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I TERMINI DI IMPROCEDIBILITÀ: LA DISCIPLINA DELLA PROROGA E DELLA SOSPENSIONE

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Struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione

Incontro di Studi 7 febbraio 2022

L’improcedibilità dei giudizi penali di impugnazione

Aula Virtuale Teams - ore 14.30 - Corte di cassazione

I TERMINI DI IMPROCEDIBILITÀ: LA DISCIPLINA DELLA PROROGA E DELLA SOSPENSIONE

Grazia Rosa Anna Miccoli

Sommario: 1. Cenni introduttivi - 2. Il regime della proroga dei termini - 3. Il regime delle impugnazioni dell’ordinanza di proroga dei termini – 4. La sospensione dei termini di durata dei giudizi di impugnazione – 5. Considerazioni conclusive

1. Cenni introduttivi

Nella disciplina introdotta dalla legge 134/2021 dubbi interpretativi significativi, incidenti anche sulla tenuta costituzionale del sistema, pongono le disposizioni sul regime della proroga e della sospensione dell’improcedibilità dell’azione penale.

1.1. I termini previsti dall’art. 344 bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen. (due anni per il giudizio di appello e un anno per il giudizio di cassazione), oltre i quali si determina l’improcedibilità dell’azione penale, possono essere prorogati dal “giudice che procede”, ai sensi dell’art. 344 bis, comma 4, cod. proc. pen..

Come si vedrà più avanti, la norma fissa termini differenziati per tipologia di reati, inquadrandoli in quattro categorie, per cui vi sono reati radicalmente sottratti all’improcedibilità e reati per i quali opera un variabile regime di proroghe.

In dottrina si è dubitato della compatibilità di tale regime con gli artt. 3, 27 comma 2 e 111 comma 2 Cost.: il precetto costituzionale sulla ragionevole durata del processo non giustifica alcuna differenziazione di disciplina né per categorie di imputati, né per tipologia di reati (1).

Si è sostenuto, altresì, che, se l’improcedibilità dell’azione per decorrenza del tempo viene attratta nell’alveo della garanzia costituzionale dell’art. 25 comma 2 Cost., il corollario indefettibile dovrebbe essere quello della prevedibilità della sua applicazione. Invece, l’art. 344 bis cod. proc. pen.

lascia al giudice ampi margini di discrezionalità nel modulare il tempo dell’estinzione dell’azione in funzione della complessità dei giudizi di impugnazione; discrezionalità che – come si evidenzierà meglio più avanti – retroagisce anche alle scelte del pubblico ministero in ordine alla celebrazione o meno del cd processo simultaneo (2).

In effetti la disciplina in esame presenta una serie di problematiche interpretative, principalmente derivanti dalla flessibilità dei criteri di valutazione cui bisogna far riferimento per disporre la proroga, nonché dalla consistente difformità del regime per tipologia di reati.

Ulteriori criticità sono state ravvisate in relazione a questioni di maggior dettaglio: il potere ufficioso del giudice di prorogare il termine di definizione del giudizio d’impugnazione; la

1 Il riferimento è in particolare al documento sottoscritto dai Professori Daniele, Ferrua, Orlandi, Scalfati e Spangher, pubblicato su numerose riviste scientifiche, nel quale si evidenziano le criticità della riforma Cartabia (https://www.sistemapenale.it/it/documenti/daniele-ferrua-orlandi-scalfati-spangher-prescrizione-reato-improcedibilita-cartabia).

2 In tal senso, MAZZA O, A Midsummer Night's Dream: la riforma Cartabia del processo penale (o della sola prescrizione?), in Archivio Penale, 2021, 2.

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razionalità-proporzionalità dei tempi del giudizio in relazione alla diversità dei reati; la lesione del principio di ragionevole durata del processo, nei casi in cui è possibile disporre un numero illimitato di proroghe.

Si profilano inoltre incertezze ermeneutiche in ordine alla impugnabilità della decisione del giudice, nonché in materia di tassatività delle condizioni che legittimano le proroghe, con specifico riferimento ai requisiti della pluralità dei reati, del numero degli imputati e della complessità delle questioni da trattare (3). La discussione si è incentrata anche tra coloro che ritengono che i termini a pena di improcedibilità debbano essere fissati solo dalla legge e chi, invece, ritiene che debbano essere adattati dal giudice alle esigenze dei singoli processi proprio attraverso il meccanismo delle proroghe.

1.2. A norma dell’art. 344 bis, comma 6, cod. proc. pen., i termini di improcedibilità possono essere sospesi in tutte le ipotesi previste dall’art. 159, comma 1, cod. pen. e, solo nel giudizio di appello, per tutto «il tempo occorrente per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».

Si è sottolineato che in tal modo si superano anche i limiti individuati con la riforma Orlando, ove la sospensione del termine di prescrizione in corso di procedimento giungeva al massimo ad un anno e sei mesi.

Non si è mancato di rilevare, peraltro, che ipotesi di sospensione come quelle previste dalla riforma Orlando e, da ultimo, dalla riforma Cartabia, contrastano con la ratio tradizionale della sospensione della prescrizione, descritta dal brocardo contra non valentem agere non currit praescriptio: nel caso della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, infatti, «il procedimento, lungi dal “non poter agire”, sta andando avanti»; la riforma Orlando fu in effetti criticata perché addossava all’imputato le lentezze della giustizia penale ma, a differenza della disciplina più recente, poneva un limite temporale “invalicabile” (4).

2. Il regime della proroga dei termini.

Il regime della proroga dei termini di improcedibilità dell’azione penale si articola in più ipotesi e presenta una serie di problematiche interpretative.

2.1. L’art. 344 bis, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce che, quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, i termini previsti dai primi due commi (due anni per il giudizio di appello e un anno per il giudizio di cassazione) possono essere prorogati dal “giudice che procede” con ordinanza motivata.

Il regime della proroga non è unitario, essendo state disciplinate tre ipotesi:

a. nel caso in cui il giudizio di impugnazione sia particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, per tutti i reati è prevista una sola proroga, non superiore in appello ad un anno e in cassazione a sei mesi;

b. ulteriori proroghe, della medesima durata e per le medesime ragioni, senza però un limite temporale massimo, sono applicabili ai processi per una serie di delitti elencati specificamente nella norma: «delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, per i delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416- bis, 416-ter, 609-bis, nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter, 609- quater e 609-octies del codice penale, nonché per i delitti aggravati ai sensi

3 I molteplici dubbi interpretativi suscitati dalla nuova disciplina dell’improcedibilità sono evidenziati da SPANGHER G., Art. 344 bis c.p.p.: questioni di incostituzionalità e criticità applicative, in Giustizia insieme, 2021.

4 CAVALIERE A., Considerazioni “a prima lettura” su deflazione processuale, sistema sanzionatorio e prescrizione nella l. 27 settembre 2021, n. 134, c.d. riforma Cartabia, in Penale diritto e procedura, 2021 p. 30.

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dell'articolo 416-bis.1, primo comma, del codice penale e per il delitto di cui all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309»;

c. le proroghe non possono superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione, nel caso in cui si proceda per delitti aggravati dall’art.

416 bis.1 cod. pen.; ne deriva che solo per tali delitti è stato previsto il termine massimo di 5 anni per il giudizio di appello e di 2 anni e sei mesi per il giudizio in cassazione.

