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RESPONSABILITA IN PRONTO SOCCORSO

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Academic year: 2022

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RESPONSABILITA’ IN PRONTO SOCCORSO

L’operatore sanitario, come qualsiasi altro professionista, può incorrere nell’esercizio della propria attività in errori. Occorre tuttavia distinguere l’errore scusabile da quello che rileva dal punto di vista giuridico (in quanto previsto e punito da una norma) e comporta una colpa punibile. Perché il fatto sia illecito occorre che coesistano la violazione di un dovere giuridicamente previsto, la produzione di un danno, la presenza di dolo o di colpa.

Per quanto riguarda la responsabilità penale colposa si rimanda all’apposito capitolo sull’elemento psicologico del reato (art. 43 cp).

Trattando il tema della responsabilità che può emergere nell’ambito della attività di Pronto Soccorso, occorre premettere che il lavoro in tale reparto è tipicamente un lavoro di equipe. Il rischio che può realizzarsi per l’operatore è di incorrere in fatti di responsabilità per azioni poste in essere da altri membri dell’equipe. L’equipe è intesa come una squadra composta da diverse professionalità tecniche in grado di contribuire armonicamente, concorrendo, al fine ultimo di soccorrere il paziente e soddisfare le sue necessità cliniche primarie.

Se è vero che ciascun partecipante debba rispondere solo del corretto adempimento del proprio contributo, è anche vero che la definizione dell’azione o omissione causa del danno è solitamente posteriore rispetto alla chiamata in causa di ciascun membro dell’equipe stessa. Ciò in quanto, nel lavoro di gruppo, le azioni del singolo perdono la loro individualità per diventare un evento unico al quale tutti hanno concorso.

Rileva, a tale proposito, considerare l’art. 110 c.p. (“Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”) e l’art.

113 c.p. (“quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”).

In relazione a quanto precede occorre rappresentare come in caso di lavoro di gruppo sia da identificare il “capo equipe”, quello che coordina armonizzandoli i vari interventi e che ha il compito di vigilare sulla attività complessiva. Occorre anche

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rappresentare come nell’ambito del gruppo, ciascuno abbia un compito predefinito da svolgere e che tale compito debba essere coerente con la qualificazione professionale.

I problemi più rilevanti della attività di pronto soccorso consistono nella gestione delle emergenze con risorse contingentate e il ricorso improprio che, comunque, impegna risorse e tempo. I tentativi di razionalizzazione fino ad ora adottati, pur avendo conseguito un miglioramento, non hanno risolto il problema della inadeguatezza del servizio rispetto alle istanze sanitarie.

È bene precisare che, essendo il personale del Pronto Soccorso classificato come pubblici dipendenti, come tali sono soggetti anche alle leggi del pubblico impiego.

Gli operatori, quindi, dovranno ottemperare a due interessi talvolta poco conciliabili:

l’interesse dell’azienda dalla quale dipendono e l’interesse di salvaguardia della salute dei pazienti. Per esempio, l’interesse dell’azienda a limitare i ricoveri con un filtro efficace (esercitato appunto dal Pronto Soccorso, come previsto dal DM 08.10.1976) può contrastare con il dubbio della necessità di ricovero. Rileva il fatto che, anche se l’operatore sanitario è chiamato sempre di più a rispondere dei costi di produzione e di gestione, non è giuridicamente lecito limitare l’assistenza per motivi economici.

Un problema comune a buona parte degli ospedali è quello di avere una serie di criticità generali che non possono non incidere anche sul reparto di Pronto Soccorso.

Gli ambiti più comuni di criticità sono rappresentati da:

1.Carenze di tipo organizzativo strutturale: errata interazione tra sistemi extra e intraospedalieri; insufficiente dotazione di personale infermieristico; collocazione logistica poco funzionale, iperaccesso;

2.Carenze di tipo assistenziale: raccolta del 118 di informazioni incomplete; non corretto utilizzo delle risorse tecnologiche disponibili; raccolta dati oggettivi e soggettivi incompleta; mancata osservazione e rivalutazione del paziente;

3.Carenze di tipo relazionale: limiti di comunicazione per problemi linguistici, culturali e anagrafici.

