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Storia e Mistero. Una chiave di accesso alla teologia di Joseph Ratzinger e Jean Daniélou. A cura di G. Maspero J. Lynch (a cura di) EDUSC

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Storia e Mistero

Una chiave di accesso alla teologia di Joseph Ratzinger e

Jean Daniélou

A cura di G. Maspero – J. Lynch (a cura di)

EDUSC

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Secondo volume

Prima edizione 2016

Grafica e impaginazione: Gianluca Pignalberi (in LATEX2ε) Copertina di Sonia Vazzano

© 2016 – ESC s.r.l.

Via Sabotino, 2/A – 00195 Roma Tel. (39) 06 45493637

[email protected]

www.edizionisantacroce.it ISBN 978-88-8333-629-4

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Introduzione 7

Saggio Introduttivo 27

Nota sull’interpretazione della “beatitudine” dei “puri di cuore” (Mt 5,8) di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI.

Gli agganci del suo pensiero con quelli di Ireneo di Lione Réal Tremblay C.Ss.R.

I Approccio sistematico

37

Daniélou e Ratzinger di fronte al mistero della storia

1 I Padri come risposta (Antwort) alla Parola (Wort)

Manuel Arostegi Esnaola 41

2 Verità e crisi della storia in Jean Daniélou

Leonardo Lugaresi 69

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3 “La salvezza attraverso la Storia”: Ontologia e storia nella teologia di Joseph Ratzinger

Robert J. Woźniak 97

4 Ontologia e storia in Jean Daniélou

Giulio Maspero 115

5 Il mistero della storia secondo Joseph Ratzinger

Ludwig Weimer 153

6 Essere e tempo. Verità, storia e teologia nel pensiero di Joseph Ratzinger

Pablo Blanco Sarto 175

II Applicazioni

203

II.1 Lo studio del fenomeno religioso

205

7 Jean Daniélou e le religioni

Angela Maria Mazzanti 207

8 Le religioni in Joseph Ratzinger

Maria Vittoria Cerutti 231

II.2 La sensibilità liturgica

267

9 La liturgia in Daniélou. Sacra Scrittura, storia della salvezza e contemporaneità di Cristo

Guillaume Derville 269

10 Joseph Ratzinger e la liturgia

Juan José Silvestre 297

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II.3 La prospettiva missionaria

317

11 “Da un estremo all’altro”: la missione in Jean Daniélou

Jonah Lynch 319

12 Ratzinger sulla base antropologica della missione

Vincent Twomey SVD 339

Saggio Finale 355

“Il y a toujours un jour qui n’est pas la même chose que la veille”:

Il cristianesimo e la storia negli scritti di Charles Péguy John Milbank

Appendice: Contributi di supporto

399 1 L’antropologia ratzingeriana dell’Imago Dei come via di

uscita dallo storicismo teologico

Isabel Troconis Iribarren 399

2 Daniélou teologo sistematico? Il concetto diakolouthía in Gregorio di Nissa e il suo uso nell’opera di Jean Danié- lou

Sincero Mantelli 413

3 J. Ratzinger come Agostino: Religiosità della ragione, laicità della fede. L’attualità di un dibattito antico

Giuseppe Fidelibus 425

Indice dei nomi 451

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Nel 1946 venne pubblicato il libro di Oscar CullmannChristus und die Zeit: Die urchristliche Zeit- und Geschichtsauffassung. All’epoca Jean Daniélou aveva 41 anni e insegnava già da due all’Institut Catholi- que di Parigi, mentre Joseph Ratzinger aveva soli 19 anni e si iscrive- va proprio in quell’anno all’istituto superiore di filosofia e teologia a Frisinga. Nonostante la differenza di età e di prospettiva esistenziale, nella parabola di entrambi gioca un ruolo essenziale il tema centra- le del libro di Cullmann, il quale per collocazione accademica e lin- guistica si pone a cavallo tra il mondo francese e quello tedesco. Il rapporto tra la storia della salvezza e la metafisica era infatti il cuore delle discussioni teologiche dell’epoca. Queste discussioni erano qua- si in stallo, specialmente in ambito riformato, a causa dell’apparente contraddizione tra il valore essenziale riconosciuto alla dimensione storica (in tensione con la percezione di una fissità metafisica) e la realtà di quella salvezza che si è data proprio nella storia. In assen- za di una profondità ontologica, il dibattito rischiava di dissolversi in una prospettiva parziale che finiva per schermare la portata uni- versale e assoluta dell’Evento cristico stesso. Si avvertiva la neces- sità di superare la dialettica introdotta dalla riflessione moderna tra la dimensione metafisica e quella esistenziale. Si cerca, quindi, una sintesi teoretica capace di abbracciare contemporaneamente essere e tempo.

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Tale considerazione spiega la scelta di accostare due autori in appa- renza così diversi, per confrontare il valore delle categorie distoria e dimistero nella struttura del loro pensiero. Joseph Ratzinger cita Jean Daniélou, ma non è questo il livello principale dell’indagine che qui si presenta. Il punto di interesse è piuttosto la comprensione profonda da parte dei due teologi di quello che è un nucleo centrale di tutto il pensiero del secolo XX. In aggiunta, la domanda che ha mosso la ricerca include anche l’ipotesi che proprio la soluzione offerta a tale nucleo teologico renda Daniélou e Ratzinger capaci di dialogare con chi non ha fede e di giungere a una sintesi tra pensiero, liturgia e vita spirituale.

Così, nei giorni 12 e 13 febbraio del 2015, presso la Pontificia Uni- versità della Santa Croce di Roma, diversi studiosi di tutta Europa si sono riuniti per approfondire insieme tale questione. L’incontro è sta- to promosso dalla stessa Università ospitante in collaborazione con la Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo e con l’Associazio- ne PATRES. La realizzazione delle due giornate di studio è stata resa possibile dal supporto finanziario offerto dalla Fondazione Ratzinger e da BLM Group. Numerose sono state le istituzioni accademiche che hanno aderito all’iniziativa: Pontificia Accademia di Teologia, Biblio- teca Pinacoteca Accademia Ambrosiana di Milano, Alma Mater Stu- diorum – Università di Bologna, Pontificia Università Lateranense di Roma, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Università di San Damaso di Madrid, Universidad de Navarra di Pamplona e Università di Chieti.

Il presente volume offre alla comunità scientifica il frutto di quell’in- contro, i cui lavori sono stati introdotti da S.E.R. Mons. Jean-Louis Bruguès, Bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa. Il testo è diviso in due parti: la prima relativa alla questione centrale in esame, la seconda che intende mostrare gli effetti di tale posizione per alcuni aspetti centrali della vita della Chiesa, e quindi della teologia. Ad esse segue un’appendice, con alcuni contributi a supporto del lavoro svilup- pato, e un pregevole saggio di John Milbank, dedicato alla relazione tra cristianesimo e storia nella poesia di Charles Péguy, autore rilevante sia

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per Daniélou sia per Ratzinger. Proprio lo sguardo di bimbo che abita il cuore del poeta si può rinvenire alla radice dell’approccio non dialettico dei due alla questione fondamentale in esame.

In questo modo, la fine del volume ne richiama l’inizio. Esso si apre con la relazione di Réal Tremblay, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia, il quale ha additato, a mo’ di premessa, un’esperienza sorgiva per entrambi i teologi in esame. La purezza del cuore, come insegnava Gregorio di Nissa, è la vertiginosa virtù di coloro che sono saliti fino all’ultimo gradino accessibile all’uomo e che tremano sopra l’abisso insondabile di Dio. “La ragione non è sufficiente. Affinché l’uomo possa aver accesso a Dio, tutte le forze della sua esistenza devono agire di con- certo,” afferma Tremblay. Egli si pone così in continuità con l’intuizione di Origene, Basilio di Cesarea, e molti altri Padri, che la conoscenza sensuale e psichica rimane frammentaria se non avviene nello Spirito.

Chi vede il mondo con i soli occhi della carne non vede realmente il mondo, ma un fantasma che è frutto della propria passionalità o della propria immaginazione intellettuale. Per superare sia il senso Kantiano sia il senso Hegeliano di questa costatazione, occorre un cuore puro, a somiglianza del cuore del Figlio.

Tremblay indica nella giustizia e nella vigilanza di una sincera ricerca di Dio l’inizio della strada verso la purezza del cuore. Ancora di più, si tratta di “vivere l’esistenza da Figlio”, entrare nei sentimenti di Cristo, fino a condividere la sua croce – e così ascendere con Lui alla piena tri-unità: “L’amore è il fuoco che purifica e unisce ragione, volontà, sentimento; è ciò che unifica l’uomo in se stesso in virtù dell’azione di Dio così da farne il servitore dell’unità di coloro che sono divisi.

