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FABIO NASCIMBENI OPEN EDUCATION OER, MOOC E PRATICHE DIDATTICHE APERTE VERSO L INCLUSIONE DIGITALE EDUCATIVA

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Academic year: 2022

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FABIO NASCIMBENI

OER, MOOC E PRATICHE DIDATTICHE APERTE VERSO L’INCLUSIONE DIGITALE EDUCATIVA

OPEN EDUCATION

11096.10 F. Nascimbeni OPEN EDUCA TION

La passione per le conoscenze

FrancoAngeli

Negli ultimi vent’anni il movimento Open Education, spinto da concetti come le Open Educational Resources (OER) e i Massive Open Online Courses (MOOC), ha contagiato, in misura diversa, quasi tutti i sistemi educativi del pianeta. L’idea, semplice e dirompente, è che combinando il potenziale di condivisione della rete con un sistema di licenze aper- te, chiunque possa accedere a risorse educative di qualità, e che questo possa portare verso sistemi di istruzione più democratici, inclusivi e innovativi. Eppure, basta entrare in una qualsiasi scuola o università per capire che il closed by default è ancora la norma per quanto riguarda sia le risorse sia le pratiche educative.

Questo libro analizza la rivoluzione possibile dell’Open Education, provando a ragio- nare su quanto gli approcci open stiano effettivamente cambiando le pratiche educative e su come l’open by default potrebbe modificare radicalmente i sistemi educativi. Attra- verso un’analisi dei concetti di OER, licenze aperte, Open Educational Practices, MOOC e Open Educator, così come di una rassegna storica degli sviluppi internazionali dell’Open Education, il volume inquadra i successi e le sfide del movimento. Una panoramica delle principali iniziative su OER e MOOC in Italia conclude il lavoro, evidenziandone le criticità e mettendo in luce alcune anomalie positive che fanno sperare in un futuro più inclusivo del nostro sistema educativo.

Fabio Nascimbeni si occupa di innovazione educativa da oltre vent’anni, con un interesse partico- lare per il digitale nell’educazione e per gli approcci aperti e inclusivi. Lavora come Assistant Pro- fessor all’Universidad Internacional de La Rioja (Spagna) e collabora con il Centro de Estudos sobre Sociedade e Tecnologia dell’Universidade de São Paulo (Brasile) e il Centro Nexa del Politecnico di Torino. Senior Fellow della rete European Distance and eLearning Network (EDEN), ha lavorato come esperto per diverse organizzazioni internazionali tra cui la Commissione Europea e l’UNICEF. È tra i fondatori e anima la rete Open Education Italia.

10,00 (V) (edizione fuori commercio)

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Evelyne Bévort, CLEMI Paris, Antonio Calvani, Università di Firenze Ulla Carlsson, Goteborg University Renza Cerri, Università di Genova

Bill Cope, University of Illinois at Urbana-Champaigne, Juan de Pablo Pons, Universidad de Sevilla, Floriana Falcinelli, Università di Perugia

Monica Fantin, Universitade General de Santa Caterina, Riccardo Fragnito, Università telematica Pegaso Paolo Frignani, Università di Ferrara

Luciano Galliani, Università di Padova

Patrizia Maria Margherita Ghislandi, Università di Trento Luigi Guerra, Università di Bologna

Mary Kalantzis, University of Illinois at Urbana-Champaigne, Diane Laurillard, University of London,

Roberto Maragliano, Università di Roma Tre Eleonora Marino, Università di Palermo Vittorio Midoro, ITD, Genova

Paolo Paolini, Politecnico di Milano Vitor Reia-Baptista, Universitate de Algarve, Pier Cesare Rivoltella, Università Cattolica di Milano Pier Giuseppe Rossi, Università di Macerata

Media e tecnologie per la didattica

Collana diretta da Pier Cesare Rivoltella, Pier Giuseppe Rossi

La collana si rivolge a quanti, operando nei settori dell’educazione e della formazione, sono inte- ressati a una riflessione profonda sulla relazione tra conoscenza, azione e tecnologie. Queste modi- ficano la concezione del mondo e gli artefatti tecnologici si collocano in modo “ambiguo” tra la persona e l’ambiente; in alcuni casi sono esterne alla persona, in altri sono quasi parte della per- sona, come a formare un corpo esteso.

La didattica e le tecnologie sono legate a doppio filo. Le tecnologie dell’educazione non sono un settore specialistico, ma un filo rosso che attraversa la didattica stessa. E questo da differenti pro- spettive. Le tecnologie e i media modificano modalità operative e culturali della società; influisco- no sulle concettualizzazioni e sugli stili di studio e di conoscenza di studenti e adulti. I processi di mediazione nella didattica prendono forma grazie agli artefatti tecnologici che a un tempo struttu- rano e sono strutturati dai processi didattici.

Le nuove tecnologie modificano e rivoluzionano la relazione tra formale informale.

Partendo da tali presupposti la collana intende indagare vari versanti.

Il primo è quello del legame tra media, linguaggi, conoscenza e didattica. La ricerca dovrà esplorare, con un approccio sia teorico, sia sperimentale, come la presenza dei media intervenga sulle strutture del pensiero e come le pratiche didattiche interagiscano con i dispositivi sottesi, analizzando il lega- me con la professionalità docente, da un lato, e con nuove modalità di apprendimento dall’altro.

Il secondo versante è relativo al ruolo degli artefatti tecnologici nella mediazione didattica.

Analizzerà l’impatto delle Tecnologie dell’Educazione nella progettazione, nell’insegnamento, nella documentazione e nella pratiche organizzative della scuola.

Lo spettro è molto ampio e non limitato alle nuove tecnologie; ampio spazio avranno, comunque, l’e-learning, il digitale in classe, il web 2.0, l’IA.

Il terzo versante intende indagare l’ambito tradizionalmente indicato con il termine Media Education.

Esso riguarda l’integrazione dei media nel curricolo nella duplice dimensione dell’analisi critica e della produzione creativa e si allarga a comprendere i temi della cittadinanza digitale, dell’etica dei media, del consumo responsabile, nonché la declinazione del rapporto tra i media e il processo edu- cativo/formativo nell’extra-scuola, nella prevenzione, nel lavoro sociale, nelle organizzazioni.

Per l’esplorazione dei tre versanti si darà voce non solo ad autori italiani, ma saranno anche proposti al pubblico italiano alcune significative produzioni della pubblicistica internazionale. Inoltre la collana sarà attenta ai territori di confine tra differenti discipline. Non solo, quindi, la pedagogia e la didattica, ma anche il mondo delle neuroscienze, delle scienze cognitive e dell’ingegneria dell’informazione.

Comitato scientifico

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Il presente volume è pubblicato in open access, ossia il file dell’intero lavoro è liberamente scaricabile dalla piattaforma FrancoAngeli Open Access

(http://bit.ly/francoangeli-oa).

FrancoAngeli Open Access è la piattaforma per pubblicare articoli e mono- grafie, rispettando gli standard etici e qualitativi e la messa a disposizione dei contenuti ad accesso aperto. Oltre a garantire il deposito nei maggiori archivi e repository internazionali OA, la sua integrazione con tutto il ricco catalogo di riviste e collane FrancoAngeli massimizza la visibilità, favorisce facilità di ricerca per l’utente e possibilità di impatto per l’autore.

Per saperne di più:

http://www.francoangeli.it/come_pubblicare/pubblicare_19.asp

I lettori che desiderano informarsi sui libri e le riviste da noi pubblicati

possono consultare il nostro sito Internet: www.francoangeli.it e iscriversi nella home page al servizio “Informatemi” per ricevere via e-mail le segnalazioni delle novità.

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FABIO NASCIMBENI

OER, MOOC E PRATICHE DIDATTICHE APERTE VERSO L’INCLUSIONE DIGITALE EDUCATIVA

OPEN EDUCATION

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In copertina: Foto di Viktor Forgacs on Unsplash.

Isbn 9788835112112

Copyright © 2020 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non Commerciale-Non opere derivate 4.0 Internazionale (CC-BY-NC-ND 4.0)

L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sul diritto d’autore. L’Utente nel momento in cui effettua il download dell’opera accetta tutte le condizioni della licenza d’uso

dell’opera previste e comunicate sul sito https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/deed.it

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Indice

Ringraziamenti

Prefazione, di Jim Groom

Pag.

