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UNO SGUARDO D’INSIEME

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Academic year: 2021

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UNO SGUARDO D’INSIEME

Questo lavoro nasce dal desiderio di rendere accessibile a tutti un’opera su cui esistono fonti quasi inesistenti in lingua italiana. Inizialmente l’aspetto “traduzione” non fu contemplato; ma, cominciando a leggere l’opera, mi resi conto di quanto fosse originale e particolare, e nacque in me il desiderio di dare a tutti i lettori italiani la possibilità di leggerla e comprenderla. Non ho la presunzione di aver effettuato una traduzione perfetta ma, aiutandomi con una grammatica ucraina e con la traduzione in russo dell’opera, sono riuscita pian piano ad avvicinarmi alla lingua, e in particolare alla lingua ucraina utilizzata da Kotljarevs’kyj. Questo lavoro mi ha dato anche la possibilità di comparare le due lingue, quella ucraina e quella russa, di notarne differenze e somiglianze.

I leitmotiv

1. Kotljarevs’kyj e la lingua ucraina

Ho spesso pensato a Kotljarevs’kyj come ad un novello Dante Alighieri della letteratura ucraina. I due autori sono separati da più di cinque secoli, ma la loro operazione, il loro tentativo, è quasi il medesimo: utilizzare la propria lingua, la lingua del parlato locale, per un’opera di grandi dimensioni, leggibile non solo dai ricchi intellettuali, ma anche dal popolo, una lingua comprensibile per tutti. Non a caso l’Eneide kotljarevs’kyjana è considerata come la prima opera che ha consacrato il passaggio del vernacolo da lingua popolare e lingua letteraria.

La novità sta nel fatto che Kotljarevs’kyj fa un uso della lingua ucraina completo e versatile, pesca in tutti i campi, e dimostra che la lingua popolare possiede un’infinita varietà di sinonimi e si presta alla duttilità dell’opera: basti pensare ai diversi termini utilizzati per descrivere i cibi e gli alcolici, o le armi usate nella guerra tra troiani e latini, le bestemmie e le ingiurie, il vestiario, le arti magiche, i canti e i proverbi. Sembra che Kotljarevs’kyj non fosse perfettamente consapevole dell’enorme esperimento linguistico da lui effettuato. Egli operò una semplice scelta: quella di utilizzare una lingua, la sua, senza ricoprirla di elementi del registro alto, ma usandola così com’era, senza fronzoli o

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nastrini, ma nella sua essenza volgare e gergale. Non mancano esempi di lingua “accademica”, che viene ovviamente schernita e ironizzata (come nel latino maccheronico imparato dai troiani).

L’Eneide ha dunque il merito di aver confermato la duttilità dell’ucraino come lingua letteraria. Dopo di essa, infatti, le forme utilizzate andranno a fornire uno stabile riferimento per la lingua letteraria ucraina.

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2. Kotljarevs’kyj e la società ucraina

Abbiamo già osservato l’elemento “gerarchia” all’interno dell’opera: non importa che i personaggi siano poveri o ricchi, soldati o re, umani o dei, il loro comportamento risulta costante, o addirittura il loro livello di degradazione diventa inversamente proporzionale al loro ruolo sociale.

Non a caso sono continui i riferimenti al mondo animale, i paragoni fra uomini e cani, porcellini, rettili, furetti, lupi, pecore, e così via. Il comportamento dei personaggi è del tutto legato all’istintività.

Kotljarevs’kyj trasforma i troiani in cosacchi e gli dei del mondo greco in ucraini-nobili.

Se è facile immaginare i soldati troiani come cosacchi dediti al bere e alla nullafacenza, corrotti e poco intelligenti, non ci si aspetterebbe altrettanto dagli dei del pantheon greco, che invece diventano più corrotti perché dispongono di maggiori mezzi per esserlo: il denaro, la ricchezza materiale. E ci si imbatte così in un Giove ubriaco e debole, in balia di donne e amori, conteso fra Giunone e Venere, che ne fanno il loro zimbello.

