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ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI

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Academic year: 2022

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1 ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI

Conferenza del Prof. Massimo De Felice 9 gennaio 2014

L’assicurazione contro i rischi sul lavoro, tra storia e innovazione

Sommario – 1. Un dibattito lungo più di un secolo: I rischi sul lavoro. Il “risk management”

all’attenzione degli Stati – 2. Numeri e compiti dell’Inail, innovare l’organizzazione:

Alcuni numeri. “Missioni e programmi”. Aspetti innovativi e potenzialità della ri-organizzazione – 3. Il “progetto dati”, primo passo per radicare la cultura informatica: Il primo passo.

Intersezioni e sviluppi. La teoria, la storia – 4. La ricerca, per migliorare assistenza e prevenzione, per contribuire alla gestione: Una storia lunga e gloriosa. Ri-organizzare il governo della ricerca – 5. Fare formazione: Il valore della formazione. L’importanza dello stile:

insegnare per problemi. La formazione “interna” – 6. Richiami storici e osservazioni tecniche per il dibattito politico sull’“assicurazione obbligatoria di Stato”: La critica all’“assicurazione obbligatoria di Stato”. Sul calcolo del premio. Questioni sulla riserva. Qualche altro aspetto. L’importanza per l’assicurazione delle attività non-assicurative. L’auspicio di Keynes.

1. Un dibattito lungo più di un secolo

I rischi sul lavoro – Il tema dei “rischi sul lavoro” – che portano infortuni e malattie professionali – percorre la storia dell’industrializzazione e della previdenza sociale. Ha sollecitato dibattiti e approfondimenti “disciplinari”: negli ambiti della medicina e della sanità, dell’organizzazione dei processi produttivi, del ruolo dello Stato (pro e contro lo

“Stato sociale”); sul principio di responsabilità e sui principî dell’assicurazione (per la definizione di premi e prestazioni); sull’informazione e sulla formazione (professionale), con specifica finalità di prevenzione; ha posto problemi alla statistica: di rilevazione e di lettura dei dati, di costruzione di indici, sulla “misurazione” dei rischi.

Come nota al margine va ricordato che all’inizio del Novecento gli infortuni sul lavoro sono stati argomento per l’incontro elegante tra assicurazione e letteratura, per via delle Relazioni che Franz Kafka scrisse – tra il 1908 e il 1916 – quando lavorava a Praga nell’Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt für das Königreich Böhmen, l’Istituto di

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2 assicurazione contro gli infortuni sul lavoro per il Regno di Boemia (dopo essere stato impiegato ausiliario della compagnia triestina Assicurazioni generali)1.

L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (l’Inail) è stato – da più di un secolo, e attivamente – al centro del dibattito.

Il “risk management” all’attenzione degli Stati – Oggi il perimetro di questo dibattito è stato esteso. I “rischi sul lavoro” sono inquadrati nell’ambito generale del “risk management”;

sono visti nella correlazione con altri rischi che i Governi si trovano a dover gestire (rischi da eventi naturali, rischio di povertà, rischi ambientali, sanitari, da terrorismo); il

“controllo del rischio” è stato posto all’attenzione degli Stati, come strumento per “salvare vite umane”, per la tutela della stabilità sociale, come opportunità per lo sviluppo.

L’ultimo report 2014 della Banca Mondiale su Risk and Opportunity. Managing risk for Development definisce con chiarezza i termini del problema: il rischio non può essere eliminato; l’incertezza domina il campo d’azione, (spesso è “deep uncertainty”) per fronteggiarla deve essere reperita e interpretata l’informazione “rilevante”; i soggetti non riescono a agire in modo “completamente razionale”, perciò – per migliorare i comportamenti in condizioni di incertezza – è fondamentale l’educazione e la formazione;

molte azioni cruciali sono collettive, dipendono da decisioni di gruppo, quindi richiedono capacità di coordinamento.

Bisogna dare istruzioni per disciplinare il “falso senso di sicurezza”: anche per i sinistri

“rari” non bisogna lasciar assopire l’“attenzione alla vigilanza”. Le tecniche di “risk management” debbono sfruttare l’innovazione tecnologica, perciò vanno sostenute con la ricerca e mantenute sulla frontiera della tecnologia. L’azione politica deve coordinare decisioni individuali e decisioni pubbliche (delle istituzioni); deve avere la forza di fronteggiare gli interessi dei gruppi di pressione (il report richiama come emblematico – a pagina 18 – il ruolo delle “lobby dell’amianto”). Non si deve cedere alla “vista corta”: i costi di prevenzione vanno valutati correttamente, con il criterio del trade-off; sono spesso investimento con rendimento ragguardevole (per lavoratori, imprese e Stati), sono componente essenziale della produttività di medio-lungo termine (una recente meta- analisi – citata anche nel report a pagina 171 – misura un risparmio di 3,27 dollari sulla voce “cure mediche” per ogni dollaro investito nella tutela della qualità dei luoghi di lavoro, e di 2,73 dollari sulla voce “assenteismo”, sempre per un dollaro investito2). La prevenzione va coordinata con le politiche di assicurazione, ma il coordinamento deve essere effettuato con accortezza, per evitare gli effetti della “selezione avversa” e del

“moral hazard”. Riemergono i grandi temi della teoria: il ruolo degli incentivi, l’informazione asimmetrica, la razionalità limitata.

Per tutto questo il report della Banca Mondiale fornisce un quadro di insieme prezioso, e indicazioni particolari, utili e numerose; ma il messaggio più importante viene dai riferimenti bibliografici: si risale a Bernoulli – allo Specimen Theoriae Novae de Mensura Sortis – , si citano von Neumann e Morgenstern, Hurwicz e Kuznets, Knight e Schumpeter, Merton Miller, Maurice Allais, Kahneman e Tversky, Elinor Ostrom e Buchanan, Ronald

1Kafka, F., Relazioni, Torino, Einaudi, 1988.

