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CAPITOLO 3: INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGI CO

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Inquadramento geomorfologico

CAPITOLO 3: INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGI

CO

Introduzione

I lineamenti geomorfologici dell’area studiata sono condizionati soprattutto dalle caratteristiche litologiche e dal motivo morfostrutturale della Val di Serchio. La Garfagnana e la Media Valle del Serchio infatti si dividono la porzione superiore del bacino idrografico del fiume stesso. Ad esse corrisponde un vasto territorio, riconducibile strutturalmente ad un’ampia depressione tettonica con direzione appenninica, compresa tra il massiccio apuano ad ovest ed il crinale appenninico ad est. La zona si trova in condizioni di stabilità tra le più critiche (D’Amato Avanzi et alii, 1995b), soprattutto in relazione alle condizioni climatiche e alla sismicità storica ed attuale. La posizione geografica, le variazioni altimetriche e la configurazione morfologica della Garfagnana influenzano in modo determinante il regime e la distribuzione delle precipitazioni con afflussi meteorici, soprattutto piovosi, che raggiungono valori tra i più alti in Italia (Trevisan, 1947). Infatti, la porzione medio-alta del bacino del fiume Serchio è compresa tra la dorsale delle Alpi Apuane e quella dell’Appennino Tosco-Emiliano, disposte parallelamente alla costa ligure-tirrenica e pertanto notevolmente esposte alle perturbazioni atlantico-mediterranee; sulle dorsali citate risultano massimi di piovosità superiori rispettivamente a 3200 e 2990 mm/anno, mentre nella medio-alta Val di Serchio si raggiungono 1500-2000 mm/anno (Baldacci et alii, 1993).

La prima parte dello studio affrontato in questa tesi di laurea ha previsto un’analisi delle carte preesistenti in tale zona; sono state consultate le carte presenti all’interno del Piano Regolatore Generale del Comune di Gallicano 2002 (litotecnica; rischio da frana; pericolosità sismica / geomorfologica), e quelle geologica e geomorfologia (D’Amato Avanzi et ali, 2003). In seguito è stato effettuato un breve rilevamento di campagna per confermare gli aspetti geologici-geomorfologici e strutturali in corrispondenza del versante di Costa delle Calde.

Il versante è situato presso l’abitato di Bolognana, da una quota di 143 m s.l.m. fino a 530 m; a sud-est è delimitato dal Rio Forcone e a nord-ovest dal Rio Fontanino, entrambi confluenti del Serchio.

A seguito dell’intensa tettonizzazione, le formazioni a comportamento rigido presenti, in particolare la Fm. Maiolica, risultano suddivise in blocchi, spesso in condizioni di precaria instabilità. Infatti, tuttora si osservano movimenti consistenti di allentamento,

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con aperture molto ampie. Gli strumenti di monitoraggio, quali inclinometri e distanziometri laser, collocati in corrispondenza delle fratture maggiori, hanno mostrato movimenti continui, con spostamenti considerevoli in archi di tempo ristretti.

La situazione tettonica del versante, le caratteristiche morfologiche, il movimento lento di apertura delle fratture ma progressivo, eventuali sollecitazioni sismiche e/o precipitazioni intense, potrebbe condurre ad un ampio movimento di scivolamento dell’intero pendio. Come già era stato accennato nel Capitolo 1, nella zona sono presenti elementi a rischio importanti che necessitano di essere salvaguardati.

Le analisi geomeccaniche condotte in passato (D’Amato Avanzi et alii, 2003) hanno messo in evidenza come in diversi settori della pendice, in corrispondenza dei maggiori valori di acclività, siano possibili fenomeni di instabilità legati al movimento di masse di dimensioni contenute, ma che possono comunque raggiungere le centinaia di m3.

In base alle carte tratte dal PRG del Comune di Gallicano (2002), l’area oggetto di studio ricade all’interno delle seguenti classi:

- classe di pericolosità geomorfologica elevata, comprendente: aree interessate da frane attive e da diffusi fenomeni di degrado attivo (movimenti di massa o erosioni) di qualsiasi intensità; aree interessate da frane quiescenti e/o da indicatori geomorfologici precursori di fenomeni di instabilità (contropendenze, ondulazioni, lacerazioni) nelle quali sono prevedibili attivazioni o riattivazioni di movimenti di massa di elevata intensità; aree di affioramento di depositi, generalmente granulari, suscettibili per tessitura, composizione litologica e grado di addensamento, di subire significativi fenomeni di cedimento;

- classi di rischio da frana media ed elevata;

- classe di pericolosità sismica elevata, comprendente: aree “interessate da fenomeni attivi o aree non interessate da fenomeni attivi suscettibili, per costituzione geologica e/o morfologica, di subire significative deformazioni permanenti del suolo e/o fenomeni di elevata amplificazione della sollecitazione sismica”.