Così l’uomo fa il suo ingresso nella dimora di Dio e può vederlo. È esattamente quello che significa essere beato”.

Sia per Ratzinger, sia per Daniélou, l’esperienza mistica della partecipa- zione alla croce di Cristo è all’origine della teologia. Questa affermazione è ampiamente sostenuta dalla lettura deiDiari Spirituali di Daniélou;

per il teologo e papa bavarese la si vede in modo eminente nei dettagli della sua biografia. E per entrambi loro, l’evento unico, irripetibile e eternamente presente della morte-risurrezione di Gesù Cristo costitui-

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sce la luce che illumina il significato del tempo e della storia, e rivela a noi l’essenza di Dio.

Purezza di cuore, si direbbe quasi spirito fanciullesco; esperienza della croce e della risurrezione; interesse per la storia come parte fonda- mentale del metodo teologico; attenzione al cristianesimo dei primi secoli per cercare luci da offrire al mondo contemporaneo: sono alcune caratteristiche in comune fra Joseph Ratzinger e Jean Daniélou.

Il contributo di Arostegi si interroga sull’importanza dei Padri per la teologia odierna, tema caro a entrambi Daniélou e Ratzinger. Arostegi si concentra soprattutto su un articolo di Ratzinger del 1967 dato nel contesto dell’Internationales Forschungszentrum für Grundfragen der Wissenschaften di Salisburgo. In quell’articolo, Ratzinger ha tentato di precisare l’identità dei Padri attraverso un esame di alcuni tentativi di definizione di “padre della Chiesa” proposte da Vincenzo di Lerins e altri. Il teologo bavarese giunge a proporre che “la Scrittura e i Padri sono un tutt’uno, come la parola e la risposta (Wort e Antwort). Que- sti due elementi non sono la stessa cosa, non sono allo stesso livello, non possiedono la stessa forza normativa. [. . .] Ma, per quanto diverse, comunque non ammettono mescolanze, tantomeno separazioni”. Sulla base di questa interpretazione asimmetrica, ma co-essenziale, Ratzinger mette in evidenza il ruolo fondamentale che hanno giocato i Padri nella ricezione della rivelazione. “Dove nessuno riceve la rivelazione, lì non si può avere nessuna rivelazione”. Così, il contributo di coloro i quali hanno accolto la Parola riguarda in primo luogo quattro “discernimenti”

di imparagonabile importanza per il futuro della Chiesa: la definizione del canone, lo stabilirsi dellaregula fidei, il discernimento delle forme della liturgia, e il discernimento circa l’uso della filosofia. Per Arostegi, il dilemma della teologia odierna è che “se ha intenzione di entrare in dialogo con la scienza, deve mettere da parte il dogma, ma se mette da parte il dogma, smette di essere teologia”. La tensione traauctoritas e ratio si può affrontare in modo fecondo sul piano della storia: Ratzinger nota che la Bibbia arriva a noi attraverso la storia, e che “solo chi af- fronta la storia può dominarla. Chi la vuole bypassare è suo prigioniero.

E soprattutto, chi asseconda questa tendenza non ha la benché mini-

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ma opportunità di leggere davvero storicamente la Bibbia, per quanto possa sembrare che utilizzi metodi storici. In fondo, continua ad essere rinchiuso nell’orizzonte del suo pensiero, in cui si riflette soltanto la propria immagine”. Così, la necessità della “purezza del cuore” per poter conoscere la realtà e il suo Creatore prende la flessione dell’attenzione che uno storico presta ai fatti. Il testo rivelato si dà all’interno di una storia, come anche la sua interpretazione, e per questo la sua esege- si contemporanea avrà sempre bisogno di confrontarsi con le prime autorevoli interpretazioni, quelle dei Padri.

Questo modo di “pensare in modo biblico-patristico il presente” è il tratto che più avvicina Daniélou e Ratzinger, secondo Leonardo Lugaresi.

Ciò è di grande attualità in quanto il pensiero patristico è “il pensiero più missionario della storia”. Le prime generazioni di cristiani non potevano appoggiarsi su terre già evangelizzate. Dovevano vivere la loro fede dentro strutture di peccato e popolazioni indifferenti o ostili: e sono riusciti non solo a vivere la loro fede ma anche a convertire i popoli.

Per questo motivo, Lugaresi ritiene utile l’indagine del pensiero “pre- europeo” rappresentato dai Padri. Un tratto particolare del loro modo di pensare, ampiamente sviluppato da Daniélou, è la dimensione della storia come luogo della rivelazione di Dio. Innanzitutto, come anche le religioni naturali intuivano, nella creazione, e molto di più nella singolarità degli avvenimenti storici, Dio agisce. Da questa costatazione nasce il simbolismo storico, la tipologia. Lugaresi evidenzia che tante problematiche care alla modernità, compresa la pluralità dei popoli e delle lingue, e il desiderio di unità, possono essere fruttuosamente affrontate da questo versante.

Anche il problema ben più difficile del significato della pluralità dei momenti storici, di costruzione e anche di distruzione, è illuminato dalla teologia della storia di Daniélou. La storia è il luogo della creatività di Dio; è anche il luogo della sua ira. Per poter pensare la storia in modo unitario, e quindi poter pensare Cristo come legato intrinsecamente al passato e al futuro, occorre un’economia della rivelazione che compren- de tutta la storia, sia la bontà sia la giustizia di Dio. La “collera di Dio”, termine “solitamente trascurato” ma a giudizio di Lugaresi cruciale,

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insegna all’uomo l’intensità dell’essere divino, e la nullità dell’essere creato. È una rivelazione anche questa che libera dall’idolatria: Daniélou dice appunto che le grandi catastrofi sono “un violento richiamo rivolto ad una umanità che tende a bastare a se stessa”. Lugaresi riassume: “alla domanda ‘ma che cosa fa Dio per il mondo che va così male?’ la risposta è appunto: ‘lo mette in crisi’”.

La tipologia è la chiave, secondo Lugaresi e Daniélou, dell’intelligibilità della storia. Nello stesso gesto comprende la continuità e la discontinuità, e quindi comprende al suo interno le esigenze della ragione e quelle della libertà. Permette di cogliere il filo della provvidenza senza interpretarla come progresso ineluttabile; permette di affermare la libertà divina assieme alla libertà umana in un rapporto drammatico e reale.

Anche il pensiero di Ratzinger è fortemente debitore a un “padre della Chiesa”, Bonaventura. Robert Wozniak mostra che “in Ratzinger, teologia della storia e ontologia pasquale sono elaborate non dall’alto o dal basso, ma dal centro della cristologia”. Tale centralità si esprime sommamente nel dogma di Calcedonia: il rapporto tra ontologia, storia, e teologia può essere illuminato solo nell’incontro reale con Cristo.

Wozniak evidenzia che per Ratzinger tale affermazione non implica un misconoscimento della filosofia, ma la priorità (senza esclusività) della storia. Tutto ciò deriva, secondo Wozniak, dallo studio che Ratzinger ha svolto su Bonaventura per la sua tesi di dottorato, in particolare circa il rapporto tra natura e grazia. Il teologo bavarese avrebbe imparato da Bonaventura dei concetti ontologici che sono “aperti alla concretezza”, il che rinvia alla storia come luogo dell’azione della grazia.

Wozniak prosegue il suo ragionamento mettendo in evidenza l’impor- tanza del dogma di Calcedonia anche nel testo del 1968,Introduzione al cristianesimo. “La cristologia ontologica serve a salvare la teologia del- l’evento storico allo stesso tempo da un’astoricità astratta e statica e da un vuoto storicismo”. Terzo elemento: Wozniak evidenza che Ratzinger intende “l’essere come esodo”, e che un “concetto estatico dell’essere e dell’esistenza” si trova in molti suoi scritti. Questa opzione “ha molto a che fare con la logica interna alla teologia del Nuovo Testamento, che sottolinea la sua scoperta sotto la guida delDoctor Seraphicus”. Ciò

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mostra la centralità della rivelazione e della teologia, non a margine della filosofia, ma come incarnazione del modo cristiano di pensare. Il primato è nell’azione divina: la rivelazione è un avvenimento dentro alla storia. Anche in questo punto il suo pensiero è molto vicino a quello di Daniélou.

È significativo quanto la teoria dell’anima che Ratzinger espone nel suo libro sull’escatologia prenda le mosse dalla nozione di relazione.

Scrive Wozniak: “Siamo immortali non perché ci è stata donata un’anima immortale. L’immortalità umana ha a che fare con la relazione con la sorgente di ogni immortalità che è Dio nelle sue relazioni intratrinitarie, che costituiscono la sua stessa vita divina”.

