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TRACCE E PARERI DI DIRITTO CIVILE. (Con traccia per l esercitazione)

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(1)

TRACCE E PARERI DI DIRITTO CIVILE

IV

(Con traccia per l’esercitazione)

CORSO INTENSIVO AVVOCATO 2020 a cura dell’avv. Giulio Forleo

www.jurisschool.it

www.ildirittopenale.blogspot.com

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2 INDICE

Premessa………...……….Pag. 3 Traccia assegnata nella precedente dispensa ….……….………...Pag. 4 Possibile soluzione atto...………Pag. 5 Schema risolutivo parere.………..Pag. 9 Traccia assegnata nella prova intermedia...Pag. 12 Possibile soluzione atto prova intermedia...Pag. 13 Possibile soluzione parere prova intermedia...Pag. 20 Traccia: Gestione dei beni comuni del condominio...………..…...Pag. 24 Soluzione Traccia 1………...………..……...Pag. 25 Traccia: Acquirente subentrante e debiti antecedenti...……….Pag. 32 Soluzione Traccia 2……….……Pag. 33 Traccia: Usucapione e lastrico solare condominiale...……… Pag. 36 Soluzione Traccia 3……….………Pag. 37 Traccia: Differenze tra sopraelevazione ed innovazione vietata...………..Pag. 40 Soluzione Traccia 4……….………Pag. 41 Traccia: Ascensore e proprietà di alcuni condomini...…...…………Pag. 51 Soluzione Traccia 5……….Pag. 52 Traccia: Presupposti dell’accessione...Pag. 56 Soluzione Traccia 6……….Pag. 57 Traccia: L’estensione della proprietà......………...Pag. 63 Soluzione Traccia 7……….Pag. 64 8) Lastrico solare e contratto costitutivo di diritto di superficie...…………...Pag. 68 Massime rilevanti del 2020………...Pag. 92 Traccia per l’esercitazione………...….Pag. 95

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3

Premessa Gentili ragazze/i,

con questa quarta dispensa del modulo di civile approfondiremo le tematiche più rilevanti affrontate dalla giurisprudenza di legittimità̀ con riferimento ai diritti reali, alla comunione e al condominio.

Nella prima parte del modulo troverete, oltre alla soluzione della traccia assegnata nel modulo di civile n. 3, anche quella relativa alla prova intermedia di civile.

Per entrambe ho deciso di sviluppare l’atto assegnato, al fine di farvi comprendere al meglio la distribuzione, al loro interno, degli argomenti in diritto e degli elementi in fatto. Gli atti svolti sono altresì seguiti dagli schemi risolutivi dei corrispondenti pareri.

Da ultimo, non dimenticate di esercitarvi con il tempo: calcolate sempre 5 ore per svolgere l’elaborato (in sede d’esame, vari fattori ambientali potrebbero farvi perdere almeno due ore!).

Nonostante molti miglioramenti, continuo a notare molti errori di distrazione ed ortografici:

anche se sono semplici esercitazioni, impegnatevi come se foste all’esame d’avvocato!

Ricordatevi che un semplice errore grammaticale in sede d’esame, anche se relativo ad una sola prova, potrebbe farvi ottenere un punteggio talmente basso in una delle tre prove da non poter essere recuperato con le altre due: in altre parole, un errore grammaticale può da solo pregiudicare tutto il vostro esame.

Buono studio a tutti.

Roma, lì 18 novembre 2020

Avv. Prof. Giulio Forleo

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TRACCIA ASSEGNATA NELLA PRECEDENTE DISPENSA

In data 5 maggio 2003, la società Gamma S.p.a., proprietaria di un albergo, lo concedeva in locazione alla società Zeta S.r.l. per un canone mensile di 5.000,00 euro.

Nel contratto di locazione, la conduttrice si obbligava a stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile, nonché a copertura del rischio di furto e incendio dell’immobile locato.

Le parti contrattuali prevedevano altresì che la locatrice Gamma S.p.a. avrebbe avuto il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. nell’ipotesi in cui la Zeta S.r.l.

si fosse resa inadempiente all’obbligo di stipulare la predetta polizza assicurativa.

In data 23 ottobre 2018, la locatrice Gamma S.p.a. comunicava alla Zeta S.r.l. di volersi avvalere della clausola risolutiva pattuita e, per l’effetto, risolvere il contratto di locazione, in considerazione della mancata stipulazione, fin dalla data di sottoscrizione del contratto di locazione, della polizza assicurativa da parte della conduttrice.

Esperito infruttuosamente il tentativo di mediazione, con ricorso innanzi al Tribunale di Roma, notificato unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, Gamma S.p.a. chiedeva la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione in essere con la Zeta S.r.l., essendosi la stessa avvalsa della clausola risolutiva contenuta nel contratto.

Il legale rappresentante della Zeta S.r.l. si rivolge al vostro studio legale al fine di vedere tutelati gli interessi della società, desiderosa di continuare nel rapporto di locazione.

Il candidato, premessi brevi cenni sulle problematiche relative all’istituto della clausola risolutiva espressa nell’ambito più generale della disciplina della risoluzione del contratto, rediga:

- parere legale motivato sull’opportunità per la società Zeta s.r.l. di costituirsi nel giudizio instaurato dalla Gamma S.p.a.;

- l’atto giudiziario più opportuno per salvaguardare gli interessi della conduttrice.

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POSSIBILE SOLUZIONE ATTO

TRIBUNALE CIVILE DI ROMA R.G.______ SEZ._____ G.I.____________

MEMORIA DIFENSIVA EX ART. 447 C.P.C.

Per la società Zeta S.r.l. (C.F.__________; P.iva________), in persona del legale rappresentante p.t., con sede in _________, alla via_______ n. ______, rappresentata e difesa dall’Avv._______

(pec.______; fax________) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in __________, via_______ n. ___, come da procura in calce al presenta atto;

- resistente CONTRO

la società Gamma S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv.____ ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in _________, via _______;

- ricorrente Con ricorso ex art. 414 c.p.c., depositato in data_______ e notificato in data _______ unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione, la società Gamma S.p.a. ha evocato in giudizio la società Zeta S.r.l. innanzi l’intestato Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro, per ivi sentire accertare e dichiarare la risoluzione del contratto di locazione in essere tra le parti, essendosi la ricorrente avvalsa della clausola risolutiva contenuta nel contratto.

Con il presente atto si costituisce la società Zeta S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., come sopra rappresentata e difesa per contestare quanto dedotto nel ricorso dalla ricorrente in quanto infondato in fatto e in diritto e chiedere la reiezione delle domande proposte per i seguenti motivi in fatto e diritto.

FATTO

In data 5 maggio 2003, la società Gamma S.p.a., proprietaria dell’albergo sito in _____ alla via_______, stipulava un contratto di locazione con la società Zeta S.r.l., la quale si obbligava a stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile, nonché a copertura del rischio di furto e incendio dell’immobile locato.

Le parti contrattuali prevedevano altresì che la locatrice Gamma S.p.a. avrebbe avuto il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. nell’ipotesi in cui la Zeta S.r.l. si fosse resa inadempiente all’obbligo di stipulare la predetta polizza assicurativa.

In considerazione della mancata stipulazione, fin dalla data di sottoscrizione del contratto di locazione, della polizza assicurativa da parte della conduttrice, in data 23 ottobre 2018, la locatrice Gamma S.p.a. comunicava alla Zeta S.r.l. di volersi avvalere della clausola risolutiva pattuita e, per l’effetto, risolvere il contratto di locazione.