3.1 I movimenti di massa lungo il Versante di Costa delle Calde

Il rilevamento effettuato nel periodo Ottobre-Dicembre 2007 ha messo in evidenza, come già riferito, la presenza di ammassi allentati in diversi punti del versante e di coperture detritiche molto estese. Sono presenti elementi morfologici di particolare interesse quali trincee soprattutto in corrispondenza del fianco sud-orientale della Costa delle Calde dove scorre il Rio Forcone: è questo il settore del versante che manifesta al

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momento i maggiori segni di attività. Numerose scarpate, sia di origine naturale che connesse ad una passata attività estrattiva, sono distribuite in vari punti del versante.

Figura 3.1: Trincea in corrispondenza del versante sovrastante il Rio Forcone.

La nomenclatura adottata per i diversi movimenti gravitativi fa riferimento alla classificazione di Cruden & Varnes del 1996, la quale distingue le frane in base al tipo di movimento e alla tipologia di materiale coinvolto. In base al tipo di movimento, si distinguono le frane di crollo, ribaltamento, scivolamento traslativo e rotazionale, espansioni laterali e colamenti.

Frane di crollo

Si tratta di un fenomeno che inizia con il distacco di terra o roccia da un pendio acclive lungo una superficie lungo la quale lo spostamento di taglio è nullo o limitato. Il distacco di terra o roccia e conseguente caduta libera da versanti ripidi, pareti, falesie sono seguiti dall’impatto con il versante sottostante, cui possono seguire ulteriori movimenti di vario tipo (rimbalzo, rotolamento, colamento,..). Le cause possono essere molteplici, tra le quali un allargamento delle fratture preesistenti (per fenomeni di crioclastismo e cicli di gelo/disgelo, crescita di radici), cedimento di parti di materiale ancora resistenti, per semplice rottura meccanica e/o per degradazione chimica, superamento dell’attrito statico di uno o più blocchi in condizioni di equilibrio limite (a causa di un terremoto, vibrazioni, uso di esplosivi, aumento della pressione idrostatica),

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aumento del gradiente di pendio per lenta deformazione del versante o erosione e perdita della matrice in un deposito a matrice sostenuta (come una morena o un deposito fluvio-torrentizio), determinando una liberazione di blocchi i quali diventano liberi di cadere. Dopo il crollo, i blocchi spesso proseguono lungo il versante, fermandosi in posizioni e distanze controllate in particolare dalla configurazione topografica del terreno e dalla presenza o meno di ostacoli lungo la traiettoria, oltre che dalle caratteristiche proprie del blocco; la ripetizione periodica dello stesso tipo di fenomeno nella stessa località genera un cono detritico. Una grande frana di crollo su versanti sufficientemente lunghi può facilmente trasformarsi in una valanga di roccia, in grado di coprire grandi distanze in una valle e di risalire il versante opposto. La velocità va da rapida a molto rapida pressoché lungo tutta la traiettoria e le dimensioni delle masse coinvolte sono molto variabili, da pochi m3 a vari milioni di m3.

Frane di ribaltamento

Consistono nella rotazione di una massa di roccia, detrito o terra intorno ad un punto situato al di sotto del centro di massa; può evolvere in crollo o scorrimento. Le cause possono essere molto simili a quelle che si verificano per i crolli, ma quella principale è il distacco di una porzione colonnare di materiale, facilitato dalla presenza di fratture e discontinuità. Anche in questo caso, il movimento ha inizio da un versante molto ripido, di altezza elevata rispetto alla larghezza della base ed è caratterizzato da una fratturazione parallela alla faccia della parete. Il ribaltamento è controllato da discontinuità che immergono contro il pendio ed inizia con fratture di tensione dietro la cresta, parallele alla direzione degli strati. La velocità di movimento è molto variabile: può richiedere migliaia di anni, per poi culminare in un crollo improvviso della durata di pochi secondi.