»

7 9

Introduzione » 13

1. L’Open Education » 17

1.1. Che cos’è l’Open Education » 17

1.2. Le ragioni dell’Open Education » 23

1.3. Il potenziale dell’ Open Education » 26

2. Concetti chiave » 29

2.1. Open Educational Resources » 29

2.2. Licenze aperte » 35

2.3. Open Educational Practices » 39

2.4. Massive Open Online Courses » 42

3. Il movimento Open Education » 49

3.1. Breve storia del movimento » 50

3.2. Il movimento oggi » 67

3.3. Le sfide aperte » 71

4. Il ruolo degli Open Educators » 77

4.1. Una definizione di Open Educator » 77

4.2. Attività e competenze degli Open Educators » 80

4.3. Open Educators e innovazione pedagogica » 84

4.4. Come creare competenze open » 86

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5. L’Open Education in Italia » 89

5.1. Politiche pubbliche » 90

5.2. Reti e stakeholders » 91

5.3. Iniziative istituzionali e progetti » 93

5.4. Sfide e prospettive dell’Open Education in Italia » 97

Conclusioni » 101

Riferimenti bibliografici » 105

Appendici » 121

1. Principali collezioni OER » 121

2. Principali piattaforme MOOC » 122

3. Principali blog sul tema Open Education » 124

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Ringraziamenti

Scrivere un libro su un tema legato alla conoscenza aperta significa necessariamente un’esperienza di condivisione, cosi come un viaggio oltre i timori legati alla proprietà delle proprie idee per capire che le idee sono un bene comune, e in quanto tali dovrebbero poter circolare liberamente. In questo senso, ringrazio tutti i ricercatori, gli attivisti e i docenti che hanno contribuito a queste pagine, dandomi la possibilità di usare liberamente il loro lavoro nonché l’ispirazione per proseguire sulla strada dell’open. In particolare, ringrazio il professor Daniel Burgos per la continua collaborazione nel cercare di capire come aprire – per quanto possibile – i processi educativi, Jim Groom per la sua visione mai convenzionale di quello che dovrebbe essere l’open, Eleonora Pantò per la revisione del testo e l’incoraggiamento. Infine, ringrazio Sofia per la continua spinta gentile a fare un po’

di più e a farlo per gli altri, così come Ernesto e Isabella, futuri studenti che si meritano, credo, un mondo un po’ più open.

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Prefazione

di Jim Groom

Mentre scrivo questa prefazione, guardo fuori dalla finestra del mio ufficio sulle colline di Trento, l’unica visione che ho avuto del mondo esterno negli ultimi tre mesi. Dal mio rifugio medievale sentivo i messaggi delle autorità locali che ogni giorno ci ammonivano a non uscire di casa, se non per tre motivi: generi alimentari, medicine e, nella peggiore delle ipotesi, un viaggio in ospedale. La voce femminile che dall’altoparlante esortava a rispettare la quarantena mi ricordava il prologo di 1997: Fuga da New York di John Carpenter. In quel film cult del 1981 l’isola di Manhattan si trasforma in un penitenziario di massima sicurezza in cui i prigionieri vengono abbandonati a sé stessi, in una spietata lotta per la sopravvivenza: l’estrema battle royale. Chi avrebbe detto che, poche settimane dopo aver sentito per la prima volta la versione italiana di quella voce narrante, il COVID-19 non sarebbe più stato un problema dei cinesi in Asia o degli italiani in Europa ma sarebbe diventato una pandemia sia nel vecchio continente sia al di là dell’Atlantico. Ben presto l’isola di Manhattan, così come Wuhan, Milano e Brescia, sarebbe diventata il set post-apocalittico del coronavirus. Mentre, seduto nel mio ufficio, mi chiedevo se nei giorni a venire ci sarebbe stato ancora cibo al supermercato, sentivo i miei figli accedere alla loro vita scolastica ormai completamente online, con lezioni spesso improvvisate. Ci sono volute alcune settimane per trovare il ritmo, ma alla fine la scuola è andata online e l’apprendimento è avvenuto nei posti più improbabili, come quelle piante che sanno farsi strada tra le fessure del cemento. È come se tutto d’un colpo il mondo intero si fosse accorto dell’apprendimento a distanza e i professori avessero dovuto comprendere e dare un senso a questo nuovo spazio educativo. Sicuramente sono stati commessi degli errori e alla fine gli esperti avranno di che criticare quello che è stato fatto, ma è innegabile che questi mesi ci abbiano insegnato molto. Nonostante tutte le contraddizioni che i sistemi scolastici locali hanno dovuto affrontare, è stato piantato un seme, e anche senza la preparazione e le risorse adeguate la

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scuola ha saputo proseguire in questa forma nuova. E mentre l’Italia inizia a riemergere dalle devastazioni sociali ed economiche del COVID-19, la questione del ritorno in classe è diventata prioritaria. Mentre scrivo queste parole, gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno facendo sempre più dolorosamente i conti con questo virus mortale: in quei paesi la pandemia è arrivata con qualche settimana di ritardo rispetto all’Europa, eppure sembra aver avuto effetti ben più devastanti. In questi paesi, la pandemia è stata trasformata in un esperimento sociale in cui funzionari sociopatici e incompetenti continuano a privilegiare la logica del mercato rispetto al senso di umanità. Solo negli Stati Uniti al momento della stesura di queste righe il costo devastante del business a tutti i costi supera le 130.000 anime. In Italia ci si è lamentati della severità del lockdown, eppure, quando penso ad amici e parenti negli Stati Uniti, apprezzo sempre di più gli annunci, distanti eppure molto presenti, delle autorità locali che ci ricordano i nostri arresti domiciliari. Un sacrificio che la leadership degli Stati Uniti non è ancora disposta a fare, con conseguenze sempre più gravi in termini di perdite umane e finanziarie.

“Ma, ehi, aspetta!” potreste pensare a questo punto: “Perché parli del COVID-19 quando dovresti scrivere una prefazione a un libro sull’Open Education?”. Semplice: perché il momento che stiamo vivendo ha reso il saggio di Fabio Nascimbeni sul movimento Open Education, che ha mosso i primi passi proprio in Nord America e nel Regno Unito, più rilevante che mai. Ora che ogni paese si vede costretto a ripensare il proprio rapporto con l’apprendimento online, a prescindere da come e quando riprenderanno le lezioni presenziali, la storia dell’Open Education, che Nascimbeni racconta così bene in questo saggio, è una sorta di oracolo su come l’Italia può pensare le proprie politiche di Open Education, se non altro per imparare dall’arroganza e dagli errori di chi finora le ha indicato la strada. Se il contesto dell’Open Education negli Stati Uniti è un sistema scolastico cronicamente sottofinanziato e un settore universitario con prezzi esorbitanti, la spinta dell’Open Education in Italia dovrebbe mirare a garantire che l’educazione rimanga un bene pubblico, dotato di risorse adeguate e protetto dalla logica spietata del mercato. Il percorso verso la privatizzazione nel sistema educativo degli Stati Uniti ha infatti convertito gli studenti in clienti, un cambiamento che si sta ripercuotendo sulle stesse università che, ai tempi del COVID-19, devono poter giustificare i loro costi esorbitanti in un mondo quasi completamente online.

Come sottolinea Nascimbeni nel quarto capitolo, in Italia storicamente l’Open Education non è stata oggetto di attenzione politica, e questo ha portato all’assenza di incentivi per promuovere questo approccio all’interno del sistema universitario. Questo pone l’Italia in una posizione invidiabile,

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offrendole un vantaggio unico. I paesi anglosassoni, pionieri riconosciuti nell’Open Education, hanno infatti commesso tutta una serie di errori (quasi fisiologici in ogni movimento innovativo), soprattutto alla luce della pandemia globale che ha reso materialmente imprescindibili le soluzioni da remoto. Nonostante l’assenza di attenzione politica, però, anche prima del COVID-19 in Italia avevano preso piede numerose iniziative, a livello locale e spesso individuale. Come osserva Nascimbeni, le cose avevano iniziato a cambiare già nel 2019, e un aumento negli investimenti aveva permesso una diffusione più vasta delle pratiche open, in particolare grazie alla Raccomandazione UNESCO relativa alle Open Educational Resources.

