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L’URGENZA IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA. “IL POLIFRATTURATO”: ERRORI DA EVITARE NEL SOCCORSO, NEL TRASPORTO, NEL RICOVERO, NEL TRATTAMENTO E RIPERCUSSIONI MEDICO LEGALI.

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L’URGENZA IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA.

“IL POLIFRATTURATO”: ERRORI DA EVITARE NEL SOCCORSO, NEL TRASPORTO, NEL RICOVERO, NEL TRATTAMENTO

E RIPERCUSSIONI MEDICO LEGALI.

Prof. Lanfranco Del Sasso*,Vincenzo Zottola, Emilio Mazza, Fabio Romanò

Il trattamento del paziente con lesioni multiple e gravi è stato studiato e standardizzato dall’ATLS con particolare riferimento ai comportamenti da tenere durante la prima ora.

È più difficile trovare in letteratura l’attenzione sui punti chiave della visione del chirurgo ortopedico nel trattamento dei traumi muscolo-scheletrici complessi. Il percorso di diagnosi e cura del paziente polifratturato presenta degli aspetti critici che devono essere affrontati sulla base del consenso scientifico unitamente all’esperienza clinica e alle potenzialità organizzative e tecnologiche della struttura. Questa appare come l’unica via per ridurre l’incidenza di eventi avversi e dei conflitti medico-legali.

Con il 118 il soccorso del paziente polifratturato è divenuto da caritatevole a professionale e prevede quindi un’analisi del rischio e specifiche procedure d’intervento.

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Trauma nel 1993 e fissa i principi della gestione del politrauma nelle fasi immediate della valutazione e della rianimazione1. Questi gesti hanno come obiettivo il ripristino di una ventilazione adeguata, il mantenere un circolo stabile e la valutazione dello stato neurologico globale.

Il medico deve per prima cosa distinguere quelle lesioni che comportano la necessità di un trasporto immediato (“scoop and run”) da quelle che prevedono una stabilizzazione sul posto (“stay and play”). Tale decisione prevede una valutazione non solo del paziente ma anche del teatro dell’incidente, della possibilità di gestire quella specifica situazione con le attrezzature disponibili ed anche dalla presenza o meno di più feriti.

Tra i fattori più rilevanti per l’elaborazione di un indice di sospetto troviamo il meccanismo della lesione (valutazione dell’energia cinetica, della sede, dalla modalità e dal grado di esposizione). Tra gli indici più importanti troviamo: la distruzione dell’abitacolo dell’autovettura (indice di elevata energia cinetica di impatto), l’investimento del pedone, il motociclista e della proiezione dal veicolo (indice di elevata esposizione dell’organismo), concomitante decesso di una delle persone coinvolte (indice di elevata applicazione di forze all’interno dell’abitacolo) caduta da un’altezza maggiore di 5 metri e le aggressioni con ferite penetranti.

Le lesioni muscolo-scheletriche richiedono un esame di primo livello rapido ma accurato perché si possa provvedere all’immobilizzazione estemporanea del capo, del rachide e degli arti per minimizzare il rischio di ulteriori lesioni, ridurre il dolore ed il

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attenzione i capi ossei così da evitare lacerazioni cutanee con la possibilità di esporre fratture. Nei casi di fratture esposte è necessario ricorrere ad abbondante lavaggio e a garze sterili per coprire la lesione. In caso di retrazione di un moncone esposto non conviene usare trazione o dispositivi a depressione. È conveniente comunque rispettare le regole generali di immobilizzazione, riallineamento e trazione dell’arto, immobilizzazione dell’articolazione a monte e a valle della sede di frattura, valutazione neurologica distale e vascolare attraverso il reperimento dei polsi, sia prima che dopo l’immobilizzazione.

Il trattamento ortopedico del paziente politraumatizzato deve considerare delle aree peculiari che sono: la documentazione dell’esame clinico e la diagnosi delle lesioni muscolo-scheletriche, le lesioni dell’anello pelvico, le fratture esposte, le lesioni vascolari, la sindrome compartimentale, il timing della fissazione definitiva, la diagnosi ritardata e misconosciuta, le trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare.