Un nesso forte e suggestivo lega questo sunto della posizione di Ra- tzinger a quella di Daniélou, sviluppato da Giulio Maspero nel suo intervento. Qui si sostiene che Jean Daniélou ha potuto elaborare una teologia della storia, che non fosse una mera filosofia della storia come è caratteristico nella modernità, perché è stato in grado di pensare un’au- tentica ontologia della storia. Il testo cerca di mostrare il radicamento di tale possibilità di pensiero nella profonda conoscenza raggiunta da parte del teologo francese di Gregorio di Nissa. Nell’opera di questo Padre si rinviene un’originale rielaborazione della metafisica classica in termini che permettono una sintesi tra essere e storia. Tale armamenta- rio permette a Daniélou di sviluppare un pensiero capace di rispondere alle sfide poste dall’esistenzialismo e, quindi, di riconoscere il valore non solo di ciò che è universale, ma anche del particolare. In questo senso lo sguardo che rende possibile la sintesi tra essere e storia è radicato nel pensiero trinitario e, in particolare, nella possibilità offerta all’uomo in Cristo di partecipare alle relazioni intradivine dalle quali ogni cosa trae origine.

L’architettonica della teologia di Daniélou è, dunque, possente perché, al di là della forma “leggera” e rapida dell’essai, di cui la tradizione francese è maestra, il passaggio dalla dimensione ontologica alla ricon- siderazione della storia e, quindi, della dimensione spirituale e culturale dell’uomo, costituisce un momento estremamente significativo della ricerca teologica del XX secolo. Daniélou anticipa, in tal modo, la stessa

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ricerca sull’ontologia trinitaria, che sempre più appare come ambito di indagine essenziale nel pensiero contemporaneo. In questo, l’accosta- mento a Ratzinger risulta particolarmente efficace, perché permette di apprezzare come l’ardito pensare insieme l’essere e la storia sia il fonda- mento della capacità che accomuna i due grandi pensatori di presentare in modo significativo e accattivante il Mistero del Cristo all’uomo con- temporaneo. Tale fondamento è a loro accessibile proprio per lo sguardo trinitario e relazionale che caratterizza la loro ricerca, profondamente fecondata dal contatto con le fonti patristiche e medioevali.

Tale prospettiva emerge anche dall’intervento di Ludwig Weimer.

Per affrontare il “mistero della storia”, egli si interroga circa il senso del terzo avvento, l’adventus medius, di cui Bernardo di Chiaravalle scrisse, e che offre una chiave illuminante per entrare nel pensiero di Ratzinger. Innanzitutto, la storia viene vista dalla croce e con gli occhi della fede, per scorgere la sua identità come “storia di Dio con gli uomini”. Weimer afferma che la “componente più rilevante del- la teologia ratzingeriana della storia [. . .] è la concezione dell’oggi nel tempo successivo a Cristo, basata su un’escatologia del presen- te”. Il cristiano, secondo Ratzinger, ha la gioia di vivere “un futuro che è diventato presente”. Ciò è sommamente vero dell’Eucaristia, che non è fuga mundi ma dimora di Dio nel mondo e nel tempo. La li- turgia come luogo della presenza di Dio nella storia può prestarsi a comprensioni riduttive, da cui Weimer mette in guardia: non è magia, non è pura spiritualità; è dentro la storia, come i segni sacramentali evidenziano.

Per Weimer, il centro della visione ratzingeriana della storia si trova nel modo di intendere l’azione di Dio nella storia. Egli analizza un testo del 1981 per mostrare che “non vi è la formulazione generica secondo cui Dio agisce là dove un uomo ama, ma si afferma che l’interazione tra Dio e uomo è fissata nell’uomo-Dio, cioè nella dimensione divina. Non l’umanesimo, ma la purificazione, la redenzione dell’uomo e il riflesso dell’amore di Dio portano Dio ad agire nel mondo”. Per Weimer, quindi, Dio agisce nella storia attraverso gli uomini purificati e liberati che imitano “l’amore di Gesù e di Dio”.

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Da questa visione discende il modo di intendere la speranza che Ra- tzinger ha esposto nellaSpe Salvi. Bisogna che il cristiano abbia chiaro che cosa può dare al mondo e cosa non può dare; bisogna riconoscere che, anche ridotta sul piano numerico come mai è avvenuto dai primi secoli dell’era cristiana a oggi, la fede dei cristiani rimane essenziale al mondo e alla storia. Dallo studio di Weimer emerge una linea forte e aperta, che poggia interamente sulla libertà di Dio, e non tenta di chiudere il rapporto tra verità e storia in un sistema.

Il testo di Pablo Blanco Sarto indaga il rapporto tra verità e storia in alcuni testi di Ratzinger. Mette in evidenza la necessità metodologica dell’approccio storico: “la verità non si presenta mai agli uomini come nuda veritas, ma sempre rivestita di una forma, che certamente è stata condizionata storicamente”. Ne consegue che la conoscenza che l’uomo ha della verità è sempre parziale e limitata. Così il titolo del convegno riceve una delucidazione: la storia permette l’ingresso nel mistero della verità, che rimane sempre più grande della comprensione che l’uomo ne ha, e si rivela sempre più all’interno del tempo. Una prima conseguenza di questo modo di intendere la storia è l’affermazione che la tradizione è un’interpretazione della Scrittura data sotto la guida dello Spirito, contro ciò che Blanco Sarto ritiene essere la tendenza protestante di vedere la storia successiva alla formazione del canone soltanto come decadenza. A parere di Blanco Sarto, si può invece affermare che il dog- ma è un’interpretazione autentica della Scrittura in cui l’equivocità del linguaggio biblico viene trasposta nel linguaggio univoco dei concetti.

Tale trasposizione comporta “sia l’immutabilità sia la storicità”.

L’articolo fa anche alcune incursioni nelle problematiche del rapporto tra storia e salvezza, e approda all’affermazione che “la libertà si presenta come punto centrale per risolvere la dicotomia tra verità e storia: la prima si realizza nella seconda per mezzo della libertà”.

La seconda parte del volume è dedicata a tre tematiche ampiamente presenti nel pensiero di Ratzinger e Daniélou: lo studio del fenomeno religioso, il valore della liturgia e l’ispirazione missionaria di tutta la vita cristiana. Tutti e tre questi aspetti sono profondamente radicati nella questione del rapporto tra l’essere e la storia, a livello più gnoseologico

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il primo, da un punto di vista più fondativo il secondo, e come dinamica essenziale della vita cristiana il terzo. Si è scelto, in questo caso, di offrire in parallelo la trattazione del singolo tema per ciascuno degli autori analizzati.

Lo studio delle religioni è fondamentale sia per Daniélou sia per Ratzinger. Evidentemente il loro approccio è diverso: nel primo caso esso ha radici anche esistenziali, a partire dalla conversione all’induismo del fratello di Jean Daniélou, Alain; nel secondo caso la prospettiva è più immediatamente teologico-fondamentale. Eppure, ciò che si vuole proporre non è semplicemente un confronto, ma in primo luogo si è cercato di favorire la dimensione gnoseologica della questione. Come studiare le religioni? Come affrontare la loro differenza? Come, se è legittimo, operare un giudizio?

La riflessione offerta da Angela Maria Mazzanti, presidente dell’As- sociazione PATRES, è di carattere storico-religioso, prima ancora che teologico. Da subito si individua il punto di contatto tra Ratzinger e Daniélou nella significatività della storia come luogo dell’irruzione del divino nel mondo, quindi nella sua dimensione di mistero ontologico e non meramente gnoseologico. Ciò implica, da una parte, che la di- mensione religiosa non è separabile in modo artificioso dalla storia e, nello stesso tempo, che il suo studio non può prescindere dal miste- ro, cioè dalla profondità ontologica della storia stessa: “la storia non è concepibile senza la connessione con la spiritualità, né è possibile considerare la religione come una componente della storia”. Eppure, non è possibile all’uomo descrivere in modo completo tale connessione.

“La storia profana [. . .] riceve significato nel disegno totale di Dio, ma la relazione fra gli avvenimenti della storia profana e di quella sacra

‘rimane un mistero profondo che sfugge ad ogni tentativo di determina- zione.’” Mazzanti poi si concentra sul concetto del rapporto tra l’umano e il divino, categorizzato da Daniélou in infra-umano (ateismo), naturale (le religioni pagane), e soprannaturale (l’ebraismo, il cristianesimo). Più che un esame delle religioni concrete, svolge una riflessione sul sacro, facendosi aiutare dagli studi di M. Eliade e U. Bianchi. La religione natu- rale, o “pagana”, come solitamente preferisce Daniélou, è “l’espressione

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storica dell’atto religioso dell’umanità”. Le religioni sono un tentativo umano di ricerca di Dio.