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Il tentativo di razionalizzare l’accesso attraverso il filtro del triage è riuscito solo in parte. Anche perché il problema più condizionante il reparto di Pronto Soccorso non è tanto quello di regolare l’accesso, quanto quello di razionalizzare la sosta ed il trasferimento al reparto di competenza del paziente bisognoso di ricovero.

Il problema di un filtro adeguato si è affrontato tenendo conto della esigenza sanitaria del paziente. L'accesso al reparto non avviene sulla base dell'ordine di arrivo dei pazienti ma sulla base della gravità delle loro condizioni (valutata proprio attraverso il "triage)". Un infermiere precedentemente formato assegna ad ogni paziente, al suo arrivo, un grado di urgenza rappresentato da un "codice colore" che condiziona l’ordine di accesso:

codice rosso: corrisponde a emergenza con accesso immediato alla sala;

codice giallo: corrisponde ad una situazione di "urgenza", con accesso alla sala entro 10-15 minuti;

codice verde: corrispondente ad una situazione di "urgenza differibile", cioè senza segni di imminente pericolo di vita;

codice bianco: corrispondente ad una situazione di "non urgenza", che prevede il rinvio ad altra forma di assistenza (p. es. ambulatorio).

All’operatore sanitario non si richiede di effettuare immediatamente una diagnosi corretta, ma di garantire – secondo l’attuale stato dell’arte – i supporti vitali e stabilizzare il paziente fino a quando si possa circostanziare la diagnosi e dimettere o trasferire il paziente nel reparto appropriato.

Sul piano della responsabilità rilevano spesso una serie di problemi oggetto della chiamata in responsabilità:

Il primo problema è quello dell’inquadramento dell’urgenza di accesso alle cure.

Il secondo problema è quello della valutazione clinica del paziente.

Il terzo problema è quello della stabilizzazione del paziente.

Il quarto problema è quello relativo alla decisione di ricovero o di dimissione Il quinto problema è quello, deciso il ricovero, del trasferimento in luogo idoneo Il sesto problema è quello del contenimento dei costi

Il settimo problema è quello del lavoro di equipe

L’ottavo problema è quello dell’impossibilità di scelta dei collaboratori

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Corretto inquadramento dell’urgenza di accesso alle cure

L'infermiere del triage può incorrere in un errore di valutazione dei segni di criticità pur se evidenti nel paziente. Ciò può determinare un ritardo nell’accesso alle cure e, prima ancora alla valutazione del medico. Può accadere che sia lo stesso malato a sottostimare o minimizzare la sintomatologia. Può accadere che un corteo sintomatico inizialmente sfumato possa accentuarsi durante l’attesa per l’aggravamento della patologia. Ciò potrebbe rendere non più attuale la precedente valutazione d’accesso.

Occorre, quindi una periodica revisione dei pazienti in attesa, specie di quelli che hanno segnalato algie gastroaddominali o toraciche. Occorre quindi una attenta valutazione per evitare i sempre possibili errori del triage che, di solito, possono consistere in:

1. errata valutazione dei segni di criticità;

2. incompleta raccolta dei dati (anagrafici e anamnestici);

3. mancato rispetto dei protocolli con errore nella stima della gravità;

4.mancata rivalutazione del paziente a codice di gravità già attribuito.

Ciò può causare un ritardo nell’accesso alle cure che può pregiudicare la prognosi.

Valutazione clinica del paziente

Il problema più difficile da risolvere, allo stato attuale delle cose, è quello della destinazione del paziente, attesa la decisione di procedere al suo ricovero. Ma prima ancora incide la decisione se ricoverare o no il paziente stesso.

Sulla decisione incidono problematiche di diverso ordine e più precisamente:

- motivazioni di tipo clinico: quando la decisione di rinviare il paziente al proprio domicilio è perché il problema acuto è stato risolto o perché gli ulteriori accertamenti possono essere di tipo ambulatoriale;

- motivazioni di tipo organizzativo: quando vi è sovraffollamento di pazienti nel reparto e non vi sono posti letto disponibili nella struttura o in altre;

- motivazioni di tipo strutturale: quando le necessità cliniche del paziente sono legate a strutture di diagnosi e cura non disponibili in quella struttura.