Va subito rilevato che nulla dispone la norma per i casi in cui si proceda per una pluralità di reati connessi. Si è sostenuto che in tali casi il termine di proroga più ampio previsto per il reato più grave, o comunque per quello (in ipotesi meno grave, ma) ricompreso nell’elenco dei delitti per i quali sono consentite proroghe di durata maggiore, opera anche per i reati connessi, anche se contestati ad imputati diversi: a ciò induce il rilievo che non è stato previsto un caso ad hoc di separazione processuale obbligatoria ex art. 18 cod. proc. pen. (5)

2.2. Con riferimento alla durata complessiva dei giudizi di impugnazione, si è criticamente evidenziato che la disciplina introdotta dalla riforma prevede una ulteriore, ed in parte discrezionale, dilatazione dei tempi, che rischiano di diventare tutt’altro che ragionevoli: infatti, in caso di annullamento con rinvio, disposto con sentenza della cassazione, il giudizio di appello può durare altri due anni (nel regime transitorio tre), più un ulteriore anno di proroga discrezionale; in cassazione, il giudizio può poi proseguire per un altro anno, più sei mesi di ulteriore proroga discrezionale. Ciò significa che, considerando le proroghe, le fasi di impugnazione potrebbero arrivare complessivamente, superato il regime transitorio, ad un totale di 9 anni; durante il regime transitorio, addirittura ad un totale di 13 anni (6).

2.3. I primi commentatori della riforma hanno inoltre rilevato un difetto di coordinamento tra il comma 4 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. e le disposizioni transitorie, di cui ai commi 4 e 5 dell’art.

2 legge n. 134 del 2021 (7), che prevedono l’applicabilità dei termini di improcedibilità di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis ai procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020, rispettivamente già pervenuti al giudice dell’appello o alla Corte di cassazione entro il 19 ottobre 2021 (data di entrata in vigore della riforma) e quelli nei quali l’impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024.

In effetti nella normativa transitoria non v’è un espresso richiamo alla proroga e alla sospensione, di cui al comma 6 dell’art. 344 bis (di cui si dirà meglio più avanti), per cui è stata ritenuta preferibile la soluzione che nega l’applicazione di un prolungamento dei termini come sopra indicati (8).

Non appare, tuttavia, sufficiente, per escludere la diversa opzione ermeneutica, il richiamo all’argomento del divieto di applicazione analogica, giacché i commi 4 e 5 dell’art. 2 della legge n.

134/2021 si occupano soltanto, rispettivamente, del momento in cui i termini iniziano a decorrere e

5 In tal senso BELTRANI S., Art. 344 bis Codice di Procedura Penale - Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, in IlPenalista, 2021.

6 CAVALIERE A., cit., p. 29.

7 Va ricordato che l’art. 344 bis cod. proc. pen. è stato inserito nel codice di rito, con decorrenza 19 ottobre 2021, dall’art. 2, comma 2, lett. a) della L. 27 settembre 2021, n. 134. A norma dei commi da 3 a 5 del medesimo art. 2 della L. 134/2021, la nuova disciplina dell’improcedibilità si applica ai soli procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.

Per tali procedimenti, qualora alla data del 19 ottobre 2021 siano già pervenuti al giudice dell’appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell’art. 590 del codice di procedura penale, i termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis del codice di procedura penale decorrono dal 19 ottobre 2021. Se l’impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024, i termini previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis del codice di procedura penale sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione.

8 In tal senso SPANGHER G., Irretroattività e regime transitorio della declaratoria di improcedibilità (l. n. 134 del 2021), in Giustizia insieme, 2021

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della durata. In altri termini, il legislatore non ha dettato una disciplina speciale ed esaustiva per i giudizi di impugnazione ivi indicati, ma ha solo regolamentato il modo nel quale calcolare dies a quo e durata dei termini nel regime transitorio, per il resto lasciando invariata la regolamentazione generale.

D’altra parte (e sempre rimanendo ancorati alla lettera della legge), se differente fosse stato il suo intento, il legislatore si sarebbe diversamente espresso, ad esempio chiarendo che «nei procedimenti… il giudizio di impugnazione diventa improcedibile con il decorso del termine di x anni, calcolati a partire dal….». Invece, come si è detto, il legislatore ha solo ricalibrato per tali procedimenti i segmenti rappresentati da dies a quo e decorrenza, lasciando inalterata la restante disciplina.

Pertanto, una lettura rispondente ai canoni della logica e della ragionevolezza della disciplina dell’improcedibilità, considerata nella sua interezza e alla stregua dei principi costituzionali, induce a ritenere che il regime della proroga dei termini e della sospensione possa applicarsi anche ai giudizi di impugnazione cui fanno riferimento i commi 3, 4 e 5 dell’art. 2 legge n. 134 del 2021.

Se, infatti, la finalità perseguita nella riforma è quella di contemperare le misure di accelerazione del processo penale con le esigenze organizzative degli uffici giudiziari, attraverso una graduale applicazione dell’istituto dell’improcedibilità, non sembra giustificato precludere l’applicazione del regime di cui ai commi 4, 5 e 6 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. anche ai giudizi di impugnazione indicati nelle disposizioni transitorie.

2.4. In ognuna delle ipotesi di proroga considerate dall’art. 344 bis cod. proc. pen. assume rilievo il parametro generale della “complessità” del giudizio, calibrata su un elenco di indici:

«numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare».

Si è sostenuto che tale elencazione non appare tassativa (9) e che, in ragione dell’utilizzo della congiunzione coordinativa “o”, la norma non esige la sussistenza cumulativa di tutti gli indici menzionati; ne deriva che possono essere valorizzati uno o più elementi tra quelli contemplati dalla disposizione e che la “complessità” può essere anche correlata ad altri fattori, come – per esempio – quelli indicati per la determinazione del valore ponderale nel paragrafo 57.6. delle Tabelle della Corte di cassazione 2020 – 2022: «Il coefficiente numerico per la determinazione del valore ponderale può subire un incremento da una a due unità tenuto conto: a) della mole dei documenti da esaminare; b) del numero dei difensori di cui è prevedibile la presenza in udienza; c) della complessità delle fonti;

d) del numero delle parti diverse dall'imputato; e) della novità della materia».

In ragione della natura solo esemplificativa della elencazione contenuta nella norma in esame, è discussa la possibilità di tenere in considerazione, ai fini della proroga, anche le esigenze organizzative degli uffici giudiziari; in proposito e optando per la soluzione negativa, si è sostenuto che nella motivazione del provvedimento di proroga non possono assumere rilievo eventuali profili organizzativi relativi all’ufficio giudiziario, dal momento che la norma fa solo riferimento alla complessità del procedimento in sé e non già alle difficoltà incontrate dal giudice dell’impugnazione, che non ritenga di poter definire il giudizio nei termini ordinari (10).