Mazzanti sviluppa poi la controparte critica rispetto a tale posizione, in consonanza con quanto ampiamente afferma anche Daniélou. Il

“fatto ebraico-cristiano” si presenta non come un “mezzo per adorare Dio”, ma come testimonianza di un evento: il “movimento di Dio verso l’uomo”. Visti attraverso questo giudizio, Mazzanti può affermare che per Daniélou, le religioni sono sia “presupposti” del cristianesimo, sia

“impedimento” allo stesso.

La prospettiva proposta ha bisogno del riferimento a un Logos più grande, che permette lakrisis rispetto alle forme religiose non cristia- ne, sia in termini di differenziazione, sia in termini di continuità, in particolare per quanto riguarda l’eredità greca. Mazzanti dedica ampio spazio al problema dell’ellenizzazione, che per Daniélou rappresentava un patrimonio irrinunciabile, anche se il teologo francese guardava con stima il tentativo di Monchanin di incarnare il cristianesimo nel- la cultura Indù a prescindere dalla sua storia occidentale. Mazzanti si concentra sui testi di Daniélou che affermano la dinamica propria della prima “inculturazione” nella cultura greca, primo esempio del fatto che il cristianesimo “ha la capacità di rispondere alle istanze [delle religioni]

e di assumere le interpretazioni simboliche e mitologiche che l’animo umano concepisce in virtù del suo essere in relazione ontologica con Dio”.

Il contributo di Maria Vittoria Cerutti è dedicato allo studio delle religioni nell’opera del Papa Emerito. Come Mazzanti, interviene in quanto storico delle religioni, non teologa. E come per Mazzanti, il richiamo alla scuola di Ugo Bianchi è esplicito. Cerutti sviluppa la sua riflessione seguendo le linee evidenziate da Ratzinger in un testo del 1964, in cui il teologo bavarese dice del proprio convincimento che

“in primo luogo si dovesse cercare di avere una visione panoramica delle religioni nella loro struttura storica e spirituale”. Secondo Cerutti, questa

“formula strutturale” mette in evidenza un metodo che evita le riduzioni sia della fenomenologia, sia dell’antropologia religiosa di Ries. La prima a causa della sua ricerca di strutture comuni alle religioni “giunge a

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misconoscere le discontinuità tra le concrete esperienze religiose”. La seconda, che cerca di fondare ogni autentica religione nell’esperienza mistica, a giudizio di Ratzinger non tiene di fronte alla storia reale delle religioni, che mostrano invece che “la mistica [è] una via del tutto particolare tra svariate altre”.

Il contributo metodologico e la riflessione gnoseologica sono importan- ti qui. Tra una concezione relativistica del religioso e l’estremo opposto storicista, che, da una parte negano la possibilità di ogni giudizio e, dall’altro, riducono l’oggetto studiato cosificandolo e strappandolo dal suo contesto, si apre la possibilità comparativa. Questa, in profonda consonanza con il pensiero di Ratzinger e la sua concezione del rapporto tra verità e storia, cerca solo di far emergere le diverse relazioni tra i fenomeni religiosi studiati, senza imporre ad essi preconcetti o teorie già elaborate. In questo modo il giudizio è possibile ma, nello stesso tempo, esso rimane sempre aperto, in conformità alla caratteristica es- senziale delLogos, segnalata nell’intervento di Mazzanti e caratteristica del pensiero di Ratzinger. Così la storia delle religioni rimane sempre mistero, ma mistero portatore di luce.

Cerutti evidenza che la “formula strutturale” cercata da Ratzinger permette di “abbracciare il momento della storicità (del divenire, dello sviluppo), il momento dell’essere in costante rapporto e il momento delle diversità reali, irriducibili”. La seconda caratteristica della posizione di Ratzinger è che “costituisce la base per proseguire in una analisi comparativa differenziante delle religioni che pervenga a identificare – su base storica prima che teologica – il posto del cristianesimo nel mondo delle religioni, e il senso “provvisorio” e “precursorio” delle religioni rispetto al cristianesimo. Così, scrive Maria Vittoria Cerutti, grazie ad “una considerazione differenziata e non omogeneizzante delle religioni”, permessa dalla sua metodologia comparativa, Ratzinger “può misurare la loro vicinanza e lontananza rispetto all’evento-Cristo che ne realizza la determinazione-vocazione storica”.

Il confronto tra Daniélou e Ratzinger nello studio delle religioni per- mette di rilevare a un livello pre-teologico la centralità della connessio- ne tra essere e storia proposta nella prima parte del presente volume.

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Questa connessione è confermata quando ci si rivolge alla dimensione liturgica.

Per Guillaume Derville, il punto di partenza della teologia liturgica di Daniélou è triplice: la sua esistenza sacerdotale, la stretta connessione tra la liturgia e i due Testamenti, e il fascino di vedere “nella liturgia l’attualizzazione di tutta la storia della salvezza”. La liturgia è il luogo dove “si attualizza senza tregua l’incontro della comunità ecclesiale col mistero di Dio”.

Nell’ispirarsi teologicamente alla fonte scritturistica e patristica, in particolare per quanto riguarda la tipologia, Daniélou ha sfidato i presup- posti epistemologici della sua epoca. Da tale prospettiva, che evidenzia che Cristo è il senso di tutta la Scrittura e il fondamento dell’unità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, la liturgia diventa luogo dell’esegesi.

Nel Mistero di Cristo, gli eventi narrati sono resi presenti e contempo- ranei ad ogni cristiano in ogni epoca. Derville evidenzia la centralità della categoria dimistero per il pensiero di Daniélou, il quale include il termine nel titolo di ben cinque delle sue opere. Esso punta verso una profondità propriamente ontologica e teologica, che nella sua radicale eccedenza sopravanza costantemente la dimensione gnoseologica e noetica.

La dimensione simbolica, centrale nell’esegesi patristica, trova qui il suo fondamento. La dimensione sacramentale è costitutivamente inseparabile dall’ermeneutica biblica e dall’atto teologico, in quanto li fonda nel dischiudere la profondità ontologica della storia. Derville afferma che per il gesuita francese, “c’è dunque un rapporto essenziale tra la storia della salvezza in quanto si svolge nel tempo e la liturgia che ne dà forma”. Così, con lo sguardo rivolto a tutta la produzione di Daniélou, egli conclude: “La tipologia fu sempre la chiave di questi lavori. La scrittura si illumina con la scrittura. La liturgia la manifesta. La storia della salvezza è al centro della liturgia, si attualizza nella liturgia”.

Il contributo dedicato al pensiero liturgico di Ratzinger è di Juan José Silvestre. Egli procede storicamente, muovendo dalla biografia dell’autore bavarese, con il suo amore per la liturgia appreso da ragazzo, fino a situare il suo pensiero sullo sfondo del Concilio Vaticano II.

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Silvestre nota che l’aver posto la costituzione sulla liturgia all’inizio dei lavori conciliari “conferì un’architettura ben precisa al Concilio: la prima cosa è l’adorazione e, quindi, Dio”.

Silvestre dedica il centro del suo studio alla liturgia come attualizza- zione del mistero pasquale, che secondo lui viene collocato da Ratzinger

“in un contesto di filiazione, preghiera e sacrificio per gli altri che ca- ratterizza tutta la vita di Gesù”. Il rischio radicale della morte “sarebbe vacuo se non fosse vero che l’amore è più forte della morte”. Ma il rischio poggia sull’infinito potere dell’amore di Dio, e nella risurrezione mostra di non essere stato invano. Silvestre mette in evidenza lo stret- to rapporto tra Cena, morte, e risurrezione nell’Eucaristia. Il Mistero Pasquale non è semplicemente un evento del passato, ma rimane onto- logicamente attingibile attraverso la dimensione sacramentale in ogni epoca e, in quanto tale, fonda la vita cristiana, che ha la sua fonte e il suo compimento nell’adorazione. Silvestre conclude, con Ratzinger, che

“dobbiamo essere realmente penetrati dalla realtà di Dio, così che tutta la nostra vita [. . .] sia liturgia, adorazione”.

Per parlare della missione in Daniélou, Jonah Lynch parte dal rapporto tra contemplazione e azione. La paradossale unità dei due termini si trova compiuta proprio in Cristo, che ha accettato di vivere la tensione tra cielo e terra, “da un estremo all’altro”. Lynch situa il discorso di Daniélou come superamento della dialettica tra chi vede nelle religioni delle istanze di una categoria buona e sostanzialmente unitaria, e chi invece (con Barth) vede nelle religioni un ostacolo alla conversione.

