile.

Contando tutti i corpi trovati in presunte «fosse comuni» e che contenevano in realtà due o tre cadaveri, si arriva a meno di 200.

Gli americani non sono i soli a svolgere questa tristissima indagine. L'ITCY ha chiesto l'intervento di squadre di media legali e investigatori di 15 paesi: oltre agli Usa, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna. Sull'attività degli spagnoli esiste una relazione che è stata pubblicata, giorni fa, sul quotidiano «El Pais». Partiti con le attrezzature necess arie per compiere 2000 autopsie, i medici legali spagnoli hanno trovato solo 187 corpi da esaminare, tutti esumati da sepolture individuali. Il dottor Juan Lopez Palafox, che guidava il team, ha sostenuto, che, per quanto i suoi uomini avevano potuto constatare, «nella ex Jugoslavia sono stati commessi dei crimini senza dubbio orribili, ma conseguenza della guerra».

Il fatto che i corpi ritrovati non hanno superato (finora) l'ordine di grandezza delle centinaia è provato indirettamente da un'altra circostanza: in nessuno dei luoghi teatro delle presunte stragi di cui si era dato notizia durante la guerra sono stati trovati cadaveri corrispondenti all'eccidio denunci ato Il più delle volte, anzi, non è stato trovato alcun corpo. E’ stato così, ad esempio, nelle miniere di Trepca, dove si era detto che i serbi avessero nas costo i cadaveri di 700 vittime. L’11 ottobre scorso un portavoce dell'ITCY ha ammesso che non è stato trovato alcun cadavere. La fossa comune di Ljubenic, presso Pec (zona controllata dagli italiani) in cui si diceva fossero sepolti 350 cadaveri ne ha restituiti «soltanto» sette. A Djacovica, dove i testimoni avevano parlato dell'uccisione collettiva di cento uomini, non si è trovato nulla e solo a questo punto i testimoni si sarebbero ricordati che i serbi dopo il massacro erano tornati di notte a portar via i corpi.

Idem a Pusto Selo, dove i morti «scomparsi» sarebbero 106 e dove gli investigatori non hanno trovato traccia delle presunte «fosse comuni» riprese dagli aerei Nato e mostrate

il manifesto 11/11/1999

TOMMASO DI FRANCESCO Gli inviati del Tribunale penale dell'Aja (Tpi), hanno riesumato finora in Kosovo 2.108 corpi, ma «il numero reale delle persone di etnia albanese rimaste vittime delle aggressioni serbe potrebbe essere molto più alto»: lo ha dichiarato ieri il nuovo procuratore capo del Tribunale, la svizzera Carla Del Ponte in un discorso, secco, asciutto, preciso al millimetro, fatto davanti a rappresentanti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, in un documento annunciato dieci giorni fa, ma via via rimandato. «Ad oggi – ha precisato - è stato esaminato un terzo delle 529 fosse comuni segnalate. Il lavoro è stato completato in 195 siti di sepoltura dove - precisa il documento - erano stati segnalati 4.266, corpi sepolti». In totale i corpi segnalati - anche dal plenipotenziario dell'Onu in Kosovo, Bemard Kouchner - agli investigatori del tribunale sono 11.334.

Per il procuratore dell'Aja la cifra di 2.108 «non riflette necessariamente il totale delle vittime reali» in quanto insieme alle tombe sarebbero state scopert e anche prove di manomissioni, tanto che «è impossibile contare il numero dei morti»: molti corpi sono stati bruciati. Ma solo alcuni «siti di sepoltura» contengono centinaia di persone, moltissime sepoltura invece contengono pochi corpi, molti quelli individuati ma molti ancora quelli senza identificazione. Poi Carla Del Ponte ha concluso con la necessità di

«fare presto» e l'impegno a concludere tutte le indagini «entro la fine dell'anno prossimo».

Questo scarso, onesto comunicato – pensiamo alle iniziative propagandistiche di Louise Arbour il procuratore canadese precedente del Tpi - dice alcune cose inequivocabili. E' fin troppo evidente che non c'è, finora, alcun riscontro con gli 11 mila morti denunciati da Kouchner e tanto meno cm i «centomila morti» annunciati nel maggio scorso dal segretario Usa alla difes a William Coen a giustificazione dei bombardamenti «umanitari»

della Nato contro altri civili. Ma questa conta strumentale dei morti, da becchini, a

«riprova» o a «ragione» stavolta francamente la lasciamo ad altri. E' fin tropo evidente, e da sempre. A noi preme dire che questa contabilità provvisoria è già troppo dolorosa e non ci appartiene: la vita di un solo essere basta a dimostrare l'infamia della guerra di pulizia etnica. Ora duemila morti (anche se le fosse comuni «vere e proprie» sono poche e molte, quasi tutte, sono fosse individuali) rappres entano un formidabile atto d'accusa per la leadership serba in guerra spietata con una parte del suo popolo.