Possiamo stare certi che questa attenzione aumenterà ulteriormente nel post- pandemia: che lo si voglia riconoscere o meno, internet è un eroe nella storia del COVID-19 e l’Italia deve investire in un vasto programma nazionale per formare e supportare studenti e insegnanti nell’uso dell’open web come piattaforma educativa del futuro.

Uno sviluppo recente che Nascimbeni analizza è la frattura ideologica all’interno della comunità Open Education negli Stati Uniti, testimoniata dalla decisione di David Wiley di interrompere la conferenza OpenEd.

Questo sviluppo mette a nudo la crescente polarizzazione all’interno del movimento Open Education statunitense tra la crescente logica commerciale e l’idea di un’alternativa libera e aperta all’avidità del mercato editoriale educativo, e dimostra come il passaggio da un meccanismo di sovvenzioni pubbliche a una visione più commerciale dell’Open Education abbia lasciato il movimento senza timone. La lezione importante che possiamo trarre da questa crisi del movimento statunitense, guidato da sempre dalla nobile convinzione che le persone possano contribuire con le loro scelte a creare un’alternativa alla mercantilizzazione dell’educazione, è che una volta che lo spirito del movimento viene compromesso, se ne perdono sia il senso ultimo che le spinte di leadership. E mentre entriamo nel secondo mese di proteste in tutto il mondo per una maggiore giustizia sociale in sistemi che continuano a privilegiare il potere e il denaro sulla vita umana, sarebbe fondamentale radicare il movimento Open Education in Italia su basi di giustizia ed equità, come una vera alternativa al sistema dominante.

Un altro segno dei tempi notato da Nascimbeni è la svolta aziendalista dei Massive Open Online Course (MOOC), con l’investimento nel 2019 da parte della multinazionale australiana SEEK in Coursera, destinata a diventare probabilmente la prima “piattaforma MOOC aziendale”. Il dirottamento dello spirito iniziale dell’Open Education è più che mai evidente nella storia del MOOC, che Nascimbeni racconta magnificamente. Quella che era iniziata in Canada come una visione dell’apprendimento libero e connesso in rete si è in realtà tradotta nella più bassa espressione del tecno-

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soluzionismo a marchio Stanford, sostituendo l’anima con i grandi numeri e lo spirito con il profitto. Se da un lato negli ultimi anni i MOOC hanno assorbito la maggior parte dell’ossigeno del movimento Open Education, dall’altro lato sembrano essersi talmente allontanati da quello spirito originario da porci di fronte a un dilemma più profondo: cosa può significare open se non condiviso liberamente e accessibile a chiunque? Tornando all’Italia, la questione su cosa si debba intendere con Open Education dovrebbe essere affrontata prima di istituzionalizzare il movimento o di realizzare partenariati strategici con imprese che vendono soluzioni che possono compromettere la visione del movimento prima ancora che venga concretizzata. L’Italia ha un’opportunità unica e Nascimbeni lo illustra brillantemente in questo saggio: non c’è momento migliore per definire il futuro dell’Open Education che quello in cui possiamo apprendere dai recenti errori altrui.

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Introduzione

Sono passati vent’anni da quando il Massachusetts Institute of Technology prese la decisione di rendere pubblicamente disponibili i contenuti dei suoi corsi, attraverso un progetto chiamato MIT OpenCourseWare. La novità dell’iniziativa era epocale: una delle più blasonate e costose università del pianeta era disposta a offrire libero accesso al contenuto di tutti i suoi corsi, dichiarando di fatto che il valore aggiunto di studiare al MIT non sta nel poter accedere alle sue risorse educative, e aprendo tutta una serie di questioni di natura strategica, etica, legale, pedagogica, tecnologica che hanno plasmato il settore dell’educazione superiore nel ventennio successivo. Possiamo considerare questo come il primo grande passo del movimento Open Education, che da allora, spinto da idee come le Open Educational Resources (OER) o i Massive Open Online Courses (MOOC), è andato contagiando, in misura diversa e con un impatto in molti casi non all’altezza delle aspettative, quasi tutti i sistemi educativi.

L’idea fondante del movimento è che grazie a internet le risorse educative si possano riprodurre e condividere a costo zero, potenzialmente permettendo l’uso di contenuti di qualità a chiunque, dentro e fuori dalle aule scolastiche o universitarie. Svincolare l’insegnamento dai contenuti proprietari può aumentare l’accesso e la qualità dell’insegnamento, promuovendo sistemi di istruzione più democratici, capaci di adattare le migliori pratiche internazionali ai contesti locali e di integrare l’educazione come parte dell’apprendimento permanente (Butcher e Hoosen 2014). Il concetto chiave, allo stesso tempo semplice e dirompente, è che la conoscenza debba essere un bene pubblico e che l’open web sia una straordinaria opportunità di inclusione e innovazione pedagogica (Atkins et al. 2007).

Martin Weller, uno dei più acuti analisti dei processi open nell’educazione superiore, nel suo libro del 2014 The Battle for Open sosteneva che il movimento Open Education avesse sostanzialmente vinto la battaglia contro l’establishment dei sistemi educativi proprietari e

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tradizionali. Andando in qualche modo contro lo status quo, l’idea di lavorare con approcci aperti era oramai accettata dalle università, e diversi governi e istituzioni internazionali si erano convinti dell’importanza di investire su risorse e approcci aperti (Weller 2014). Indubbiamente l’Open Education ha smesso di essere un tema periferico ed è riuscita a posizionarsi al centro del dibattito sull’istruzione superiore, soprattutto grazie all’interesse scientifico e mediatico suscitato a partire dal 2012 dal fenomeno dei MOOC, tanto che alcune istituzioni hanno adottato l’approccio open by default nelle loro attività didattiche e di ricerca (Weller et al. 2018). Inoltre, il movimento Open Education ha appena riscosso uno dei suoi più grandi successi, con la pubblicazione da parte dell’UNESCO della prima raccomandazione nella storia dell’organizzazione che riguarda le tecnologie per l’apprendimento, che mira a promuovere proprio le OER (UNESCO 2019). Allo stesso tempo, anche se i benefici potenziali dell’Open Education sono stati largamente riconosciuti (OECD 2007; Conole 2012; UNESCO 2019) e nonostante la crescente diffusione di raccolte di risorse educative aperte (i cosiddetti repositories OER), basta entrare in una qualsiasi scuola o università per capire che il closed by default è ancora quasi sempre la norma per quanto riguarda sia le risorse educative sia le pratiche pedagogiche. In altre parole, anche se la consapevolezza sulle OER e sulla didattica aperta stanno crescendo, i casi di pratiche pedagogiche realmente aperte sono ancora limitati, i repository OER rimangono relativamente inutilizzati, e quando i docenti cercano risorse digitali per l’insegnamento si rivolgono ancora principalmente a siti generalisti come Google o YouTube.

Come nota l’UNESCO nella recente Raccomandazione sulle OER, se vogliamo che l’Open Education esprima appieno il suo potenziale, la parola d’ordine deve essere mainstream, che vuol dire creare interesse e motivazione (Littlejohn e Hood 2017), costruire capacità (Nascimbeni e Burgos 2016), e mantenere alti gli investimenti in approcci e contenuti aperti (Atenas et al. 2019). Come accade per ogni rivoluzione sociotecnologica, una volta che si è vinta la battaglia per il riconoscimento dell’importanza di un certo tipo di innovazione, arriva il tempo di costruire nuovi scenari (Floridi 2014). Possiamo quindi chiederci: perché discutere ancora di Open Education, invece di mettersi semplicemente al lavoro per ampliare l’adozione di quelle pratiche aperte che hanno dimostrato di funzionare?