Lynch mostra che per Daniélou, “il mondo che Dio ha creato e il mondo che ha salvato sono lo stesso”. L’incarnazione richiesta dal missiona- rio ha grande importanza per Daniélou; ma “tutto sarebbe mancato se, andando verso di loro, fossimo noi a diventare come loro e non loro che diventano come noi. Allora ci sarebbe incarnazione, ma senza trasfigurazione, non vale nulla”. La trasfigurazione che il missionario intende realizzare dentro le culture deve valorizzare alcuni elementi e purificarne altri. Più che cercare di indicare con precisione questi elementi, Daniélou mostra il criterio: deve morire ogni idolatria, ogni elemento che ostacola l’accettazione del proprio bisogno di salvezza e

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della persona di Cristo che la offre gratuitamente. In questo modo, ogni autentico valore di una cultura sarà salvato.

La salvezza arriva gratuitamente, nei tempi di Dio: allora cosa rimane da fare per il missionario? Per Daniélou, c’è un’urgenza nell’amore che mal si accorda con il quietismo o con la ritirata dal mondo pagano.

“Possiamo lavorare all’evangelizzazione del mondo, affrettare la con- versione delle anime in vista della parusia, cioè il compimento di tutte le attese,” afferma Lynch. Conclude il suo contributo indicando nella croce di Cristo la forma di ogni missione cristiana, anche attraverso l’esempio del rapporto fra Jean Daniélou e il suo fratello Alain.

Vincent Twomey affronta il tema del fondamento antropologico della missione della Chiesa partendo da una breve esposizione della responsa- bilità oggettiva che la Chiesa ha nei confronti di tutti gli uomini. Tutta la storia del mondo mostra un movimento “ascendente” verso l’unione tra il mondo e Dio. La fede afferma che questa unione è avvenuta in Cristo, e quindi “il rapporto tra la storia ascendente del cosmo e l’evento-Cristo è tale che il primo è precondizione (o preparazione) per il secondo, mentre dall’altra parte Cristo concede al mondo ciò che non avrebbe mai potuto raggiungere da solo”. Ne segue che lo scopo di Cristo nel fondare la Chiesa era per raggiungere i “molti”.

La parte più corposa dell’articolo di Twomey si concentra invece sulla questione più difficile della salvezza del soggetto. Richiama la povertà di spirito, analogamente a quanto ha fatto Tremblay aprendo il convegno, come una sorta di “fede prima della fede”. Questa posizione è cruciale proprio perché la coerenza con i convincimenti soggettivi non può essere il criterio sufficiente della salvezza: ne conseguirebbe una serie di assurdità, tra cui l’uomo delle SS che si salverebbe perché ha seguito bene la sua coscienza. Ciò che Twomey propone invece è che “ciò che salva l’uomo non è il sistema ma qualcosa che trascende qualunque sistema: l’amore e la fede che mette fine all’egoismo e all’hybris distrut- tivo. Le religioni possono aiutare e anche ostacolare tale atteggiamento di povertà di spirito.

Twomey evidenzia la comprensione di Ratzinger del cristianesimo come “fede in un evento”, e che “Dio cerca l’uomo nel mezzo delle

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sue connessioni e rapporti mondani e terrestri”. In questo, Ratzinger dipende esplicitamente da Daniélou. Ha una posizione molto simile a quella di Daniélou anche rispetto all’importanza da ascrivere ai “valori”

umani: “in questo nostro mondo, natura e soprannatura non sono mai strettamente separati, ma si interpenetrano. A causa di ciò, tutti i valori veramente umani sono segnati da entrambi l’elevazione soprannaturale divina e dal peccato umano”.

Rispetto alle religioni del mondo, Ratzinger critica le modalità più comuni di concepire il rapporto tra le religioni e il cristianesimo, perché

“tendono a trattare le religioni del mondo indiscriminatamente” – in altre parole, ragionando in base a categorie invece che in base alla concreta esistenza di ogni religione, come evidenziato anche nelle relazioni di Mazzanti e Cerruti.

Secondo Twomey, Ratzinger non mostra un particolare senso di ur- genza rispetto alla proclamazione della Buona Novella ai non battezzati.

Cita a suo sostegno un brano in cui Ratzinger afferma che “il vero mini- stero di liberazione per la Chiesa oggi è di tenere alta la fiamma della verità nel mondo. [. . .] Il vero contributo della Chiesa alla liberazione, che non può mai posporre e che è più urgente oggi, è di proclamare la verità al mondo, affermare che Dio è, che Dio ci conosce, e che, in Gesù Cristo, ci ha dato la strada alla vita. Solo allora ci può essere una cosa come la coscienza, la ricettività alla verità, che dona ad ogni persona accesso diretto a Dio e fa lui più grande di ogni sistema mondiale conce- pibile”. Forse la proclamazione della verità coincide già con la missione, ma appare qui una differenza importante tra la posizione dei due autori in esame. Daniélou propende per una missione popolare, tanto attiva quanto contemplativa, verso tutti, in fretta. Ratzinger preferisce sotto- lineare la precisione della verità, anche a costo che la Chiesa sia una minoranza, e si esprime senza gli accenti dell’urgenza.

Il saggio finale è di John Milbank, il quale svolge una riflessione sul metodo dell’interpretazione della storia e dei testi a partire dal pensiero poetico e sociale di Charles Péguy. Ci è piaciuto offrire questo contributo in particolare per le domande concrete che esso suscita: idealmente

“lancia in avanti” una pista da continuare a investigare. Anche alla luce

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del Magistero di Papa Francesco, il contributo di Milbank sottolinea l’importanza del tema proposto e della decisione di accostare Ratzinger e Daniélou, per operare il discernimento dei segni dei tempi cui siamo chiamati. Entrambi gli autori studiati, sia nella loro profonda vicinanza sia nella loro differenza, sono esempi esimi di tale discernimento.

Milbank afferma in apertura che la forma della poesia di Péguy, “varia- zioni su tema”, non ammette una “sistematica chiusura interpretativa”. Il lettore non può “interpretare genuinamente, ma solo glossare, o ripetere differentemente in una sorta di prosieguo del testo in termini di metodo e contenuto insieme”. Ciò potrebbe sembrare un limite, ma secondo Milbank rappresenta invece il cuore stesso dell’atteggiamento corretto non solo dell’interprete di Péguy, ma anche dello storico, dell’esegeta, e in generale del cristianotout court. Questa considerazione sorprendente è in netto contrasto con la “religione civile dell’avvenire” (civil religion of futurity) che caratterizza gran parte del pensiero e dell’azione tempo- rale di oggi. La storia non è un processo di aggregazione, un meccanico

“progresso”, Milbank sostiene, ma è il tempo di un organismo che nasce e invecchia e che ha bisogno di ri-nascere attraverso il ritorno alle fonti, come abbiamo ampiamente visto in Daniélou e Ratzinger nella prima parte di questo volume.

Milbank espone quattro critiche di Péguy allo “storicismo laico e po- sitivista”. Centrale in queste critiche è la costatazione che il concetto di

“evento” che fonda la possibilità stessa di pensare un veronovum nel tempo ha la caratteristica di essere un “esempio di particolare unici- tà finita” che però “sembra coincidere con l’infinito”. Perciò, “l’unica storia possibile consisterebbe allora in una mediazione tra oggettivo e soggettivo,” comprendente sia la fedeltà ad un orizzonte di significa- to proprio del passato, sia un impegno ad approfondire quello stesso orizzonte nel futuro. Questo punto, secondo Milbank, apre al fatto che soltanto la storia sacra è in grado di superare le aporie ivi nascoste. “La

‘spiegazione’ di un avvenimento deve cedere il passo [. . .] al carattere rivelatore di un avvenimento”.

L’importanza di questo principio si evince da un paragone tra la conce- zione gioachimita e agostiniana della storia, gravide di conseguenze per

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la comprensione della cristologia (incarnazionista o escatologica), il rap- porto tra natura e grazia, tra materia e spirito. Per Milbank, “l’approccio di Péguy effettivamente fa rivivere, in modo nuovo e per certi versi mo- derno, proprio questa visione della storia agostiniana e cristocentrica, che tuttavia era stata intralciata da Gioacchino”. Possiamo notare che Daniélou fa propria questa visione della storia, e dipende direttamente da Péguy per alcune scelte cruciali che lo distanziano da Gioacchino. Se- condo Milbank, Ratzinger invece, nella stagione giovanile rappresentata dalla sua tesi di dottorato su Bonaventura, “sembra assegnare uguale validità alla posizione di Tommaso più agostiniana sulla storia e a quella più gioachimita di Bonaventura”. E nella sua maturità (rappresentata da Introduzione al cristianesimo), Milbank evince un’apparente antitesi in Ratzinger: “si trovano affermazioni secondo cui la cristologia non deve essere concepita come Dio che ‘affonda ulteriormente le radici nel mon- do’, ma piuttosto come un incoraggiamento alla trascendenza spirituale del mondo”. Questa antitesi, se esiste, ha conseguenze per il rapporto carisma-istituzione oltre che per il rapporto tra il Figlio e lo Spirito.