Esistono vari tipi di ribaltamento:

▪ ribaltamenti in blocchi – le colonne di roccia sono separate da joints molto spaziati; ▪ ribaltamenti di flessura – si verificano in materiali meno resistenti, con un fitto sistema di discontinuità preferenziale;

▪ ribaltamenti di flessura in blocchi – flessura apparentemente continua, che si sviluppa invece lungo numerose fratture, frequente in alternanze di starti a diversa competenza. Frane di scorrimento

Movimento lungo un versante di roccia, detrito o terra, prevalentemente lungo una superficie di rottura o in una fascia ristretta di sforzo di taglio intenso; esso non inizia contemporaneamente su tutta la superficie di rottura, ma si estende da una zona di rottura locale. Al piede, generalmente, si formano rigonfiamenti, fratture di tensione

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trasversali, inarcamenti. La velocità è molto variabile: nelle frane in roccia da pochi cm/anno a parecchi m/mese; in materiale sciolto, fino a 3 m/s.

A seconda della geometria della superficie di rottura, si divide in rotazionale e traslativo. Il primo è dovuto a forze che producono un momento di rotazione attorno ad un punto situato al di sopra del centro di gravità della massa, caratterizzato da una superficie di rottura concava verso l’alto. La testata può muoversi quasi verticalmente verso il basso, mentre la superficie superiore ruota indietro verso la scarpata principale; può formarsi quindi una controtendenza in testata, spesso con un ristagno di acque. Sono frequenti rigonfiamenti al piede. Nella stabilità dei pendii in roccia, si tratta di un movimento in cui la superficie di rottura non è controllata in modo dominante da discontinuità strutturali e spesso approssima un arco di cerchio. Sono soggette a rotture circolari le rocce molto alterate e/o fratturate. La superficie di rottura è simile a quella nelle terre; nelle rocce in genere è più superficiale. Il movimento tende ad essere subverticale alla sommità e suborizzontale al piede.

Lo scorrimento traslativo invece si verifica in prevalenza lungo una superficie più o meno piana o debolmente ondulata al di sopra della superficie originaria del versante. La superficie di rottura spesso segue discontinuità, come faglie, superfici di strato ed in genere è più superficiale rispetto a quella rotazionale. Se le condizioni lo consentono e lo scorrimento prosegue, la massa franata può frammentarsi e fluire, soprattutto se il contenuto in acqua cresce, trasformandosi in colata di detrito (debris flow) o valanga di roccia (rock avalance). Scorrimenti traslativi di grandi masse rocciose, lungo una singola discontinuità, sono spesso denominati scorrimenti in blocco (block slides). Le modalità di movimento dipendono dall’orientazione della superficie libera rispetto alle discontinuità: la superficie di rottura può essere formata da due discontinuità, che determinano un movimento lungo la linea di intersezione di un cuneo di roccia (wedge slide). Comunemente, questi cunei di roccia sono sottoposti ad erosione, che fa emergere dal pendio la linea di intersezione. Il collasso avviene simultaneamente su entrambi i piani o lungo il più inclinato di essi. Masse rocciose con discontinuità ortogonali associate a stratificazione o scistosità a franapoggio sono più favorevoli a questi fenomeni.

Frane di colamento

Il colamento è un movimento spazialmente continuo, in cui le superficie di taglio sono fittamente spaziate; la distribuzione delle velocità è assimilabile a quella di un fluido viscoso. Il movimento genera, quindi, un’intensa deformazione interna del materiale. Esiste una transizione graduale tra scorrimento e colamento, in base al contenuto in acqua, alla mobilità del materiale e all’evoluzione del movimento. La velocità è

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estremamente variabile, da movimenti pressoché impercettibili a velocità superiori a 10-15 m/s (colate detritiche), fino a 100 m/s (valanghe di detrito). I colamenti di roccia comprendono fenomeni di creep, sia superficiale che profondo; essi comportano movimenti differenziali estremamente lenti, in genere a velocità costante.