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6

Veniva esperito infruttuosamente il tentativo di mediazione.

DIRITTO

SULLA PRESCRIZIONE DEL DIRITTO DI AVVALERSI DELLA CLAUSOLA RISOLUTIVA.

Il diritto azionato dalla locatrice è certamente prescritto ai sensi dell’art. 2946 c.c., essendo pacificamente trascorsi più di 15 anni tra l’inadempimento della conduttrice (mancata stipula della polizza assicurativa contestualmente al contratto di locazione) e la data in cui la locatrice si è effettivamente avvalsa del diritto potestativo di risolvere il rapporto in virtù della clausola de qua.

Come noto, la disciplina della risoluzione del contratto per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c., è lo strumento che consente al contraente non inadempiente di sciogliersi da un vincolo contrattuale viziato dall’inadempimento dell’altro contraente. Al fine di ottenere la risoluzione, il contraente non inadempiente ha l’onere di proporre un’apposita domanda giudiziale volta all’ottenimento di una sentenza di natura costitutiva.

Accanto alla suddetta risoluzione giudiziale, però, il Legislatore ha disciplinato alcuni specifici casi di risoluzione di diritto, in cui la risoluzione del contratto prescinde da una specifica azione e quindi dalla pronuncia di un giudice.

Tra i casi di risoluzione di diritto del contratto assume particolare importanza l’istituto della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., in virtù della quale le parti prevedono espressamente che il contratto si considererà risolto qualora una o più obbligazioni non siano totalmente adempiute o comunque non siano eseguite rispettando le modalità concordate.

Ai fini della produzione degli effetti della suddetta clausola, ai sensi del secondo comma dell’art.

1456 c.c., è sufficiente che la parte non inadempiente dichiari al contraente inadempiente di volersi avvalere della stessa e per l’effetto risolvere il contratto. La successiva azione giudiziale di risoluzione ex art. 1456 c.c. è tesa unicamente all’ottenimento di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto, già verificatasi a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo.

La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente un diritto potestativo che, in quanto tale, deve essere esercitato nei limiti temporali previsti dalla legge.

Al riguardo opera, infatti, l’istituto della prescrizione disciplinato dagli artt. 2934 e ss. del codice civile, il quale riconduce l’estinzione di un diritto soggettivo al mancato esercizio o uso del titolare per un determinato periodo di tempo, salvo per i casi di c.d. diritti indisponibili ovvero di diritti imprescrittibili per espressa volontà della legge.

Non rientrando il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa in nessuno dei casi esclusi dall’operatività della prescrizione, esso, al pari di ogni altro diritto, appare astrattamente suscettibile di estinguersi per prescrizione.

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Non essendovi uno specifico termine prescrizionale previsto dalla legge, si applica quello ordinario di 10 anni di cui all’art. 2946 c.c..

Quanto al termine iniziale di decorrenza della prescrizione, l’art. 2935 c.c. precisa che esso decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Rapportando quanto detto al caso di specie, l’obbligo di stipulazione della polizza assicurativa (oggetto della clausola risolutiva) onerava la conduttrice ad adempiervi contestualmente alla sottoscrizione del contratto o comunque immediatamente dopo, dovendosi quindi individuare la verificazione dell’inadempimento già a partire dalla data di sottoscrizione del contratto (5 maggio 2003).

Individuato il momento iniziale dell’inadempimento e, conseguentemente, quello corrispondente, per la locatrice, di avvalersi del diritto di risolvere il contratto, il termine finale per l’esercizio di tale ultimo diritto è spirato pacificamente in data 5 maggio 2013.

Al momento della comunicazione (23 ottobre 2018) effettuata dalla società Gamma S.p.a., dunque, il diritto della locatrice di avvalersi della clausola risolutiva era sicuramente prescritto, con la conseguenza che la sua dichiarazione deve considerarsi priva di effetti risolutivi sul contratto in essere tra le parti, il quale rimane totalmente vincolante per le medesime.

A supporto della ricostruzione ermeneutica effettuata, si è di recente pronunciata anche la Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “il diritto potestativo di risolvere il rapporto, in conseguenza dell'inadempimento di una parte, quando sia prevista la clausola risolutiva espressa, diritto che si esercita mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola stessa (art. 1456, comma 2, c.c.), è soggetto a prescrizione ai sensi dell'art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge, e l'inizio della decorrenza della prescrizione coincide, secondo la regola generale dettata dall'art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi del primo inadempimento in caso di prestazioni periodiche”. (Cassazione Civile, Sez. III, 15 marzo 2018, n. 6386).

Alla luce di quanto detto, la domanda della ricorrente di dichiarazione di risoluzione del contratto si presenta infondata ed in quanto tale deve essere rigettata.

In considerazione di quanto sopra, la società Zeta S.r.l., come in epigrafe rappresentata e difesa, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectiis, rigettare integralmente il ricorso introduttivo in quanto infondato in fatto ed in diritto, per i motivi sopra esposti.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Si allegano:

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8 - copia del contratto di locazione;

- comunicazione della società Gamma del 23.10.2018 _______, lì _________

Avv.____________________

PROCURA

Il sottoscritto, in qualità di legale rappresentante p.t. della società Zeta S.r.l. (C.f. e P.iva) delega l’Avv. ____________a rappresentarla e difenderla nel presente giudizio ed in ogni successiva fase e grado, compresa esecutiva, conferendogli all’uopo ogni più ampia facoltà di legge nessuna esclusa, ivi compresa quella di conciliare, transigere, quietanzare, incassare somme, chiamare in causa terzi, spiegare domande riconvenzionali, nominare sostituti in udienza ed indicare domiciliatari.

Elegge domicilio presso lo studio dello stesso avvocato in ___________via __________ n.

__________.

Dichiara di essere stato informato della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli artt. 2 e ss. D.L. 134/2014 e di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dal D.Lgs. 28/2010 e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del decreto, nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, come da atto allegato.

Dichiara, inoltre, di essere stato edotto sui rischi del presente contenzioso e sul grado di complessità dell’incarico, nonché di avere ricevuto tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal conferimento alla conclusione dell’incarico e, in particolare, di essere stati resi edotti, in linea di massima, sulle seguenti voci di costo: ...

Infine, dichiara di essere stato edotto sulla polizza assicurativa professionale dell’avvocato n. ..., stipulata con la compagnia ... il ... con scadenza al ... e massimale di euro ...

Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste ai sensi dell'art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) e art. 13 del D.lgs 196/2003 e s.m.i. e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

La presente procura è apposta anche ai sensi dell’art. 18, co. 5, DM Giustizia 44/2011, come sostituito dal DM Giustizia 48/2013.

_______, lì _________

Firma _______________

Le firme sono autentiche e sono state apposte in mia presenza Avv. _______________

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SCHEMA RISOLUTIVO PARERE

Ai fini di un corretto svolgimento del parere assegnato occorreva approfondire i seguenti punti:

1. Ripercorrere brevemente i fatti della vicenda evidenziando, in maniera propedeutica allo svolgimento della parte in diritto, gli elementi principali:

- in data 5 maggio 2003, la società Gamma S.p.a., proprietaria di un albergo, stipulava un contratto di locazione con la società Zeta S.r.l., la quale si obbligava a stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile, nonché a copertura del rischio di furto e incendio dell’immobile locato;

- le parti contrattuali prevedevano altresì che la locatrice Gamma S.p.a. avrebbe avuto il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. nell’ipotesi in cui la Zeta S.r.l. si fosse resa inadempiente all’obbligo di stipulare la predetta polizza assicurativa;

- in considerazione della mancata stipulazione, fin dalla data di sottoscrizione del contratto di locazione, della polizza assicurativa da parte della conduttrice, in data 23 ottobre 2018, la locatrice Gamma S.p.a. comunicava alla Zeta S.r.l. di volersi avvalere della clausola risolutiva pattuita e, per l’effetto, risolvere il contratto di locazione;

- esperito infruttuosamente il tentativo di mediazione, con ricorso innanzi al Tribunale di Roma, notificato unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, Gamma S.p.a. chiedeva la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione in essere con la Zeta S.r.l., essendosi la stessa avvalsa della clausola risolutiva contenuta nel contratto.