2 Baicker, K., Cutler, D., Song, Z., Workplace Wellness Programs Can Generate Savings, Health Affairs 29(2010), 2.

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3 Coase e Duncan Black. E’ un modo subliminale per riaffermare l’importanza della teoria e dell’alta tecnica come base per l’azione politica consapevole e per il governo delle Istituzioni (e delle imprese).

L’Inail si trova a dover rispondere a queste sollecitazioni.

2. Numeri e compiti dell’Inail, innovare l’organizzazione

Alcuni numeri – L’Inail è un istituto grande e complesso. Ha circa 9.000 dipendenti (tra il personale, oltre ai ruoli amministrativi, ci sono i corpi tecnici: medici, avvocati, statistici e attuari, architetti e geologi, ingegneri e tecnologi, chimici e biologi). La struttura operativa è distribuita in 215 sedi locali, 131 ambulatori, 3 centri di riabilitazione, 19 laboratori di ricerca. Per valutare i volumi di attività si consideri che nel 2012 l’Inail ha trattato circa 750 mila denunce di infortunio e 47 mila di malattia; dopo il lavoro di istruttoria ha riconosciuto circa 500 mila “infortuni sul lavoro” e circa 18 mila malattie professionali; ha erogato circa 800 mila rendite; ha emesso circa 4 milioni di DURC (il “Documento Unico di Regolarità Contributiva”)3; sono state controllate circa 23 mila aziende e regolarizzati circa 54 mila lavoratori; ha sostenuto circa 14 mila e 500 procedimenti legali; ha effettuato circa 83 mila servizi di omologazione e certificazione di attrezzature; sono state prestate circa 613 mila prestazioni per “prime cure” agli infortunati e 7 milioni di prestazioni sanitarie.

“Missioni e programmi” – Se si usa il linguaggio del bilancio per “missioni e programmi” di spesa4, le azioni caratteristiche che l’Inail svolge – oltre ai “servizi generali e istituzionali”

– sono rappresentate con quattro raggruppamenti: 1 – previdenza (è il nucleo dell’attività propriamente assicurativa: raccolta dei premi, pagamento delle prestazioni); 2 – assistenza sanitaria (prestazioni diagnostiche e curative per gli infortunati sul lavoro; prestazioni riabilitative post infortunio, per il recupero della capacità lavorativa; interventi per la fornitura di protesi); 3 – tutela contro gli infortuni sul lavoro (interventi per la sicurezza e la prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro; reinserimento degli infortunati nella vita di relazione; prestazioni istituzionali di certificazione e verifica); 4 – ricerca (nei campi della medicina e igiene del lavoro, delle tecnologie di sicurezza e innovazione tecnologica, nella protesica, nella statistica).

Aspetti innovativi e potenzialità della ri-organizzazione – Da qualche anno, i vincoli alla spesa pubblica hanno imposto anche all’Inail restrizioni sulle disponibilità di mezzi e competenze5. In ottemperanza alla norma e per mantenere l’efficienza è stato necessario definire un nuovo “regolamento di organizzazione”.

3 Il “Documento Unico Regolarità Contributiva” (DURC) è stato introdotto dalla legge 266/2002 per gli appalti pubblici e dal D.

Lgs. 276/2003 per i lavori privati in edilizia; attesta la regolarità contributiva dei datori di lavoro e il rispetto degli obblighi previdenziali e assistenziali nei confronti di Inps, Inail e Casse edili.

4 La classificazione del bilancio per “missioni e programmi” è stata introdotta con la legge 31 dicembre 2009, n.196; precisazioni e commenti sull’impostazione sono in Monorchio, A., Mottura L.G., Compendio di contabilità di Stato, Bari, Cacucci Editore, 2014, pp. 234-238.

5Legge 135 del 7 agosto 2012 (sulla Spending review); legge 125 del 30 ottobre 2013.

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4 Nella ri-organizzazione, c’è l’opportunità di sfruttare tre azioni innovative: partire dalle (nuove) potenzialità dell’informatica per ri-disegnare i processi di lavoro; indirizzare l’attività di ricerca anche per finalità gestionali e strategiche; dare un (nuovo) stile alla formazione professionale (verso l’interno e da svolgere all’esterno).

Sono azioni con una trama che si interseca, e che vanno coordinate; potranno inciampare sui vincoli delle norme, essere frenate dalla mentalità burocratica; pongono perciò, innanzitutto, una sfida culturale.

Tornano alla mente – come viatico – le parole con cui Giorgio Fuà descriveva la sua idea di

“servizio studi dell’ENI” (ai giovani ricercatori che stava selezionando): “costruire e far funzionare un’organizzazione pensante”, il cui scopo sia dato dalla “partecipazione quotidiana alla determinazione della strategia dell’Ente” (e “non principalmente da pubblicazioni”)6.

3. Il “progetto dati”, primo passo per radicare la cultura informatica

Il primo passo – Il primo passo per radicare nell’organizzazione la cultura informatica è stato compiuto col “progetto dati”, avviato dall’Inail lo scorso anno.

Il progetto ha una finalità tattica: rendere pubbliche (nel senso dell’“open data”) le informazioni su infortuni e malattie professionali; si inquadra nel piano governativo che vuol dare “trasparenza” alla pubblica amministrazione, per l’esercizio del controllo democratico. Oggi sono disponibili – sul portale dell’Inail – informazioni sui casi di infortunio, a livello di massima granularità (caso per caso) e rappresentate col “modello di lettura” (composto da 58 tabelle, corredato da un vocabolario e un thesaurus); entro giugno saranno resi pubblici i dati sui casi delle malattie; poi – e questo sarà il risultato più innovativo – i dati sulla consistenza economica dei fenomeni (l’analisi finanziaria dei flussi di pagamenti generati da infortuni e malattie professionali).