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Tutte e tre le motivazioni possono essere fonte di responsabilità professionale. Dal punto di vista giuridico l’unico elemento ad incidere sulla decisione della sussistenza o meno della necessità di ricovero è quello legato alla valutazione clinica del paziente.

Ove non vi siano motivazioni cliniche al ricovero sarà bene che il personale sanitario rassicuri paziente e parenti e fornisca loro ogni consiglio utile. Ciò, oltre a soddisfare esigenze etiche e giuridiche eviterà quel malcontento alla base delle denunce all’autorità giudiziaria.

Connesso alla valutazione clinica del paziente è quello della richiesta ed effettuazione di esami di laboratorio, radiologici e di consulenze specialistiche. Il problema della richiesta di esami e consulenze è costantemente compreso tra l’omissione di esami giudicati ex post importanti e la richiesta di esami non urgenti o essenziali. L’un caso e l’altro sono possibili fonti di chiamate a rispondere.

I pazienti possono essere classificati in diverse categorie di rischio a seconda dei fattori in causa: dati anagrafici e anamnestici, sintomi soggettivi, sintomi oggettivi, ecc. Applicando dei criteri statistici, si possono così dividere i pazienti in diverse classi di rischio (altissimo, elevato, moderato, basso) e sulla base di ciò procedere agli accertamenti relativi.

La Corte di Cassazione (cfr. Cass. Pen. IV Sez. Sent. del 26.04.2011 n. 16328) ha stabilito che la valutazione della colpa del personale sanitario, nei casi nei quali si richiedano interventi particolarmente delicati e complessi, l’individuazione della colpa deve essere rapportata alla specifica situazione concreta, nonché alla situazione nella quale si trova ad operare. Tipica è la situazione del reparto di Pronto Soccorso nel quale l’operatore è costretto ad agire sotto la pressione di eventi incalzanti, in una condizione spesso concitata; altre volte è la sintomatologia sfumata e le indagini equivoche a rendere difficile pervenire urgentemente ad una diagnosi.

Stabilizzazione del paziente

Il problema che si presenta come prioritario è quello della stabilizzazione delle condizioni del paziente limitando al minimo la permanenza in situazione critica di

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pericolo di vita o di maggior danno. Naturalmente la scelta della terapia idonea può richiedere alcuni accertamenti diagnostici, all’esito dei quali si procede secondo la priorità della sintomatologia da eliminare o ridurre.

Ricovero o dimissione

Il problema, che attiene al medico di guardia, non è sempre di facile soluzione, specie nei casi di difformità di parere tra medico e paziente o meglio tra medico e parenti del paziente. Nei casi nei quali è chiara la necessità del ricovero, si pone solo il problema di dove ricoverare il paziente attesa la cronica carenza di posti letto. Ed è altrettanto chiaro che, in tali casi, la giurisprudenza è tutta orientata verso l’obbligo di trattenere comunque il paziente in ricovero e di sanzionare chi ha disposto la dimissione ove al paziente derivi un danno. Infatti, è evidente che l’indispensabilità dell’assistenza e delle cure e la loro indilazionabilità costituiscono priorità assolute di ricovero.

Nel caso in cui il ricovero non sia ritenuto necessario, il medico ha facoltà, a mente dell’art. 14 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, di rifiutare il ricovero, motivando la decisione scrivendone le ragioni. Rileva che la motivazione scritta è obbligo d’ufficio e che la sua omissione integra la violazione dell’art. 328 c.p. Deve, la motivazione, essere congrua, esaustiva e veritiera, pena di incorrere nel reato di falso ideologico di cui all’art. 481 c.p. Contro la disposizione del rifiuto del ricovero da parte del medico è previsto il ricorso, effettuabile entro 24 ore, da parte dell’infermo stesso o dei parenti sino al sesto grado o della persona che ne ha eseguito l’accompagnamento in ospedale.