2. Indicare che la principale questione giuridica da approfondire, per determinare la fondatezza o meno della pretesa avanzata dalla locatrice, attiene alla valutazione degli effetti del trascorrere del tempo sul diritto di un contraente di avvalersi di una clausola risolutiva espressa e delle conseguenze dell’inerzia in termini di prescrizione del diritto medesimo.

3. Approfondire, come richiesto dalla traccia, la disciplina della risoluzione del contratto per inadempimento, specificando che tale strumento consente al contraente non inadempiente di sciogliersi da un vincolo contrattuale viziato dall’inadempimento dell’altro contraente e che, al fine di ottenere la risoluzione, il contraente non inadempiente ha l’onere di proporre un’apposita domanda giudiziale volta all’ottenimento di una sentenza di natura costitutiva.

4. Specificare che accanto alla c.d. risoluzione giudiziale, il Legislatore ha, altresì, disciplinato alcuni specifici casi di risoluzione di diritto, in cui la risoluzione del contratto prescinde da una specifica azione e quindi dalla pronuncia di un giudice.

5. Indicare che tra i casi di risoluzione di diritto del contratto occorre approfondire l’istituto della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., sottolineando che con essa le parti prevedono espressamente che il contratto si considererà risolto qualora una o più obbligazioni non siano totalmente adempiute o comunque non siano eseguite rispettando le modalità concordate.

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10

Evidenziare, inoltre, che ai sensi dell’art. 1456 comma 2 del codice civile è sufficiente che la parte non inadempiente dichiari al contraente inadempiente di volersi avvalere della clausola e per l’effetto risolvere il contratto.

6. In considerazione del fatto che nel caso di specie la locatrice si sia avvalsa (attraverso apposita dichiarazione) della clausola risolutiva espressa dopo ben 15 anni dalla stipula del contratto, è doveroso chiedersi se tale enorme lasso di tempo abbia inciso, in termini di prescrizione, sulla possibilità di far valere quel diritto.

7. Soffermarsi sull’istituto della prescrizione disciplinato dagli artt. 2934 e ss. del codice civile, il quale riconduce l’estinzione di un diritto soggettivo al mancato esercizio o uso del titolare per un determinato periodo di tempo, salvo per i casi di c.d. diritti indisponibili ovvero di diritti imprescrittibili per espressa volontà della legge.

8. Non rientrando il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa in nessuno dei casi esclusi dall’operatività della prescrizione, indicare che esso, al pari di ogni altro diritto, appare astrattamente suscettibile di estinguersi per prescrizione e non essendovi uno specifico termine prescrizionale previsto dalla legge, dovrebbe applicarsi quello ordinario di 10 anni ex art. 2946 c.c.

9. Precisare che ai sensi dell’art. 2935 c.c. il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

10. Rilevare che, nel caso di specie, l’obbligo di stipulazione della polizza assicurativa (oggetto della clausola risolutiva) onerava la conduttrice ad adempiervi contestualmente alla sottoscrizione del contratto o comunque immediatamente dopo, dovendosi quindi individuare la verificazione dell’inadempimento già a partire dalla data di sottoscrizione del contratto (5 maggio 2003).

11. Individuato il momento iniziale dell’inadempimento e, conseguentemente, quello corrispondente, per la locatrice, di avvalersi del diritto di risolvere il contratto, indicare come termine finale per l’esercizio di tale ultimo diritto quello del 5 maggio 2013.

12. Evidenziare, dunque, che, al momento della comunicazione (23 ottobre 2018), il diritto della locatrice di avvalersi della clausola risolutiva fosse sicuramente prescritto, con la conseguenza che la sua dichiarazione deve considerarsi priva di effetti risolutivi sul contratto in essere tra le parti, che rimane totalmente vincolante per le medesime.

13. A supporto della ricostruzione ermeneutica effettuata, riportare la recente sentenza della Cassazione n. 6386 del 15.03.2018 secondo cui “il diritto potestativo di risolvere il rapporto, in conseguenza dell'inadempimento di una parte, quando sia prevista la clausola risolutiva espressa, diritto che si esercita mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola stessa (art. 1456, comma 2, c.c.), è soggetto a prescrizione ai sensi dell'art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale

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causa di estinzione sia esclusa dalla legge, e l'inizio della decorrenza della prescrizione coincide, secondo la regola generale dettata dall'art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi del primo inadempimento in caso di prestazioni periodiche”.

14. Suggerire alla soc. Zeta s.r.l. di costituirsi nel giudizio instaurato al fine di ottenere il rigetto della domanda giudiziale per effetto dell’intervenuta prescrizione del diritto di avvalersi della clausola risolutiva da parte della locatrice.

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TRACCIA ASSEGNATA NELLA PROVA INTERMEDIA

In data 23.10.2008, la società Beta, nota azienda di produzione di armi, stipulava con la Scuola allievi Carabinieri di Roma un contratto per la fornitura di proiettili a salve, da utilizzare durante le esercitazioni. Al fine di perfezionare il contratto, la Scuola carabinieri di Roma inviò lo stesso al Ministero della Difesa per ottenerne l’approvazione, così come prescritto dalla Legge.

Nonostante non ci fossero reali motivi per bocciare l’accordo, per mera inerzia del Ministero non veniva mai ratificato l’accordo.

Con atto di citazione del 21.01.2016, la società Beta conveniva dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della Difesa, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, e la Scuola Allievi Carabinieri di Roma chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata ratifica, ai sensi di Legge, del contratto regolarmente concluso inter partes in data 23.10.2008.

Si costituivano le PP.AA. convenute eccependo la mancanza del requisito di validità (approvazione ministeriale) necessario ai fini del perfezionamento di un effettivo vincolo contrattuale e l’estinzione per prescrizione del credito risarcitorio vantato dall’attrice.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 31661/2020, depositata il 13 ottobre 2020, rigettava la domanda, non essendosi perfezionato il contratto ed essendosi il credito estinto per prescrizione, ai sensi dell'art. 2947 c.c..

Premessi brevi cenni sulla tipologia e sulla natura della responsabilità delle Amministrazioni convenute, nelle vesti di difensore della società Beta, rediga il candidato:

- parere motivato in ordine alla possibilità di proporre appello avverso la suddetta sentenza;

- atto di appello avverso la sentenza del Tribunale di primo grado.

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SOLUZIONE ATTO PROVA INTERMEDIA

CORTE D’APPELLO DI ROMA

ATTO DI CITAZIONE IN APPELLO EX ART. 342 C.P.C.