Già la realizzazione della prima fase del progetto ha consentito di individuare caratteristiche e azioni utili per qualificare la cultura e lo stile di gestione in generale.

Possono essere raccolte in cinque osservazioni principali.

1 – Costruire un “modello di lettura” dei dati è un esercizio di disciplina: richiede di definire la finalità della lettura, individuare le grandezze caratteristiche per la rappresentazione significativa del fenomeno che si deve analizzare (o gestire), il livello di dettaglio a cui operare (l’approssimazione). Il modello non deve essere né troppo semplice né troppo complesso, ma solo “adeguato allo scopo”. Questi stessi principî vanno tenuti in conto per differenziare i flussi informativi necessari per la gestione, ai diversi livelli di responsabilità (strategica, operativa).

2 – E’ stato necessario avviare la costruzione di un vocabolario del “linguaggio speciale dell’Inail”, che renda “precise” le definizioni delle grandezze rilevanti per la gestione (garantendo coerenza tra vocaboli e espressioni polirematiche provenienti dai “ceppi”

settoriali: amministrativo, assicurativo, contabile, giuridico, medico-legale, normativo, statistico); che sia di riferimento per la costruzione e la manutenzione dei “data model” di

6 La citazione è riportata da Antonio Pedone, nel saggio I primi incontri, in Luigi Spaventa economista civile, Torino, Nino Aragno Editore, 2013, pagina 5.

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5 settore e renda sicura – in senso semantico, con la tecnica del thesaurus – l’inter-operabilità tra database gestionali.

3 – Si è colta l’importanza di definire una “politica dei dati” a tutela della “data quality”, che sia in linea con i principî sanciti dagli International Standard7, e formalizzi le azioni finalizzate alla tutela della qualità in protocolli di comportamento: ove siano specificate le tecniche di misurazione (della qualità), i criteri da applicare per validare i dati, i ruoli di responsabilità nel processo di “validazione” (come richiesto dalla normativa europea per banche e assicurazioni8).

4 – Si è confermato importante che il controllo sulla qualità dei processi sia “indipendente”

dalla struttura operativa: anche questo punto è sancito nelle norme europee sulla governance di banche e assicurazioni, ove la funzione di “internal audit” è prescritto sia alle dipendenze del consiglio di amministrazione (l’“unità di auditing”, costituita dall’Inail col nuovo “regolamento di organizzazione”, segue questo principio).

5 – La logica degli “open data” potrebbe essere utilizzata per costruire un “grappolo” di dati “aperti all’uso” per la pubblica amministrazione. Con “modelli di lettura” definiti su finalità condivise potrebbero essere selezionati i dati di interesse, i metadati potrebbero garantire l’effettiva interoperabilità (compresa la coerenza temporale), vocabolario e thesaurus la coerenza delle analisi. E’ un approccio che potrebbe dare vigore alle attività cosiddette di “intelligence amministrativa”; alla gestione del “Sistema informativo per la prevenzione nei luoghi di lavoro” (il SINP9); che potrebbe essere proposta anche nel progetto di armonizzazione delle statistiche europee degli infortuni sul lavoro (finalizzati a costruire un insieme di “informazioni utili per l’elaborazione di nuove e maggiormente mirate politiche di prevenzione”10).

Insomma, la logica dell’“open data” potrebbe essere il mezzo per rendere operativo nella sua interezza quel grafo tra banche dati (di “amministrazioni ed enti, statali, parastatali e privati”) disegnato da de Finetti, che progettava – già nel 1962 – un sistema informativo nazionale, con collegamenti europei11.

Intersezioni e sviluppi – Il “progetto dati” ha consentito anche di avviare intersezioni con la ricerca e la formazione.

7 Nelle norme Software engineering – Software product Quality Requirements and Evaluation (SQuaRE) – Data quality model, International Standard ISO/IEC 25012:2008(E) sono individuate 15 caratteristiche rilevanti per la qualità dei dati: “1 – accuracy, 2 – completeness, 3 – consistency, 4 – credibility, 5 – currentness, 6 – accessibility, 7 – compliance, 8 – confidentiality, 9 – efficiency, 10 – precision, 11 – traceability, 12 – understandability, 13 – availability, 14 – portability, 15 – recoverability”. Le caratteristiche da 1 a 5 sono soltanto specifiche del dato (“inherent”); le 13, 14 e 15 dipendono soltanto dal sistema informatico di riferimento (sono

“system dependent”) ; le caratteristiche da 6 a 12 hanno entrambe le qualificazioni: “inherent” e “system dependent”. Commenti ai principî necessari per tutelare la qualità degli “open data” (sulla base dell’impostazione della Open Knowledge Foundation) sono in Formez PA, Open Data. Come rendere aperti I dati delle pubbliche amministrazioni, Roma, 2011, pagine 19-21.

8 Per le imprese di assicurazione: Directive 2009/138/EC of the European Parliament and of the Council of 25 November 2009 on the taking-up and pursuit of the business of Insurance and Reinsurance (Solvency II), Official Journal of the European Union, L335/1, 17.12.2009, articoli 86.f e 41.

9 Il SINP è istituito (con l’articolo 8 del Decreto legislativo n. 81 del 2008) “al fine di fornire dati utili per orientare, programmare pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l’integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate” . Costituiscono il SINP il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute, il Ministero dell’interno, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, l’Inail.

10 Eurostat, Statistiche europee degli infortuni sul lavoro (ESAW). Metodologia, 2001, doc. ESTAT/E3/HSW/2001/1130, pagina 4.

11 de Finetti, B., Sull’opportunità di perfezionamenti e di estensione di funzioni dei servizi anagrafici, Istituto di Demografia della Facoltà di Scienze Statistiche, Demografiche e Attuariali dell’Università di Roma, Roma, 1962, pagina 2.