Ma il vigore della documentazione portata, con notizie volutamente esili, quasi a voler evitare strumentalizzazioni, autorizzano non già ad entrare nel «becchinaggio», ma a sollevare qualche legittimo dubbio sulle nebbie che è sperabile vengano al più presto dissipate. Il documento dell'Aja non spiega infatti come le vittime fin qui ritrovate siano state uccise. Non lo fa volutamente perché «dice di non sapere». Se lo facesse entrerebbe in conflitto con alcuni degli organismi che hanno indagato dalla fine di agosto, e per farlo hanno rimosso le zone minate proprio nelle aree indicate come «fosse comuni». Vale a dire contraddirebbe i 62 agenti del Fbi e i tanti medici legali, primi fra tutti i medici e i legali della commissione d'indagine del governo spagnolo. Di entrambi le relazioni sono conosciute e i giornali di mezzo mondo le hanno pubblicate: parlano di delitti efferati, ma nell'ordine, anche quantitativo, della «logica di guerra, non del genocidio», e descrivono

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La ringrazio per il coraggio che ha dimostrato nell'intervista.

E’ molto difficile, ma dobbiamo dire la verità. Penso che le persone di buon cuore e di buona volontà prenderanno questa intervista nel modo migliore.

Lo spero. Prima, le ho fatto una domanda a cui non ha risposto. La stampa ha riferito di atrocità dell'esercito jugoslavo contro gli albanesi durante i bombardamenti. Lei ha detto che la guerra è stata sporca...

Perché? Anche se ne parlo, nessuno si fida dei serbi. Persino se dicessi che non è accaduto, nessuno si fiderebbe dei serbi.

Ma io non so esattamente che cosa è successo...

Anche se dicessi di no, anche se un ebreo di Pristina dicesse che questa accusa è falsa, sarebbe molto diffi cile per lui essere creduto. Potrebbe essere una persona che aveva qualche motivo, potrebbe essere accusato di...

E allora? Lasci che credano a ciò che vogliono ma almeno, se lei dice la verità, la verità sarà stata detta. La verità deve essere detta...

Ero completamente al di fuori della lotta tra esercito e Uck

Ma lei era a Pristina. Lei è il direttore dell'archivio centrale del Kosovo. Lei sa se c'erano persone che andavano in giro a massacrare la gente, lei sa da amici albanesi che cosa stava succedendo, se l'esercito era coinvolto, se la Cnn diceva la verità o mentiva... Q ualcuno deve dire la verità per l'amor di Dio...

Va bene.

E se sono successe brutte cose, le dica. Dica semplicemente la verità.

Sono successe brutte cose. Ma i serbi come popolo, come nazione dall'inizio della loro storia fino ad oggi non hanno commesso atrocità, né genocidio. Ci sono stati individui che hanno fatto certe cose che non avrebbero dovuto fare. Ma qualcuno sta sfruttando questo, lo sta esagerando: il popolo serbo non aveva problemi con gli albanesi del Kosovo. Si sono aiutati a vicenda, specialmente nell'ultimo periodo. Ma appena sono entrate le truppe Kfor e il confine è stato aperto alla Macedonia e all’Albania, sono arrivati un sacco di albanesi da fuori e c'è una gran confusione, ci sono uccisioni. Durante i bombardamenti nei luoghi in cui viveva la gente non c'erano massacri commessi dalla popolazione locale.

Spesso i serbi difendevano gli albanesi dalle milizie paramilitari.

Non dall'esercito jugoslavo?

Mai dall'esercito, né dalla polizia, né dai civili serbi. Ma con la ritirata dell'esercito c'erano gruppi paramilitari da entrambe le parti. Allora la situazione è diventata sporca.

Ma durante i bombardamenti?

Allora non c'erano massacri. A Pristina ci rifugiavamo in cantina insieme con gli albanesi.

Tutti insieme, rom, serbi, turchi, albanesi, ebrei, inquilini dello stesso palazzo. Stavamo tutti insieme.

alla tv. Né sono stati trovati i resti di 96 presunte vittime a Klina e di altre 82 a Kralijan.

C'è poi il caso clamoroso di Izbica, il villaggio che tutto il mondo vide nelle riprese

«segrete» di un profugo albanese: 130 uomini uccisi, neppure un corpo trovato. Eppure il massacro di Izbica figura nell'atto di accusa formulato dalla procura dell'ITCY il 22 maggio scorso contro Milosevic e 4 diligenti di Belgrado. Così come una strage di donne e bambini che sarebbe avvenuta il 2 aprile nella regione di Djakovica.