Il punto cruciale per Milbank sta nella capacità dell’approccio ago- stiniano (che, secondo lui, è proprio anche di Daniélou) di dare meno importanza provvidenziale agli eventi specifici della storia della Chiesa, per rispettare la logica dell’Incarnazione: “tutta la dimensione mera- mente umana è ora di ugual valore sacro e tutta la storia della Chiesa è satura di significato divino-umano”. Si può arrivare a questa considera- zione anche per la via aristotelico-tomista: “per l’Aquinate [. . .] l’intera possibilità di un evento storico scientificamente significativo dipende dall’Incarnazione, in cui la prima e universale causa ha assunto in sé un essere umano particolare e una storia umana specifica”. Con ciò si può tornare al punto di partenza e vedere che “nei termini di Charles Péguy [. . .] la vita cristiana ‘ripete’ sempre lo stesso evento-Cristo, ma non-identicamente”. La liturgia presenta esattamente questo parados- so, un evento che ha un inizio ma non ha un fine, e che è memoriale, presenza del passato in un eterno presente.

Le conseguenze per la vita sociale sono profonde. Lasciando l’intera serie delle considerazioni di Milbank alla lettura del suo articolo, pos-

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siamo sottolineare la sua affermazione che “tutta la finita vita umana scorre in cerchi, e quindi noi dovremmo ripetutamente inscrivere tali cerchi non al di fuori di un obiettivo, non per raggiungere un qualche punto finito, ma giocosamente, come bambini e al di là di una speranza che non è speranza di qualcosa di definito, ma oscuramente speranza remota di beatitudine eterna, nella quale l’inutilità oltre il limite verrà completata infinitamente”. Il Dio fattosi uomo insegna, anche attra- verso le proporzioni schiaccianti della vita nascosta rispetto alla vita pubblica, “l’aspetto puramente ludico, gioioso della vita fine a se stessa come vissuta dai gigli del campo”. In altre parole, la vita vissuta con un cuore puro, che ha imparato attraverso l’Incarnazione a stimare il tempo presente, compresa la materia, la politica, e il lavoro, senza fare della speranza una proiezione mitologica nel futuro immaginario.

L’appendice del volume raccoglie tre contributi più brevi, offerti da studiosi che hanno partecipato al congresso.

Il primo, di Isabel Troconis, evidenzia come la risposta ratzingeriana al- lo storicismo sia ispirata dall’antropologia relazionale biblico-patristica e dalla struttura profonda dell’ontologia dell’immagine, in quanto rac- cordo tra la Trinità e la creazione. Sincero Mantelli mette in evidenza la centralità nel pensiero di Daniélou dell’akolouthia, elaborata nella teologia di Gregorio di Nissa, come categoria che collega il livello esege- tico e quello dogmatico, in quanto traccia della profondità del mistero presente nella storia, che unisce passato e presente. Infine, Giuseppe Fidelibus mostra la centralità e l’attualità del rapporto agostiniano tra fede e ragione attraverso la sua irradiazione nella teologia di Ratzinger.

Buona lettura!

Roma, 11 luglio 2016, Festa di S. Benedetto Jonah Lynch

Giulio Maspero

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Nota sull’interpretazione della “beatitudine” dei “puri di cuore”

(Mt 5,8) di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI. Gli agganci del suo pensiero con qello di Ireneo di Lione1

Réal Tremblay C.Ss.R. (Alfonsiana, Roma)

Non vi sarà più maledizione. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte. Ap 22,3-4.

Desideriamo la patria di lassù, aspiriamo alla patria di lassù. (. . .) Che cosa vedremo? Vedremo la luce stessa apertamente e saremo purificati per essere capaci di vederla e di portarla. Sant’Agostino Da quando la teologia esiste, pagine e pagine di esegesi e di riflessioni teologiche sono state scritte su questa sesta “beatitudine” delDiscorso della montagna della versione matteana. Molte considerazioni sono

1 Questo testo è già apparso, con leggere modifiche, nel mio recente libroChiamati alla comunione del Figlio. Aspetti teologici e etici della vita filiale, LUP, Città del Vaticano 2016, 185-195.

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state oggetto di questa “beatitudine”, buone e meno buone, soprattutto in rapporto con la virtù della purezza. Credibili o no, Joseph Ratzin- ger/Benedetto XVI non utilizza alcun risultato di questi studi. Opta piuttosto per un breve commento al testo sacro, farina del suo sacco, che inserisce nel primo tomo della sua operaGesù di Nazaret.2Dall’ap- parenza piuttosto banale a una prima lettura, questo commento si rivela, a una seconda lettura, di grande profondità e di vasta portata.

Nelle poche pagine che seguono, mi propongo di seguire lo sviluppo del pensiero dell’autore e di trarne profitto per una teologia morale di tipo cristico e filiale.

* * *

È nota l’importanza che Joseph Ratzinger/Benedetto XVI attribuisce al “cuore”.3È qui servito a piacimento. In questo commento, si interessa subito a precisare il senso del termine “cuore”. Esso è l’organo con cui si può vedere Dio. In questo caso, la ragione non è sufficiente. Affin- ché l’uomo possa aver accesso a Dio, tutte le forze della sua esistenza devono agire di concerto. La volontà deve essere pura, come deve es- serlo anzitutto il “fondo affettivo dell’anima” che orienta la ragione e la volontà. Con “cuore” si intende per l’appunto questa combinazio- ne interiore delle forze di percezione dell’uomo, che implica anche la giusta compenetrazione del corpo e dell’anima che appartengono alla

2 J. Ratzinger/Benedetto XVI,Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 118-121 (Orig.

J. Ratzinger/Benedikt XVI,Jesus von Nazareth. Erster Teil: Von der Taufe im Jordan bis zur Verklärung, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2007, 123-127).

3 Nella sua tesi di dottorato, L. D. Albóniga ha trattato tale questione con profondità ed esaustività:El Logos tiene un corazón. El amor, identidad ad dinámica de la exi- stencia en Benedicto XVI y su significado para la teología moral fundamental, Agape Libros, Buenos Aires 2014, 377-463. Cfr. Anche la grande opera di C. Bertero, Persona e comunione. La prospettiva di Joseph Ratzinger (Corona Lateranense, 58), Lateran Press University, Città del Vaticano 20152,passim (vedere le voci: “Abba”;

“Fraternità”; “Preghiera”; “Preghiera di Gesù”; “Immagine e somiglianza”; “Rela- zione”). Cfr. infine i miei lavori sull’argomento in R. Tremblay,Prendete il mio giogo. Scritti di teologia morale fondamentale, (Saggi per il nostro tempo, 22), Lateran University Press, Città del Vaticano 2011, 261-301.

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creatura umana nel suo insieme. La disposizione affettiva fondamentale dell’uomo dipende precisamente da questa unità dell’anima e del corpo e dal presupposto che l’uomo accetti insieme il suo essere corporeo e il suo essere spirituale, che sottometta il corpo alla disciplina dello spirito, senza isolare la ragione o la volontà, ma ricevendo se stesso da Dio e così riconoscendo e vivendo la corporeità della sua esistenza come ricchezza per lo spirito. “Il cuore – la totalità dell’uomo, conclude il nostro autore, deve essere pura, intimamente aperta e libera perché l’uomo possa vedere Dio”.4

Si pone allora la questione: come diventa puro l’occhio interiore del- l’uomo? La tradizione mistica dell’ascesa verso Dio attraverso un “iti- nerario” di purificazione ha cercato di rispondere a tale domanda. Ma la lettura delle “Beatitudini” deve farsi in un contesto biblico. In questo contesto, si trova il Sal 24, espressione di un’antica liturgia di ingresso al santuario. Ora, i versetti 3 e 4 suonano così:

3Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?

4Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli, chi non giura con inganno.

Il salmo spiega in molti modi il contenuto di questa condizione per avere accesso a Dio. Un presupposto indispensabile è che gli uomini debbano cercare Dio, ricercare il suo Volto (v. 6). Ma anzitutto e come contenuto delle “mani innocenti” e del “cuore puro”, vi sono le esigenze di non mentire e di non pronunciare falsi giuramenti. Così dunque l’onestà, la sincerità, la giustizia verso il prossimo e la società sono comportamenti che possiamo etichettare come etica sociale, ma che, in realtà, affondano le loro radici nel fondo del cuore.

Il Sal 15 sviluppa ancor più questa prospettiva cosicché si può dire che il contenuto essenziale del Decalogo è molto semplicemente la condizione di accesso a Dio con l’accento messo anzitutto sulla ricerca interiore di Dio, sul fatto di essere in cammino verso di lui (prima Tavola) e poi sull’amore fraterno e la giustizia verso gli individui e

4 J. Ratzinger/Benedetto XVI,Gesù di Nazaret, 118 (orig., Jesus, 124).

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la comunità (seconda Tavola). Non è nominata alcuna condizione che scaturisce specificamente dalla conoscenza della rivelazione, ma si parla della ricerca di Dio, di indicazioni essenziali della giustizia che una coscienza vigilante, tenuta desta precisamente con la ricerca di Dio, detta a ciascuno.