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6 Spoglio bibliografico, collocamento dei temi del progetto nella letteratura, motivazioni delle scelte metodologiche e tecniche, risultati hanno dato corpo al primo “quaderno di ricerca” dell’Inail12. Il processo di lavoro sta definendo un itinerario di formazione ispirato alla tecnica del “fare e formare” – cioè dell’imparare facendo – e alla logica dell’“insegnamento per problemi”, già sperimentata altrove su temi di “risk management”13.

La componente economica del “modello di lettura” (da realizzare nello sviluppo della terza fase del progetto), oltre a dare informazioni pubbliche, sarà strumento per sostenere quella che le Istituzioni vigilanti (su banche e assicurazioni) definiscono “gestione sana e prudente”. In particolare servirà a arricchire la struttura informativa del “bilancio attuariale” dell’Inail: consentirà di potenziare il processo di verifica delle basi tecniche (in particolare delle tavole di mortalità) e il processo di calcolo della riserva, potrà rendere più stringenti – con la realizzazione di nuovi processi di calcolo – i criteri di controllo della solvibilità.

Sarà preziosa anche per ottemperare alla “verifica di sostenibilità economica, finanziaria e attuariale, asseverata dal Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali”, che l’Inail dovrà effettuare “a decorrere dall’anno 2016” a seguito della “riduzione di premi e contributi” prescritta dalla “legge di stabilità 2014”14.

La teoria, la storia – Molte scelte tecniche alla base del progetto hanno filtrato dibattiti correnti con l’esperienza storica.

L’impostazione del “modello di lettura” richiama, in grande, il problema fondamentale dell’inferenza statistica. Bruno de Finetti lo sintetizzò argomentando su una frase di Pirandello (amata da Giuseppe Pompilj), che diceva: “un fatto è come un sacco; vuoto, non si regge”; per giudicare i fenomeni (e utilizzare i dati che li descrivono) serve altro,

“occorre in più anche una qualche opinione per interpretarli e per utilizzarli sensatamente”15. Si va contro l’idea dell’“agnostic statistics” (cioè il tirare fuori da grandi quantità di dati informazione senza avere “opinione iniziale”), recentemente rilanciata a proposito del trattamento dei “big data”, per sottoscrivere – di fronte a questa

“epistemologia con la forza bruta” – la domanda (retorica): con una ricerca guidata da nessuna ipotesi teorica, non ispirata da alcuna intuizione, “che conoscenza possiamo ottenere?”16.

Nella redazione dei lemmi del vocabolario si è riscoperta l’efficacia della definizione

“operazionale” (come definita da Bridgman nel 1927 e che de Finetti ha messo alla base del suo probabilismo), fondata sui criteri di rilevazione misurazione e calcolo17. Il concetto di

12Ciriello, G., De Felice, M., Mosca, R., Veltroni, M., Infortuni sul lavoro. Un modello di lettura (della numerosità) su “open data”

dell’Inail, Inail, Quaderni di ricerca n. 1, maggio 2013.

13 De Felice, M., Moriconi, F., Una nuova finanza d’impresa. Le imprese di assicurazione, Solvency II, le Autorità di vigilanza, Bologna, il Mulino, 2011, capitolo 1 e pagine 148-150.

14 Legge 27 dicembre 2013 (Legge di stabilità 2014), art.1, comma128.

15 de Finetti, B., Probabilità di una teoria e probabilità dei fatti, in AA.VV., Studi di probabilità, statistica e ricerca operativa in onore di Giuseppe Pompilj, Gubbio, Oderisi, 1971, pagina 97.

16 La domanda è posta in Casati, R., Prima lezione di filosofia, Bari, Laterza, 2011, pagina 173.

17 Per “dare effettivamente senso a una nozione (e non una parvenza di senso metafisico-verbalistica) occorre una definizione operativa (operazionale), cioè basata su un criterio che permette di misurarla” (de Finetti, B., Teoria delle probabilità, Torino,

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“adeguatezza allo scopo”, che deve pilotare la costruzione del “modello di lettura”, diventa più direttamente percepibile se si richiama la definizione di media come

“riassunto esaustivo”18.

Anche la scelta delle grandezze caratteristiche per descrivere il fenomeno degli infortuni ha considerato lontane esperienze: lo “specchio delle cause di infortunio” realizzato da Ulisse Gobbi sui dati raccolti nei registri del Patronato per gli infortuni sul lavoro di Milano (relativi agli anni 1883, 1884, 1885); il “nuovo e più ampio studio” pubblicato nel 1937 dall’Infail (l’Istituto nazionale fascista per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, che fu l’Inail anteguerra) “proseguendo le rilevazioni annuali iniziate nel 1935”; la relazione tenuta da Luigi Fournier alla IX Riunione della Società italiana di demografia e statistica (nel 1947)19.

4. La ricerca, per migliorare assistenza e prevenzione, per contribuire alla gestione

Una storia lunga e gloriosa – L’attività di ricerca, svolta tradizionalmente dall’Inail nei campi della riabilitazione e del reinserimento degli infortunati, traccia una storia lunga e gloriosa, segnata da tecniche e protocolli d’azione innovativi. La storia si può far iniziare nel 1943, con l’acquisto della Villa Zanardi di Budrio, utilizzata come luogo di convalescenza. Nel 1961 il “convalescenziario” viene trasformato in “Centro di rieducazione funzionale”, e integrato con l’“officina ortopedica”. Inizia la ricerca medica e tecnologica a sostegno delle protesi e delle ortèsi; si sviluppano i protocolli di riabilitazione e di reinserimento (gestiti con “équipe multidisciplinari”, cui partecipano tecnici ortopedici, medici, fisioterapisti, psicologi e assistenti sociali, infermieri). Intanto, alla fine degli anni cinquanta furono avviate – da Antonio Maglio, direttore del Centro paraplegici dell’Inail di Villa Marina a Ostia – le pratiche della sport-terapia; nella testimonianza di un giovane infortunato paralizzato c’è tutto il senso del ruolo dell’attività sportiva: “l’interesse per ciò che facevi era maggiore rispetto alla riflessione su ciò che eri”.