Per la società Beta (C.F.________; P.Iva______), in persona del legale rappresentante p.t., con sede in _______, alla via ________ n.___, rappresentata e difesa dall’Avv._________

(C.F.___________), presso il cui studio sito in ... alla via .... elegge domicilio, giusta procura in calce al presente atto, dichiarando di voler ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio di appello al seguente indirizzo PEC ... ovvero al seguente numero di fax ...;

– appellante – Contro

Il Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del l.r.p.t., e la Scuola allievi Carabinieri di Roma, in persona del l.r.p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in. Roma, via dei Portoghesi n.12,

– appellati – per la riforma della sentenza n. 31661/2020, depositata il 13 ottobre 2020, non notificata, resa

inter partes dal Tribunale di Roma, Giudice …., nel procedimento iscritto al n. di R.G. … SINTESI DELLO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

- Con atto di citazione del 21.01.2016, la società Beta conveniva dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della Difesa, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, e la Scuola Allievi Carabinieri di Roma chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata ratifica, ai sensi di Legge, del contratto regolarmente concluso inter partes in data 23.10.2008.

- In particolare, l’attrice rappresentava di aver stipulato con la Scuola allievi Carabinieri di Roma un contratto per la fornitura di proiettili a salve, da utilizzare durante le esercitazioni. Al fine di perfezionare il contratto, la Scuola carabinieri di Roma inviò lo stesso al Ministero della Difesa per ottenerne l’approvazione, così come prescritto dalla Legge. Nonostante non ci fossero reali motivi per bocciare l’accordo, per mera inerzia del Ministero non veniva mai ratificato l’accordo.

- Con comparse di costituzione e risposta si costituivano le PP.AA. convenute eccependo la mancanza del requisito di validità (approvazione ministeriale) necessario ai fini del perfezionamento di un effettivo vincolo contrattuale e l’estinzione per prescrizione del credito risarcitorio vantato dall’attrice.

- In maniera del tutto inaspettata, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 31661/2020, depositata il 13 ottobre 2020, rigettava la domanda, ritenendo che il contratto non si fosse mai perfezionato

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14

e che l’eventuale credito risarcitorio fosse comunque estinto per prescrizione, ai sensi dell'art.

2947 c.c..

Con il presente atto si intende appellare la predetta sentenza in ognuno dei capi e dei punti che hanno determinato il rigetto delle argomentazioni della società Beta, in particolare, nella parte in cui ha erroneamente statuito che:

1) il contratto stipulato, in data 23.10.2008, tra la società Beta e la Scuola allievi Carabinieri di Roma per la fornitura di proiettili a salve, non si era perfezionato a causa della mancata approvazione ministeriale dello stesso, ritenendo conseguentemente prescritto il diritto azionato in applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c.;

2) il diritto di credito fosse comunque prescritto in applicazione del termine quinquennale ex art.

2947 c.c., non rilevando la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale azionata (da pag. _____ a pag. ____);

Si richiede pertanto che Codesta Illustrissima Corte voglia riformare la sentenza impugnata alla stregua dei seguenti

MOTIVI DI APPELLO

1) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DAGLI ARTT. 19 DEL R.D. N.2440 DEL 1923 E 337 DELLA L. N.2248/1865 VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT.1218,2043,2346 E 2347 C.C..

La sentenza è anzitutto errata e va riformata nella parte in cui, non ritenendo definitivamente perfezionato il contratto tra le parti pur in assenza dell’approvazione ministeriale, ha erroneamente ritenuto prescritto il diritto azionato in applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c..

In proposito, giova premettere che i contratti stipulati dalla Pubblica amministrazione devono essere sottoposti alla c.d. “approvazione ministeriale” disciplinata dagli artt. 19 del R.D. n. 2440 del 1923 e 337 della L. n. 2248/1865 all. F..

La ratio alla base di quest’adempimento è la stessa comune ad altri requisiti richiesti dallo stesso R.D. 2440 del 1923 nell’ipotesi in cui la P.a. sia parte di un rapporto contrattuale e agisca iure privatorum; essi riguardano, ad esempio, la manifestazione di volontà, che deve provenire da un organo al quale è attribuita la rappresentanza, e la forma, la quale deve essere scritta, a pena di nullità.

Dette condizioni rispondono all’esigenza di garantire il regolare svolgimento dell’attività amministrativa, essendo espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost..

Sebbene accomunati dalla stessa ratio, però, appare chiaro come i requisiti menzionati non possano comportare tutte le medesime conseguenze nel caso in cui non siano presenti, incidendo

(15)

15 su aspetti differenti del contratto.

Se da un lato, infatti, quelli attinenti alla forma e alla manifestazione di volontà sono propriamente dei requisiti di validità e che attengono al momento ontologico, in loro assenza non può dirsi di essere in presenza di un contratto vero e proprio, sussistendo solo un comportamento di fatto privo di rilievo giuridico (v. ex multis Cass. n. 15197/2000); dall’altro lato, la ratifica ministeriale non attiene al momento genetico del negozio ma ad una fase successiva di autorizzazione interna all’Amministrazione.

Quest’ultima condizione, inoltre, non può essere considerata anch’essa requisito di validità, non essendo specificamente prevista tale conseguenza in sua assenza.

Nel caso di specie, non c’è dubbio sul fatto che l’accordo sia promanato da un organo avente la legale rappresentanza e che sia stato soddisfatto il requisito della forma scritta ad substantiam.

E’ perciò evidente che il contratto concluso tra la società Beta e la Scuola Allievi Carabinieri in data 23.10.2008 sia da considerarsi valido ed efficace alla luce del fatto che sono stati soddisfatti i requisiti di validità di cui agli artt. 16 e 17 del r.d. 2440/1923.

Essendo, dunque, chiamate le amministrazioni convenute a rispondere dell’inadempimento delle obbligazioni assunte con il contratto stipulato, l’obbligazione risarcitoria azionata in primo grado dall’odierna appellante è sottoposta certamente al regime di prescrizione decennale di cui all’art.

2946 c.c..

Alla luce di quanto detto, la sentenza emessa dal Tribunale di Roma è errata e deve essere riformata nella parte in cui rigetta la domanda semplicemente sulla scorta del fatto che il contratto non si fosse perfezionato e che, rientrando il credito risarcitorio nell’ambito extracontrattuale, lo stesso fosse prescritto per l’inutile decorso del termine quinquennale di prescrizione di cui all’art.

2946. Al contrario la domanda risarcitoria, inquadrabile nell’ambito della responsabilità contrattuale, deve essere accolta integralmente, sussistendone tutti i presupposti oggettivi e soggettivi e non essendo decorso, al momento dell’introduzione del giudizio (21.01.2016), il relativo termine di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c..

II) “ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO –VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 1337,1338,1218 E 2043 C.C.–VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT.2946 E 2947 C.C. Nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere corretta la sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto efficacia al contratto privo della ratifica ministeriale, la medesima risulterebbe comunque errata e meritevole di riforma là dove ha qualificato come extracontrattuale la responsabilità precontrattuale delle amministrazioni appellate e ha dichiarato la conseguente prescrizione del diritto di credito fatto valere dall’appellante ai sensi dell’art. 2947 c.c..

Al riguardo appare opportuno compiere una digressione sulla natura dell’eventuale responsabilità

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configurabile in capo alla P.A. nella fase delle trattative, tutelata e protetta dalle norme codicistiche di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c., configuranti la c.d. responsabilità precontrattuale.

Detto tipo di responsabilità viene in rilievo in ipotesi di violazione dell’altrui libertà negoziale realizzata con un comportamento doloso o colposo, ovvero mediante l’inosservanza del dovere di buona fede.

L’ordinamento giuridico, infatti, impone alle parti di condurre le trattative contrattuali in maniera

“corretta”, al punto che la violazione dell’obbligo di buona fede non assume rilievo solo nel caso di rottura ingiustificata delle stesse o di mancata conclusione del contratto, ma anche quando il contenuto dell’accordo sarebbe stato differente senza detta violazione (Cass. n. 5762/2016).