Perché siamo convinti che la vera rivoluzione legata all’apertura nell’educazione si stia affacciando solo ora all’orizzonte, e che con essa arriverà probabilmente una nuova battaglia. Solamente negli ultimi anni, infatti, l’Open Education ha in qualche modo intaccato i sistemi educativi, universitari e non, a livello strutturale, con fenomeni come le lauree basate su risorse aperte o le microcredenziali: questi sviluppi promettono di ridurre

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il gap tra l’educazione formale e quella informale, che è probabilmente la sfida più importante dell’educazione del nostro tempo. La posta in gioco di questa seconda battaglia è più alta, in quanto non parliamo semplicemente di poter frequentare l’università senza dover pagare per i libri di testo come reso possibile grazie alle OER, o di fornire accesso gratuito a risorse educative online come nel caso dei MOOC, o ancora di implementare pratiche pedagogiche in cui insegnanti e studenti possano co-creare conoscenza di dominio pubblico, ma della possibilità che gli approcci open si propaghino dalle risorse e dalle pratiche di insegnamento fino alle fondamenta dei sistemi educativi, facendole traballare o, come hanno sostenuto alcuni osservatori, crollare. Oppure rafforzandole. E la posta in gioco è ancora più alta dopo che il mondo ha sperimentato, a causa delle restrizioni legate alla pandemia COVID-19, un passaggio epocale nell’uso della didattica a distanza, che dell’Open Education è, come vedremo, presupposto fondamentale.

Questo libro parla di questa rivoluzione possibile, provando a ragionare su quanto gli approcci open stiano effettivamente cambiando le pratiche educative, a livello internazionale così come in Italia, e su quanto sia prossimo il momento in cui l’open by default inizierà a modificare radicalmente i sistemi educativi che abbiamo sempre conosciuto. Il settore di riferimento del libro è l’educazione superiore ma parleremo, quando necessario, anche di scuola e soprattutto di lifelong learning. Per provare a comprendere la portata e l’imminenza di questa rivoluzione presenteremo nel capitolo 1 la complessità del fenomeno dell’Open Education, le sue ragioni e le differenti visoni che lo sottendono. Vista l’importanza di dominare i concetti chiave dell’Open Education, nel capitolo 2 ci occuperemo di Open Educational Resources, licenze aperte, Open Educational Practices e MOOC. In seguito, nel capitolo 3 tracceremo una breve storia del movimento Open Education, cercando di capire lo stato di salute del movimento dal punto di vista della rilevanza politica, dei successi ottenuti e degli attori coinvolti, e provando a definire quali sfide si trova ad affrontare. Ci concentreremo poi, nel capitolo 4, su quelli che sono a nostro parere i protagonisti dell’Open Education: gli educatori. Ragioneremo su come creare capacità open sia a livello del singolo docente che delle università attraverso un quadro concettuale capace di contenere tutte le dimensioni dell’Open Education. Passeremo poi, nel capitolo 5, a una panoramica sull’Open Education in Italia, presentando e discutendo le principali politiche e iniziative, e mostrando come alcune anomalie positive del sistema italiano facciano ben sperare per un futuro più aperto ed inclusivo dei nostri sistemi educativi e formativi.

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Attraverso queste diverse prospettive cercheremo di presentare una fotografia dell’Open Education nel 2020, in un momento in cui tutto sembra pronto per l’integrazione di pratiche aperte a livello di sistema, ma in cui, come prima di ogni rivoluzione, non si è poi tanto certi che la stessa avrà effettivamente luogo. L’obiettivo della nostra analisi è di capire se i docenti, gli attivisti, i ricercatori e i policymakers che credono nell’Open Education di sistema saranno capaci di guidare il processo di cambiamento necessario affinché questa seconda rivoluzione legata all’Open Education possa mettere al centro l’accesso e l’inclusione, favorendo processi di innovazione educativa capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo. Anche perché, come disse Nelson Mandela, quando l’acqua inizia a bollire, è da sciocchi spegnere il fuoco.

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1. L’Open Education

Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo, allora tu e io abbiamo sempre una mela ciascuno.

Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ce le scambiamo, allora entrambi abbiamo due idee.

G. B. Shaw

1.1 Che cos’è l’Open Education

Così come negli anni novanta la lettera ‘e’ di electronic ha definito l’avvento definitivo del digitale, con il conio di termini come e-learning o e- commerce, la ‘o’ di ‘open’ ha senza dubbio lasciato il segno nel primo decennio del nuovo millennio, nel quale sono nati e si sono consolidati concetti come open access, open content, open standards (Materu 2004).

Mentre la maggior parte di questi concetti sono relativamente semplici da definire e fondamentalmente mirano a rendere fruibile qualcosa che prima non lo era, dare una definizione di Open Education1 è più difficile di quello che sembri, per tre ragioni principali.

Innanzitutto, il concetto di Open Education viene usato per definire cose molto diverse: non solo un certo tipo di politiche, pratiche e risorse educative, ma anche i valori legati a certi processi di insegnamento (Cronin e MacLaren 2018). Quando parliamo di Open Education parliamo quindi per lo meno di due aspetti: quello più pragmatico legato all’uso di pratiche aperte (che risponde alla domanda come aprire l’educazione), e quello legato all’adozione di una filosofia aperta nell’educazione (che risponde alla domanda perché aprire l’educazione). Per quanto le pratiche e la filosofia open condividano una serie di principi tra cui la libertà di riutilizzo, l’accesso aperto e la gratuità, è importante tenere i due livelli separati. In termini pratici, l’Open Education ha a che fare con l’uso delle licenze aperte e di

1 In questo libro utilizzeremo il termine inglese Open Education in quanto più comprensivo e meno caratterizzato rispetto a termini italiani come educazione aperta, didattica aperta, pedagogia aperta. Per esempio, con didattica aperta si intende spesso una didattica attiva e partecipativa in cui il discente decide quello che è il proprio percorso di apprendimento (Demo 2016), mentre pedagogia aperta è stata spesso usata dai grandi pensatori della pedagogia per indicare cose molto diverse come l’educazione cooperativa, autentica e senza barriere (Santamaita 2013). Per la stessa ragione useremo l’espressione Open Educator invece di educatore aperto o insegnante aperto.

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internet per rendere i materiali didattici ampiamente accessibili; da un punto di vista ideologico, l’Open Education è intimamente legata alla giustizia sociale e al presupposto che l’educazione si debba occupare di correggere le disparità sociali (Almeida 2017, pag. 2). Da un punto di vista filosofico, alla base dell’Open Education, così come di altri movimenti open, sta il concetto di Open Access2, che promuove un nuovo modo di pensare la produzione, l’organizzazione e la condivisione della conoscenza, intendendola sostanzialmente come un bene comune (OCSE 2007), incoraggiando il libero accesso senza restrizioni a qualsiasi tipo di informazione “in modo da garantire il progresso scientifico e tecnologico a favore di una crescita sociale, culturale ed economica collettiva” (De Robbio 2007). In ambito educativo, David Wiley, uno dei pionieri del movimento Open Education, ha applicato questa logica alla produzione di risorse didattiche, introducendo nel 1998 il concetto di open content, che descrive una categoria di contenuti rilasciati con licenze che concedano a chiunque il permesso gratuito e perpetuo di fare con essi una serie di cose: conservarli, riutilizzarli, modificarli, remixarli e ridistribuirli (Wiley 2007). Rispetto al concetto di Open Access, dove la riproduzione dei materiali è permessa ma non necessariamente la loro modifica, nel caso dell’open content i materiali possono essere non solo conservati e copiati, ma anche adattati, aumentando di gran lunga le capabilities degli utenti, per usare un concetto di Sen (1999).

L’idea di open content, semplice quanto coraggiosa, ha reso possibile l’applicazione della filosofia open all’educazione in un modo abbastanza radicale ed ha dato inizio a un processo di trasformazione che mira non solo ad aumentare l’accesso, in un’ottica Open Access, ma anche a fomentare l’adattamento e il riuso creativo e condiviso delle risorse, che come vedremo è uno dei volani principali per l’innovazione in ambito Open Education.

In secondo luogo, l’Open Education è un concetto in evoluzione, che si basa su una storia precedente al digitale. Nella seconda metà del ventesimo secolo, una prima accezione del concetto di Open Education era associata all’utilizzo dei mass media come la posta, il telefono e la TV all’interno di pratiche di educazione a distanza, chiamate non a caso Open and Distance Learning. È in questo periodo che nascono le prime Open Universities:

l’UNISA in Sud Africa nel 1946, seguita dall’Open University del Regno Unito nel 1969, dall’Athabasca University in Canada, dall’Universidad Nacional de Educación a Distancia in Spagna e dalla Indira Gandhi National Open University in India. È proprio nell’ambito del lancio dell’Open University nel Regno Unito che viene usato per la prima volta il termine

2 Nel campo della ricerca, il movimento Open Access sostiene che debbano essere open non soltanto i risultati della ricerca, ma anche i materiali, i dati raccolti e le discussioni dei risultati. Per maggiori informazioni si rimanda a Aliprandi (2017) e a Suber (2012).