Frane di espansione

Si può definire come l’estensione di un materiale coerente combinata con il suo sprofondamento in un materiale sottostante meno competente; l’estensione avviene lungo zone di taglio, con la formazione o allargamento di fratture di tensione del materiale sovrastante. Tale tipologia di movimento può derivare dalla liquefazione oppure dal fluimento o estrusione del materiale più soffice sottostante quello rigido. Le masse interessate sono in genere di dimensioni molto grandi (> 1 milione di m3) ed il materiale interessato dal processo di espansione può essere coinvolto in altri movimenti: subsidenza, traslazione, rotazione, disgregazione, liquefazione, colamento: si tratta quindi di movimenti complessi. Si può distinguere l’espansione in roccia, che in genere si verifica senza formare una superficie di rottura chiaramente identificabile, dai movimenti in materiali coesivi, sovrapposti a materiali liquefatti o fluenti plasticamente.

In base invece al tipo di materiale coinvolto, le frane si distinguono in:

▪ roccia, o lapidea (resistenza a compressione uniassiale UCS > 25 MPa) o debole (UCS < 25 MPa);

▪ detrito, se è presente più del 20% di materiale con diametro D > 2mm;

▪ terra, nel caso in cui ci sia più dell’80% di materiale con D < 2 mm (granulare, se prevale la sabbia con D > 0,06 mm, coesiva per limo e argilla, con D < 0,06 mm e organica se prevalgono materiali organici).

Tale classificazione tiene conto anche di tre fondamentali domande che generalmente vengono formulate nello studio di una frana, cioè quando, come e dove essa si muove. La risposta alla prima domanda è lo stato di attività, che descrive le informazioni sul tempo in cui si è verificato il movimento e che permette di prevederne il tipo di evoluzione. Lo stile di attività indica come i diversi meccanismi di movimento contribuiscono alla frana. Il ‘dove si muove’ viene descritto con la distribuzione di attività, che permette di prevedere il tipo di evoluzione, in senso spaziale, del dissesto.

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Figura 3.2: Frane da ribaltamento con diversi stati di attività 1) attiva; 2) sospesa: si è mossa entro l’ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente; 3) riattivata: di nuovo attiva dopo essere stata inattiva; 5) quiescente: inattiva ma che può essere riattivata dalle sue cause originali; 6) naturalmente stabilizzata; 7) artificialmente stabilizzata; 8) relitta: frana inattiva che si è sviluppata in condizioni geomorfologiche o climatiche diverse dalle attuali (Canuti et alii, 1995).

Figura 3.3: Frane con diversa distribuzione di attività: 1) in avanzamento: la superficie di rottura si estende nella direzione di movimento; 2) retrogressiva: la superficie di rottura si estende in senso opposto a quello del movimento; 3) multi-direzionale: in due o più direzioni; 4) in diminuzione: il volume del materiale spostato decresce nel tempo; 5) confinata: è presente una scarpata ma non è visibile la superficie di scorrimento; 6) costante: il materiale spostato continua a muoversi senza variazioni della superficie di rottura e del volume; 7) in allargamento (in pianta): la superficie di rottura si estende su uno o entrambi i margini laterali. La sezione 2 di ogni diagramma mostra il versante dopo il movimento sulla superficie di rottura, indicata con la freccia (Canuti et alii, 1995).

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Figura 3.4: Frane con diversi stile di attività 1) complessa: caratterizzata dalla combinazione, in sequenza temporale, di uno o più tipi di movimento; 2) composita: combinazione di due o più tipi di movimento simultaneamente, in parti diverse della massa spostata; 3) successiva: movimento dello stesso tipo di un fenomeno che avviene dopo e nelle vicinanze di uno precedente, in cui però le masse spostate e le superfici di rottura si mantengono distinte; 4) singola; 5) multipla: molteplice ripetizione dello stesso tipo di movimento (Canuti et alii, 1995).

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Frana di scorrimento-crollo del 1998-99

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Come osservabile nella figura sovrastante, il versante di Costa delle Calde è interessato principalmente da una Deformazione Gravitativa Profonda (di cui si parlerà in maggior dettaglio nel sottoparagrafo 3.1.1), della quale la presenza di trincee lungo il versante stesso ne è un chiaro indizio. In prossimità del Rio Forcone, sono presenti anche frane di crollo e detriti di falda, questi ultimi anche nella parte alta del versante. Si tratta di movimenti gravitativi essenzialmente attivi, ad eccezione di alcuni corpi rocciosi ubicati a S-SSE. I movimenti cartografati sono i seguenti:

Scivolamenti traslativi

Tale tipologia di movimento viene distinta (vedi legenda di fig. 3.5) tra scivolamenti di roccia in blocchi (movimento della matrice che lega i blocchi di roccia, questi ultimi poco abbondanti) e di blocchi di roccia; il primo quindi può essere considerato un movimento paragonabile a quello di una terra (roccia con caratteristiche geomeccaniche scadenti, paragonabile ad un sistema equivalente, isotropo), il secondo invece avrà delle caratteristiche geomeccaniche intermedie tra quelle della Fm. Maiolica e la copertura detritica.