La documentazione dell’esame clinico e la diagnosi delle lesioni muscolo-scheletriche:

Devono essere raccolte e segnalate informazioni che riguardano il meccanismo di lesione e l’ambiente nel quale le lesioni si sono verificate ed il tempo intercorso. Queste informazioni sono centrali quanto l’esame obiettivo ed i risultati radiografici e di laboratorio. La registrazione dei dati iniziali relativi alla localizzazione e dimensione delle ferite, alla funzione neurologica, ai polsi periferici, alla perfusione capillare ed alla

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mobilità preternaturale è essenziale per identificare i distretti interessati e per pianificare una strategia di ulteriori accertamenti e trattamento2.

L’esame deve essere ripetuto quando il paziente è lucido e collaborante, è buona norma richiedere radiografie di tutte le aree tumefatte e contuse3. L’ortopedico dovrebbe ben conoscere le possibili associazioni nelle lesioni viscerali degli arti e della colonna (fratture vertebrali e calcaneari oppure rachide dorso-lombare – intestino).

La rimozione della barella spinale deve avvenire dopo un attento esame obiettivo di tutto il rachide alla ricerca di abrasioni, ematomi o dolore localizzato e dopo la digitopressione dei processi spinosi vertebrali4.

È in discussione la validità delle indagini radiografiche per le lesioni della colonna, la Eastern Association for the Surgery of Trauma ha proposto un algoritmo che dovrebbe essere diffuso per prevenire le lesioni misconosciute e per ridurre le conseguenze legali dei traumi non diagnosticati. Il protocollo suggerisce di sottoporre ad indagine tutti i pazienti coinvolti in incidenti del traffico e che abbiano avuto una perdita di conoscenza ed un meccanismo traumatico distrattivo importante con radiografie antero-posteriore, laterale e trans-orale5. Studi recenti hanno suggerito che la TC addominale e toracica è adeguata per un’indagine di screening della colonna toracica e addominale e questo vale anche per la colonna cervicale6,7.

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Le lesioni dell’anello pelvico:

La maggior parte delle lesioni dell’anello pelvico non necessitano di un trattamento chirurgico8. Bisogna tuttavia distinguere fratture-lussazioni delle strutture posteriori (frattura sacrale o frattura-lussazione sacro-iliaca) da quelle anteriori. In un paziente emodinamicamente instabile con lesioni che coinvolgano la porzione posteriore del bacino è indicato stabilizzare la pelvi con un fissatore esterno per diminuire il sanguinamento oppure con bendaggi-fasce per diminuire il sanguinamento. Nei rari casi di instabilità emodinamica con lesioni che coinvolgano la parte anteriore della pelvi o dell’acetabolo la perdita ematica può essere dovuta a lesioni vascolari che non beneficerebbero di fissazione esterna ma che andrebbero indagate con esame angiografico e con un eventuale embolizzazione9. Nelle fratture di bacino è fondamentale escludere lesioni di organi addominali che rappresentano la più comune causa di morte prevenibile1. Un’ecografia addominale o una TC addominale rappresentano strumenti diagnostici fondamentali in questo tipo di traumi. In pazienti con fratture posteriori dell’anello pelvico è estremamente comune la presenza di lesioni neurologiche, un attento esame obiettivo neurologico periferico e la sua documentazione è obbligatorio in questo genere di trauma. In caso di diastasi della sinfisi pubica nei pazienti maschi è stata riscontrata una percentuale d’impotenza nel 10% dei casi. La presenza di sangue nel meato uretrale è altamente sospetto per lesioni

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dell’uretra così come un sanguinamento vaginale può essere il segno di una frattura pelvica esposta10,11.

Le fratture esposte:

I principi del trattamento delle fratture esposte consistono nell’immediato ed esteso sbrigliamento della ferita, in una pronta terapia antibiotica, nella stabilizzazione ossea per permettere la cura della ferita e la copertura dei tessuti molli12. La classificazione di Gustilo-Anderson del 1984 con le modificazioni relative allo stadio III è quella universalmente riconosciuta. Gli studi più utili sono quelli relativi all’efficacia della terapia antibiotica. Il tasso d’infezione sembra correlato con l’efficace e tempestiva gestione delle ferite. Le fratture sono spesso complicate da infezione, ritardo di consolidazione e pseudoartorosi. L’infezione profonda diminuisce quando viene messa nel giusto rilievo l’importanza dello sbrigliamento chirurgico, quando vengono applicate tecniche d’immobilizzazione adeguate e copertura dei tessuti molli13. Le fratture I-II e IIIA che sono fratture esposte da alta energia con una buona copertura dei tessuti molli hanno delle percentuali d’infezione simili del 10%. Le III B e III C possono avere delle percentuali d’infezione del 40%. La copertura con lembi liberi entro 72 ore è in molti studi associata ad una percentuale d’infezione bassa anche se non ci sono lavori prospettici controllati comparativi della copertura precoce rispetto a quella differita. Uno dei problemi maggiormente dibattuti nel trattamento delle fratture esposte comprende la valutazione del danno delle parti molli e nel trattamento che ne consegue.