Trasferimento in luogo idoneo

In caso non siano disponibili posti letto nell’ospedale o nel caso le dotazioni della struttura non siano adeguate alle necessità del paziente, questi deve essere trasferito in altro luogo di ricovero. In tal caso, il personale del Pronto Soccorso, apprestati gli eventuali interventi di urgenza, assicura il trasporto a mezzo di ambulanza e, se necessario, con adeguata assistenza medica, anche specialistica fini al luogo di destinazione. Ciò vale particolarmente per i pazienti di unità di terapia intensiva coronarica, di trauma center, per i grandi ustionati, ecc. Il principio che deve guidare

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in tali casi non è quello dell’ospedale più vicino, ma di quello più vicino adeguatamente attrezzato. In alcuni casi è il paziente a chiedere di essere trasferito, dopo le cure essenziali, in un luogo a lui più comodo. Appare chiaro che il medico potrebbe opporsi a tale scelta del paziente ove lo ritenga necessario per la sicurezza del paziente stesso. Pacifico il fatto che la richiesta dei parenti debba essere – se possibile – avallata dal paziente stesso. Naturalmente, in caso di richiesta di trasferimento questa deve contenere anche esplicito consenso come previsto dalle regole di accreditamento degli ospedali (“Il paziente non può essere trasferito ad un altro ospedale se non ha ricevuto una spiegazione completa dei motivi del trasferimento e delle alternative ad un tale trasferimento o se l’altro ospedale o istituto non ritiene il trasferimento accettabile”).

In caso di rifiuto del paziente al trasferimento, l’ospedale deve comunque garantire al meglio delle possibilità strutturali, l’assistenza dovuta.

È bene anche chiarire che nel caso di trasferimento ad altro ospedale, la responsabilità primaria compete al medico inviante. Il medico che dispone l’invio deve essere ben identificabile, deve procedere agli accordi preliminari, deve attestare che il paziente non possa subire pregiudizi dal trasporto (o che il mancato trasferimento comporterebbe un rischio maggiore), deve fornire adeguata documentazione dell’iter sanitario del paziente durante il ricovero.

Contenimento dei costi.

Quello dei costi di gestione è uno dei problemi di maggiore attualità in quanto il dovere di rientrare nel budget assegnato finisce con avere un peso rilevante nelle decisioni da prendere. Inoltre, come dipendenti, c’è l’obbligo di far risparmiare l’azienda o, comunque, di ottimizzare l’impiego delle risorse.

Lavoro di equipe

Quello del lavoro di equipe rileva in caso di errore di uno dei componenti del gruppo che, spesso, determina la chiamata in causa di tutta l’equipe, salvo individuare – in corso di udienza – il responsabile dell’errore. Il problema rileva in quanto già la

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chiamata in causa determina una serie di pregiudizi anche a carico dei soggetti estranei all’azione.

Scelta dei collaboratori

Connesso al punto precedente e spesso aggravandolo, il problema della concreta impossibilità – nelle strutture pubbliche di assistenza e cura – di scegliere i propri collaboratori. Talvolta, tale circostanza può rilevare ai fini della responsabilità collegiale.

Responsabilità e impiego di protocolli e linee guida

È definito protocollo quell’insieme logico e sequenziale di azioni, manovre, indagini, finalizzato a raggiungere un obiettivo (Cantadore), con valore di perentorietà.

È definita linea guida quella sintesi derivata dall’analisi sistematica dei metodi diagnostici e terapeutici disponibili, della loro efficacia, del loro costo e dei loro risultati che ha valore di consiglio operativo. La elaborazione di protocolli operativi, fatta da chi ne ha le vesti per emetterli, indica comportamenti imprescindibili da adottare di fronte ad un determinato problema per il quale sono stati elaborati.

Protocolli e linee guida sono tesi a dare soluzioni contingenti che consentono condotte omogenee, valutabili, predefinite ed ottimali rispetto al risultato voluto.

Consentono, inoltre di individuare i centri di responsabilità rispetto alla loro progettazione, elaborazione, attuazione e revisione.

Giuridicamente rappresentano atti normativi interni, regolamenti di servizio che integrano un vincolo per gli operatori. Naturalmente rilevano ai fini delle disposizioni di cui all’art. 43 c.p. e configurano, ove disattesi, l’ipotesi di colpa specifica.