Molto significative sono le estensioni delle masse coinvolte in questa tipologia di movimento, soprattutto nella parte centrale del versante, fino a quota elevata (volume di massa coinvolto di circa 4-5 milioni di m3).

Crolli

Il crollo spesso si verifica in seguito ad un altro cinematismo, in generale ad uno scivolamento (ma coinvolgendo masse di minori dimensioni rispetto a quest’ultimo).

Questa situazione si è verificata nell’inverno 1998/99 in seguito ad un evento meteorico molto significativo (D’Amato Avanzi et alii, 2003), ed ha interessato la Fm. Maiolica, alcuni blocchi della quale si sono distaccati da una quota di circa 200 m; le dimensioni sono state limitate e lo spessore della zona di distacco non ha superato i 50 m (la frana in questione è indicata con un riquadro nero nella carta geomorfologica di figura 3.5). Si tratta di un fenomeno complesso secondo la classificazione di Cruden & Varnes (1996) che prende il nome di wedge slide (scorrimento-crollo): occasionalmente, l’intersezione tra famiglie di discontinuità isola blocchi cuneiformi della Fm. Maiolica che, dopo un breve scivolamento lungo la linea di intersezione (scivolamento di cuneo), possono essere soggetti a movimenti di caduta libera, generando complessi fenomeni di scivolamento-crollo.

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a) b)

c)

Figura 3.6: a) Corona di distacco della frana di scivolamento-crollo; b) Profilo della frana; c) Deposito di frana al piede.

Un altro tipo di movimento, che coinvolge un maggior volume di materiale (40-50 m3) è presente nella parte di versante delimitata tra i due impluvi e le frane di scivolamento prima discusse, non considerato né dalla classificazione di Cruden & Varnes (1996), nè dal Glossario Internazionale per le frane (Canuti & Esu, 1995): le Deformazioni Gravitative Profonde di Versante.

All’interno del pendio è possibile osservare piccole buche nel terreno, dell’ordine dei 20 cm, interpretate come l’espressione superficiale di fratture di tensione più profonde (D’amato Avanzi et alii, 2003); queste, insieme alle trincee presenti all’interno del pendio ed alle elevate aperture dei principali sistemi di discontinuità (dell’ordine anche dei 50 cm), sono un evidente conferma dello stato di allentamento del versante e del suo stato di attività. Ciò è confermato dal monitoraggio effettuato a partire dagli anni ’80, con estensimetri e distanziometro laser su capisaldi fissi, che hanno mostrato significativi spostamenti.

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Figura 3.7: Buche di notevoli dimensioni all’interno del versante.

Come osservato dal rilevamento effettuato, lungo la strada provinciale, le condizioni dell’affioramento sono molto favorevoli a fenomeni di instabilità e nella parte frontale è possibile osservare la presenza di numerose fratture aperte, favorite dal rilascio tensionale e dalla mancanza di confinamento. In questo modo i blocchi più o meno vasti, spesso in condizioni precarie, vengono progressivamente isolati ed in varie zone essi espongono la strada a seri rischi a causa del loro possibile distacco, solo parzialmente contenuti da reti paramassi. Alla base del corpo frana è presente il Calcare Selcifero della Val di Lima; la Fm. Diaspri costituisce il livello preferenziale di movimento, grazie al contrasto di competenza con la sovrastante Fm. Maiolica e all’abbondanza di acqua, contenuta nella stessa Fm. Maiolica (numerose emergenze di acqua sono presenti intorno ai livelli di Diaspri). Altre frane, di più modeste dimensioni, interessano le depressioni vallive trasversali (Rio Forcone e Rio Fontanino).