Le indagini, ha precisato ieri il portavoce del tribunale, verranno sospese dopo il primo rapporto provvisorio per essere riprese a primavera. Con lo stesso esito?

Brecht Forum di New York 18/11/ 1999

La Comunità ebraica cacciata dall’Uck. Complice la Kfor-Nato

Quella che segue è l’intervista a Cedda Prlincevic, presidente della comunità ebraica di Pristina e direttore dell'archivio centrale del Kosovo, realizzata

da Jared Israel.

Lei é il presidente della Comunità ebraica di Pristina?

Sì, era una piccola comunità. Siamo andati via tutti.

Perché siete partiti?

Perché l'accordo politico è diventato una risoluzione militare. I cittadini erano sotto pressione. Non ti chiedevano quale fosse la tua nazionalità, eri costretto a lasciare la casa e la città. Anche se io avevo un documento da cui risultava che sono il presidente della comunità ebraica di Pristina scritto in inglese e firmato dal presidente della Federazione delle comunità ebraiche di Belgrado, Alexandar Singer, gli ufficiali della Kfor si sono rifiutati di riconoscere tale documento e sono rimasto prigioniero nella mia casa per una settimana. In seguito l'ho dato a un altro ufficiale della Kfor, e mi ha risposto: «Ho altre cose di cui occuparmi». Dall'Albania le potenze occidentali sono entrati nel paese. Il loro principale obiettivo era far uscire tutta la popolazione non albanese. Con l'aiuto dell'israeliano Eliz Viza e del presidente della Comunità ebraica di Skopje sono stato soccorso, portato in taxi in Macedonia insieme a mia moglie e a mia madre e dalla Macedonia sono arrivato a Belgrado. L'intera operazione di salvataggio della mia famiglia è stata data alla tv israeliana. (... ) Molti della comunità ebraica hanno contratto matrimoni misti con persone albanesi, turche, serbe. Tutti sono pronti ad andare in Israele.

Per noi è troppo tardi per tornare in Kosovo. Anche se Hasim Thaqi, il capo dell'Uck, ci garantisse che le nostre cas e non sarebbero toccate. Ci risulta che tutte le nostre case sono state completamente rapinat e e demolite. (... )

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Ha mai riscontrato dell'antisemitismo da parte dei serbi?

Mai. Ma neanche da part e degli albanesi. Io ero un manager, sia per gli albanesi che per i serbi. Non siamo stati scacciati dal Kosovo dagli albanesi di Pristina, ma dagli albanesi dell'Albania.

In altre parole tanta gente che abbiamo visto applaudire le truppe tedesche e Nato, non era gente dei posto?

Era la stessa gente che dimostrava in Albania alcuni anni fa e che stava demolendo l'intero paese adesso si trova in Kosovo.

Sono stati portati intenzionalmente dalla Kfor-Nato?

Questo non sono in grado di dirlo.

Mettiamola così: non sono .stati fermati?

Nessuno li sta fermando. La Kfor si trova lì, vede tutto e permette loro di fare ciò che hanno fatto.

Come sono andate le cose? Ci sono state minacce, dopo di che voi siete andati alla Kfor, e loro hanno detto: «Noi non vi aiutiamo»?

Sono venuti a casa nostra e hanno minacciato di ucciderci, di massacrarci. Mia moglie, che è serba, mi ha difeso. E io sono fiero di lei. Le hanno detto che ci avrebbero massacrati, e lei gli ha risposto: «Uccidete me! Massacrat e me! Non lascerò la mia casa!».

Poi i funzionari della comunità ebraica sono venuti a casa mia e mi hanno messo su un taxi.

Sua moglie è una donna molto coraggiosa. Tornando alle persone che sono venute a casa vostra: le conosceva?

No, mai viste.

Erano armate?

Con fucili mitragliatori. Hanno ripulito completamente l'edificio e l'intera zona in cui vivevamo, un'area vasta con 30.000 persone. Sono andati di casa in casa.

Hanno ucciso qualcuno?

Inizialmente hanno ucciso una persona che di cognome si chiamava Kompic, una famiglia serba. Dopo questo fatto non abbiamo opposto resistenza. Per tutta la notte hanno bussato alle porte, le aprivano ed entravano, andavano da un appartamento all'altro.

Molte delle persone che vivevano lì godono di prestigio sociale ed hanno una certa posizione in città. Anche gli albanesi che vivevano negli stessi palazzi sono scappati.