Sulla bocca di Gesù, questa “beatitudine” acquisisce tuttavia una pro- fondità inedita. Essa fa parte per così dire della sua “natura specifica”.

“Vedere Dio”, porsi faccia a faccia davanti a lui in un continuo scam- bio interiore è “vivere l’esistenza da Figlio”. In tal modo, l’espressione acquisisce una forte valenza cristologica.

Da ciò deriva che vedremo Dio quando entreremo “nei sentimenti di Cristo” (cfr. Fil 2,5). La purificazione del cuore si realizza nella “sequela di Cristo”, nella nostra unione con lui nel senso paolino del termine:

“Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Qui, continua il nostro autore, appare un nuovo dato. L’ascesa verso Dio avviene effettivamente nella “discesa” dell’umile servizio, nell’ab- bassamento dell’amore che “è l’essenza di Dio” e, in tal modo, forza veramente purificatrice, che rende l’uomo capace di percepire e vedere Dio. In Gesù Cristo, Dio stesso si rivela abbassandosi. E l’autore cita Fil 2,6-9:

Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diven- tando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.

Queste parole segnano dunque una svolta decisiva nella storia della mistica. Mostrano la novità della mistica cristiana che deriva dalla novità della rivelazione in Gesù Cristo.

Dio discende, fino alla morte sulla croce. E proprio così si rivela nella sua autentica divinità. L’ascesa a Dio avviene nell’accompagnarlo in questa discesa.5

5 Ibidem, 121. Trascrivo qui l’originale tedesco per desiderio di una più grande fedeltà al pensiero dell’autore. Sottolineiamo tra le altre cose l’uso dei terminiAbstieg

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La liturgia dell’ingresso nel santuario delSal 24 riceve così un nuovo senso: il cuore puro è il cuore amante cheentra in comunione di servizio e di obbedienza con Gesù Cristo. L’amore è il fuoco che purifica e unisce ragione, volontà, sentimento; è ciò che unifica l’uomo in se stesso in virtù dell’azione di Dio così da farne il servitore dell’unità di coloro che sono divisi. Così l’uomo fa il suo ingresso nella dimora di Dio e può vederlo. È esattamente quello che significa essere “beato”.

* * *

Il cuore puro che vede Dio e che è detto beato in questa “beatitudine”

è, propriamente parlando,il cuore stesso del Signore in quanto è il Figlio.

Per avere un cuore tale, il credente dovrà raggiungere Gesù, unirsi a lui, salire verso di lui,diventare figlio come lui.6

Ma questa purificazione del cuore nell’unione al cuore del Figlio si realizzerà praticamente in una discesa con lui verso il mondo, in un servizio radicale dei fratelli fino all’abisso dell’amore crocifisso.Salire in Dio, è discendere con lui verso gli uomini. L’“essenza divina è amore”.

* * *

Studiando altrove il senso che Joseph Ratzinger/Benedetto XVI at- tribuisce alla scena giovannea della trasfissione di Gesù crocifisso (cfr.

Gv 19,34) e così il senso che dona allo sguardo gettato su di lui, sguardo che dona ai credenti un “cuore che vede”, mi ponevo questa domanda:

eAufstieg per significare alla lettera rispettivamente “discesa-abbassamento” e

“salita”: “Gott steigt ab, bis zum Tod am Kreuz. Und gerade so offenbart er sich in seiner wahren Göttlichkeit. Der Aufstieg zu Gott geschieht im Mitgehen bei diesem Abstieg”.Jesus, 126.

6 Un’affermazione analoga se trova in sant’Agostino: “Solo enim corde videtur Ver- bum: caro autem et oculis corporalibus videtur. Erat unde videremus carnem, sed non erat unde videremus Verbum: factum est Verbum caro, quam videre possemus, ut sanaretur in nobis unde Verbum videremus”.1 Epist. Joan., tr. 1, 1 (SCh., 75, 112).

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A motivo delle sue radici, non si potrebbe adottare l’espressione un “cuore che vede” come un compendio, insieme significativo e attraente, per desi- gnare e concepire una morale fondamentale che, secondo le indicazioni del Vaticano II, riconosce Cristo come centro della riflessione etica?7 Alla luce dell’interpretazione che Joseph Ratzinger/Benedetto XVI dà qui alla sesta “beatitudine” delDiscorso della montagna di Gesù, si può dire che l’intuizione un po’ audace di allora riceve ora un sostegno fondato. È nel cuore del Cristo-Figlio che si realizza la visione di Dio che beatifica, ed è lì che sgorga, per i suoi, lasorgente di questa immersione nell’intimità di Dio (“centro”, fondamento). Ma questa ascesa in Dio si compie necessariamente nell’abbassamento totale della croce per gli altri. Infatti, “Dio è amore” (cfr. 1Gv 4,16) e la condizione di possibilità dell’ascensione verso Dio è la discesa verso i fratelli, la pro-esistenza radicale in loro favore (“etica”, agire morale).

* * *

All’inizio degli anni 70 concludevo, all’università di Ratisbona, un dottorato sulla manifestazione e visione di Dio secondo sant’Ireneo di Lione8sotto la direzione dell’allora professor Joseph Ratzinger. Questo tema della visione di Dio è stato dunque ripreso dal maestro stesso alla luce delDiscorso della montagna nella versione matteana. Questo legame tra maestro e discepolo, ai miei occhi non è banale. Lungi da me il pensare che Joseph Ratzinger/Benedetto XVI abbia avuto all’orizzonte del suo pensiero i risultati della mia ricerca scrivendo le pagine qui studiate sulla beatitudine dei cuori puri che vedono Dio. Sarebbe una pretesa gratuita. Ma mi piace sottolineare in questo caso che, a dispetto delle epoche e dei contesti culturali diversi, il pensiero di Ireneo e quello di Ratzinger si incontrano nell’essenziale. Vorrei rapidamente illustrare questo.

7 R. Tremblay,Regarder le Christ transpercé, «Studia Moralia» 45 (2007) 81-82.

8 Idem,La manifestation et la vision de Dieu selon saint Irénée de Lyon (MBTh., 41), Aschendorff, Münster 1975.

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Mentre gli gnostici chiudono il cielo agli uomini considerando il loro

“Padre supremo” del Pleroma invisibile e inaccessibile – per loro la sal- vezza consiste precisamente nel “conoscere” che l’Essere supremo della sfera eonica sfugge alla presa di tutti9–, Ireneoapre il cielo agli uomini.

Se è vero che, secondo lui, il Padre di Gesù è in sé di una grandezza inaccessibile, questo Padre, per amore, si dà a vedere agli uomini che lo amano. Ascoltiamo Ireneo stesso:

Dunque i profeti preannunciavano che Dio sarebbe stato visto dagli uomini, come dice anche il Signore: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,6). Ma, secondo la sua grandezza e la sua gloria indicibile nessuno può vedere Dio e restare vivo [Es 33,20], perché il Padre è inconoscibile; invece secondo il suo amore, secondo la sua umanità e secondo il potere che ha su tutto, egli concede persino questo a coloro che lo amano: di vedere Dio, cosa che preannunciavano i profeti. Perché ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio (Lc 18,27). Da se l’uomo non potrà certo vedere Dio, ma lui se vuole, si farà vedere dagli uomini, da chi vuole, quando vuole e come vuole.10

Dio si dà a conoscere nel suo Figlio secondo la bella espressione di Ireneo: “La Realtà invisibile che si vedeva nel Figlio era il Padre”, e il suo

9 Si potrebbe trovare una certa attualizzazione delle “gnosi” nel libro recente di S. Abad-Gallardo,J’ai frappé à la porte du Temple. . . Parcours d’un franc-maçon en crise spirituelle, Téqui, Paris 2015, 112s.

10Ireneo di Lione,Contro le Eresie IV, 20, 5 (traduzione di A. Cosentino, Città Nuova, Roma, 2009, vol. 2, 215-216). Si crederebbe udire un’eco di questo brano ireneano in questo testo di san Pietro Crisologo: “Come lo sguardo umano avrebbe potuto abbracciare Dio, che il mondo nei suoi limiti non riesce a comprendere? La forza dell’amore non considera che cosa voglia, che cosa debba, che cosa possa. L’amore ignora il discernimento, è privo di ragione, non conosce misura; l’amore non ricava conforto dall’impossibilità, non trova un rimedio nella difficoltà”. Pietro Crisologo, Terzo discorso sulla nascita del Signore, Sermone 147, 6 [Sermoni, a cura di Gabriele Banterleet al., Biblioteca Ambrosiana – Città Nuova, Milano – Roma 1997, (vol. 3 deiSermoni), 149.151].