La contrapposizione uomo/donna è proprio uno degli elementi costanti dell’opera. Gli uomini appaiono come i detentori apparenti del potere, sia sulla terra che nell’Olimpo. Essi hanno la forza e il denaro che li caratterizza come esseri dominanti. Tuttavia le donne, quelle malvagie streghe, sono coloro che manovrano il destino degli uomini, che riescono a far fare loro tutto quello che desiderano. Le donne hanno un potere ben più grande rispetto alla forza fisica, al valore o al denaro: l’astuzia. E tale potere da’ loro una connotazione negativa: i loro appellativi sono quelli di jaga (come per la Sibilla, Iris, Tesifone), malvagie donnicciole, urlatrici al mercato (Giunone e Venere), vecchie capricciose (Amata), irascibili e furbe (Didone), vuote e senza cervello (Lavinia). Non esiste all’interno dell’opera un personaggio femminile che possa definirsi anche solo

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lontanamente “positivo”. La loro funzione e la loro abilità può essere riassunta nella strofa 29 della quinta parte:

E allora cosa succede Tra le donne e tra noi?

Quando ha da chiedere qualcosa Ecco che indovina il momento buono E si siede vicino all’uomo,

Si avvicina a lui, gli si stringe teneramente, Lo bacia, lo guarda, lo solletica,

Schiocca tutte le articolazioni,

E comincia a far capricci con la mente,

Così che viene fatta qualunque cosa per la donna.

Un concentrato di questi elementi è riscontrabile nella terza parte dell’opera, quella ambientata nell’inferno. Qui ci viene presentato un panorama dettagliato di tutta la società del tempo; d’altronde i tempi sono cambiati rispetto a quando viveva Virgilio (così ci dice Kotljarevs’kyj), ed anche gli abitanti dell’ade sono cambiati: c’è la burocrazia statale, i proprietari terrieri, i mercanti, gli uomini di cultura, il clero, l’esercito; ma soprattutto, c’è una divisione demarcata fra uomini e donne. I peccati degli uomini sono legati al potere e al denaro, quelli delle donne all’astuzia.

Ciò che rimane costante è il protagonista dell’opera tutta: non Enea, ma un popolo intero, con i suoi intrighi, la sua miseria, nelle sue numerose sfaccettature.

3. Kotljarevs’kyj e Virgilio

L’analisi dell’opera oggetto di questa tesi è stata soprattutto basata su una comparazione con l’Eneide virgiliana. Abbiamo già osservato e sottolineato il motivo per cui Kotljarevs’kyj decide di scegliere quest’opera come modello a cui ispirarsi1.

Ed è costante la dialettica che Kotljarevs’kyj instaura con il suo mentore, con la sua “guida”, Virgilio, proprio come Dante.

Ma se Kotljarevs’kyj segue più o meno fedelmente la cronologia degli eventi dell’Eneide virgiliana, ne emerge comunque una sostanziale differenza. Virgilio celebra un personaggio (Enea) e un popolo (quello troiano) che riescono a stabilirsi in un luogo a loro

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estraneo (il Lazio) e a conquistare una popolazione intera (quella latina), dando origine ad una stirpe gloriosa (quella romana). Nell’Eneide kotljarevs’kyjana questo elemento scompare. Se osserviamo il comportamento dei troiani, quello dei latini, quello degli dei, degli arcadi, di qualsiasi personaggio, la matrice rimane costante: la loro ucrainicità. La simbologia usata dall’autore non vuole evocare gli atti valorosi di un popolo che ne conquista un altro, perché vinti e vincitori sono due facce della stessa medaglia. E’ un popolo ucraino marginale (dei cosacchi, della gente umile) che sconfina in un popolo ucraino più generale, che comprende tutti, nobili, poveri, soldati, laici e religiosi.

Ritorna quindi l’accento sul protagonista di questa opera, ovvero il popolo ucraino, nella sua complessità e nelle sue infinite caratteristiche.

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