I principi innanzi esposti trovano concreta applicazione anche nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, parte nelle trattative sia una Pubblica Amministrazione.

In virtù di ciò, sia che la Pubblica Amministrazione agisca iure privatorum, sia nell’ipotesi in cui agisca nella dimensione propriamente pubblicistica, essa deve comunque rispettare l’obbligo di

“trattare” secondo buona fede e correttezza. Non può porsi una deroga ai canoni di cui agli artt.

1175, 1375, 1337 e 1338 c.c. per il solo fatto che una parte delle trattative sia una Pubblica Amministrazione; ragionando diversamente verrebbe a crearsi un’illegittima disparità di trattamento che contravverrebbe ai più basilari principi sanciti dalla Carta Costituzionale.

Dunque, non vi sono ragioni che ostino all’applicazione delle norme attinenti alla responsabilità precontrattuale nel caso in esame. È pacifico, peraltro, che il Ministero della Difesa, con il suo comportamento inerte, abbia impedito il perfezionamento del contratto e sia venuto meno all’obbligo di trattare secondo buona fede e correttezza, ledendo la libertà negoziale della controparte società Beta.

Detto ciò, risulta dirimente per il presente giudizio fornire un inquadramento ontologico alla responsabilità precontrattuale.

I problemi, in proposito, nascono proprio dal fatto che il codice civile non inquadra detto tipo di responsabilità né all’interno di quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c., né all’interno della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..

L’art. 1338 c.c. stabilisce soltanto l’obbligo della parte “a risarcire il danno” risentito, ma nulla dice circa la disciplina applicabile.

Sebbene sul punto si siano contesi diversi orientamenti, ad oggi la giurisprudenza è consolidata nel riconoscere natura contrattuale alla responsabilità precontrattuale.

Totalmente superata appare l’opinione della giurisprudenza che inquadrava la predetta responsabilità quale responsabilità extracontrattuale. In proposito si sosteneva che i soggetti durante la fase delle trattative erano da considerarsi tra loro estranei, non essendo sorto ancora alcun vincolo contrattuale tra gli stessi. Perciò il dovere di buona fede imposto dall’art. 1337 c.c.

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altro non sarebbe che espressione del più generale principio del neminem laedere stabilito dall’art.

2043 c.c., valevole per tutti i consociati anche durante la fase delle trattative.

Tale posizione è stata però superata dall’attuale giurisprudenza maggioritaria che qualifica la responsabilità precontrattuale quale responsabilità contrattuale da inadempimento. Punto di partenza di tale pacifico orientamento è che i soggetti che intraprendono delle trattative non potrebbero dirsi estranei tra loro; al contrario, si creerebbe una relazione di fatto qualificata, dalla quale nascerebbero delle obbligazioni, tra cui quelle di buona fede, la cui fonte si rinverrebbe nella norma cardine che elenca le fonti delle obbligazioni, ossia l’art. 1173 c.c..

Per vero, le obbligazioni non nascono solo da fatto illecito o da contratto, ma anche da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento. È così che il fatto giuridico delle trattative negoziali ossia il “contatto sociale” fa sorgere un rapporto obbligatorio che vincola le parti al rispetto del principio di buona fede (art. 1337 c.c.) che, a sua volta, si specifica in obblighi di informazione e protezione.

Ulteriore conseguenza, quindi, è che l’inadempimento dell’obbligazione di buona fede che discende dal contatto sociale genera una responsabilità ex art. 1218 c.c., con tutte le conseguenze in termini di prescrizione, onere della prova, quantificazione del danno, ecc…

Tale ultimo orientamento trova una recente conferma proprio in una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (v. Cass. n. 14188/2016), la quale ha statuito che la responsabilità precontrattuale deve essere inquadrata nella responsabilità contrattuale da “contatto sociale”, il quale è fatto idoneo a produrre obbligazioni, tra cui quella di buona fede, con la conseguenza che la prescrizione dell’obbligazione risarcitoria è decennale ex art. 2946 c.c.

Alla luce di quanto detto, la sentenza impugnata merita di essere riformata.

Invero, le amministrazioni coinvolte hanno violato, con il loro comportamento inerte, l’obbligo di buona fede e correttezza che rinviene la sua fonte nel rapporto qualificato istaurato tra le parti.

Ne consegue che l’obbligazione risarcitoria, derivante dall’inadempimento dell’obbligazione di protezione, può essere fatta valere nel termine di prescrizione decennale che, stante il fatto che le trattative sono avvenute nell’ottobre del 2008, non era ancora spirato al momento della domanda introduttiva del giudizio di primo grado.

Tanto affermato, l’odierna appellante società Beta, ut supra domiciliata, rappresentata e difesa CITA

Il Ministero della Difesa, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e la Scuola Allievi Carabinieri di Roma, in persona del legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi nel primo grado di giudizio dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliate ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12, a comparire innanzi alla Corte d'Appello di Roma per l'udienza del …, con invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite

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dall'art. 166 c.p.c., ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al collegio designato ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica la decadenza di cui all'art. 343 c.p.c., per ivi sentire accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, emessa dal Tribunale di Roma n. 31661/2020, depositata il 13 ottobre 2020, ed in accoglimento del presente appello:

- accertare e dichiarare il diritto della società Beta al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata ratifica da parte del Ministero dell’accordo sottoscritto con la Scuola Allievi Carabinieri di Roma;

- per l’effetto condannare le PP.AA. al risarcimento, in favore dell’appellante, dei danni subiti, oltre interessi e rivalutazione monetaria;

- con vittoria delle spese, competenze e onorari dei due gradi di giudizio.

Ai sensi dell'art. 14, D.P.R. n. 115 del 2002, si dichiara che il valore della presente causa è di € ... e pertanto il contributo unificato da versare è pari a _____.

Si depositano:

1) copia autentica della sentenza di primo grado;

2) il fascicolo di primo grado dell'appellante.

_______, lì _________

Firma Avv. _________________

PROCURA

Il sottoscritto, in qualità di legale rappresentante p.t. della società Beta S.r.l. (C.f. e P.iva) delega l’Avv. ____________a rappresentarla e difenderla nel presente giudizio ed in ogni successiva fase e grado, compresa esecutiva, conferendogli all’uopo ogni più ampia facoltà di legge nessuna esclusa, ivi compresa quella di conciliare, transigere, quietanzare, incassare somme, chiamare in causa terzi, spiegare domande riconvenzionali, nominare sostituti in udienza ed indicare domiciliatari.

Elegge domicilio presso lo studio dello stesso avvocato in ___________via __________ n.

__________.

Dichiara di essere stato informato della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli artt. 2 e ss. D.L. 134/2014 e di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dal D.Lgs. 28/2010 e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del decreto, nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è

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condizione di procedibilità della domanda, come da atto allegato.

Dichiara, inoltre, di essere stato edotto sui rischi del presente contenzioso e sul grado di complessità dell’incarico, nonché di avere ricevuto tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal conferimento alla conclusione dell’incarico e, in particolare, di essere stati resi edotti, in linea di massima, sulle seguenti voci di costo: ...

Infine, dichiara di essere stato edotto sulla polizza assicurativa professionale dell’avvocato n. ..., stipulata con la compagnia ... il ... con scadenza al ... e massimale di euro ...

Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste ai sensi dell'art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) e art. 13 del D.lgs 196/2003 e s.m.i. e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

La presente procura è apposta anche ai sensi dell’art. 18, co. 5, DM Giustizia 44/2011, come sostituito dal DM Giustizia 48/2013.

_______, lì _________

Firma _______________

Le firme sono autentiche e sono state apposte in mia presenza Avv. _______________

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POSSIBILE SOLUZIONE PARERE PROVA INTERMEDIA

Viene richiesto motivato parere dalla società Beta ai fini di valutare la possibilità di proporre con successo atto di appello nei confronti della sentenza emessa dal Tribunale di Roma n.

31661/2020, con cui è stato dichiarato prescritto ex art. 2947 c.c. il diritto di credito vantato dalla suindicata società nei confronti della Scuola Allievi Carabinieri di Roma, del Comando Generale dell’Arma, nonché del Ministero della Difesa.

Più in particolare, a seguito della stipulazione tra la società Beta e la Scuola Allievi Carabinieri di un contratto avente ad oggetto la fornitura di proiettili a salve, quest’ultimo veniva inviato al Ministero della Difesa ai fini della approvazione richiesta dalla Legge.

Tuttavia, per mera inerzia dell’autorità tutoria l’accordo non fu mai ratificato. Da ciò ne è conseguita la citazione in giudizio delle PP. AA. sopraindicate affinché fossero condannate al risarcimento dei danni subiti dalla società Beta a causa della mancata approvazione del contratto.

Invero, dalla statuizione del giudice di prime cure emerge che lo stesso abbia ritenuto non sussistente alcun contratto vincolante tra le PP.AA. e la società Beta, ascrivendo, altresì, alla responsabilità precontrattuale, in cui sarebbero incorse le amministrazioni, natura extracontrattuale.

Ai fini, quindi, di indagare l’eventualità di proporre appello avverso la menzionata sentenza è necessario analizzare le due questioni giuridiche sottese al caso in esame: da un lato, la possibilità di considerare concluso il contratto a prescindere dalla sua approvazione ministeriale; dall’altro lato, valutare il tipo e la natura della responsabilità configurabile in capo alle PP. AA., alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali.

Quanto alla prima delle due questioni, giova premettere che i contratti stipulati dalla Pubblica amministrazione devono essere sottoposti alla c.d. “approvazione ministeriale” disciplinata dagli artt. 19 del R.D. n. 2440 del 1923 e 337 della L. n. 2248/1865 all. F..

La ratio alla base di quest’adempimento è la stessa comune ad altri requisiti richiesti dallo stesso R.D. 2440 del 1923 nell’ipotesi in cui la P.a. sia parte di un rapporto contrattuale e agisca iure privatorum; essi riguardano, ad esempio, la manifestazione di volontà, che deve provenire da un organo al quale è attribuita la rappresentanza, e la forma, la quale deve essere scritta, a pena di nullità.

Dette condizioni rispondono all’esigenza di garantire il regolare svolgimento dell’attività amministrativa, essendo espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost..

Sebbene accomunati dalla stessa ratio, ci si deve chiedere se i requisiti menzionati comportino le medesime conseguenze nel caso in cui non siano presenti.

Invero, quelli attinenti alla forma e alla manifestazione di volontà sono propriamente dei requisiti

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di validità, con la conseguenza che in loro assenza non può dirsi di essere in presenza di un contratto vero e proprio, sussistendo solo un comportamento di fatto privo di rilievo giuridico (v.

ex multis Cass. n. 15197/2000).

Nel caso di specie, non c’è dubbio sul fatto che l’accordo sia promanato da un organo avente la legale rappresentanza e che sia stato soddisfatto il requisito della forma scritta ad substantiam.

Si potrebbe perciò sostenere che il contratto concluso tra la società Beta e la Scuola Allievi Carabinieri in data 23.10.2008 sia da considerarsi valido ed efficace alla luce del fatto che sono stati soddisfatti i requisiti di validità di cui agli artt. 16 e 17 del r.d. 2440/1923; ciò, anche in considerazione del fatto che l’approvazione ministeriale potrebbe non essere considerata anch’essa requisito di validità, non essendo specificamente prevista tale conseguenza in sua assenza.

In questo modo le amministrazioni convenute sarebbero chiamate a rispondere dell’inadempimento delle obbligazioni assunte con il contratto stipulato, con la conseguenza che l’obbligazione risarcitoria sarebbe sottoposta certamente al regime di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..

Nonostante ciò, è doveroso evidenziare che l’orientamento maggioritario in seno alla giurisprudenza di legittimità richiede l’approvazione ministeriale quale requisito di validità necessario ai fini del perfezionamento di un effettivo vincolo contrattuale.

Secondo tale interpretazione, allora, non è sufficiente la stipulazione adottata dall’organo competente nella forma solenne, ma è parimenti indispensabile l’approvazione da parte dell’autorità tutoria. Ne consegue perciò che, in assenza di quest’ultima, il contratto stipulato tra le parti non può considerarsi vincolante e produttivo di effetti (v. da ultimo Cass. n. 14188/2016).

Il fatto che l’accordo concluso, per l’orientamento prevalente della giurisprudenza, non possa dirsi efficace non significa però che la società Beta debba rimanere priva di qualsivoglia tutela.

A questo punto è necessario indagare sulla natura dell’eventuale responsabilità configurabile in capo alla P.A. nella fase delle trattative, tutelata e protetta dalle norme codicistiche di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c., configuranti la c.d. responsabilità precontrattuale.

Detto tipo di responsabilità viene in rilievo in ipotesi di violazione dell’altrui libertà negoziale realizzata con un comportamento doloso o colposo, ovvero mediante l’inosservanza del dovere di buona fede.

L’ordinamento giuridico, infatti, impone alle parti di condurre le trattative contrattuali in maniera

“corretta”, al punto che la violazione dell’obbligo di buona fede non assume rilievo solo nel caso di rottura ingiustificata delle stesse o di mancata conclusione del contratto, ma anche quando il contenuto dell’accordo sarebbe stato differente senza detta violazione (Cass. n. 5762/2016).

I principi innanzi esposti trovano concreta applicazione anche nell’ipotesi in cui, come nel caso

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di specie, parte nelle trattative sia una Pubblica Amministrazione.

In virtù di ciò, sia che la Pubblica Amministrazione agisca iure privatorum, sia nell’ipotesi in cui agisca nella dimensione propriamente pubblicistica, essa deve comunque rispettare l’obbligo di

“trattare” secondo buona fede e correttezza. Non può porsi una deroga ai canoni di cui agli artt.

1175, 1375, 1337 e 1338 c.c. per il solo fatto che una parte delle trattative sia una Pubblica Amministrazione; ragionando diversamente verrebbe a crearsi un’illegittima disparità di trattamento che contravverrebbe ai più basilari principi sanciti dalla Carta Costituzionale.

Dunque, non vi sono ragioni che ostino all’applicazione delle norme attinenti alla responsabilità precontrattuale nel caso in esame. È pacifico, peraltro, che il Ministero della Difesa, con il suo comportamento inerte, abbia impedito il perfezionamento del contratto e sia venuto meno all’obbligo di trattare secondo buona fede e correttezza, ledendo la libertà negoziale della controparte società Beta.

La seconda questione giuridica che a questo punto occorre analizzare per fornire una risposta circa l’appellabilità della sentenza, è quella dell’inquadramento ontologico da ascrivere alla responsabilità precontrattuale.

Il problema nasce proprio dal fatto che il codice civile non inquadra detto tipo di responsabilità né all’interno di quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c., né all’interno della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..