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indispensabile complemento: “la Realtà visibile nella quale si vedeva il Padre era il Figlio”.11

Ireneo completa altrove il suo pensiero aggiungendo altri elementi essenziali. Al momento della venuta del Figlio, Dio “è visto per mezzo del Figlio secondo l’adozione”,12 cioè per una parentela d’essere con il Figlio che apre sul Padre e che dona di “partecipare al suo splen- dore” vivificante. “Tale è il motivo per cui colui che è inconoscibile, incomprensibile e invisibile si offre in modo visibile, comprensibile e conoscibile agli uomini”.13

È dunque entrando nello spazio dell’essere filiale di Gesù che il cre- dente acquisisce gli occhi che gli permettono di tuffarsi nel cuore del mistero paterno al quale dovrà ancora adattarsi contemplando il Figlio nel suo “Regno” che precede il “Regno del Padre”.14C’è bisogno di sot- tolineare che non si tratta in questo caso di una semplice osservazione di Dio, né di uno sguardo su Dio, ma di uno sguardo in Dioche produce rapporto, unione, parentela divina? Ireneo non nomina qui, come in Rat- zinger, il “cuore”, questo organo sintesi di rassomiglianza con il Figlio che rende adatti a penetrare ciò che vede, ma si appoggia soprattutto sulla vista legata alla fede che genera rapporto, unione alla persona contemplata.

Ireneo è molto trinitario nella sua teologia della visione di Dio. Il Padre è il vertice di tutto. In un testo splendido, mostra che è lo Spirito del Figlio che, prima in “caparra” e poi in “pienezza”, svelerà all’uomo risorto nel suo corpo e nella sua anima tutto lo splendore del volto paterno e la sua identità di immagine e somiglianza con Dio:

Se dunque al presente, avendo ricevuto questa caparra, noi gridiamo:

“Abba, Padre”, che sarà quando, essendo risuscitati, lo vedremo faccia a faccia, quando tutte le membra genereranno come uno zampillo, un inno

11Ireneo di Lione,Contro le Eresie IV, 6, 6 (traduzione di Cosentino, ibidem, 64).

Questa traduzione è modificata secondo quella di A. Rousseau della collana “Sources Chrétiennes” 102/2, 450.

12Ibidem IV, 20, 5 (traduzione di Cosentino, ibidem, 216).

13Ibidem.

14Su questo punto, cfr. Tremblay,La manifestation, 149-156.

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d’esultanza, glorificando colui che li avrà risuscitati dai morti e avrà donato loro la vita eterna? Se infatti la caparra, sviluppando l’uomo da tutte le parti, gli fa dire “Abba, Padre”, cosa farà la grazia tutta intera dello Spirito, quella grazia che verrà donata da Dio agli uomini? Ci renderà simili a lui, e compirà la volontà del Padre: infatti renderà l’uomo immagine e somiglianza di Dio.15

* * *

Il pensiero di Ratzinger fondamentalmente non si distanzia da questa teologia ireneana della visione di Dio. Senza forzare indebitamente le cose, si potrebbe dire che essa la contiene in germe, tenendo conto della sua riflessione di tipo più cristologico ed etico.

Ecco un esempio che illustra bene, mi sembra, questa affermazione.

Quando Ireneo parla della Croce “impressa nell’intera creazione”,16e vi vede “il Verbo di Dio unito alla carne e crocifisso, (che) ricapitola in lui gli uomini e manifesta loro il potere che esercita di modo invi- sibile sopra tutta la creazione”,17Ratzinger lo segue. Nella logica della Croce, considera la condizione di possibilità della visione di Dio per i “cuori puri” come una discesa diaconale, una presenza pro-esistente, una venuta tra gli uomini per servire. In questo caso il pensiero si fa certamente più concreto, ma il nocciolo è in definitiva lo stesso.

* * *

Sarebbe sicuramente esagerato di voler uguagliare in tutto e per tutto il pensiero di Ratzinger con quello di Ireneo sulla dottrina in questione e su altre analoghe. Ma mi sembra che oltre agli accostamenti già ricordati, un punto di incontro (centrale in entrambi gli autori) sia inconfutabile:

l’uomo Gesù può vedere Dio ed essere beatoperché il suo Cuore è quello

15Ireneo di Lione,Contro le Eresie V, 8, 1 (traduzione di Cosentino, ibidem, 325).

16Ibidem V, 18, 3 (traduzione di Cosentino, ibidem, 360). In Irénée de Lyon, Adversus Haereses, V, 18, 3 (SCh., 153, 244.246), A. Rousseau traduce così: “fichée, enfoncée dans la création entière”.

17Tremblay,La manifestation, 109.

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di un Figlio e i credenti potranno godere dello stesso favore divenendo mediante lui e in lui dei figli. L’“Abisso” inaccessibile del Pleroma gno- stico non entra qui in considerazione. Da lui emanavano, pensavano gli eretici, degli Eoni che erano in ultima analisi delle degenerazioni che lo isolavano nella sua grandezza impenetrabile e lo rendevano inoperante, mentre il vero Dio, quello dei nostri due teologi, è un Dio tri-personale che, per l’Amore che è (cfr. 1Gv 4,6), apre il suo Cuore alla sua creatura di carne ed ossa e gli dona di partecipare alla sua intimità.

* * *

Concludendo, vorrei ringraziare gli organizzatori di questo colloquio per avermi fornito l’occasione di rendere omaggio, in questa fase della mia vita di teologo, ai due grandi dottori dell’esistenza cristiana che mi hanno aiutato ad approfondire un tema capitale per la vita morale dei credenti e, come ha mostrato H.U. von Balthasar, per la teologia in generale.18Dar seguito a questa riflessione sulla visione, è quello che ho tentato di fare, come un direttore d’orchestra che fa emergere, nello svolgimento dello spartito che segue l’ouverture, le linee melodiche che si trovano abbozzate o suggerite. Spero di avervi contribuito.19

18Cfr. H.U. von Balthasar,Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik. Bd. II: Fächer der Stile. Teil 1: Klerikale Stile, Johannes Verlag, Einsiedeln 1969, 29-94.

19Per una visione di insieme, cfr. R. Tremblay,Fonder la vie morale des croyants dans le Fils. Quelques éléments d’histoire et vue d’ensemble, in J. Mimeault–S. Zambo- ni–A. Chendi (a cura di),Nella luce del Figlio. Scritti in onore di Réal Tremblay nel suo 70ogenetliaco, EDB, Bologna 2011, 35-41.

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Approccio sistematico

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della storia

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(Universidad Eclesiástica San Dámaso, Madrid)

Il tema che mi è stato chiesto di affrontare è: “I Padri come risposta (Ant- wort) alla Parola (Wort)”. Al riguardo, Ratzinger tenne una conferenza dal titolo “Die Bedeutung der Väter für die gegenwärtige Theologie” (“Il significato dei Padri per la teologia attuale”), in due occasioni. La prima, all’interno del IX convegno dell’Internationales Forschungszentrum für Grundfragen der Wissenschaften (Centro internazionale di ricerca per le questioni fondamentali della scienza) di Salisburgo, dal 25 al 29 settembre 1967. Il titolo delle giornate era “Geschichtlichkeit der Theo- logie” (“Storicità della teologia”). I relatori, oltre a Ratzinger, furono Karl Rahner, Norbert Brox, Thomas Michels, Gustave Thils e Wilhelm Dantine. Gli atti delle conferenze erano pubblicati nel 1970 da padre Thomas Michels. Sono molto interessanti, dal momento che raccolgono, oltre ai testi delle relazioni, anche il contenuto delle discussioni tra i partecipanti. Ratzinger presentò di nuovo il suo contributo presso la Fa- coltà di teologia cattolica di Tubinga il 9 novembre 1967, all’interno del ciclo di conferenze “Theologie und Theologien” (“Teologia e Teologie”).

Hans Küng racconta che, dopo l’intervento, Ernst Käsemann gli disse:

“Adesso so di certo perché non potrei mai essere cattolico”.1 La rivi- staTheologische Quartalschrift di Tubinga ne pubblicò il testo nel 1968.

Nel 1982 il testo apparve in un volume intitolatoTheologische Prinzipien- lehre, che vuol dire Teoria dei principi teologici, in cui furono raccolti vari lavori di Ratzinger riguardanti diverse questioni di teologia fondamenta- le. In occasione dell’edizione del 1982, Ratzinger modificò leggermente il titolo dell’articolo: da “Die Bedeutung der Väter fur die gegenwärtige

1 H. Küng,Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen, Piper, München 2007, 227: “Jetzt weiß ich wieder, warum ich nicht katholisch sein kann“.

Riferimenti

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