A sostegno di tale opzione interpretativa è stata richiamata la pronunzia della Corte costituzionale n. 140/21, concernente la disciplina emergenziale conseguente alla pandemia da Covid, con cui si è affermato che la dilatazione dei tempi di definizione del giudizio – legata all’operatività dell’istituto della prescrizione – debba essere sufficientemente preventivabile sulla base di elementi oggettivi (11). È stata quindi dichiarata incostituzionale la previsione contenuta nell’art. 8, comma 9, d.l. n. 18 del 2020, nella parte in cui demandava al presidente dell’ufficio giudiziario di stabilire la sospensione o meno dei procedimenti e, conseguentemente, della prescrizione; secondo la Corte costituzionale, infatti, la previsione normativa emergenziale, per la sua valenza sostanziale – sia pure

9 Si veda in tal senso la Relazione dell’Ufficio del Massimario, n. 60/21, p. 22

10 Si veda in tal senso la Relazione dell’Ufficio del Massimario, n. 60/21, p. 25.

11 Corte cost., sent. n. 140 del 2021.

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mediata dalla regola processuale – ricade nell’area di applicazione del principio di legalità, il quale richiede che essa sia sufficientemente determinata nei suoi elementi costitutivi.

Tuttavia, avuto riguardo alla valenza processuale e alla ratio della nuova disciplina della improcedibilità, da ravvisare nella necessità di “censurare” solo colpevoli ritardi nella definizione dei giudizi di impugnazione, non appare, a priori e in via generale, esclusa la possibilità di ricorrere all’istituto della proroga valorizzando peculiari e straordinarie esigenze organizzative di alcuni uffici giudiziari, dovute alla necessità di gestire i ruoli in situazioni emergenziali ovvero contingenti, quali, ad esempio, quelle determinate dalla sopravvenienza di un elevato numero di impugnazioni aventi carattere di complessità e, quindi, allo specifico fine di far fronte a carichi obiettivamente non sostenibili.

Va infatti considerato l’oggettivo stato di difficoltà in cui operano molte corti di appello; né può trascurarsi che l’istituto della improcedibilità deve confrontarsi anche con i criteri di priorità nella trattazione dei processi penali (12), sicché pare in linea con la ratio della stessa riforma una lettura che non escluda aprioristicamente il ricorso all’istituto della proroga laddove -come si è detto- si renda necessario tenere in considerazione anche parametri riferiti, per esempio, a straordinari dati quantitativi e qualitativi delle sopravvenienze, ai fenomeni criminali che caratterizzano alcuni territori, nonché alla contingente indisponibilità di risorse umane, materiali e tecnologiche degli uffici.

È evidente che una lettura interpretativa così congegnata non può avallare prassi lassiste e di disorganizzazione, ove si consideri che l’equilibrio che la normativa in esame intende assicurare, tra le esigenze di svolgimento del processo e il diritto dell’imputato alla ragionevole sua durata, è indubbiamente costruito in termini endoprocedimentali; ne deriva che non possono gravare sui diritti dell’imputato criticità organizzative dell’ufficio patologiche ovvero non strettamente correlate sempre alla “complessità” nella definizione di quello specifico giudizio di impugnazione (13).

2.5. La formulazione della norma in esame attribuisce al giudice una rilevante discrezionalità nell’individuazione dei presupposti per disporre la proroga, tenuto conto anche del fatto che – come si è già accennato – gli indici di complessità possono essere frutto di valutazioni difformi e legate alla capacità di verificare in via preventiva i possibili esiti della decisione, in considerazione, ad esempio, della proposizione di motivi di impugnazione su questioni processuali, la cui fondatezza e il conseguenziale accoglimento possono determinare l’inutilità di esaminare gli altri motivi di impugnazione che afferiscono a questioni giuridiche complesse.

Si è in proposito affermato che, per non sovrapporre indebitamente la prognosi sull’esito del giudizio alla valutazione in ordine alla sua complessità, «pare corretto ritenere che quest’ultimo aspetto andrebbe considerato in relazione a quelle che sono le questioni devolute all’esame del giudice dell’impugnazione, prescindendosi, pertanto, dalla loro potenziale fondatezza, come pure dai

12 In proposito si è osservato che «l’attribuzione al giudice di un così ampio margine di apprezzamento su uno snodo senz’altro cruciale per le garanzie individuali quale è la procedibilità/improcedibilità del processo non parrebbe coerentemente coniugarsi con un’altra innovazione prevista nella delega, destinata ad impattare sul momento iniziale del procedimento penale, che invece percorre l’opposta via di circoscrivere in modo significativo la discrezionalità del magistrato. Come di certo si sarà già compreso, il riferimento è all’art.

1, comma 9, lett. i) della l. n. 134/2021, che intende introdurre nel futuro sistema processuale i “criteri di priorità” nella persecuzione dei reati, che le Procure dovrebbero elaborare, a loro volta, nel quadro dei “criteri generali indicati dal Parlamento con legge”, i quali, sebbene espressamente finalizzati a rendere “efficace e uniforme esercizio dell’azione penale”, nella sostanza delle cose, considerando che le risorse non saranno mai illimitate, finiranno verosimilmente per limitare la discrezionalità della quale oggi le Procure godono di fatto nella prassi. Si avrebbe perciò un sistema ove “in entrata” la selezione dei fatti perseguibili sarebbe fortemente condizionata dalla legge, mentre “in uscita” l’effettiva persecuzione processuale degli stessi dipenderebbe in maniera significativa dall’apprezzamento del giudice di appello e di cassazione, che farebbero nella sostanza politica criminale. Si prospetta, quindi, l’evidente paradosso istituzionale di un legislatore che tenta di influenzare il p.m. nell’esercizio dell’azione penale e di un giudice che di fatto opera di politica criminale tipicamente riservate al legislatore, con buona pace del principio della separazione dei poteri» - MARTIELLO G., Brevi note sulle disposizioni immediatamente esecutive della c.d. «Riforma Cartabia» in materia di prescrizione sostanziale e processuale, in Discrimen, 2021, p. 9.

13 Né si può trascurare in proposito quanto già sopra rilevato in ordine alla previsione nella normativa transitoria di termini più lunghi rispetto a quelli di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis cod. proc. pen., proprio per consentire un graduale riassetto del sistema e contemperare le misure di accelerazione del processo penale con le esigenze organizzative degli uffici giudiziari.

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possibili profili di inammissibilità del ricorso che, in linea astratta, potrebbero rendere non necessario l’esame nel merito dei motivi di impugnazione» (14).

Non può trascurarsi, tuttavia, che risulterebbe irragionevole una valutazione di complessità del giudizio di impugnazione parametrata solo agli indici elencati esemplificativamente dalla norma, senza considerare, per esempio, che, sebbene nell’impugnazione siano proposte questioni di diritto di rilievo, il possibile accoglimento di un motivo relativo a una nullità assoluta ed insanabile renderebbe superfluo l’esame di quei motivi di gravame caratterizzati da complessità. È evidente, allora, l’importanza del vaglio preventivo del fascicolo e la centralità in tale ambito della competenza dei soggetti che devono procedere all’esame preliminare dell’impugnazione.

Si è pure sottolineato l’elevato tasso di indeterminatezza che caratterizza anche quei parametri che, almeno in astratto, avrebbero una valenza maggiormente oggettiva, come quelli del “numero delle parti” e del “numero delle imputazioni”; si è infatti evidenziato che «in tal caso il giudizio di complessità viene ancorato ad un dato numerico, scisso da qualsivoglia valutazione circa l’impegno richiesto dalle questioni devolute al giudice dell’impugnazione. Tuttavia, è innegabile che il generico riferimento al numero elevato – di parti o imputazioni – è un criterio scarsamente selettivo e, soprattutto, eccessivamente collegato a quelle che possono essere le diversificate esperienze territoriali» (15).