L’art. 1338 c.c. stabilisce soltanto l’obbligo della parte “a risarcire il danno” risentito, ma nulla dice circa la disciplina applicabile.

Le conseguenze riguardanti la sua natura giuridica non sono peraltro di poco conto. Basti pensare, ad esempio, che nel caso di responsabilità ex art. 2043 c.c. l’onere della prova del danno patito sarebbe in capo al danneggiato e l’obbligazione risarcitoria si prescriverebbe in 5 anni ex art.

2947 c.c.; nel caso di responsabilità da inadempimento l’onere della prova, invece, è in capo al danneggiante e la prescrizione è decennale ex art. 2946 c.c..

Con riferimento al caso oggetto d’esame, ciò significherebbe che se venisse riconosciuta la natura di responsabilità contrattuale la società Beta potrebbe appellare la sentenza sfavorevole di primo grado, chiedendo la condanna al risarcimento del danno patito; obbligazione risarcitoria che però non potrà dirsi prescritta, al contrario di quanto statuito dal giudice di prime cure.

Sul punto, si contendono diversi orientamenti.

Da un lato, l’opinione consolidata della giurisprudenza è nel senso di inquadrare la predetta responsabilità quale responsabilità extracontrattuale. In proposito si sostiene che i soggetti durante la fase delle trattative sono da considerarsi tra loro estranei, non essendo sorto ancora alcun vincolo contrattuale tra gli stessi. Perciò il dovere di buona fede imposto dall’art. 1337 c.c.

altro non sarebbe che espressione del più generale principio del neminem laedere stabilito dall’art.

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2043 c.c., valevole per tutti i consociati anche durante la fase delle trattative (circa la natura di responsabilità extracontrattuale v. Cass. SS.UU. n. 9645/2001).

Su altro versante si colloca, invece, la dottrina maggioritaria e parte della giurisprudenza che qualificano la responsabilità precontrattuale quale responsabilità contrattuale da inadempimento.

Punto di partenza di questo ragionamento è che i soggetti che intraprendono delle trattative non potrebbero dirsi estranei tra loro; al contrario, si creerebbe una relazione di fatto qualificata, dalla quale nascerebbero delle obbligazioni, tra cui quelle di buona fede, la cui fonte si rinverrebbe nella norma cardine che elenca le fonti delle obbligazioni, ossia l’art. 1173 c.c..

Per vero, le obbligazioni non nascono solo da fatto illecito o da contratto, ma anche da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento. È così che il fatto giuridico delle trattative negoziali ossia il “contatto sociale” fa sorgere un rapporto obbligatorio che vincola le parti al rispetto del principio di buona fede (art. 1337 c.c.) che, a sua volta, si specifica in obblighi di informazione e protezione.

Ulteriore conseguenza, quindi, è che l’inadempimento dell’obbligazione di buona fede che discende dal contatto sociale genera una responsabilità ex art. 1218 c.c., con tutte le conseguenze in termini di prescrizione, onere della prova, quantificazione del danno, ecc…

Tale ultimo orientamento è stato avvallato da un recente approdo della Corte di Cassazione, la quale ha statuito che la responsabilità precontrattuale deve essere inquadrata nella responsabilità contrattuale da “contatto sociale”, il quale è fatto idoneo a produrre obbligazioni, tra cui quella di buona fede, con la conseguenza che la prescrizione dell’obbligazione risarcitoria è decennale ex art. 2946 c.c. (v. Cass. n. 14188/2016).

Alla luce di questo recente approdo ermeneutico si consiglia alla società Beta di proporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 31661/2020.

Invero, le amministrazioni coinvolte hanno violato, con il loro comportamento inerte, l’obbligo di buona fede e correttezza che rinviene la sua fonte nel rapporto qualificato istaurato tra le parti.

Ne consegue che l’obbligazione risarcitoria, derivante dall’inadempimento dell’obbligazione di protezione, può essere fatta valere nel termine di prescrizione decennale che, stante il fatto che le trattative sono avvenute nell’ottobre del 2008, non è ancora spirato.

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1) GESTIONE DEI BENI COMUNI NEL CONDOMINIO.

Traccia

Il condominio Gamma presenta al pian terreno un ampio androne da cui si accede ai due locali terranei adibiti ad esercizi commerciali. Tizia, proprietaria dell’immobile commerciale contraddistinto con l’interno n. 2, decideva di installare sui muri corrispondenti al proprio negozio delle vetrine per esibire gli abiti venduti.

Mevia, titolare dell’esercizio commerciale frontistante, non dotato di pareti libere, contestava a Tizia la possibilità di installare le suddette vetrine, pretendendo di suddividere lo spazio in favore dei vari negozi.

Vista la ferma opposizione da parte di Tizia alla rimozione delle vetrine e alla concessione di spazi a Mevia, quest’ultima, esperito con esito negativo il tentativo di mediazione obbligatoria, adiva il Tribunale civile di Roma al fine di far dichiarare l’illegittimità dell’utilizzazione dell’androne fatta dalla condomina convenuta ed il conseguente riconoscimento del proprio diritto di utilizzare i muri dell'androne di ingresso del Condominio Gamma.

Tizia si rivolge al vostro studio legale al fine di costituirsi nel predetto giudizio e far valere le proprie ragioni.

Il candidato rediga l’atto di costituzione in giudizio.

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25 SOLUZIONE TRACCIA 1

Cassazione civile sez. II, 28/08/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 28/08/2020), n.18038

FATTI DI CAUSA

S.A.P., con atto notificato il 12 aprile 2016, ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d'appello di Salerno, depositata il 14 gennaio 2016.

S.A., con atto notificato il 15 aprile 2016, ha a sua volta proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d'appello di Salerno.

Nei confronti di entrambi i ricorsi resistono con unico controricorso D.M.M., A.P., A.F., S.M., S.S. e S.C. (gli ultimi tre anche quali eredi di E.C.).

Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, il Condominio (OMISSIS), Salerno, la Ago Incantato s.r.l. e G.M..

La Corte d'appello di Salerno, accogliendo il gravame avanzato in via principale contro la sentenza resa in primo grado in data 6 agosto 2008 dal Tribunale di Salerno, ha accolto le domande proposte da D.M.M., A.P. e A.F. (eredi di A.P.), S.M., S.S. e S.C., riconoscendo a costoro il diritto di utilizzare i muri dell'androne di ingresso del Condominio (OMISSIS), Salerno, e dichiarando illegittima, agli effetti dell'art. 1102 c.c., l'utilizzazione fatta di tale androne dalle condomine S.A. ed S.A.P., le quali si erano impossessate degli spazi dei muri più appetibili a fini commerciali. La Corte d'appello ha poi proceduto a determinare le superfici dell'androne di cui le parti in causa (tutte proprietarie di terranei ubicati all'interno del cortile condominiale, adibiti ad esercizio commerciale) possono disporre in ragione del valore millesimali delle rispettive proprietà. La Corte di Salerno ha altresì accolto in parte le domande di rimozione delle vetrine apposte sui muri dell'androne da S.A. ed S.A.P. e condannato le stesse al risarcimento dei danni in favore di ciascuno degli appellanti. E' stata pure accolta la domanda di garanzia svolta da S.A.P.

nei confronti di G.M., amministratrice della L'Ago Incantato s.r.l., in forza della scrittura privata inter partes del 31 marzo 1997.