In merito si possono distinguere le responsabilità nella definizione dei protocolli dalla responsabilità nella loro applicazione. Colui che definisce il protocollo non può fermarsi alla mera elaborazione (eventuale culpa in eligendo), nella divulgazione, nell’aggiornamento (eventuale culpa in custodiendo), ma deve controllarne l’applicazione (eventuale culpa in vigilando) da parte dei destinatari. Rileva ricordare che in assenza di protocolli operativi l’operatore potrebbe essere chiamato a rispondere per colpa generica (per negligenza, imprudenza, imperizia), mentre in

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presenza di protocolli operativi, la loro disattenzione potrebbe rilevare come colpa specifica. Naturalmente, l’adesione passiva a protocolli non in linea con lo stato dell’arte non esonera l’operatore dalla eventuale chiamata in responsabilità (eventualmente in solido con l’estensore). È chiaro che i protocolli non possono annullare la libertà discrezionale dell’operatore che si trova, in quella circostanza di tempo e di situazione, alla presenza del paziente, ma è altrettanto chiaro che ogni allontanamento dal protocollo stesso debba esser ben motivato.

Responsabilità nella documentazione dell’attività sanitaria

La documentazione sanitaria deve riportare fedelmente ciò che ha fatto o osservato direttamente e personalmente chi scrive l’annotazione. La documentazione più importante dell’attività sanitaria è la cartella clinica di Pronto Soccorso. Rileva particolarmente segnalare lo stato clinico del paziente all’arrivo, specialmente se presenta lesioni riconducibili, anche solo in ipotesi, a percosse o ad eventi nei quali potrebbe essere in causa la responsabilità di terzi. Se del caso, può risultare opportuna la documentazione iconografica.

Responsabilità nell’obbligo di denuncia di reato e di referto

Ogni fatto illecito al quale l’ordinamento ricollega come conseguenza una pena criminale perseguibile d’ufficio deve essere tempestivamente comunicato all’autorità giudiziaria. La denuncia è l’atto con il quale il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio riferisce all’autorità giudiziaria la notizia di un reato perseguibile d’ufficio appreso nell’esercizio o a causa delle sue funzioni o del suo servizio (art.

331 c.p.p.). È un atto dovuto, cioè legato al dovere dell’ufficio o del servizio e la cui omissione è punita come reato contro l’amministrazione della giustizia (artt. 361 e 362 c.p. che puniscono l’omessa denuncia di reato).

Articolo 361 c.p. (omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale

“Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria, o ad altra autorità che a quella abbia l’obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio delle sue funzioni, è punito con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro”.

Articolo 362 c.p. (Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio

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“L’incaricato di pubblico servizio che omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria indicata nell’articolo precedente un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio è punito con la multa fino a centotre euro”.

Articolo 331 c.p.p. (Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio)

1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.

2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.

3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.

4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

Articolo 332 Codice di Procedura Penale (contenuto della denuncia)

1. La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note.

Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

È bene chiarire che, qualora manchi l'indicazione degli elementi utili alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, questo non incide sull'avvio del procedimento penale, essendo possibile la denuncia a carico di ignoti, la quale deve essere trasmessa all'ufficio di procura competente da parte degli organi di polizia, unitamente agli eventuali atti di indagine svolti per la identificazione degli autori del reato, con elenchi mensili.

Per il personale del Pronto Soccorso vi è l’obbligo di segnalare qualsiasi situazione per la quale si debba procedere d’ufficio (avvelenamento, intossicazione da antiparassitari, infortuni sul lavoro, circonvenzione di incapaci, contraffazione di sostanze alimentari, somministrazione di medicinali guasti, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, ecc.). L’importante, ai fini dell’obbligo di

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denuncia, è che l’operatore sanitario evidenzi un fatto che possa far sorgere il sospetto che sia conseguenza della commissione di un reato perseguibile d’ufficio.

Sarà compito dell’autorità giudiziaria verificare che si tratti di evento ascrivibile ad un reato perseguibile d’ufficio e procedere. È bene ricordare che il medico è pubblico ufficiale e l’infermiere è incaricato di pubblico servizio e l’onere della denuncia (come pure del referto), per gli atti di competenza, attiene ad entrambi.

Per quanto riguarda il referto, rileva quanto previsto e punito dall’articolo 365 c.p.

appresso riportato.

“Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferire all’autorità indicata dall’articolo 361 c.p. , è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro .

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.

È bene sottolineare che, mentre il medico libero professionista può omettere di presentare il referto quando il paziente può essere sottoposto a procedimento penale, l’operatore del Pronto Soccorso, in quanto pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, è obbligato comunque a presentare denuncia.

È bene rappresentare che la condanna per uno dei reati sopra riportati potrebbe anche comportare la pena accessoria della temporanea interdizione della professione (cfr.

art. 31 c.p.), nonché un provvedimento disciplinare da parte dell’azienda sanitaria e dell’Ordine Professionale.

Responsabilità nell’informazione e nel consenso

Generalmente la qualità dell’informazione fornita al paziente è un buon indicatore del rapporto tra medico e paziente e, più genericamente, tra operatore sanitario e paziente. Inoltre, una buona comunicazione è fondamento per istaurare un corretto rapporto di fiducia e di collaborazione. È, cioè l’essenza del concetto di alleanza terapeutica. Occorre tenere presente che il paziente è l’unico a poter decidere per qualunque intervento si debba effettuare sul suo corpo e ciò sulla base del diritto alla

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vita, alla libertà personale, alla integrità fisica ed alla propria sicurezza. Nel rispetto di quanto precede, il consenso deve poter essere costituito dalle seguenti caratteristiche: essere personale, essere valido, essere indirizzato ad un determinato operatore sanitario (quello che deve agire), essere circoscritto, essere informato, essere libero e spontaneo, essere attuale, essere revocabile. In difetto di una delle precedenti caratteristiche il difetto stesso potrebbe non essere giuridicamente valido.

In Pronto Soccorso può accadere più facilmente che le condizioni del paziente non siano tali da esprimere un valido consenso. In tal caso l’operatore deve limitarsi alle manovre salvavita – per le quali è lecito presumere il consenso del paziente – salvo appena possibile procedere alla formalizzazione di un consenso esplicito. D’altra parte, la possibilità per l’operatore sanitario di agire è prevista nella situazione tipica dello stato di necessità, previsto dall’art. 54 c.p. (“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo.”.

A chiarire la portata effettiva del ricorso allo stato di necessità la sentenza, ormai datata ma sempre attuale, della Cassazione che specifica “… si fa logicamente eccezione in situazioni estreme, nelle quali l’intervento del sanitario, qualunque possa esserne l’esito, si palesi necessario ed urgente laddove in situazioni del genere il paziente non si trova ad esprimere una cosciente volontà favorevole o contraria all’evento stesso…” (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 25.07.1967).

Responsabilità in caso di paziente tossicodipendente o alcolizzato

Uno dei problemi tipici del Pronto Soccorso è quello del paziente in preda ad intossicazione alcolica acuta o in stato di etilismo. È certamente importante procedere

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ad una accurata valutazione che tenga conto della diagnosi differenziale con altre forme morbose (patologie neurologiche, patologie metaboliche, patologie psichiatriche, ecc.) o la possibilità di coesistenza. In tali casi occorrerebbe privilegiare l’aspetto sintomatico ed intervenire. Rileva tenere presente che lo stato di ubriachezza (come la intossicazione da stupefacenti, ecc.) potrebbe rilevare ai fini dell’imputabilità e che l’ubriachezza in luogo pubblico è un reato punibile di per sé (cfr. art. 688 c.p.). rileva anche correlare il quadro clinico ai livelli alcolemici. È bene tenere presente che l’influenza dell’alcol sulla guida dei veicoli è drammaticamente rilevante. In Italia una alcolemia pari o superiore a 80 milligrammi per 100 millilitri integra lo stato di ebrezza. Oltre 0.8 g/l è dichiarata la pericolosità della guida di autoveicoli. Rileva ricordare il Nuovo Codice della Strada di cui al D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 4 (guida sotto l’influenza dell’alcol) sulla facoltà delle forze dell’ordine di sottoporre il guidatore a test alcolimetrici (cfr. D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379, Regolamento per l’esecuzione del Codice della Strada). È importante rappresentare che il prelievo ematico per l’effettuazione dei test alcolimetrici o di ricerca di sostanze d’abuso deve essere autorizzato dal paziente con apposito consenso e che i risultati sono tutelati dalle norme del segreto professionale e d’ufficio. Possono quindi essere trasmessi all’Autorità giudiziaria solo col consenso dell’avente diritto o per giusta causa imperativa (come allegato alla denuncia obbligatoria) o per giusta causa socialmente rilevante.