3.1.1 Le Deformazioni Gravitative Profonde di Versante (Dgpv)

Le Dgpv sono dei fenomeni ormai molto comuni, ma dei quali non si hanno conoscenze molto approfondite e esaurienti (Dramis, 1984), in quanto trattano di movimenti molto lenti e continui, coinvolgenti grandi masse franose. Sorriso et alii (1995) propone un criterio per la distinzione tra fenomeni di Deformazione Gravitativa Profonda di Versante e frana. Tale criterio si basa sulla presenza, nei fenomeni franosi, di una superficie o zona di rottura continua, affiorante o comunque necessaria per spiegare le deformazioni osservate in superficie, mentre nelle Deformazioni gravitative questa non è rilevabile. Tuttavia, la quantità di deformazione e lo spostamento sono generalmente

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piccoli rispetto alle masse rocciose coinvolte e l’evoluzione è estremamente lenta e accompagnata da fenomeni di creep; ciò ne può giustificare l’inserimento nella categoria delle Dgpv, separandole dalle frane in senso stretto. Tali tipologie di movimento si possono collocare in una posizione intermedia tra i movimenti franosi comuni (‘superficiali’) e i fenomeni di tettonica gravitativi (Sorriso, 1995); esse si differenziano dai primi per le dimensioni (superficie dell’ordine dei km2, profondità delle centinaia di metri) e per i meccanismi di deformazione, mentre dai secondi, oltre che per le dimensioni delle masse coinvolte (molto elevate nel caso della tettonica gravitativa), per i fattori di innesco, dovuti ad effetti tensionali connessi direttamente con deformazioni profonde della crosta terrestre e poco condizionati dagli stress legati alla forma del rilievo. Come tutti i processi geomorfologici, le Dgpv sono controllate da diversi fattori connessi con l’attività geodinamica endogena ed esogena (fattori geodinamici) e con la natura e l’assetto dei materiali rocciosi interessati (fattori strutturali).

Le Dgpv sono ormai oggetto di studio da vari decenni, per il ruolo significativo che svolgono nella morfogenesi delle aree montuose; tra i caratteri che li contraddistinguono vengono comunemente considerati (Bruzzi et alii, 1986; Sorriso, 1995; D’Amato & Puccinelli, 1996):

o grande estensione (qualche km2) e spessori della massa rocciosa coinvolta di decine/centinaia di metri;

o dislocamenti moderati rispetto alle dimensioni della massa considerata; o meccanismi di rottura tipo creep;

o mancanza di una superficie di rottura netta, delimitante la massa interessata dal movimento;

o movimento frequentemente controllato dall’assetto geologico-strutturale, piuttosto che dalla configurazione morfologica locale;

o cinematismi spesso influenzati da tettonica attiva e dalla presenza di stress tettonici residui;

o evoluzione molto lenta, con lunghi periodi di inattività o di attività estremamente ridotta, intervallata a brevi periodi di attivazione improvvisa, spesso in occasione di terremoti o eventi meteorici estremi.

A questi fenomeni sono spesso associate forme dovute al rilassamento delle masse rocciose, localizzate nelle zone in cui la pressione confinata è minore (presso la sommità e alla base dei versanti). Pertanto, nella parte alta dei versanti interessati da tali fenomeni, sono comuni depressioni allungate trasversalmente alla direzione di massima

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pendenza, cui sono associati gradini in controtendenza e sdoppiamenti di cresta. La porzione inferiore del versante è soggetta invece a stress compressionali, che determinano rigonfiamenti e deformazioni di tipo fragile-duttile.

Le aree affette da Deformazioni Gravitative Profonde mostrano, in generale, le seguenti caratteristiche: un’alta energia di rilievo, con versanti molto acclivi in rocce competenti; condizioni morfo-climatiche favorevoli alla formazione di canali erosivi attivi, in concomitanza con alti valori di precipitazioni; forte sismicità; tettonica attiva o recentemente attiva.

La Dgpv di Bolognana – Costa delle Calde – (Nardi et alii 1987; Autorità di Bacino del Fiume Serchio, 2000) interessa gran parte delle rocce affioranti che presentano qualità meccaniche inferiori in confronto con le aree circostanti e si imposta lungo la faglia a basso angolo che interessa l’intero versante (fig. 3.5); nell’area interessata, si possono osservare numerose scarpate e fratture di trazione. Tale movimento è caratterizzato dalla sovrapposizione di rocce a comportamento rigido su rocce meno competenti, rappresentate dalle Marne a Posidonomya.