Le ricorrenti S.A.P. ed S.A., nonchè i controricorrenti D.M.M., A.P., A.F., S.M., S.S. e S.C.

hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso di S.A.P., giacchè notificato per primo, assume caratteri ed effetti d'impugnazione principale, in quanto esso ha determinato la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti (art. 335 c.p.c.). Ne consegue che il

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ricorso per cassazione notificato da S.A., autonomamente proposto dopo che il primo ricorso era stato già notificato, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale.

1. primo motivo del ricorso di S.A.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1105 e 1130 in relazione agli artt. 1133 e 1135, c.c. e dell'art. 112 c.p.c., per aver la Corte d'appello di Salerno erroneamente ritenuto che gli attori avessero correttamente agito ai sensi dell'art. 1102 c.c., non potendo altrimenti agire ai sensi dell'art. 1105 c.c., u.c.. Ciò in particolare quanto alla richiesta sostanziale di determinazione degli spazi oggetto di possibile utilizzazione dei muri dell'androne d'ingresso del fabbricato, in ragione dei valori millesimali delle rispettive proprietà.

Il secondo motivo del ricorso di S.A.P. denuncia l'omesso esame del fatto decisivo costituito dalla circostanza che le vetrine apposte sui muri condominiali erano asservite all'immobile di proprietà della ricorrente principale da oltre quaranta anni, sicchè alcuna alterazione vi sarebbe stata del preesistente stato di fatto e della destinazione del muro comune. Si elencano a fondamento di tale censura una serie di documenti, come anche la deduzione di prova per testimoni, che avrebbero dimostrato l'esistenza delle vetrine sin dagli anni ‘40.

Il terzo motivo del ricorso di S.A.P. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1105 e 1130 e ss. c.c., assumendo che una regolamentazione dell'uso delle parti comuni non può avvenire attraverso una decisione giudiziale resa tra i soli proprietari dei vani terranei, senza il contraddittorio degli altri condomini titolari delle restanti unità immobiliari dell'edificio. La ricorrente principale argomenta perciò l'inammissibilità della domanda giudiziale rivolta alla determinazione da parte del giudice degli spazi comuni da attribuire ad alcuni soltanto dei condomini.

Il quarto motivo del ricorso di S.A.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 81,112 e 167 c.p.c. e dell'art. 2043 c.c., quanto alla legittimazione ed alla titolarità riconosciute agli attori per la pretesa di risarcimento del danno.

2. Il primo motivo del ricorso di S.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1105 e 1102 c.c., nonchè dei principi di cui all'art. 1175 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha regolamentato l'utilizzo della parte comune, recidendo la volontà condominiale. Si richiama l'esito dell'assemblea condominiale 17 febbraio 2000, nella quale i condomini manifestarono l'intenzione di incaricare l'amministratore per la redazione di un regolamento d'uso delle parti comuni, al fine che "tutti i condomini siano messi nelle condizioni di servirsi dei muri perimetrali e delle altre cose in modo da impedire ad altri di farne uso". Nella specie, l'azione contenziosa intentata da proposte da D.M.M., A.P. e A.F. (eredi di A.P.), S.M., S.S. e S.C. avrebbe anticipato e superato l'operato dell'assemblea, e così eluso il disposto dell'art. 1105 c.c..

Il secondo motivo di ricorso di S.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1105 c.c.

e l'omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all'interpretazione della domanda giudiziale

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introduttiva della presente lite, la quale supponeva l'inerzia del condominio convenuto, e quindi imponeva il riferimento allo strumento di tutela camerale ex art. 1105 c.c., comma 4.

Il terzo motivo del ricorso di S.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., adducendo che la ricorrente avesse avuto una specifica autorizzazione dal condominio per fare uso delle vetrine, come dimostrato dai richiamati documenti.

Il quarto motivo del ricorso di S.A. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e ss.

in riferimento anche all'art. 1226 c.c., quanto al disposto risarcimento dei danni, mancando il carattere contra ius del comportamento di utilizzo delle parti comuni, nonchè ogni prova di pregiudizio da riparare.

Il quinto motivo del ricorso di S.A. deduce l'omesso esame di un "punto decisivo", avendo beneficiato del risarcimento anche gli eredi di A.P., i quali avevano installato loro stessi in corso di causa una vetrina di identiche caratteristiche.

3. I primi tre motivi del ricorso di S.A.P. ed i primi tre motivi del ricorso di S.A. vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e risultano fondati nei termini di seguito indicati, rimanendo assorbiti il quarto motivo del ricorso di S.A.P. ed il quarto ed il quinto motivo del ricorso di S.A..

3.1. Occorre ravvisare un duplice oggetto della lite in esame, alla stregua dell'azione proposta da D.M.M., A.P. (poi A.P. e A.F.), S.M., S.S. e S.C.: una domanda è volta a sanzionare l'abuso della cosa comune perpetrato dalle condomine S.A.P. ed S.A., mediante rimozione delle vetrine espositive apposte da queste ultime sui muri dell'androne condominiale; una domanda è invece volta ad ottenere una determinazione delle proporzionali superfici ed una regolamentazione dell'uso di tali aree dell'androne.

La prima domanda va ricondotta all'art. 1102 c.c.. La Corte d'appello di Salerno ha ritenuto che i muri condominiali posti nell'androne costituiscono parti comuni di sicura utilità per i locali terranei destinati ad esercizi commerciali siti nel cortile, sicchè essi non possono essere utilizzati solo da alcuni condomini con esclusione di altri. I giudici di secondo grado non hanno però dimostrato in motivazione se il principio, esattamente tratto a livello di proclamazione astratta, sia stato applicato ad una fattispecie concreta che effettivamente risulti in esso sussumibile.

Questa Corte ha più volte affermato che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal

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momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, si è chiarito in giurisprudenza, con particolare riguardo, appunto, al muro perimetrale dell'edificio - anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi -, che l'apposizione di una vetrina da esposizione o mostra sul detto muro da parte di un condomino, in corrispondenza del proprio locale destinato all'esercizio di attività commerciale, non costituisca di per sè abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come "jus possidendi" a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c. (Cass.

Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554; Cass. Sez. 2, 08/05/1971, n. 1309).

La destinazione della cosa comune - che, a norma dell'art. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l'uso del bene - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l'uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa.

In mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria che contenga norme circa l'uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione posto dall'art. 1102 c.c., può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini, e cioè dall'uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare (cfr. Cass. Sez. 2, 18/07/1984, n. 4195).

La Corte d'appello di Salerno non ha, allora, preso in considerazione le circostanze attestanti l'uso di fatto pregresso dei muri dell'androne ad opera delle condomine S., circostanze essenzialmente risultanti dai dati processuali richiamati nel secondo motivo del ricorso di S.A.P. e nel terzo motivo del ricorso di S.A., ed ha così valutato soltanto in astratto la conformità della installazione delle vetrine nell'androne alla destinazione della cosa stessa. Tali circostanze sull'uso praticato dell'androne, stando alle allegazioni delle ricorrenti, deporrebbero per la configurabilità di una servitù a carico dei muri comuni ed a vantaggio delle proprietà esclusive S., ove la risalente utilità tratta dall'apposizione delle vetrine apparisse diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa alla parte condominiale fruita da tutti i comproprietari; ove, invece, la medesima utilità procurata dalle vetrine alle proprietà S. derivasse unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione pratica dei muri comuni, queste ultime si porrebbero quali parametri di riferimento della disciplina, propria della comunione, di cui all'art. 1102 c.c..

E' invece inammissibile la determinazione giudiziale in sede contenziosa delle superfici dell'androne utilizzabili dai condomini proprietari dei locali terranei del Condominio (OMISSIS),

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