Nell’autunno del 1960 Roma fu sede dei primi Giochi Paralimpici (nella storia delle Olimpiadi), sulle magliette degli atleti si leggeva il logo dell’Inail.

Intanto si sviluppa la ricerca nel campo della protesica: è del 1962 la prima “mano cinematica in legno”; dal 1963 si avvia il progetto per la realizzazione delle protesi mioelettriche, che porteranno riconoscimenti e premi (il “Bell Grave Memorial”; il brevetto della protesi mioelettrica sarà donato dall’Inail – negli anni settanta – alla Organizzazione Mondiale della Sanità). L’ultimo atto di questa ricerca eccellente è nella collaborazione con l’Istituto italiano di tecnologia (l’IIT) di Genova, per lo sviluppo di un esoscheletro motorizzato per la deambulazione di soggetti paraplegici e di una mano poliarticolata. E’

Einaudi, 1970, pagina 93); “occorre indicare un procedimento (sia pure idealizzato, ma non svisato), un esperimento (effettivo o concettuale) per la sua misurazione” (de Finetti, B., La probabilità: guardarsi dalle contraffazioni!, Scientia, 111(1976), 5-8, pagina 269). Il termine “operazionale” è di Bridgman, che lo utilizzò in The Logic of Modern Physics (New York, 1927); “operationalism”

è stato ripreso successivamente (ne La critica operazionale della scienza, Torino, Boringhieri, 1969, alle pagine 232, 240-241), nel senso di “dare la descrizione delle condizioni d'uso della parola”, il “sapere come usarla” (“know how with regard to its usage”).

18 de Finetti, B., Teoria delle probabilità, Torino, Einaudi, 1970, pagina 70.

19 Gobbi, U., Gli infortuni del lavoro, Giornale degli economisti, I, 1886; Infail, Indagini statistiche sugli infortuni degli operai sul lavoro, Rassegna della previdenza sociale, I, 1938; Fournier, L., Sulle statistiche degli infortuni sul lavoro, Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, II, 1947.

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8 una collaborazione di grande prospettiva: coordina l’esperienza clinica e riabilitativa dell’Inail con l’esperienza nella robotica umanoide dell’IIT. E’ una forma di artigianato a alta tecnologia.

L’incorporazione nell’Inail dell’ISPESL (l’Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) – avviata nel 201020 – è una nuova opportunità; ha portato l’ampliamento degli ambiti di ricerca: alla medicina e igiene del lavoro, alle tecnologie di sicurezza e innovazione tecnologica; ha portato altre competenze, altre banche dati.

Ri-organizzare il governo della ricerca – Nel disegno di ri-organizzazione dell’Inail la ricerca dovrebbe dare sostegno anche alla definizione delle strategie; non solo – come diceva Fuà – “producendo pubblicazioni”: ma, dopo aver studiato i temi strategici, contribuendo operativamente alle realizzazioni. Oltre ai temi tradizionali, c’è bisogno di ricerca applicativa per migliorare i processi gestionali: per il controllo economico (verifiche contabili automatiche, verifiche dei metodi di costruzione e proiezione delle tavole attuariali per il calcolo delle riserve, procedure automatiche di calcolo della riserva sotto ipotesi sulle basi tecniche e sulle prestazioni, procedure per il calcolo dei premi sotto diverse ipotesi di incentivo); per fronteggiare l’evasione contributiva (sfruttando interoperabilità tra banche dati e tecniche statistiche); per il potenziamento degli indici statistici (per portare – a esempio – l’indice di sinistrosità a essere adeguatamente “risk adjusted”21); per l’analisi dei fattori causali dell’infortunio e delle loro “interazioni significative” (la cui importanza è già segnalata in un interessante lavoro del 1983, auspicando “più statistiche per la prevenzione”22).

E’ una sfida ardua da condurre, ma sarebbe essenziale per interloquire in modo consapevole con l’autorità politica. Potrebbe dare contributo anche al rinnovamento della pubblica amministrazione di cui parlava de Finetti sempre in quel seminario del 1962 (sebbene con qualche scetticismo23).

Dalla ricerca potranno venire contenuti innovativi e utilizzabili per i piani di formazione.

5. Fare formazione

Il valore della formazione – L’educazione tecnica (all’utilizzazione corretta dei macchinari e delle infrastrutture) è un mezzo fondamentale della prevenzione degli infortuni; in generale contribuisce al miglioramento dei processi di produzione, allo sviluppo

20 Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122), art. 7.

21 Sarebbe espressivo rapportare il numero di infortuni (per gruppo di infortunati ritenuti “omogenei”) al “periodo di esposizione al rischio”. Le prassi di calcolo in vigore della “frequenza degli infortuni” sono in Eurostat, Statistiche europee degli infortuni sul lavoro (ESAW). Metodologia, 2001, doc. ESTAT/E3/HSW/2001/1130 (pagina 21), dove già si notava che “il metodo di standardizzazione dovrà essere migliorato in futuro” (pagina 22).

22 Coppini, M.A., Serio, A., Più statistiche per la prevenzione, Atti del Convegno di studi sull’assicurazione infortuni e malattie professionali, Milano, 1983.

23de Finetti (Sull’opportunità di perfezionamenti e di estensione di funzioni dei servizi anagrafici, Istituto di Demografia della Facoltà di Scienze Statistiche, Demografiche e Attuariali dell’Università di Roma, Roma, 1962) riporta uno stralcio di un suo articolo del 1953, riguardo alla riforma della Pubblica amministrazione: “non illudersi che gli uffici attuali col personale attuale avvezzo a vecchi sistemi e continuando a svolgere le attuali attribuzioni possano avvantaggiarsi […] mediante introduzione di nuovi macchinari e sistemi!” (pagina 22), e poi sintetizzando: perché la riforma abbia successo sarebbe necessario “porre in liquidazione l’intera amministrazione esistente, trasformandola in ufficio stralcio per gli affari pendenti, nelle more del graduale trasferimento di competenze alla nuova amministrazione in corso di istituzione” (pagina 23).