E, tuttavia, poiché oggetto dell’interpretazione non sono le singole parole, ma gli enunciati normativi, apprezzati alla luce del bilanciamento di interessi che il legislatore ha inteso, con la concreta disciplina positiva, perseguire, il significato della legge deve necessariamente essere ricostruito tenendo conto di quel bilanciamento. Pertanto, a venire in rilievo è sempre la complessità del giudizio di impugnazione, laddove i restanti criteri rappresentano gli indici – non necessariamente univoci e per questo da intendere come segnali rivelatori – della complessità della res iudicanda.

D’altronde, la complessità, «ove determinata dal cumulo soggettivo, finisce per essere un elemento che va ad aggravare notevolmente la posizione di quei coimputati rispetto ai quali la scelta di procedere al processo cumulativo è frutto di una insindacabile decisione dell’organo dell’accusa che, indirettamente, pone i presupposti per la successiva proroga dei termini di improcedibilità. Per esemplificare, un soggetto sarà sottoposto ad un regime più o meno favorevole di durata del processo, sol perché la sua posizione è stata trattata autonomamente (il che fa venir meno la complessità per il numero delle parti), piuttosto che in un processo soggettivamente cumulativo» (16).

Proprio per questo si impone un particolare rigore nel valutare l’oggettiva complessità del processo nel senso sopra indicato.

2.6. Il comma 4 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. contempla un regime di proroga dei termini modulato essenzialmente sulla gravità dei reati elencati nella stessa norma, tra i quali non vi sono quelli puniti con l’ergastolo, perché, ai sensi del comma 9, per tali delitti non si applicano le disposizioni sui termini di durata dei giudizi di impugnazione.

Tale ultima previsione ha suscitato qualche perplessità se si considera, per un verso, proprio la disciplina dettata dal comma 4 per reati di sicura gravità e, per l’altro, la correlazione tra la disciplina in esame e la garanzia della ragionevole durata del processo, che prescinde dalla portata dell’imputazione, soprattutto alla luce del fatto che, sino al momento in cui il processo non si conclude, opera la presunzione di innocenza (17).

Il comma 4 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. individua un regime “diversificato” per i giudizi di impugnazione che abbiano ad oggetto i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti: in tali casi il giudice può infatti disporre

14 Così Relazione dell’Ufficio del Massimario, n. 60/21, p. 22.

15 Così Relazione dell’Ufficio del Massimario, n. 60/21, p. 22 - 23

16 Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 23.

17 In tal senso DE MARZO G., La riforma Cartabia e il nuovo regime dell’improcedibilità per decorso dei termini del giudizio di impugnazione, in Foro It., 9, 2021, p. 218.

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proroghe, al ricorrere dei presupposti correlati alla complessità del caso, senza che sia fissato un limite massimo di durata dei giudizi di impugnazione.

Come si è anticipato, la scelta del legislatore è stata nel senso di valorizzare la particolare gravità di talune fattispecie, evidentemente ritenute di particolare allarme sociale, frequentemente caratterizzate da notevole complessità e dalla presenza di plurimi imputati; tuttavia, si è sostenuto che la selezione può in qualche misura risultare arbitraria, se si considera che sono state escluse ipotesi che presentano caratteristiche analoghe di particolare gravità.

A tale criticità si ricollega evidentemente la riflessione relativa al possibile futuro ampliamento del novero dei reati soggetti a questo regime di prorogabilità: trattandosi di norma processuale, essa soggiace al principio tempus regit actum, con la conseguenza che il legislatore potrà «disporre ex post factum, in relazione ad una qualche tipologia di reato, prolungamenti dei rispettivi termini per il verificarsi dell’improcedibilità; cioè, sostanziali (seppur non diretti) inasprimenti del trattamento sanzionatorio a carico dell’autore di un reato, in contrasto con l’interpretazione che il nostro Giudice delle leggi ha dato dell’irretroattività sancita dall’art. 25, comma 2, Cost.» (18).

A fronte di ciò, possono ipotizzarsi diverse soluzioni:

a) muovendo dal presupposto che la garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma, Cost.), nel suo complesso, è destinata a coprire anche le implicazioni sostanziali delle norme processuali – così come chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 278 del 2020 – si potrebbe ritenere che, nel caso dell’improcedibilità, tali implicazioni siano da ravvisare nella necessità di garantire il rispetto della componente soggettiva della ragionevole durata del processo, intesa come diritto della persona coinvolta nel processo di «non restare troppo a lungo sotto il peso di un’accusa, sul presupposto che tale condizione – a prescindere dai più o meno fausti esiti processuali – sia di per sé fonte di sofferenza individuale» (19); a ciò conseguirebbe l’inapplicabilità ai procedimenti in corso della disciplina sfavorevole sopravvenuta.

b) sotto altra prospettiva, e nonostante la copertura offerta dal principio di legalità alle implicazioni sostanziali delle norme processuali, occorrerebbe «verificare se queste ultime siano o no coerenti con la funzione assegnata dall’ordinamento all’istituto del quale si tratta e con gli interessi protetti, come affermato da tempo dalla Corte Costituzionale, che, per esempio, ritenne legittima la scelta di non sottoporre allo scrutinio di maggiore o minore favore la legge sopravvenuta nei casi di processi pendenti in appello o in Cassazione, dal momento che “l’esclusione dell’applicazione retroattiva della prescrizione più breve non discende dall’eventuale verificarsi di un certo accadimento processuale, ma dal fatto oggettivo e inequivocabile che processi di quel tipo siano in corso ad una certa data” (Corte cost. 28 marzo 2008, n. 72)» (20).

Si tratterebbe quindi di valutare di volta in volta, in relazione all’eventuale estensione del novero dei reati per i quali è prevista la prorogabilità del termine senza limiti temporali, quali siano le esigenze che il legislatore intende perseguire. Accogliendo questa soluzione, la tutela offerta all’imputato a fronte dell’irragionevole durata del processo (determinata dalle plurime proroghe disposte dal giudice) sarebbe essenzialmente di tipo riparatorio; né questo deve «eccessivamente scandalizzare, se si considera che analogo rimedio pecuniario opera nei casi dell’errore giudiziario e dell’ingiusta detenzione» (21).

2.7. Le principali critiche al regime della proroga si sono incentrate sulla scelta di affidare al giudice procedente il compito discrezionale di decidere in ordine alla necessità di proseguire o meno il giudizio. In particolare, si è sostenuto che «il potere assegnato ai giudici di disporre proroghe dei termini fissati a pena di improcedibilità implica una impropria assunzione di responsabilità, tale da renderli arbitri della scelta se precludere o consentire la prosecuzione dell’azione penale» e che

«affidare ai giudici una scelta destinata a ripercuotersi sulla concreta perseguibilità dei reati

18 Così MOSCARINI P., L’istituto della prescrizione ed il “giusto processo”, in Dir. pen. proc., 11, 2021, p. 1455.

19 LAVARINI B., La ragionevole durata del processo come garanzia soggettiva, in Leg. pen., 2019, p. 2.

20 In questo senso Cass., Sez. 7, Ordinanza n. 43883 del 2021.

21 LAVARINI B., cit., p. 22.

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equivale a consegnare alla giurisdizione scelte di politica criminale in evidente contrasto con il principio di separazione dei poteri» (22).