A proposito delle tossicodipendenze, è bene tenere presente il D.M. 12 luglio 1990, n.

186 (Regolamento concernente la determinazione delle procedure diagnostiche e medico legali per accertare l’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope) ed in particolare gli articoli 1, 2, 3 e 4. Da ricordare che; a mente del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 120; il paziente ha diritto all’anonimato (a meno di una giusta causa, quale ad es. il rifiuto alla terapia prescritta).

Responsabilità nelle certificazioni

Rileva rappresentare che le numerose certificazioni richieste in Pronto Soccorso hanno tutte valenza medico legale e, come tali, occorre porre particolare attenzione

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non soltanto al loro contenuto (certificando soltanto quanto riscontrato personalmente, oppure riportando la dizione “come risulta dagli atti di ufficio” e annotando da quale atto d’ufficio risulti; ma anche al destinatario (circostanziando il soggetto al quale è indirizzata, adattando la forma a quella più opportuna; all’oggetto (evitando di inserire quanto non sia indispensabile ai fini della certificazione stessa);

esplicitando a chi viene consegnata la certificazione e a quale scopo) e specificando che l’avente diritto abbia espresso il suo consenso (o abbia direttamente richiesto la certificazione e formalizzato il nome della persona alla quale consegnarlo). Ultima notazione è relativa ai soggetti sospetti di tossicodipendenza e guida di veicoli come previsto dal D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 ed il successivo D. 10 settembre 1993, n.

360, art. 187.

È bene anche ricordare che, in ambito di Pronto Soccorso, vengono fatte: le notifiche delle malattie infettive e diffusive, la denuncia delle malattie veneree, la notifica dei casi di AIDS, la notifica delle zoonosi, la denuncia di morso di cane o altri animali, le certificazioni INAIL, le certificazioni per le Assicurazioni contro gli Infortuni e le malattie professionali, le certificazioni in caso di infortunio mortale, ecc. Per le problematiche legali si rimanda all’apposito capitolo ed in particolare agli artt. 476, 477, 478, 479, del Codice Penale.

Responsabilità nell’accertamento di reati sessuali

I reati sessuali, prima annoverati tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, vengono inseriti, con la legge 66 del 1996, nel Titolo XII del Codice Penale ( "Delitti contro la persona" ), secondo la concezione personalistica della tutela giuridica propria della nostra Costituzione. I reati prima rientranti nelle fattispecie

"violenza carnale" e "atti sessuali" vengono ora puniti ex art. 609 bis come "violenza sessuale".

Per meglio circostanziare i contorni della condotta prevista e punita dall’art. 609 bis e seguenti se ne riporta il testo. Ciò anche al fine di indirizzare le indagini cliniche da espletare per meglio evidenziare le singole fattispecie contemplate nel contesto degli

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articoli e meglio aderire alle necessità di dimostrare l’esistenza e la portata dei reati commessi.

Articolo 609 bis c.p.(Violenza sessuale):

“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”.

Art. 609-ter (Circostanze aggravanti):

“La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all'articolo 609-bis sono commessi:

1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;

4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;

5bis) all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa. (cfr. legge 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 23);

5ter) nei confronti di donna in stato di gravidanza; (cfr. legge 15 ottobre 2013, n.

119);

5-quater) nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza;

5-quinquies) se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività; (cfr. D.Lgs. 4 marzo 2014, n.

39, art. 1, comma 2);

5-sexies) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave (cfr. D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 39, art. 1, comma 2).

La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.”.

È anche contemplata la fattispecie di reato rubricata come "violenza sessuale di gruppo" (cfr. Art.609 octies C.P. : “La violenza sessuale di gruppo consiste nella

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partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all`articolo 609 bis.”).

Il contatto corporeo può essere anche "fugace ed estemporaneo" (Cfr. Cass. Pen.