Tale fenomeno ha determinato la dislocazione e il rilassamento di una vasta porzione del versante, costituita dalle Fm. Calcare Selcifero della Val di Lima, Diaspri, Maiolica e Marne a Posidonomya. La massa interessata è compresa tra un’altitudine di circa 530 m e la parte bassa del versante, mentre in profondità è limitata da una superficie di faglia listrica a basso angolo, che ribassa di qualche centinaio di metri i termini più alti della successione carbonatica della Falda Toscana. Dal punto di vista cinematico, il movimento può essere considerato uno scivolamento in blocchi di una massa rocciosa su uno strato meno competente, in un regime di deformazioni di tipo visco-plastiche.

La massa coinvolta raggiunge lunghezze di oltre 800 m, una larghezza massima di 750 m ed uno spessore di circa 120 m; il volume calcolato è di 40-50 milioni di m3. Può essere considerata attiva, come è mostrato dall’apertura progressiva delle discontinuità e delle fratture di trazione, la larghezza delle quali può raggiungere i 3 metri. In alcuni casi, l’apertura progressiva delle fratture di trazione ha formato ampie depressioni, o trincee, disposte parallelamente rispetto alla direzione del versante; questo sembra essere più comune nella parte medio-bassa e lungo il Rio Forcone. In aggiunta, sono presenti molti movimenti franosi che in genere rimobilizzano vaste porzioni della massa rocciosa affetta dalla Deformazione Gravitativa Profonda. La più estesa occupa la parte centrale del versante, con più di 800 m di lunghezza e 200 m di larghezza, uno spessore massimo di 30-35 m e interessa prevalentemente la Fm. Maiolica (fig. 3.5).

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Inquadramento geomorfologico

L’assetto strutturale del versante (fratturazione, stratificazione, scistosità,ecc.) risulta di grande importanza nel consentire l’innesco di tali fenomeni su litologie che sarebbero del tutto stabili anche su versanti molto più alti di quelli esistenti in natura.

3.2 Condizioni climatiche e sismiche

La posizione geografica rispetto ai venti di mare umidi, le variazioni di altezza e l’assetto morfologico influenzano il regime delle precipitazioni e la loro distribuzione; l’input meteorico, rappresentato principalmente da piogge, raggiunge valori di 1500-2000 mm/anno nella media porzione dalle Valli del Serchio e del Magra, mentre nella aree più alte del bacino i valori massimi superano i 2900 mm/anno (Appennino Tosco-Emiliano), con il raggiungimento di 3200 mm/anno (Alpi Apuane) (Baldacci et alii, 1993). Alla stazione pluviometrica di Pontecosi (310 m s.l.m.) situata lungo il Serchio, pochi km a valle di San Romano, risulta una media, dal 1950 ad oggi, di circa 1600 mm/anno (D’Amato Avanzi et alii, 1995b); il valore massimo fu registrato nel 1960 (2695 mm). Risultano particolarmente elevati anche i valori registrati negli anni 1952 (2057 mm), 1965 (2231 mm), 1968 (1957 mm), 1977 (1915 mm) e 1979 (2221 mm). Le precipitazioni più prolungate si verificano soprattutto nel periodo Ottobre-Febbraio, mentre quelle concentrate hanno una distribuzione meno regolare e sono più frequenti nella stagione estiva: 22 Agosto 1965 (244 mm), 24-25 Luglio 1968 (248 mm). Queste abbondanti precipitazioni, soprattutto se prolungate, determinano l’incremento delle pressioni interstiziali, favoriscono il peggioramento delle proprietà fisico-meccaniche delle rocce e mantengono attiva l’erosione fluviale-torrentizia nei fondovalle, contribuendo nel tempo alla destabilizzazione dei pendii. Le piogge concentrate determinano sovente sia l’imbibizione delle coperture del versante, sia rapidi aumenti di portata dei corsi d’acqua e repentine azioni erosive, causando molteplici frane superficiali (scorrimenti e colate di detrito).

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Bolognana

Figura 3.8: Isoiete anno 2006-cumulata annuale. I punti verdi sulla mappa corrispondono alla posizione dei pluviometri sul territorio (Autorità di bacino del Serchio).

Come osservabile dalla carta delle isoiete, Bolognana ricade nell’intervallo compreso tra 1200 e 1500 mm di pioggia (in accordo con i dati pluviometrici elaborati per la stazione di Pontecosi negli ultimi 50 anni).