Si registrano comunque anche opinioni positive sulla ragionevolezza della scelta del legislatore di affidare al giudice la decisione relativa alla proroga: in primis, perché tale opzione risulta coerente, a livello sistematico, «con altri luoghi normativi nei quali, a diversi effetti, è dato rilievo alla valutazione giudiziale della complessità del procedimento: ad esempio, in materia di proroga dei termini di durata delle indagini preliminari (art. 406, co. 2 c.p.p.), di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare (art. 304, co. 2 c.p.p.), di proroga dei termini di efficacia della confisca di prevenzione (art. 24, co. 2 cod. antimafia). Non solo: la valutazione della complessità del procedimento è un fondamentale criterio legislativo – affidato al giudice – per la determinazione della durata irragionevole del processo, ai fini del riconoscimento della violazione del relativo diritto costituzionale e dell’equa riparazione prevista dalla legge Pinto (art. 2, co. 2 l. n.

89/2001)» (23).

È evidente, peraltro, che la discrezionalità attribuita al giudice non può che trovare un adeguato sistema di controllo nell’obbligo di motivazione (a pena di nullità ex art. 125, comma 2, cod. proc.

pen.) del provvedimento di proroga.

Infatti, i criteri di complessità indicati, a titolo esemplificativo, dalla norma in esame possono riempirsi di specifico contenuto rapportato al singolo giudizio di impugnazione solo con una motivazione che renda puntuale ed articolata ragione dei fattori legittimanti il potere esercitato dal giudice che procede.

Questo rigore, che esprime il rispetto dello spirito della normativa, rappresenta un doveroso argine al timore prospettato in dottrina che «nella prassi le proroghe saranno governate da automatismi, ogni qual volta l’alternativa alla loro disposizione «sarebbe la declaratoria di improcedibilità, con possibili riflessi sulla responsabilità del giudice per la mancata definizione del processo con una sentenza di merito; e analogo fenomeno tenderà a riprodursi in sede di ricorso in cassazione contro l’ordinanza che dispone la proroga. Il diniego o l’annullamento della proroga riguarderà essenzialmente i casi in cui la legge non l’avrebbe consentita, a prescindere dalla complessità del caso» (24).

Per tale ragione, appare essenziale riflettere sull’introduzione di moduli organizzativi che, a regime, possano consentire di evitare i paventati automatismi nelle proroghe, senza ricorrere all’adozione di provvedimenti con motivazioni, per così dire, non “personalizzate”, ovvero non idonee a mettere in rilievo la sussistenza dei presupposti di proroga dei termini per la peculiarità del

“giudizio di impugnazione” promosso in un determinato processo e per le obiettive difficoltà di definizione nei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis cod. proc. pen..

Insomma, la motivazione del provvedimento di proroga deve dare compiutamente conto delle ragioni, riferite al singolo processo, dalle quali si desume la particolare complessità incidente sui tempi di definizione del giudizio di impugnazione, dovendosi ritenere come meramente apparenti le eventuali argomentazioni che si limitino a richiamare i presupposti applicativi dettati dall’art. 344 bis, comma 4, cod. proc. pen.

Né deve escludersi, secondo canoni ermeneutici improntati alla ragionevolezza, che si debba motivare sulla “complessità” del giudizio di impugnazione anche in relazione ai reati per i quali non sia previsto un limite massimo di proroghe, giacché il presupposto che legittima il differimento non può essere implicitamente desunto solo dal titolo del reato (25). Appare, quindi, necessario che il differimento del termine sia di volta in volta giustificato, indicando le ragioni per cui occorre una nuova proroga che si va ad aggiungere a quelle già disposte.

22 Il riferimento è, ancora una volta, al documento sottoscritto dai Professori Daniele, Ferrua, Orlandi, Scalfati e Spangher, con il quale sono state formulate numerose critiche alla nuova disciplina dell’improcedibilità.

23 Così GATTA G.L., Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sistema Penale, 15 ottobre 2021.

24 FERRUA P., Improcedibilità e ragionevole durata del processo, in Penale diritto e procedura, 2022, p. 10.

25 Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 25.

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È ineludibile seguire questa strada per superare le censure formulate sulla tenuta costituzionale anche del sistema delle proroghe, che – si sottolinea ancora – trova i profili più critici proprio con riferimento all’ampia discrezionalità nel quale si trova ad operare il giudice nel disporle e definirne la durata.

2.8. Ulteriori problemi interpretativi riguardano l’individuazione del giudice competente.

Infatti, come si è già detto, l’art. 344 bis, comma 4, cod. proc. pen. dispone che il provvedimento di proroga sia emesso dal “giudice che procede”.

Dal momento che il presupposto della proroga è la verifica della complessità del “giudizio di impugnazione” è necessario chiarire se “il giudice che procede” è quello che ha la materiale disponibilità del fascicolo – e, dunque, anche il giudice a quo, quando il fascicolo non sia stato ancora trasmesso al giudice dell’impugnazione (26) – oppure solo quest’ultimo.

Appare preferibile tale ultima opzione interpretativa, giacché, ai fini della determinazione della competenza a decidere, la figura del “giudice che procede” va individuata in relazione allo sviluppo del rapporto processuale, per cui, se l’espressione normativa identifica il giudice investito della decisione sull’impugnazione, non si può che far riferimento al “giudice dell’impugnazione”, il quale peraltro, essendo il soggetto sul quale grava l’onere di definire il giudizio in un determinato arco temporale, è in grado, in ragione della conoscenza dei carichi e delle risorse, di adottare consapevolmente una decisione di proroga (27).

Controversa è peraltro la possibilità per il giudice di disporre d’ufficio la proroga: vi è infatti chi evidenzia che un simile potere contrasterebbe con l’art. 111, comma 2, Cost., dal momento che il principio della domanda costituisce una regola generale del procedimento penale, finalizzata ad assicurare l’imparzialità del giudicante (28); alla luce di ciò, si renderebbe necessaria una richiesta della Procura Generale, in quanto soggetto istituzionalmente interessato a propiziare la proroga per far prevalere le esigenze dell’accertamento e della repressione su quella, contrapposta, di contenere la durata del processo (29).

Secondo altra opinione interpretativa, invece, non sussistono particolari ostacoli alla possibilità che il giudice provveda d’ufficio alla proroga, dovendo egli limitarsi a valutare la complessità del giudizio, senza prendere posizione su quale tra i contrapposti interessi debba prevalere (30).

2.9. Altra problematica interpretativa si pone con riferimento alla durata della proroga, giacché la norma in esame non impone che con l’ordinanza sia necessariamente disposto il differimento per la definizione pari al termine massimo. Milita a sostegno di tale lettura il riferimento alla proroga che può essere disposta “per un periodo non superiore” ad un anno (per il giudizio di appello) o a sei mesi (per il giudizio di cassazione).

Ne deriva che il giudice può disporre la proroga anche per un periodo inferiore a quello massimo e, ovviamente, anche in questo caso diviene fondamentale l’esplicitazione nella motivazione delle ragioni per le quali si è optato per quel periodo di proroga.