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9 dell’economia. E’ un fattore critico su cui investire. Formazione dei lavoratori, abilità manageriali e capacità organizzative rappresentano risorse fondamentali nell’ambito del cosiddetto “capitale basato sulla conoscenza” misurato dall’OCSE (assieme a altre risorse intangibili come il software, le banche dati, l’attività di ricerca e sviluppo, i brevetti, il design). L’incidenza sul PIL di questi investimenti oscilla – nell’area OCSE – tra l’11%

degli Stati Uniti e il 2% della Grecia; l’Italia è nelle ultime posizioni (prima di Norvegia e Grecia), al 4%24.

D’altra parte l’effetto degli infortuni ha un’incidenza economica rilevante: dal modello di lettura dei dati dell’Inail, risulta che nel 2012 gli infortuni sul lavoro hanno provocato più di 12 milioni di giornate di inabilità, poco meno di 3 milioni sono relative a infortuni caratterizzati da un grado di menomazione “permanente” (maggiore di 6), per cui sono erogate prestazioni economiche25.

Anche per l’educazione tecnica, insomma, non si deve cedere alla “vista corta” (criticata nel report della Banca mondiale); vale la valutazione per cui “an investment in knowledge pays the best interest”, come scriveva ormai quasi tre secoli fa nel suo celebre Almanacco Benjamin Franklin26.

L’importanza dello stile: insegnare per problemi – L’Inail, con la costituzione recente del “polo di formazione” cerca di contribuire allo sviluppo, potenziando il coordinamento delle esperienze formative rivolte a imprese e lavoratori, nell’ambito delle strategie di prevenzione. Anche per questo progetto c’è bisogno di invenzione e innovazione.

Sebbene possa apparire marginale (rispetto al tema della sicurezza nei posti di lavoro) il dibattito sull’educazione finanziaria offre spunti interessanti per innovare la politica della formazione; l’Inail vi partecipa nell’ambito del “comitato sicurezza” – costituito in collaborazione con l’UNI (l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione) – col sottocomitato

“sicurezza finanziaria e previdenziale”27.

Le avvertenze critiche costruttive di Thaler e Willis28 ai programmi di “financial literacy”

tornano utili: invece di piani di formazione completi e preliminari, occorre realizzare interventi educativi puntuali, centrati sul “problema da risolvere” e “al momento opportuno”.

Riecheggiano e rilanciano la tecnica dell’“insegnamento per problemi”: partire dal problema, ricostruire la base di conoscenza (in genere multidisciplinare) necessaria alla risoluzione – compresi i lemmi del linguaggio da utilizzare per descrivere i fenomeni –, definire gli itinerari risolutivi, suggerire diffidenze e precauzioni per giungere con successo alla soluzione. Le norme tecniche dell’UNI e le “buone prassi” – alla cui definizione l’Inail contribuisce – possono rappresentare utili tracce didattiche, da arricchire con nozioni tecniche, con esempi e contro-esempi di comportamento. La

24 OECD, Raising the Returns to innovation: Structural Policies for a Knowledge-Based Economy, OECD Economics Department Policy Note No. 17, May 2013, pagina 2.

25 I dati di dettaglio sono nella tabella B7.1, in http://dati.inail.it/opendata/default/WorkingTabelleSemestrale/index.html

26 Con la frase di Franklin si apre la relazione – molto interessante – di Ignazio Visco, Investire nella conoscenza, al “X Forum del Libro Passaparola – Investire in Conoscenza, Cambiare il Futuro”, Bari, ottobre 2013.

27 De Felice, M., Contribuire alla “sicurezza finanziaria e previdenziale”, Relazione al “IV Forum Internazionale della Consulenza ed Educazione Finanziaria”, Milano, dicembre 2013.

28 Thaler, R.H., Financial Literacy, Beyond the Classroom, New York Times, October 5, 2013; Willis, L.E., The Financial Education Fallacy, American Economic Review, 101(2011), 3.

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10 tecnologia dell’e-learning (peraltro già sperimentata dall’Inail) può essere utilizzata, ma richiede, a tutela dell’efficacia, attente verifiche degli esiti: per individuarne le debolezze e sfruttare gli antidoti più adeguati (per i quali oramai sono disponibili vasti repertori)29. Insegnare i modi della risoluzione è comunque arte difficile, è la conquista di un modo di fare; come ha scritto George Pólya: “il risolvere i problemi è un’arte pratica, come il nuotare, o lo sciare o il suonare il piano: potete impararlo solo con l’imitazione e la pratica”30.

Non basta perciò per dare successo al “polo di formazione” la conoscenza dei contenuti tecnici; è necessario definire uno “stile per la formazione”, costruito con schemi di comunicazione ritagliati per livelli di utenza31. Quindi è impegno fondamentale realizzare piani di “formazione di chi forma”.

La formazione “interna” – C’è poi il tema della formazione “interna”, collegato al governo dei cambiamenti organizzativi (e della transizione), il cosiddetto “change management”.

E’ un tema rilevante per lo sviluppo economico, che le grandi imprese curano con attenzione; andrebbe affrontato con forza anche nella Pubblica amministrazione. Un punto è essenziale: il processo di formazione per governare il cambiamento deve partire dall’alta dirigenza. E’ emblematico che nelle “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche” la Banca d’Italia confermi l’obbligo a realizzare “piani di formazione per assicurare l’aggiornamento delle competenze dei componenti del consiglio di amministrazione”32 (già affermato nella direttiva europea sui

“Capital requirements”33); e che richieste di qualificazione delle competenze dell’“alta direzione” aziendale siano nella normativa sulla vigilanza delle imprese di assicurazione (rafforzate dopo l’approvazione della Direttiva “Solvency II”).