Non c'erano solo serbi, le nazionalità erano mescolate. Ciò che è successo era assolutamente inedito nella storia del Kosovo. Da quando il Kosovo è una società multinazionale, multiconfessionale - con una consistenza durata 500 anni - non c'era mai stato il livello di odio che c'è adesso.

Ma lei sta dicendo che hanno mandato motti albanesi provenienti dall'Albania?

Questo è un pogrom contro la popolazione non albanese in tutto il Kosovo, Djakovica, Pec, Kosovska Mitrovica, tutta la Metohja. Sia in Kosovo che in Metohja.

Ma non sono gli albanesi del posto a compierlo?

E messo in atto dagli albanesi stranieri. Loro parlano una lingua diversa. Un altro dialetto. In tutto il Kosovo la situazione è la stessa. Non posso garantirle al 100% che siano solo gli albanesi d'Albania a farlo. Ma non ho visto alcun albanese di Pristina compiere una vendetta su un suo vicino di casa.

Ha provato a rivolgersi alla Kfor-Nato?

La Kfor era a casa mia quando loro sono venuti. Quando gli albanesi hanno cominciato a distruggere gli appartamenti e a cacciarci, una persona ha chiamato la Kfor e l'uffi ciale della Kfor è venuto nel condominio, stava lì con la sua squadra. Ce n'era un intero drappello che andava su e giù per le scale una pressione di 24 ore con gente che saliva e scendeva per le scale batteva alla porta, entrava, demoliva... in alcuni posti hanno abbattuto la porta e lanciato gas lacrimogeni, e rubavano.

Dunque gli uomini della Kfor erano lì. Hanno davvero visto questo? Cosa hanno detto?

Non hanno reagito affatto. Non hanno protetto nessuno. Hanno detto che questo problema riguardava le autorità civili. Loro erano interessati solo alle uccisioni.

Da chi erano rappresentate le autorità civili?

Non erano ancora state formate. Non ce n'erano. I militari della Kfor erano lì solo per sistemare i documenti se ti ammazzavano. Il mese scorso sono avvenuti in Kosovo una gran quantità di omicidi e reati molto gravi. Invece di avere la «democrazia europea» ci siamo ritrovati una forma indefinita di potere e... «potere» non è la parola giusta.

Fascismo?

No. Non fascismo. Forza. Potere. Gli storici inventeranno una nuova parola per questo...

Gli ebrei hanno la parola progrom.

Sì. E’ un pogrom, brutalità indiscriminata contro un gruppo. Ma lei dice che sono stati colpiti anche gli albanesi...

La popolazione si aspettava davvero prot ezione dalla Kfor, ecco perché la gente non aveva lasci ato le abitazioni. Questa è la cosa che ci ha più sorpresi. Invece di difendere la popolazione se ne stavano solo lì a guardare quello che succedeva, come se la situazione foss e irrilevante. In giugno e luglio quasi 300.000 persone non albanesi hanno lasciato il Kosovo: serbi, turchi, goran [musulmani slavi], rom, ed anche montenegrini.

300.000 persone. E anche gli albanesi kosovari sono stati molestati. Quelli che erano orientati a favore della Jugoslavia... Hanno attaccato quelli che erano contrari al loro movimento separatista, che non li sostenevano.

E sapevano In quali zone colpirli?

Sì. Lo sapevano. Tutti i cittadini leali verso la Serbia sono stato puniti. Non importa a quale partito appartenessero, se di opposizione o di governo. In Kosovo hanno realizzato il piano della Grande Albania che risaliva alla seconda guerra mondiale, al fas cismo.

Durante i bombardamenti la stampa Usa ha riferito che i serbi attaccavano gli albanesi. Lei che cosa ha visto?

La guerra tra l’esercito e i secessionisti è stata molto sporca... 35 membri della mia famiglia sono ora qui con me. E mia madre è qui. Ed una signora incinta di 8 mesi. 20 di noi sono senza lavoro. Abbiamo lasciato tutto in Kosovo. Avevamo 7 appartamenti e 3 case. Della terra. E tutta la mia vita. Tutta la mia vita, e non ho un soldo. Non ho avuto tempo, non ero pronto per andarmene, non avevo nemmeno una valigia.

A quanto le risulta, alcune persone non sono venute via, e sono state uccise. E’ così?

Sì. Io ho portato solo il Talmud. Mia madre Bea ha 81 anni. E mia moglie. Preferi rei restare in Serbia. Prima di tutto ho un problema con mia madre. E’ anziana e malata, e come farei in Israele con lei? Amo Israele, ci sono stato molte volte, ma è molto difficile per me inserirmi lì a 61 anni.

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