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Open Education (Lane 2009). A differenza delle istituzioni tradizionali legate a campus fisici e orari rigidi, le Open Universities furono pensate per aprire l’istruzione a segmenti della popolazione tradizionalmente esclusi dall’educazione superiore. Con l’avvento di internet, l’idea di Open Education inizia a essere indissolubilmente legata al digitale, centrandosi innanzitutto sulle Open Educational Resources (Tuomi 2013). Ciò nonostante, i principi propri della fase pre-digitale dell’Open Education sono rimasti alla base anche della fase digitale, e continuano ad avere un impatto sui dibattiti interni al movimento, come quelli relativi alle licenze, alle varie definizioni di Open, agli incentivi per l’apertura. A questo proposito, è doveroso sottolineare come Open Education non sia necessariamente sinonimo di apprendimento online, in quanto da un lato le risorse con licenza aperta possono essere riprodotte sia su supporti digitali sia cartacei, dall’altro i corsi online si basano nella maggioranza dei casi su contenuti proprietari.

Infine, l’Open Education è un concetto che racchiude visioni molto diverse. Per molti sostenitori dell’open il suo attributo chiave è la libertà concessa agli individui di accedere alle risorse, riutilizzarle nel modo che ritengono opportuno e sviluppare nuove pratiche, sfruttando le opportunità offerte dalla rete. In questa visione, la posta in gioco – la democratizzazione dell’educazione - è troppo importante per scendere a compromessi, per cui è necessario lavorare per raggiungere una situazione in cui gli approcci open siano la normalità e quelli chiusi siano un’eccezione (in inglese open by default). Questa visione è esemplificata dalla Dichiarazione di Cape Town:

Siamo all’apice di una rivoluzione globale nell’insegnamento e nell’apprendimento.

Educatori di tutto il mondo stanno sviluppando un ampio bacino di risorse educative su Internet, aperte e gratuite per tutti. Questi educatori stanno creando un mondo in cui ogni persona sulla Terra possa accedere e contribuire alla somma delle conoscenze dell’umanità. Inoltre stanno piantando i semi di una nuova pedagogia, in cui insegnanti e studenti insieme creino, diano forma e sviluppino la conoscenza, approfondendo le loro capacità e la loro comprensione mentre operano (Dichiarazione di Cape Town 2007).

Allo stesso tempo, esiste un’interpretazione più flessibile del concetto di Open Education, tipica del mondo dei MOOC, che usa l’attributo open per identificare qualsiasi esperienze educativa accessibile gratuitamente, compresi corsi online basati su contenuti proprietari. Anche questa visione ha la sua carica di idealismo, come si può vedere dalle promesse delle piattaforme MOOC che assicurano di rendere l’educazione delle migliori università del pianeta accessibile a chiunque possegga una connessione internet. Su questa linea, si arriva fino a casi in cui il concetto di open è usato per rendere più appetibili proposte chiaramente commerciali, attraverso

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pratiche cosiddette di openwashing, nelle quali un’apparenza di licenze aperte nascondono scopi di profitto. Tra queste due visioni, quella idealista e quella commerciale per semplificare, esistono molte vie intermedie, come vedremo nell’analisi del movimento Open Education nel capitolo 3. Questa molteplicità di visioni è presentata da Conole e Brown attraverso la metafora del caleidoscopio, dove diverse forme e colori si fondono in immagini visivamente attraenti, spesso creando risultati imprevedibili e prospettive divergenti (Conole e Brown 2018). Al fine di approcciare criticamente queste prospettive e le immagini che producono è importante mantenere una doppia visione dell’Open Education, pragmatica e filosofica. Dal punto di vista pratico, l’Open Education offre una reale opportunità per ridurre i costi e migliorare la qualità dell’istruzione superiore, mentre da quello filosofico l’Open Education è necessariamente parte di movimenti più ampli come quelli dell’Open Knowledge e dell’Open Access che mirano ad aumentare la giustizia sociale. Tenere a mente queste due visioni e riconoscere che la pratica e la filosofia open si influenzano continuamente pur procedendo su binari paralleli ma separati (Brown 2016), è fondamentale per evitare il pericolo di appropriazione, uso improprio e svuotamento del concetto di Open Education (Almeida 2017).

Figura 1: Open Education e apprendimento flessibile. Autore: James Neil, immagine di Gavin Blake. Licenza: Pubblico Dominio.

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Per queste ragioni, così come proposto tra gli altri da Weller (2014 e 2020) e Cronin (2017), preferiamo considerare il termine Open Education come un concetto ombrello capace di accogliere tutte le diverse concezioni di apertura, sia filosofiche sia pragmatiche, che condividono l’obiettivo di ampliare l’accesso all’educazione. In ultima analisi, adottare un tale approccio vuol dire accettare il fatto che definire se e quanto una specifica politica, pratica o risorsa educativa sia effettivamente aperta dipende dalla concezione personale di open così come dal contesto in cui stiamo lavorando.

Adottare un tale approccio vuol anche dire accettare di definire con lo stesso concetto realtà molto diverse: sotto l’ombrello dell’Open Education troviamo infatti sia le pratiche educative, in certi casi quasi artigianali, portate avanti da insegnanti, sia il mondo patinato e globale dei MOOC, che nel 2019 hanno raggiunto oltre 110 milioni di studenti attraverso oltre 2.500 corsi (Shah 2019).

Questa visione ampia e comprensiva si ritrova in due recenti definizioni del termine Open Education. La prima è del Joint Research Centre della Commissione Europea, un istituto di ricerca molto attivo nell’area dell’Open Education: “L’Open Education è un approccio educativo, spesso basato sulle tecnologie digitali, che ha l’obiettivo di ampliare l’accesso e la partecipazione rimuovendo le barriere e rendendo l’apprendimento accessibile, ampio e personalizzabile per tutti” (Inamorato dos Santos et al.

2016, pag. 10). La seconda, più articolata, è del consorzio Open Education Global, la rete internazionale che si occupa di promuovere approcci educativi aperti:

L’Open Education comprende risorse, strumenti e pratiche che permettono una condivisione aperta per migliorare l’accesso e l’efficacia dell’istruzione.

Combinando le tradizioni della condivisione e della creazione di conoscenza con le tecnologie del 21° secolo, l’Open Education vuole creare un vasto pool di risorse educative apertamente condivise, sfruttando allo stesso tempo il potenziale collaborativo contemporaneo per sviluppare approcci educativi più rispondenti alle esigenze degli studenti. L’Open Education cerca di ampliare le opportunità educative sfruttando il potere di Internet, consentendo una diffusione rapida ed essenzialmente gratuita e consentendo alle persone in tutto il mondo di accedere alla conoscenza, connettersi e collaborare (Open Education Global Consortium).

A prescindere dalle definizioni, è importante considerare come le pratiche aperte siano caratterizzate molto spesso da un livello di complessità maggiore rispetto alle pratiche di innovazione pedagogica basate su logiche proprietarie, in quanto si basano sulle attitudini personali alla condivisione e mettono in discussone la percezione del valore del lavoro dei docenti (Veletsianos 2015). Inoltre, dobbiamo ricordare come le pratiche di Open

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Education non siano intrinsecamente positive, almeno per due ragioni:

primo, la loro utilità dipende da come vengono applicate e implementate in un contesto specifico; secondo, sono pratiche mediate dalla tecnologia e quindi portano con sé tutti i potenziali problemi etici e filosofici legati all’uso di piattaforme tecnologiche (Morozov 2013). Inoltre, non bisogna dimenticare che le decisioni ultime sull’adozione di risorse aperte e sulla partecipazione a pratiche open spettano rispettivamente al docente e allo studente, e sono per questo complesse, personali, contestuali e continuamente negoziate (Cronin 2017).