È evidente che, nei casi in cui non si sia disposta la proroga per il termine massimo, la sopravvenienza di esigenze diverse da quelle valutate con il primo provvedimento consente di disporre un ulteriore differimento, contenuto nel limite massimo normativamente previsto.

26 Va infatti ricordato che, ai sensi dell’art. 91 disp. att. cod.proc.pen., il giudice che procede è competente in materia cautelare fino al momento della trasmissione degli atti al giudice di grado superiore.

27 Negli stessi termini DE MARZO G., cit., p. 217.

28 In tal senso DI BITONTO M. L., Osservazioni “a caldo” sull'improcedibilità dell'azione disciplinata dall'art. 344-bis c.p.p., in Cass.

pen., 12, p. 3852.

29 Sulle modalità di procedimentalizzazione in Cassazione dell’adozione del provvedimento di proroga su richiesta della Procura Generale si dirà più avanti sub paragrafo 2.10.

30 Così BRICCHETTI R., Riforma processo penale. Dalla delega ai decreti delegati: punti fermi... e non, in IlPenalista, 30 novembre 2021.

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Quanto appena chiarito pone un ulteriore problema interpretativo, relativo all’individuazione del momento in cui l’ordinanza di proroga deve essere adottata.

In effetti sul punto la norma in esame nulla dispone, sicché, pur condividendosi quanto già rilevato nella Relazione n. 60/21 dell’Ufficio del Massimario, nella parte in cui si ritiene che «la proroga – essendo basata sulla prognosi del tempo necessario per esaurire il giudizio di impugnazione – andrebbe tendenzialmente disposta nel momento stesso in cui si valuta la sua complessità e, quindi, fin dalla fissazione della trattazione del giudizio» (31), va valorizzato il dato che si tratta di un istituto che opera proprio al fine di scongiurare la decorrenza dei termini di improcedibilità fissati nei commi 1 e 2 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. derivante dalla complessità del giudizio di impugnazione.

Ora, se è vero che la complessità del processo è un dato ancorato alle caratteristiche strutturali dello stesso, quali emergono dagli indici indicati dal legislatore, è però anche vero che il giudice dell’impugnazione, alla luce delle risorse a disposizione nel momento in cui perviene il fascicolo, potrebbe operare una valutazione di favor nei confronti dell’imputato o degli imputati, ritenendo di poter definire il giudizio nei termini ordinari ovvero in un termine prorogato inferiore a quello massimo.

E, tuttavia, poiché un processo complesso resta tale anche in quest’ultimo caso, non si colgono ragioni per escludere una proroga successiva, non perché esso diventi complesso per ragioni extraprocedimentali, ma perché fattori sopravvenuti impediscano di realizzare il risultato più favorevole che si era pronosticato di conseguire. Si è già detto, infatti, che possono costituire parametro per disporre la proroga straordinarie esigenze organizzative, le quali possono sorgere anche nel corso del giudizio di impugnazione, per le più svariate situazioni non preventivabili nella gestione dei ruoli.

Nel corso del giudizio (e sempre che non siano già scaduti i termini fissati nei commi 1 e 2 dell’art. 344 bis cod. proc. pen) può essere, quindi, corretta anche la valutazione fatta in prima battuta sulla prognosi del tempo necessario alla definizione dello stesso giudizio di impugnazione, soprattutto nella fase dell’appello, nella quale può porsi – per esempio – l’esigenza di assumere atti istruttori particolarmente complessi, diversi dalla “rinnovazione”, essendo questa già autonoma causa di sospensione del termine ex art. 344 bis, comma 6, cod. proc. pen..

Certamente, come si è già detto, anche in questo caso assume un ruolo centrale la motivazione, nella quale devono essere evidenziate le ragioni per cui si ritiene di valorizzare la complessità del processo, originariamente ritenuta recessiva rispetto all’obiettivo di definizione nei termini ordinari.

2.10. Si è già avuto modo di evidenziare come la competenza per l’adozione dell’ordinanza venga attribuita al “giudice che procede”, da identificarsi nel giudice che è investito del giudizio di impugnazione.

Si pone l’ulteriore problema di individuare il giudice competente tabellarmente; analisi che, in questa sede, per ragione di sintesi si limita al giudizio di cassazione, non senza rilevare che anche per le corti di appello la Circolare per le Tabelle 2020 – 2022 individua nei Presidenti di sezione gli organi deputati all’esame preliminare delle impugnazioni in ragione dell’importanza delle questioni proposte e di una definizione anticipata del procedimento (art. 92 della citata Circolare).

Si è affermato che, in difetto di ulteriori indicazioni, «pare corretto ritenere che, con riguardo al giudizio di Cassazione, per giudice che procede si debba far riferimento alla Sezione cui è assegnato il ricorso. All’interno della Sezione si pone il problema di stabilire se la specifica competenza a disporre la proroga rientri nelle prerogative del Presidente titolare, ovvero se occorra un’ordinanza, sia pur adottata de plano, da parte del collegio. A favore di quest’ultima soluzione depone il fatto che l’organo giudicante è costituito dal collegio cui è assegnata la trattazione del

31 Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 26.

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ricorso e, quindi, sotto tale profilo pare preferibile individuare appunto nel collegio il “giudice che procede”» (32).

È evidente, tuttavia, che tale ultima opzione interpretativa, correttamente dettata dalla considerazione delle ricadute sostanziali derivanti dalla scelta di prorogare o meno il termine, pone delle rilevanti questioni di carattere organizzativo, comportanti variazioni tabellari, ove si consideri che dovrebbero essere disposte delle udienze “dedicate” per l’adozione delle ordinanze di proroga; e, indubbiamente, a favore della tesi interpretativa che attribuisce a un collegio la competenza a decidere milita l’adozione del termine di “ordinanza” di proroga e non di “decreto”.

Non si può trascurare, tuttavia, che il Presidente titolare è competente per la formazione e gestione dei ruoli della Sezione ed è, quindi, in condizione di apprezzare se un determinato giudizio, in considerazione della sua complessità, possa o meno essere definito nel termine ordinario ovvero richieda il ricorso all’istituto della proroga.

Appare allora fondamentale prevedere, con appositi moduli organizzativi, uno specifico coordinamento tra l’attività dell’Ufficio Esame Preliminare dei ricorsi (cui è demandata la prima analisi dei fascicoli trasmessi dalla Cancelleria centrale e che ha anche il compito di verificare i termini di improcedibilità), il vaglio conseguenziale del Presidente titolare in sede di fissazione e il collegio designato per l’adozione dell’ordinanza di proroga, da individuarsi, preferibilmente, nello stesso collegio che deve procedere alla definizione del giudizio.

Né – come si è già sopra detto – si può a priori escludere una ulteriore necessità di

“procedimentalizzazione” dell’adozione del provvedimento di proroga con il coinvolgimento della Procura Generale, potendo in tal caso, per esempio, ricorrersi allo stesso sistema di “dialogo” con tale ufficio adottato per la applicazione dell’art. 169 disp. att. cod. proc. pen. in materia di riduzione dei termini nel giudizio di cassazione.