Sent. n. 19808/2006)

Sono esclusi gli atti di natura meramente esibizionistica (Cfr. Cass. Pen. Sent. n.

6551/ 1998).

Viene tutelata la riservatezza della vittima, anche se maggiorenne

Premesso che il numero dei reati sessuali denunciati è solo una piccola parte di quelli commessi, anche se vi è la tendenza all’aumento. La motivazioni sono diverse, nello stupro, non ultima è quella legata al fatto che occorre dimostrare non solo la violenza, ma anche la realtà della congiunzione. Diventa quindi discriminante quanto rilevato alla visita condotta in Pronto Soccorso, in genere in epoca molto vicina al fatto.

L’approccio alla paziente vittima di violenza sessuale deve essere completo e riguardare tutti gli aspetti del fatto violento: da quelli meramente fisici a quelli psicologici ed etici. Occorre personale preparato ad affrontare simili tematiche.

Intanto è opportuno ottenere un valido consenso dell’avente diritto (della persona stessa o, in caso di minore, da entrambi i genitori o da quello che dichiara e certifica di parlare anche a nome dell’altro genitore. Molte delle lesioni sono fugaci ed è quindi importante una minuziosa descrizione e, meglio, una serie di rilievi fotografici. È anche opportuna, dopo la ricostruzione del fatto, la ricerca di liquidi biologici (compresa la saliva), peli, capelli, ed ogni altro elemento utile. È anche utile valutare la possibilità di infezioni sessualmente trasmesse e di una gravidanza.

Occorre tenere presente che, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 609 bis c.p. è sufficiente qualsiasi condotta; purché connotata da violenza, addirittura anche non esplicato attraverso il contatto fisico diretto con il soggetto passivo del reato; che sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell’individuo attraverso il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. La giurisprudenza prende in considerazione anche le zone definite dalla scienza medica, psicologica e sociologica, "erogene", tali da essere sintomatiche di

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un istinto sessuale (cfr. Cass., Sez. III, Sent. 1 dicembre 2001; ed ancora, Cass., Sez.

III, Sent. n. 66551/98).

Responsabilità nell’accertamento della morte

Le problematiche connesse all’accertamento della morte possono essere particolarmente rilevanti nel reparto di Pronto Soccorso, sia per la possibilità concreta di soggetti che vi giungano già cadaveri, sia per problemi di identificazione personale. Occorre anche tenere distinte le due fattispecie tipiche: quella della realtà della morte e quella della causa della morte. È bene intanto precisare che i medici, debbono, per ogni caso di morte del loro assistito (o della persona alla quale hanno prestato la loro opera) denunciarne al Sindaco, entro 24 ore dall’accertamento, la causa primaria, il decorso e la causa finale.

La realtà della morte è accertata e certificata dal medico necroscopo (in ospedale tale funzione è posta in capo al direttore sanitario).

I problemi che possono rilevare sono legati alla identificazione del soggetto “giunto cadavere”, alla causa della morte quando si tratti di morte improvvisa o di morte che possa far sospettare la commissione di un reato. È bene chiarire che, a mente dell’art.

37 del D.P.R. 285/90, il medico può richiedere il riscontro diagnostico sui cadaveri di persone decedute senza assistenza medica, per il controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti clinico-scientifici.

Alcune sentenze rilevanti:

Cass. IV sezione Penale, Sent. n. 2457/2011

I giudici hanno respinto la “non responsabilità” degli infermieri giustificata dal Gup con la “mancanza di obbligo di valutare e percepire le sintomatologie del paziente”.

Una tesi improponibile per la Cassazione, in quanto “mortifica le competenze professionali” degli infermieri.

Cass. Pen. IV Sez., Sent. 36580/2009

“nel caso in cui l'attività dell'equipe è corale, … in cui ognuno esercita il controllo del buon andamento di esso, non si può addebitare all'uno l'errore dell'altro e viceversa".

Per questo "non è consentita la delega delle proprie incombenze agli altri componenti

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poiché ciò vulnererebbe il carattere plurale del controllo che ne accresce l'affidabilità". … si è trattato di una "macroscopica e banale dimenticanza che, come tale, deve essere addebitata a ciascuno e a tutti i componenti di quella equipe".

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