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Le regole delle sbrigliamento prevedono l’estensione della ferita fino all’esposizione del tessuto sano14. C’è interesse sull’opportunità della chiusura immediata delle ferita d’esposizione. L’Orthopaedic Trauma Association in risposta a questo quesito consiglia che la chiusura primaria debba essere effettuata se si riesce ad ottenere un buon sbrigliamento iniziale dei tessuti molli, in tutti gli altri casi è meglio effettuare un second look senza aspettare i 5 giorni come suggerito in passato. In generale è necessario che l’ortopedico documenti con puntiglio il percorso terapeutico e spieghi al paziente i gesti chirurgici necessari e le possibili complicazioni come l’infezione, il ritardo di consolidazione devono essere conosciuti dal paziente e dai familiari. In presenza di una frattura tipo III C o III B l’indicazione all’amputazione deve essere condivisa da un altro ortopedico e da un chirurgo generale15. Questi pareri e la descrizione delle lesioni devono essere ben documentati a sostegno della decisione per l’amputazione. Minor valore possono avere gli score più conosciuti.

Le lesioni vascolari:

Le fratture con concomitante lesione vascolare o sindrome compartimentale hanno una priorità di trattamento rispetto alle fratture esposte o alla lesioni articolari. Il più importante fattore prognostico risiede nell’intervallo ischemico. I muscoli perdono la loro funzione dopo 2-4 ore, in nervi dopo 30 minuti e le lesioni irreversibili si instaurano dopo 14 ore. La lussazione del ginocchio comporta la rottura dei vasi nel 50% dei casi16.

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Sindrome compartimentale:

La sindrome compartimentale è il risultato di un aumento della pressione all’interno di un compartimento fasciale che produce un’ischemia. I sintomi sono costituiti da parestesie e torpore delle dita e dal dolore ingravescente esacerbato dalla mobilizzazione passiva anche cauta delle dita e dalla pressione e tensione tissutale in aumento.

I pazienti più a rischio sono quelli che hanno fratture tipo II o III, giovani maschi con lesioni della tibia o dell’avambraccio distali. La presenza di pulsazioni ed una perfusione capillare normale non escludono la sindrome ed è importante registrare sulla cartella i sintomi in modo che il medico che vi succede possa verificare delle variazioni e prendere decisioni importanti. La percentuale d’insorgenza nella tibia varia dal 3 al 17%17. La diagnosi è basata principalmente su criteri clinici anche se è possibile misurare la pressione compartimentale. McQueen e Court-Brown riportano l’importanza dell’utilizzo di un gradiente tra la pressione diastolica e la pressione compartimentale che deve essere inferiore a 30 mmHg18. Il disconoscere una sindrome compartimentale rappresenta uno dei maggiori rischi legali per il chirurgo coinvolto, probabilmente perché è collegato ad un alto costo ed alla persistenza di lesioni invalidanti. Un capitolo a se merita la scelta del tipo d’anestesia in considerazione del fatto che le anestesie regionali comportano un maggiore effetto di vasodilatazione periferica che potrebbe causare un ulteriore aumento della pressione compartimentale. Nonostante i vantaggi di

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una inibizione rapida della conduzione delle fibre nervose dolorifiche ed effetti neuroendocrini secondari sul dolore chirurgico è utile un accordo tra chirurgo ed anestesista sulle scelte migliori per il paziente.

Il timing della fissazione definitiva nel politraumatizzato:

I markers che garantiscono il successo della rianimazione sono il livello di lattato ed i deficit di basi che sono in genere utilizzati per indicare il momento opportuno del trattamento delle lesioni muscolo-scheletriche. Non di meno nel bagaglio di un chirurgo ortopedico ci deve essere la capacità di stabilizzare provvisoriamente bacino ed ossa lunghe19. La stabilizzazione definitiva deve essere una scelta ponderata perché può richiedere anestesie prolungate e perdite ematiche considerevoli. I parametri critici per il paziente sono la pressione intracranica, la pressione sistolica, la temperatura corporea e la PAO2 arteriosa.