Per approfondire il concetto di Open Education, è necessario analizzare le quattro condizioni necessarie normalmente associate alle pratiche educative aperte: accesso, trasparenza, libertà, condivisione. In linea con il concetto di Open Access, l’Open Education viene comunemente associata a un maggiore accesso alle risorse didattiche. Questo viene ottenuto rilasciando i contenuti didattici (così come i risultati di ricerca, per sconfinare un attimo nell’Open Access) attraverso licenze e tecnologie aperte. Aprire l’accesso, che come vedremo nel Capitolo 2 significa molto di più rispetto a rilasciare una risorsa gratuitamente, è la condizione primaria perché si possa parlare di Open Education. L’apertura è inoltre spesso associata a una maggiore trasparenza, ad esempio in relazione alle proprie pratiche didattiche. Pensiamo a un docente che rende disponibili con licenze aperte i video delle proprie lezioni: questa pratica, centrale nel mondo Open Education, incarna una delle maggiori barriere psicologiche per i docenti, che sono spesso preoccupati per esempio che un video possa essere riutilizzato fuori dal suo contesto assumendo significati diversi da quelli originali. Altra parola chiave è free, che lasciamo in inglese in quanto in questa lingua significa sia libero che gratuito. L’aspetto della libertà si riferisce alle possibilità offerte dalle licenze aperte di usare e modificare risorse esistenti, la gratuità dell’Open Education è legata al fatto che l’accesso libero alle risorse spesso comporta l’eliminazione della necessità di pagare per il loro utilizzo. Ovviamente, i costi associati alla creazione e manutenzione delle risorse rimangono e vengono assorbiti altrove, aprendo il tema della sostenibilità delle OER che tratteremo nel Capitolo 3. Infine, non ci può essere Open Education senza condivisione, quasi sempre – ma non necessariamente – attraverso la rete (McGreal 2013). La condivisione è fondamentale non soltanto poiché una risorsa aperta non adeguatamente condivisa potrebbe rimanere sconosciuta e pertanto inutilizzata, ma perché è grazie alle pratiche di condivisione che l’Open Education dispiega il suo potenziale di innovazione pedagogica (Rolfe 2017).

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Infine, è fondamentale sottolineare come, in ambito educativo, aperto non si debba intendere come l’opposto di chiuso in una logica binaria. Piuttosto, ogni pratica di Open Education è caratterizzata da un livello di apertura lungo un continuum che può variare dipendendo dal momento storico e dal contesto di applicazione (Olcott 2013). Per esempio, come vedremo nel prossimo capitolo, sono risorse aperte sia quelle rilasciate nel pubblico dominio sia quelle rilasciate con licenze aperte più restrittive. Inoltre, il modo in cui si applicano queste licenze dipende all’ambito d’uso: per esempio in molti paesi esiste la cosiddetta eccezione educativa che permette di usare liberamente materiali protetti da copyright in ambito educativo.

Infine, è importante tenere a mente che lungo questo continuo il livello di apertura può variare nel tempo, come nel caso di una risorsa protetta da copyright che viene a un certo punto rilasciata con una licenza aperta.

1.2 Le ragioni dell’Open Education

La condivisione della conoscenza nei processi educativi non è certo un fenomeno recente: l’educazione è di per sé condivisione ed è su questi processi di condivisione che è possibile costruire nuove conoscenze, abilità, idee. Fino agli ultimi anni del secolo scorso, questa condivisione avveniva all’interno delle aule scolastiche o universitarie; poi, una serie di mutamenti tecnologici ma anche sociali e culturali ha fatto sì che la condivisione potesse diventare potenzialmente illimitata nello spazio e nel tempo (Floridi 2014).

Le condizioni alla base della rivoluzione dell’Open Education sono due: in primis l’espansione della rete internet, che ha reso possibile condividere risorse a costo marginale quasi nullo, e in secondo luogo l’ideazione delle licenze aperte, che rendono legale questa condivisione. Senza nulla togliere all’importanza di queste due condizioni, il fattore scatenante è stato senza dubbio di carattere socioculturale.

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’Open Education si basa fortemente sulla filosofia Open Access, il cui principio cardine è che condividere in maniera altruistica la conoscenza sia una cosa positiva (OCSE 2007). In altre parole, al cuore del movimento Open Education troviamo la semplice e potente idea che la conoscenza del mondo sia un bene pubblico e che la tecnologia in generale e il web in particolare offrano una straordinaria opportunità per condividerla, modificarla e utilizzarla.

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Figura 2: Why Open Education? Autore: David Wiley, immagine di Giulia Forsythe.

Licenza: Pubblico Dominio.

Partendo da questo principio cardine, esistono quattro principali giustificazioni per la necessità di investire in iniziative di Open Education:

di tipo etico, di tipo economico, legate alla qualità dell’educazione e all’espansione della domanda educativa.

In molto casi, si utilizza una giustificazione etica, legata alla considerazione che l’educazione è un diritto fondamentale di ogni essere umano e che quindi qualsiasi barriera che limiti le possibilità di accedere a un’istruzione di qualità vada abbattuta, in sintonia con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (D’Antoni e Savage 2009). Questo ragionamento vale innanzitutto per i paesi economicamente svantaggiati, basti pensare che nell’Africa subsahariana il 60% dei giovani tra i 15 e i 17 anni non partecipa a nessun tipo di educazione (UNESCO Institute for Statistics 2019), ma anche per i paesi più industrializzati, dove per esempio le tasse pagate dai contribuenti per sostenere le università pubbliche dovrebbero garantire agli stessi un libero accesso alle risorse prodotte dai professori che lavorano in quelle istituzioni (D’Antoni 2009). O dove le password che bloccano l’accesso alle risorse di apprendimento danneggiano

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sia quegli utenti che a quelle risorse avrebbero diritto, sia le stesse istituzioni che devono moltiplicare i loro sforzi per proteggere ciò che è stato già prodotto e che potrebbe semplicemente essere reso disponibile. Questa argomentazione sostiene inoltre che l’uso di approcci aperti possa contribuire a combattere le diseguaglianze educative, per esempio rendendo disponibili contenuti di alta qualità per la traduzione e l’uso da parte di minoranze linguistiche (Lambert e Czerniewicz 2020; Tang e Bao 2020).

Agli argomenti etici si affiancano spesso ragioni economiche, legate all’alto costo dei libri di testo per gli studenti universitari. Questa giustificazione è alla base del movimento OER negli Stati Uniti, dove il costo dei materiali didattici pesa più che in Europa sul bilancio di ogni studente;

basti pensare che un’inchiesta su 22.000 studenti statunitensi ha concluso che il 26% di questi ha lasciato gli studi a causa del costo proibitivo dei libri di testo (Florida Virtual Campus 2016). Negli ultimi anni negli Stati Uniti sono emerse iniziative pubbliche per ridurre il costo dei libri di testo grazie all’uso di OER, soprattutto attraverso i cosiddetti OpenTextbooxs. Per fare un esempio, dal 2018 oltre venti community colleges californiani hanno completamente azzerato il costo delle risorse didattiche per i loro studenti (Burke 2019). I risparmi legati all’uso di risorse aperte sono potenzialmente enormi: secondo le stime di SPARC, una ONG che si occupa di conoscenza aperta, il risparmio totale legato all’uso di OER in sole 32 istituzioni nel periodo 2017-2018 è stato di 6,6 milioni di dollari (Griffiths et al. 2020). Al di fuori degli Stati Uniti, la consapevolezza riguardo i benefici degli OpenTextbooks così come i progetti per il loro sviluppo sono marginali, anche in paesi come il Regno Unito dove il costo dei libri di testo è relativamente alto (Pitt et al. 2020).

Un’altra giustificazione per l’Open Education, mutuata in un certo modo dalla pratica Open Source, è che la qualità migliora quando le persone hanno l’opportunità di lavorare in collaborazione con continuità. L’Open Source è un metodo di sviluppo software che sfrutta il potere di una revisione tra pari trasparente e distribuita per raggiungere una maggiore affidabilità e flessibilità a costi minori. Nel caso dell’Open Education, lavorare in maniera collaborativa può aumentare la qualità sia delle risorse didattiche, attraverso un continuo miglioramento e controllo che sempre più spesso coinvolge non solo docenti ma anche studenti, sia del processo educativo in quanto tale, aumentando la motivazione grazie alle dinamiche di democratizzazione collegate all’uso di OER (McGreal 2013).