Studi di pericolosità sismica (Cattaneo et alii, 1986) indicano per la regione Toscana intensità attendibili fino al IX-X grado, con periodo di ritorno di 500 anni. Tra questi, il sisma del 1920 (X grado M.C.S. e magnitudo 6.48) provocò grandi distruzioni e numerose vittime in vaste aree della Garfagnana e Lunigiana (Ferrari et alii, 1985 - Boschi, 1987).

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Inquadramento geomorfologico

Bolognana

Figura 3.9: Terremoto del 07.09.1920, area epicentrale (INGV).

Come osservabile dalla figura 3.9, messa a disposizione dal sito ufficiale dell’INGV, i valori di Is (secondo la scala MCS - Mercalli, Cancani, Sieberg) nei pressi dell’abitato di Bolognana comprendono un intervallo tra 6 e 8.

La Garfagnana rientra tra le aree sismicamente più attive dell’Appennino settentrionale, come testimoniano numerosi terremoti di intensità molto elevata, con epicentri che si localizzano nell’ambito di una fascia sismogenetica di larghezza ~ 30 km per lunghezza ~ 150 km, compresa fra Varzi e la Val di Lima, di solito allineati con i sistemi di faglie dirette che individuano la depressione tettonica (Boschi, 1987; D’Amato Avanzi et alii, 1997). Dal 1464 al 1987 si sono registrate circa 250 scosse sismiche, delle quali oltre 20 superiori al VI-VII grado M.C.S. (Postipischl, 1985; Ferrari et alii, 1985; Boschi, 1987; Boschi et alii, 1995). Tra i principali eventi sismici si possono citare: quello del 15/05/1481, VIII grado M.C.S., che interessò l’area epicentrale di Piazza al Serchio; 6/3/1740, VIII-IX, Barga; 23/7/1746, IX, Alpi Apuane; 7/9/1920, X, Villa Collemandina; 15/10/1939, VII, Alpi Apuane; 23/1/1985, VI, Garfagnana; 10/2/1987, VI, Giuncugnano. Gli ipocentri che hanno interessato quest’area si collocano nella parte più

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superficiale della crosta, in prevalenza 2-10 km, fino ai valori di 30 km attribuiti al terremoto della Garfagnana del 1920, ed ai 28 km per quello di Fosciandora del 1914. La mancanza di registrazioni ‘complete’ appartenenti a sismi di forte intensità nell’area della Garfagnana limita molto le possibilità di analisi sugli effetti scaturiti da un sisma “tipo”. Qualitativamente è però possibile ricordare che gli effetti di un sisma sono sempre connessi alla sua natura ciclica e funzione delle proprietà fisico-meccaniche delle masse rocciose coinvolte; un altro fattore è la variazione locale che la perturbazione può assumere in conseguenza di molteplici cause, tra le quali zone fortemente tettonizzate, materiali detritici e livelli saturi di acqua possono determinare forti cadute delle velocità nella propagazione delle onde sismiche e questo può portare a notevoli amplificazioni dell’accelerazione massima.

La zona ricade nella classe di pericolosità sismica elevata (Cattaneo et alii, 1986): aree interessate da fenomeni attivi e aree non interessate da tali fenomeni ma suscettibili, per costituzione geologica e/o geomorfologia, a significative deformazioni permanenti del suolo e/o a fenomeni di elevata amplificazione della sollecitazione sismica.

Figura 3.10: Carta della pericolosità sismica (tratta dal Piano Regolatore Generale – Provincia di Lucca, 2002).

Figura

Figura 3.1: Trincea in corrispondenza del versante sovrastante il Rio Forcone.
Figura 3.3: Frane con diversa distribuzione di attività: 1) in avanzamento: la superficie di rottura si  estende nella direzione di movimento; 2) retrogressiva: la superficie di rottura si estende in senso opposto  a quello del movimento; 3) multi-direzion
Figura 3.4: Frane con diversi stile di attività 1) complessa: caratterizzata dalla combinazione, in  sequenza temporale, di uno o più tipi di movimento; 2) composita: combinazione di due o più tipi di  movimento simultaneamente, in parti diverse della mass
Figura 3.5: Stralcio della Carta geomorfologia (D’Amato Avanzi e Marchetti, 2003).
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