Indubbiamente nei moduli organizzativi da adottare diventa fondamentale il controllo di gestione dei ruoli, con un sistema che consenta di verificare in ogni momento i dati relativi all’improcedibilità e, quindi, anche a quelli conseguenziali all’adozione di provvedimenti di proroga dei termini.

In proposito, come si dirà nelle considerazioni conclusive, è cruciale l’innovazione digitale, diventando oramai ineludibile il ricorso ai registri informatici che consentano il suddetto controllo di gestione dei ruoli.

3. Il regime delle impugnazioni dell’ordinanza di proroga dei termini.

Problemi interpretativi si pongono pure con riferimento alla previsione normativa relativa alla impugnazione dell’ordinanza di proroga.

3.1. Nel comma 5 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. si è stabilito che, contro l’ordinanza che dispone la proroga, l’imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, senza effetti sospensivi, entro cinque giorni dalla lettura dell’ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione.

Una prima annotazione per il giudizio di cassazione va fatta in ordine alla previsione che l’impugnazione può essere proposta dall’imputato, oltre che dal suo difensore. La norma sembrerebbe introdurre una deroga al principio generale fissato nell’art. 613 cod. proc. pen., in base al quale il ricorso proposto in sede di legittimità deve essere necessariamente sottoscritto da un difensore abilitato, non essendo più consentito alla parte di presentare personalmente il ricorso.

Quest’ultima soluzione sembra tuttavia da preferire alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite Aiello(33), secondo cui il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere proposto dalla parte personalmente, ma, a seguito della modifica apportata agli artt.

32 Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 27.

33 Cass., Sez. U., n. 8914 del 21/12/2017, Aiello, Rv. 272010.

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571 e 613 cod. proc. pen. dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione (34).

Si è in proposito evidenziato che, tenuto conto della natura impugnatoria del rimedio introdotto con il ricorso e alla luce delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite Aiello, il riconoscimento del diritto di impugnazione all’imputato presuppone in ogni caso il rispetto delle regole generali dettate per l’esercizio dello ius postulandi in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 613, primo comma, del codice di rito. Va infatti rimarcata la distinzione concettuale tra «legittimazione a proporre il ricorso (infatti, in via generale, confermata in capo all’imputato, quanto al ricorso per cassazione, dall’art. 607, primo comma, cod. proc. pen.) e le sue effettive modalità di proposizione, attenendo il primo concetto alla titolarità sostanziale del diritto all’impugnazione, il secondo al profilo dinamico del suo concreto esercizio» (35).

3.2. Passando all’esame delle questioni maggiormente incidenti sulla tenuta del sistema, si sottolinea come la norma in esame consenta l’impugnazione della sola ordinanza di proroga adottata dalla Corte di appello, devolvendo la cognizione alla Corte di cassazione.

Il giudizio si svolge, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, termine che, non essendo previste sanzioni per l’omesso rispetto, è da considerarsi ordinatorio (36); in proposito, però, non si può trascurare che si tratta di un termine che opera in un procedimento di impugnazione, il cui esito può incidere proprio sui termini di improcedibilità della azione penale.

Le forme del rito camerale sono quelle disciplinate dall’art. 611 cod. proc. pen. (37) e, in caso di rigetto o dichiarazione inammissibilità, la questione non è più suscettibile di essere riproposta, neppure congiuntamente al ricorso avverso la sentenza di merito emessa nel giudizio di appello.

Tale ultima disposizione potrebbe avere il significato di rendere esplicita una conclusione altrimenti raggiungibile per via interpretativa, alla stregua dei principi generali in materia di impugnazione e dell’esigenza di risolvere sollecitamente il tema della validità della proroga, in modo da individuare in termini celeri il quadro temporale di decisione dell’impugnazione. Potrebbe, tuttavia, anche ritenersi che la regola debba essere intesa nel senso che l’inutile decorso del termine di cinque giorni non preclude la riproposizione della questione con l’impugnazione della sentenza, al fine di far valere l’improcedibilità dell’azione penale maturata per l’illegittimità della proroga dei termini e conseguire l’annullamento senza rinvio per tale causa della sentenza di appello (38).

Ulteriori dubbi interpretativi sono stati sollevati con riferimento alla possibilità di rimettere in discussione le decisioni sulla proroga nel giudizio di appello. Infatti, non è chiaro se, in caso di ricorso del pubblico ministero contro la sentenza di improcedibilità disposta in appello, la Cassazione possa, in base ai parametri fissati dalla legge, sindacare la decisione del giudice di non disporre la proroga o di disporla per una durata inferiore al tetto massimo previsto, nonostante ve ne fossero i presupposti;

né cosa avvenga, sempre in caso di ricorso del pubblico ministero, quando l’improcedibilità sia stata, per errore di computo, dichiarata prima della effettiva scadenza dei termini massimi; né, infine, in caso di annullamento della sentenza di improcedibilità con rinvio al giudice di appello, se i termini massimi decorrano ex novo o solo per la parte non consumata (39).

34 In tal senso si veda la Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 30.

35 Così DE MARZO G., cit., p. 217.

36 A sostegno di tale lettura milita l’opzione interpretativa che ritiene che l’improcedibilità dell'impugnazione non operi con riguardo al ricorso previsto dal comma 5 dello stesso art. 344 bis cod. proc. pen.

37 Si è osservato che questa «disposizione dimostra la miopia del Legislatore, o forse no: pur non volendo considerare gli oneri ulteriori che graveranno sui magistrati della Corte di cassazione (tutto sommato agevolmente arginabili, atteso che si discute di ricorsi seriali, per la cui trattazione può ragionevolmente ritenersi che possa fornire un valido ausilio il neonato ufficio del giudice), appare evidente che le cancellerie della Suprema Corte si troveranno assediate senza vie di fuga, dovendo fronteggiare gli oneri di comunicazione prescritti dall'art. 611 c.p.p. in relazione a decine di migliaia di ricorsi contro le decine di migliaia di proroghe che le Corti d'appello non mancheranno di disporre sempre e comunque, e le difese non mancheranno di impugnare sempre e comunque. Perché non provare a chiedere, e comunque prevedere, la possibilità di decidere sempre e comunque de plano (ex art. 610, comma 5-bis, c.p.p.)?». Si veda in tal senso BELTRANI S., Art. 344 bis Codice di Procedura Penale - Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, in IlPenalista, 2021.

38 Così DE MARZO G., cit., p. 218.

39 Così FERRUA P., cit., p. 20.

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3.3. Nulla dice il comma 5 dell’art. 344 bis cod. proc. pen. sull’impugnabilità dell’ordinanza di proroga adottata dalla Corte di cassazione; nel silenzio della norma, si è sostenuto che essa non sia suscettibile di alcuna forma di controllo, dovendosi anche escludere la possibilità di proporre ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis cod. proc. pen. (40).

Tale soluzione, pur ancorata alla considerazione che il rimedio del ricorso straordinario è predisposto a favore del condannato, presenta profili problematici: pone seri problemi di tenuta del sistema la non impugnabilità di una decisione di proroga che riposi su un evidente errore materiale o di fatto, in quanto pregiudizievole del diritto dell’imputato alla improcedibilità e destinato anche a proporre problemi riparatori in altre sedi.

È anche vero, peraltro, che il tema può ridimensionarsi se si considera che l’ordinanza di proroga deve fondarsi essenzialmente su profili valutativi.