Infine, una giustificazione tipica delle organizzazioni internazionali come l’UNESCO o il Commonwealth of Learning è la continua espansione della domanda di educazione superiore. Se vogliamo credere alle stime dell’UNESCO secondo cui la domanda di studi universitari passera da 97

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milioni di studenti nel 2000 a 262 nel 2025, ci rendiamo conto che solo l’India avrebbe bisogno di creare quasi 2400 nuove università nei prossimi 25 anni, circa due a settimana (Daniel et al. 2007). Non essendo possibile per il sistema di educazione superiore soddisfare questa domanda in modo tradizionale, si è sostenuto spesso che soltanto l’uso di approcci e di risorse aperte possano permettere di raggiungere questa crescente popolazione di studenti gravando il meno possibile sui bilanci già in crisi delle università.

1.3 Il potenziale dell’Open Education

La promessa dell’Open Education è che ogni individuo, in qualsiasi fase della sua vita e dello sviluppo della propria carriera, possa avere a disposizione opportunità educative appropriate e significative. Queste includono l’accesso a risorse, corsi, supporto, valutazione e certificazione in un modo che possa soddisfare le diverse esigenze di ogni persona, riducendo al minimo le barriere legate ad esempio ai requisiti di ingresso o i costi di partecipazione e favorendo la collaborazione tra i partecipanti al di là delle distinzioni tra dentro e fuori dalle aule. Alla base di questa promessa sta l’idea che i materiali didattici possano essere migliorati, tradotti, semplificati o approfonditi, e apertamente condivisi di nuovo, in un circolo virtuoso che non può che portare a un miglioramento dell’esperienza di apprendimento per i partecipanti.

Muovendoci dal generale al particolare, riassumiamo quali sono i benefici legati all’adozione di approcci educativi aperti così come emergono da un’analisi della letteratura esistente (Weller 2014; OpenEdOz 2016;

Kasich e Carey 2015; UNESCO 2019):

 Accesso: rimuovere gli ostacoli legali, tecnologici ed economici alla fruizione di corsi e risorse educative può aumentare senza dubbio il numero di persone che possono usufruirne, e quindi accrescere la quantità di partecipanti ai sistemi educativi e formativi. Un esempio riguarda gli studenti economicamente svantaggiati che, per partecipare a corsi che adottando risorse aperte e quindi gratuite, non devono pagare per i libri di testo.

 Inclusione: grazie alla possibilità di adattare liberamente le risorse per particolari gruppi di studenti, come per esempio studenti diversamente abili o appartenenti a una minoranza linguistica, l’Open Education aumenta l’inclusione delle esperienze educative. Pensiamo ad esempio a un professore di un’università del mondo arabo che usa, dopo averlo tradotto, il contenuto di un corso di un’università straniera.

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 Sperimentazione: anche se il passaggio dall’adozione di risorse aperte a pratiche di insegnamento aperte non è automatico, l’adozione di OER aumenta certamente le possibilità di sperimentare con pratiche pedagogiche innovative, legate soprattutto alle dinamiche di co- creazione di contenuti rese possibili dall’uso di risorse modificabili.

Pensiamo ad esempio a un corso universitario nel quale gli studenti devono, come compito finale, rivedere in modo collaborativo una pagina di Wikipedia.

 Qualità delle risorse e dei processi educativi: come abbiamo visto in precedenza, aprire le risorse ma anche i curriculum dei corsi e gli approcci didattici a commenti e critiche di colleghi e studenti non può che migliorarne la qualità. È il caso per esempio degli OpenTextbooks, che permettono la raccolta da parte del docente di commenti e suggerimenti di miglioramento da parte degli studenti di un certo corso, che possono essere implementati direttamente nel libro di testo del corso successivo.

 Efficienza: l’adozione di approcci educativi aperti può contribuire ad aumentare l’efficienza e la produttività sia dei singoli docenti, che per esempio possono usare risorse aperte per costruire i propri nuovi corsi senza dover iniziare da zero, sia delle istituzioni universitarie, grazie ad una collaborazione più fluida resa possibile dall’esistenza di contenuti e strumenti modificabili (Nascimbeni et al. 2020). Come vedremo nel capitolo 5 dedicato all’Open Education in Italia, la collaborazione tra il Politecnico di Milano e l’Università di Bologna nella creazione di piattaforme MOOC è un chiaro esempio in tal senso.

 Reputazione: in questo caso il potenziale è da intendersi sia a livello dei singoli docenti, che possono migliorare la loro reputazione raggiungendo grandi numeri di studenti e aumentando l’uso delle proprie risorse da parte di colleghi, sia a livello istituzionale, dove l’Open Education può contribuire a migliorare la percezione da parte della società di quelle istituzioni che adottano pratiche open.

 Aumento delle entrate: un approccio aperto o parzialmente aperto può rappresentare un modello di business efficace, per esempio attraverso modalità freemium in cui l’accesso al contenuto è gratuito ma gli utenti pagano per servizi aggiuntivi. Allo stesso tempo, rilasciare corsi gratuiti può essere un’efficace strategia di marketing per aumentare la partecipazione di studenti ai corsi formali dell’università. Infine, adottare approcci aperti consente la raccolta di informazioni sui partecipanti, come nel caso dei MOOC gratuiti attraverso i quali le università raccolgono dati sulle preferenze dei loro potenziali futuri studenti.

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Come vedremo nei capitolo 3, anche se la diffusione dell’Open Education nell’istruzione formale, sia a livello scolastico che universitario, è ancora lontana dall’aver raggiunto il mainstream (Hollands e Tirthali 2014; Okada et al. 2012; Rohs e Ganz 2015), molti progressi sono stati fatti lungo tutte queste dimensioni di impatto, sia i termini quantitativi, basti pensare al numero di persone raggiunte dai MOOC, sia qualitativi, dove il contributo delle pratiche open alla qualità dei processi di insegnamento è ormai largamente riconosciuto. Se già nel 2014 Weller sosteneva che fosse arrivato il momento in cui l’Open Education avesse smesso di essere un tema periferico e specialistico e avesse preso un posto centrale della pratica accademica (Weller 2014), oggi la situazione è ulteriormente migliorata, come dimostrano i dati raccolti da centri di ricerca come l’OER Research Hub della Open University UK (Farrow et al. 2015; McAndrew e Farrow 2013; Weller et al. 2015).

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2. Concetti chiave

L’apertura può far sì che gli studenti si vedano come attivamente impegnati a costruire il loro apprendimento e non come destinatari dell’apprendimento deciso da qualcun altro.

Audrey Watters

In questo capitolo presentiamo quattro concetti che è importante conoscere in profondità per comprendere lo stato dell’arte e gli sviluppi del movimento open in ambito educativo. Inizieremo dalle Open Educational Resources (OER), che possiamo considerare come il cuore dell’Open Education, tanto che come vedremo nel capitolo 3 il movimento OER si sovrappone spesso allo stesso movimento Open Education. Passeremo poi alle licenze aperte, gli strumenti legali che rendono possibile l’esistenza stessa delle OER, che è importante conoscere e saper applicare.

Presenteremo in seguito le caratteristiche delle Open Educational Practices (OEP), che rappresentano un passo ulteriore rispetto alle risorse aperte verso l’adozione di strategie open nell’insegnamento, soffermandoci su alcuni esempi di progettazione, insegnamento e valutazione aperta. Infine ci occuperemo dei Massive Open Online Courses (MOOC), illustrandone le criticità così come la ventata di innovazione di sistema che hanno portato nel movimento Open Education.