Per la formazione interna – finalizzata a fronteggiare il cambiamento – l’“insegnamento per problemi” è tecnica ancora più naturale. I piani di formazione possono essere integrati con il processo risolutivo dei problemi gestionali: possono utilizzare la linea di documentazione dei processi; educare alla motivazione teorica delle scelte; nel caso di soluzione per via informatica consentono di acquisire consapevolezza dei flussi di elaborazione (quali input sono necessari e perché, come si trasformano in output, quali sono le chiavi di lettura dei risultati); consentono di mantenere coerente e diffuso il

“linguaggio speciale” con cui si gestisce l’istituzione (o l’impresa).

29 Un’analisi originale e profonda dei pericoli dell’utilizzazione dell’informatica nella didattica (col suggerimento di antidoti) è in Casati, R. Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Bari, Laterza, 2013, in particolare nelle pagine 12, 38, 63-64, 94, 96-97.

30 Polya, G., La scoperta matematica. Capire, imparare e insegnare a risolvere i problemi, Milano, Feltrinelli, 1971, p. xi.

31 L’insieme dei lavoratori (a cui i corsi di formazione a fini di prevenzione sono rivolti) è vario: per ambiti di lavoro, livello culturale, livello di specializzazione, velocità di innovazione di strumenti da utilizzare e processi da seguire, possesso linguistico (nel 2012 circa 111 mila denunce di infortunio hanno riguardato lavoratori nati all’estero).

32 Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, Documento per la consultazione, Dicembre 2013, pagina 20 (box n. 6).

33 Directive 2013/36/EU of the European Parliament and of the Council of 26 June 2013 on access to the activity of credit institutions and the prudential supervision of credit institutions and investment firms, Articolo 91, par. 9.

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11 6. Richiami storici e osservazioni tecniche per il dibattito politico sull’“assicurazione obbligatoria di Stato”

Il dibattito sulla scelta tra “assicurazione obbligatoria di Stato” – com’è oggi in Italia quella contro gli infortuni e le malattie professionali – e “assicurazione privata” si è svolto (anche in Italia) sin dagli ultimi decenni dell’ottocento; ha andamento “carsico”: le ri-emersioni, anche recenti, ripropongono comunque antiche posizioni e persistenti ambiguità, si trascurano troppo spesso premesse e conseguenze tecniche.

La critica all’“assicurazione obbligatoria di Stato” – Si può dare per scontato che l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali debba essere “obbligatoria”.

Anche Einaudi, dopo aver scritto che “l’organizzazione statale dei più svariati rami di assicurazione sociale è […] un ideale che si muove entro una bassura: l’esistenza di masse umane le quali hanno bisogno di essere costrette alla previdenza, alla organizzazione alla solidarietà”34, nel paragrafo 39 delle Lezioni di politica sociale – dedicato proprio a

“l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro” – arriva alla conclusione che “poiché gli uomini non sono né perfetti né previdenti, giova che l’assicurazione sia obbligatoria”35. La critica al fatto che sia “di Stato” si incentra sul problema della “commisurazione del premio al rischio”.

Come riferimento (storico e di contesto) si può citare Antonio Salandra, che nel criticare Lo stato assicuratore, nel 1881 scriveva: “i premi si commisurano ai rischi. Se di fatto il premio è il corrispettivo della susceptio periculi […] esso deve crescere e diminuire in ragion diretta del rischio. Tutto il magistero delle tariffe sta nel classificare, sopra i dati approssimativi forniti dall’esperienza, i rischi secondo la gravità loro, e nel proporzionarvi i premi”:

“nelle tariffe il fine morale, o educativo, non ha a che vedere. […] Non possono essere subordinate a un fine, perché sono conseguenze di un calcolo, mutabili solo quando gli elementi del calcolo mutino. Il contributo dell’assicurato dev’essere proporzionato alla probabilità che il pericolo diventi danno. Se non è, l’assicurazione non può sussistere. E’

questione di matematica e di logica, non di sentimento o di morale.”36.

Sul calcolo del premio – In linea di principio, nella determinazione del premio (individuale) commisurato all’assicurazione di una rendita da infortunio entrano diverse componenti: la probabilità del sinistro (che attiva la rendita), il livello della prestazione economica, la probabilità di durata in vita dell’assicurato, la struttura per scadenza dei tassi di interesse, e quello che in Solvency II è definito “risk margin” (il caricamento per il rischio necessario a compensare l’avversione al rischio dell’assicuratore).

La stima di queste basi di calcolo non è agevole; in particolare è critica l’elicitazione della probabilità del sinistro (considerato che sono da valutare anche sinistri “rari” e i sinistri

“in itinere”): se non si dispone di una vasta e appropriata base di dati e di adeguati

“giudizi esperti” si è in una condizione (che il report della Banca mondiale definiva) di

34 Einaudi, L., Gli ideali di un economista, Quaderni della Voce raccolti da Giuseppe Prezzolini, Firenze, Pubblicazione della Soc.

An. Ed. “La Voce”, Quaderno 50-51, 1921, pagina 137.

35 Einaudi, L., Lezioni di politica sociale, Torino, Einaudi, 2002(1949), pagina 66.

36 Salandra, A., Un caso di socialismo di stato. Lo stato assicuratore, Nuova antologia, LVII(1881), pagina 463.

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“deep uncertainty”. Anche nell’assicurazione privata – in questi casi – si ricorre a aggregazioni per “classe di rischio”; e vengono in soccorso i principî di mutualità (passaggio di risorse finanziarie – provenienti dai premi – tra assicurati appartenenti alla stessa classe di rischio) e solidarietà (trasferimento di fondi tra le diverse classi di rischio).