Comunque, pare preferibile l’opzione interpretativa che trae dal sistema la possibilità di porre rimedio ad eventuali errori nell’adozione del provvedimento di proroga. Si è detto, infatti, che errori di fatto possono verificarsi, per cui non può escludersi la possibilità di rimediare a tali errori sia su richiesta delle parti sia d’ufficio, attribuendo la competenza tabellare per la conseguente decisione alla Sezione individuata secondo la cd. regola del rimbalzo, così come espressamente previsto proprio per i procedimenti instaurati ex art. 625 bis cod. proc. pen. (41).

4. La sospensione dei termini di durata dei giudizi di impugnazione.

Tra le vicende che consentono di prolungare la durata del giudizio deve annoverarsi, accanto alle diverse ipotesi di proroga sin qui esaminate, la sospensione del termine di durata massima del giudizio di impugnazione, disciplinata nel comma 6 del nuovo art. 344 bis cod. proc. pen..

Si è affermato che il riferimento di tale norma ai soli “termini di cui ai commi 1 e 2” potrebbe legittimare il dubbio che le cause di sospensione non operino anche in riferimento alle previste proroghe; tuttavia, una lettura sistematica delle disposizioni consente di affermare che la disposizione evochi i “termini di cui ai commi 1 e 2” come prorogati (42).

Come si è anticipato, tale disciplina è stata criticata, in quanto determina l’abbandono dei limiti individuati con la riforma Orlando, ove la sospensione del termine di prescrizione in corso di procedimento giungeva al massimo ad un anno e sei mesi. La stessa riforma Orlando aveva ricevuto critiche sotto tale profilo, dal momento che addossava all’imputato le lentezze della giustizia penale, sia pure individuando, a differenza della norma in esame, un limite temporale “invalicabile” (43).

4.1. Alcune delle ipotesi di sospensione previste sono generali, in quanto valevoli sia per il giudizio di appello che per quello di cassazione: in particolare, sono richiamati i casi di cui all’art.

159, comma 1, cod. pen. (44) per la sospensione del corso della prescrizione del reato, che determinano la sospensione del termine di durata massima del giudizio di impugnazione.

40 Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 31. Si veda in tal senso anche BELTRANI S., Art. 344 bis Codice di Procedura Penale - Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, in IlPenalista, 2021.

41 È di tale avviso BRICCHETTI R., Riforma processo penale. Dalla delega ai decreti delegati: punti fermi... e non, in IlPenalista, 30 novembre 2021.

42 In tal senso BELTRANI S., Art. 344 bis Codice di Procedura Penale - Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, in IlPenalista, 2021

43 CAVALIERE A., cit., p. 30.

44 Art. 159, comma 1, cod. pen.:<<Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di: 1) autorizzazione a procedere, dalla data del provvedimento con cui il pubblico ministero presenta la richiesta sino al giorno in cui l’autorità competente la accoglie; 2) deferimento della questione ad altro giudizio, sino al giorno in cui viene decisa la questione; 3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall'articolo 71, commi 1 e 5,

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È inoltre previsto che i termini di cui all’art. 344 bis cod. proc. pen. rimangano sospesi nel caso in cui siano disposte nuove ricerche dell’imputato, ai sensi dell’art. 159 del codice di rito, al fine di effettuare la rituale notifica del decreto di citazione del giudizio di appello o degli avvisi che precedono il giudizio in cassazione. In tale ipotesi, la sospensione opera dal momento in cui è pronunciato il provvedimento che dispone le nuove ricerche, fino alla data in cui risulta effettuata la notificazione all’imputato.

L’effetto della sospensione si estende anche ai coimputati nei cui confronti il giudizio si è ritualmente instaurato.

4.2. È poi prevista un’ipotesi di sospensione riferita al solo giudizio di appello: si stabilisce, infatti, che il termine di cui all’art. 344 bis, comma 1, cod. proc. pen. resti sospeso «per il tempo occorrente per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».

Il generico riferimento alla “rinnovazione” consente di ritenere che operi la sospensione del termine in tutti i casi previsti dall’art. 603 cod. proc. pen.

La norma in esame dispone che il periodo di sospensione tra un'udienza e quella successiva non può comunque eccedere sessanta giorni.

In proposito, si è osservato che la norma non chiarisce se la rinnovazione debba necessariamente esaurirsi in un’unica udienza, da celebrarsi entro sessanta giorni, ovvero se possa prevedersi una pluralità di udienze, evidentemente in presenza di una complessa attività istruttoria.

Si è osservato che, con la locuzione «in caso di sospensione per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il periodo di sospensione tra un’udienza e quella successiva non può comunque eccedere sessanta giorni», il legislatore abbia voluto «contingentare i cosiddetti “tempi morti” fra un’udienza e l’altra in caso di rinvio» (45). Sarebbe tuttavia vietato il differimento da un’udienza all’altra per un tempo superiore a quello di sessanta giorni complessivamente considerato; in altri termini, nel caso in cui la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale richieda la fissazione di molteplici udienze, la somma dei diversi periodi di rinvio fra un’udienza e l’altra non potrebbe superare i sessanta giorni. Ove tale limite venisse superato, l’intero periodo di tempo in sovrappiù andrebbe computato nel termine di durata dell’appello, non potendo più ritenersi operante la sospensione di cui al secondo periodo dell’art. 344 bis, comma 6, cod. proc. pen. (46).

Tale interpretazione non pare in linea con tenore testuale della norma; infatti, muovendo dal presupposto che il termine di sessanta giorni è riferito non già ai tempi della rinnovazione istruttoria in quanto tale, bensì all’intervallo tra le udienze a ciò dedicate, nulla impedisce di ritenere che la sospensione debba considerarsi operante per tutto il periodo necessario a terminare gli adempimenti istruttori, sempre che gli intervalli tra le singole udienze siano contenuti nel predetto limite di sessanta giorni (47).

È evidente, però, che tale interpretazione finisce per incidere in maniera rilevante sui tempi di definizione del giudizio di impugnazione, dilatabili senza un limite massimo (come quello previsto dall’istituto della proroga) ove la Corte di appello ritenga necessario disporre complessi accertamenti istruttori.

Si tratta di una criticità che pare difficilmente superabile in via interpretativa e indubbiamente pone problemi di tenuta costituzionale del sistema, laddove non assicura un ragionevole bilanciamento tra le esigenze che il legislatore ha inteso perseguire. A venire in gioco è la

del codice di procedura penale; 3-bis) sospensione del procedimento penale ai sensi dell'articolo 420 quater del codice di procedura penale; 3-ter) rogatorie all’estero, dalla data del provvedimento che dispone una rogatoria sino al giorno in cui l’autorità richiedente riceve la documentazione richiesta, o comunque decorsi sei mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria>>.

45 DI BITONTO M. L., cit., p. 3852.

46 DI BITONTO M. L., cit., p. 3852. Si è precisato che la ratio di questa regola sarebbe quella di incentivare un'organizzazione delle celebrazioni delle udienze in appello tale da propiziare uno svolgimento dell'istruzione dibattimentale in udienze ravvicinate, a salvaguardia non solo della durata ragionevole del processo, ma anche per tutelare la necessaria concentrazione del dibattimento.

47 Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit., p. 32.

Riferimenti

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