2.1 Open Educational Resources

Come abbiamo visto in precedenza, l’idea che ha dato origine al movimento Open Education è quella di poter migliorare l’accesso così come la qualità delle esperienze di apprendimento attraverso l’utilizzo di risorse educative aperte, definite spesso anche al di fuori del mondo anglofono con l’espressione Open Educational Resources o l’acronimo OER. Il termine Open Educational Resources (OER) descrive una qualsiasi risorsa educativa che è resa disponibile ad altri con una licenza aperta, ossia con una licenza che consenta a chiunque di usarla, adattarla e ridistribuirla. Le OER possono includere qualsiasi tipo di risorsa, da singoli componenti come una foto, un’icona, un’animazione, un podcast, un testo o un video, fino a libri di testo,

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i già citati OpenTextbooks, e corsi completi, nel qual caso si parla di OpenCourseWare (OCW). Quando parliamo di risorse educative ci riferiamo a materiali che abbiano una rilevanza educativa, e quindi sia a risorse progettate per l’insegnamento e l’auto-apprendimento sia a materiali creati per altri scopi1. Per intenderci, un video sulla prima guerra mondiale prodotto da un appassionato e caricato su YouTube con una licenza aperta, se mostrato in una classe o utilizzato all’interno di un corso online può considerarsi a tutti gli effetti una OER. Infine, è importante ricordare che, per quanto le OER vengano principalmente messe a disposizione online, si parla di OER anche nel caso di risorse cartacee, in DVD o in qualsiasi altro formato.

L’importante non è il tipo di risorsa, l’obiettivo per cui è stata creata, o il formato nella quale viene riprodotta: quello che conta per definire una OER è la licenza d’uso, che deve permettere a chiunque di usarla, adattarla e ridistribuirla.

Anche se il progetto OpenCourseWare del MIT del 2001, che abbiamo menzionato nell’introduzione, è spesso citato come la prima iniziativa OER, il termine Open Educational Resources venne coniato nel 2002, durante un Forum dell’UNESCO che aveva l’obiettivo di valutare l’impatto proprio del progetto OpenCourseWare. In questa prima definizione di OER ci si focalizza sulla “disponibilità in maniera aperta di risorse educative, resa possibile dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per la consultazione, l’utilizzo e il riuso da parte di una comunità di utenti a fini non commerciali (UNESCO 2002, pag. 24). Questa prima definizione contiene tutti gli elementi fondanti del concetto di OER: l’idea di apertura, mirata a garantire il più ampio accesso possibile a una data risorsa, il supporto delle ICT, la possibilità di uso e di riadattamento, e l’enfasi sugli scopi non commerciali, in contrapposizione con il modello economico basato sull’editoria commerciale (Fini 2012). A partire da questa definizione, negli anni seguenti sono state sviluppate diverse dichiarazioni e linee guida per supportare la diffusione delle OER, tra cui le Dichiarazioni di Cape Town (2007) e Dakar (2009) e le Linee guida sulle OER del Commonwealth of Learning del 2011. Le OER hanno riscosso talmente tanto interesse che l’UNESCO ha appositamente creato e tradotto in molte lingue un logo per rafforzare l’identità comune della comunità internazionale di attivisti e ricercatori che si occupano di OER.

1 Meritano una menzione le OER GLAM, acronimo di Galleries Libraries Archives and Museums, sottoinsieme del mondo OER che sta crescendo in termini di risorse disponibili e di attenzione politica. Le biblioteche, I musei, gli archivi stanno infatti riconoscendo il valore delle OER, e sempre di più rilasciano i propri contenuti con licenze aperte, spesso con esplicito scopo educativo. Ad esempio, lo Smithsonian Institute ha recentemente rilasciato quasi tre milioni delle proprie immagini con licenze aperte.

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Figura 3: Logo OER in Italiano. Autore: Mello. Licenza: CCBY 3.0.

Dieci anni dopo la creazione del concetto di OER, sempre l’UNESCO ne dà un’altra definizione, in occasione del Primo Congresso Mondiale per le OER organizzato a Parigi nel 2012. Qui le OER vengono definite come:

Materiali didattici, di apprendimento e di ricerca su qualsiasi supporto, digitale o di altro tipo, che risiedono nel pubblico dominio o sono stati rilasciati con una licenza aperta che consente accesso, uso, adattamento e ridistribuzione da parte di terzi senza restrizioni o limiti. Le licenze aperte sono costruite nel quadro esistente dei diritti di proprietà intellettuale come definito dalle convenzioni internazionali pertinenti e rispettano la paternità dell’opera (UNESCO 2012, pag. 1).

Vale la pena sottolineare che due caratteristiche presenti nella definizione originale del 2002, gli scopi non commerciali e il supporto delle ICT, sono scomparse in questa definizione, che abbraccia l’idea che qualsiasi scopo, commerciale e non commerciale, e qualsiasi supporto, digitale ed analogico, possano rientrare nel concetto di OER.

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Vediamo ora in dettaglio quali sono le caratteristiche che rendono una risorsa un’OER. La classificazione più diffusa a livello globale è quella basata sul Framework delle 5R del 2014 di David Wiley, che sostiene che per essere considerata un’OER, una risorsa deve essere o di dominio pubblico o rilasciata con una licenza che consenta a chiunque di fare cinque cose (Wiley 2014):

1. Retain: conservare e possedere una copia della risorsa, ad esempio, scaricandone una copia sul proprio computer;

2. Revise: modificare e adattare una copia della risorsa, ad esempio traducendola in un’altra lingua;

3. Remix: combinare una copia originale o rivista della risorsa con altro materiale esistente per creare qualcosa di nuovo, ad esempio, creando un mashup;

4. Reuse: utilizzare pubblicamente la copia originale, rivista o remixata della risorsa, ad esempio su un sito web, in una presentazione, o in classe;

5. Redistribute: condividere copie della propria copia originale, rivista o remixata della risorsa con altri, ad esempio pubblicandone una copia online o inviandola a un collega.

L’approccio 5R ha avuto il merito, grazie anche all’autorevolezza del suo autore, di fornire una definizione condivisa di cosa si debba intendere per OER. Nonostante questo, l’approccio è stato criticato per essere troppo rigido, in quanto presenta un modello binario aperto/chiuso, quando nella realtà dei fatti gran parte del materiale educativo aperto esistente non soddisfa tutte le cinque R. Le licenze aperte che vedremo tra poco offrono infatti all’autore della risorsa didattica la possibilità di limitare determinate aree di utilizzo, ad esempio non permettendo di modificare la risorsa o di usarla per scopi commerciali. Riteniamo che l’approccio 5R, che ha avuto il merito di tracciare con chiarezza un processo di avvicinamento all’open by default, non debba essere considerato in maniera dogmatica: nel momento in cui per una risorsa vengono introdotte restrizioni che limitano le 5R, si realizza un’apertura parziale che comunque merita attenzione al di là della corrispondenza piena con il modello (Bliss e Smith 2017)2.

2 Per completezza, è necessario specificare che oltre alle 5R di Wiley sono stati proposti altri approcci per definire le caratteristiche delle OER, per quanto il loro uso sia molto limitato: il modello SAMR con quattro livelli di integrazione: sostituzione, potenziamento, modifica e ridefinizione (Puentedura 2013), l’approccio ICAP con quattro modalità per coinvolgere gli studenti attraverso le OER: interattivo, costruttivo, attivo e passivo (Chi e Wylie 2014), e l’approccio basato su sette C: Conceptualise, Create, Communicate, Collaborate, Consider, Combine e Consolidate (Conole 2015).

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Figura 4. OER is Sharing. Autore: Giulia Forsythe. Licenza: CC BY 4.0.

Un altro contributo interessante di Wiley (2004), utile per capire il potenziale delle OER rispetto alle risorse proprietarie, è il cosiddetto paradosso della riusabilità, che sostiene che la riusabilità di una risorsa didattica sia inversamente proporzionale alla sua efficacia pedagogica.

Essendo principalmente il contesto ciò che rende l’apprendimento significativo per le persone, più contestualizzata è una risorsa più sarà utile per lo studente, e allo stesso tempo meno riutilizzabile sarà da altri. Questo paradosso offre in realtà un assist alle OER, in quanto, grazie al fatto che queste risorse si possono modificare e adattare liberamente, esse sono in qualche modo immuni dal paradosso. Questo vantaggio competitivo delle OER rispetto ai materiali proprietari è confermato anche a livello scientifico:

è stato infatti dimostrato che, se decontestualizzati da una comunità o da un discorso, le OER sono meno efficaci dal punto di vista pedagogico (Crissinger 2015). Questo paradosso è stato inoltre usato contro l’idea, insita come vedremo in un certo tipo di cultura dei MOOC, che sia sufficiente fornire contenuti prodotti dalle migliori università del pianeta per offrire opportunità di educazione di qualità virtualmente a chiunque, a prescindere dal contesto.

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