Il calcolo dei premi “nell’assicurazione di Stato” – com’è quella dell’Inail – valuta il rischio per via indiretta: si basa (sostanzialmente) su dati contabili retrospettivi (degli “oneri per prestazioni economiche e sanitarie” fornite dall’Inail), riferiti a ciascuna “voce di lavorazione” cui sono associati gruppi di lavoratori; è prescritta la revisione periodica del premio, per garantirne l’allineamento agli oneri; sono previsti incentivi (riduzione del premio per singola “impresa”) in funzione dell’andamento infortunistico osservato e dell’adozione – da parte dell’impresa – di protocolli di prevenzione. Il grande vantaggio tecnico dell’assicurazione “di Stato” è nella disponibilità di dati sull’intero universo nazionale: è garanzia – in linea di principio – di “massima adeguatezza possibile” della valutazione. L’adeguatezza ovviamente è condizionata dalla significatività (nel tempo) delle “voci di lavorazione”, e dall’appropriatezza dell’attribuzione dei gruppi di lavoratori alla “voce”. E’ questa la leva che qualifica il pricing. Il collegamento tra premio e andamento infortunistico – con la logica del bonus-malus – è il mezzo che spinge l’impresa all’autotutela della sicurezza (che quindi non è prerogativa – come spesso si afferma – soltanto dell’assicurazione privata).

Questioni sulla riserva – Nelle assicurazioni private la riserva tecnica (come definita nell’articolo 76 della Direttiva Solvency II) “corrisponde all’importo attuale che le imprese di assicurazione […] dovrebbero pagare se dovessero trasferire immediatamente le loro obbligazioni di assicurazione […] ad un’altra impresa di assicurazione”. La riserva che è appostata nel bilancio dell’Inail non rappresenta il valore attuale complessivo delle prestazioni in rendita (obbligazioni, o meglio: obblighi) dovute ai lavoratori infortunati. La riserva misura il valore della “rendita base” (valore iniziale); gli adeguamenti – per aggravamento, e/o indicizzazione economica – sono coperti “a ripartizione”, ricorrendo a una quota di premi incassati nell’anno (è il sistema tecnico-finanziario cosiddetto “a capitalizzazione attenuata”). Le proposte di passaggio da assicurazione “di Stato” a assicurazione “privata” dovrebbero considerare il problema della gestione delle rendite in- essere, e l’impossibilità di trasferimento degli obblighi corrispondenti tramite la riserva.

Qualche altro aspetto – Altri aspetti (caratteristici dell’assicurazione pubblica) pongono allo schema privatistico questioni tecniche non facili da risolvere. Come gestire la cosiddetta

“automaticità delle prestazioni” (per cui i lavoratori infortunati hanno diritto alle prestazioni anche in caso di mancata dichiarazione dell’attività lavorativa o di mancato pagamento dei premi da parte del datore di lavoro)37; come gestire gli effetti del ritardo di insorgenza delle malattie (attribuibili a attività lavorative svolte lontano nel tempo) e il riconoscimento con effetto retroattivo di “nuove” malattie professionali; come risolvere i

37 L’automaticità delle prestazioni, l’iscrizione obbligatoria e l’assenza di scopo di lucro sono caratteristiche giudicate “difficilmente conciliabili con la nozione di impresa nel senso di cui alle norme comunitarie in materia di concorrenza” nella sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, decisione del 22 gennaio 2002 in C-218/2000 (CISAL v INAIL).

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13 problemi tipici di un’assicurazione privata obbligatoria (come gestire l’effetto di “adverse selection”, che porta a escludere dall’assicurazione le imprese “più rischiose”).

L’importanza per l’assicurazione delle attività non-assicurative – C’è poi da valutare l’effetto di efficienza che può derivare (ai processi di assicurazione) da attività non-assicurative assolte dall’assicurazione di Stato (com’è organizzata in Italia). La verifica di impianti e macchinari, la ricerca, le azioni di formazione alimentano conoscenze e cultura tecnica utili per gestire l’attribuzione dei gruppi di lavoratori alle classi di rischio, e – potenzialmente – per controllare l’adeguatezza delle “voci di lavorazione”. La gestione dei processi di riabilitazione ha effetto sui tempi di recupero: se ben realizzata è una leva per ridurre i costi da inabilità. E sono tutte azioni svolte su un volume di casi massimo, che copre la quasi totalità dei lavoratori italiani38.

Certo il livello di efficienza che si può raggiungere dipende dall’interazione delle esperienze tra ruoli professionali, che per essere proficua va coordinata con processi organizzativi efficaci; ma ciò non toglie pregio alla potenzialità.

L’auspicio di Keynes – Nella Fine del laissez-faire Keynes scriveva: “Credo che in molti casi la dimensione ideale per l’unità di controllo e di organizzazione è in un punto intermedio tra l’individuo e lo Stato moderno. Io opino perciò che il progresso sta nello sviluppo e nel riconoscimento di enti semiautonomi entro lo Stato – enti il cui criterio di azione entro il proprio campo sia unicamente il bene pubblico come essi lo concepiscono, e dalle cui deliberazioni siano esclusi motivi di vantaggio privato […] – enti che nel corso ordinario degli affari siano di massima autonomi entro le proprie prescritte limitazioni, ma siano soggetti in estrema istanza alla sovranità della democrazia quale è espressa attraverso il parlamento”39.

Alle poche considerazioni tecniche svolte in margine al dibattito sulla scelta tra

“assicurazione obbligatoria di Stato” e “assicurazione privata” è utile aggiungere questa opinione illustre.

38 Sono esclusi, in particolare, agenti di commercio, giornalisti, personale di volo, vigili del fuoco, personale delle forze di polizia e delle forze armate.

39 Keynes, J.M., The end of laissez-faire, London, Hogarth Press, 1926; in The Collected Writings of John Maynard Keynes, IX, London, MacMillan – Cambridge University Press, 1972; traduzione italiana: Keynes, J.M., La fine del laissez-faire e altri scritti, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, pagina 38.

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