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In sostanza si pensa che una chirurgia riparativa complessa tra il 3° e 5° giorno dopo il trauma possa indurre un aumento della risposta infiammatoria del paziente e porlo a rischio di un’insufficienza multipla d’organo20.

La fissazione immediata di fratture in pazienti polifratturati con lesioni alla testa, al torace, con ISS elevati e pazienti instabili può provocare un aumento delle complicanze postoperatorie come l’insufficienza multipla d’organo (MOF) o la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Attualmente si sta diffondendo anche in traumatologia ortopedica il concetto di damage control orthopaedic surgery che consiste in una fissazione esterna temporanea immediata della frattura seguita da sintesi definitiva.

Questo approccio ha permesso di diminuire le complicanze postoperatorie generali ma può risultare utile anche nel controllo delle complicanze locali grazie alla possibilità di:

ridurre il rischio di complicanze settiche, vascolari e cutanee, di programmare meglio gli interventi necessari, di garantire la disponibilità di un chirurgo esperto, permettere un training di tutta l’equipe e di procurare eventuali soluzioni tecniche particolari non disponibili.

La diagnosi ritardata e misconosciuta:

Le lesioni misconosciute sono state definite “la nemesi del traumatologo” e sono una frequente occasione di vertenza medico-legale. Ci sono molti fattori che contribuiscono ad una percentuale che sembra corrispondere al 6% nei pazienti che sono degenti in rianimazione e questi fattori sono la necessità di un trattamento urgente che riducono il

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tempo dedicato all’ispezione primaria, le alterazioni del sensorio che pregiudicano l’approccio secondario, le omissioni del medico e la mancata rilevazione dei sintomi clinici, la mancata esecuzione, l’inadeguatezza e la cattiva interpretazione delle immagini21. In generale l’esame obiettivo in un paziente politraumatizzato dovrebbe essere considerato un processo continuo a cui devono collaborare gli infermieri ed i fisiatri. Un caso emblematico è quello delle fratture del collo femorale associate alle fratture diafisarie che si presentano tra il 2,5 ed il 7% dei casi e che possono non essere dovute alle troppo energiche manovre d’inchiodamento ma a rime clandestine. Per riconoscere queste fratture sono raccomandate sistematicamente le radiografie in rotazione interna e la ripetizione dei radiogrammi tra le due e quattro settimane dalla sintesi. Altrettanto emblematico il caso delle lesioni del rachide cervicale che si verificano tra il 2 e 6% dei pazienti che hanno avuto un trauma chiuso22 e che devono essere riesaminati in tutti e tre i livelli d’indagine. I fattori che possono favorire la mancata diagnosi di lesioni sono un ISS (Injury Severity Score) elevato, un GCS inferiore ad 8 e pazienti che giungono privi di coscienza o intubati in PS.

I distretti corporei maggiormente interessati da lesioni misconosciute sono la testa e gli arti (dal 40.8% al 54%). La maggior parte delle lesioni misconosciute sono diagnosticate in un secondo tempo rivalutando la documentazione radiografica o effettuando proiezioni radiografiche mirate. Tra le cause che possono portare ad errori di diagnosi vi

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immediatamente rilevabile ad un esame clinico o radiografico. Il più comune fattore evitabile è rappresentato da un esame clinico inadeguato e da un basso livello d’attenzione del medico, il livello d’esperienza del medico è un altro fattore in grado di diminuire il rischio di lesioni misconosciute. L’assenza di un radiologo che referti il materiale radiografico al momento dell’esecuzione dello stesso può aumentare il rischio di non diagnosticare lesioni evidenti alle prime indagini. Un dialogo costante tra clinico e radiologo ed una seconda rivalutazione degli studi radiografici effettuati e refertati in urgenza permettono di ottimizzare l’accuratezza diagnostica e di diminuire la necessità di eseguire indagini inutili e dannose per esposizione e costo.

Le trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare:

La trombosi venosa profonda è diventato il problema maggiore nei pazienti traumatizzati.

Uno studio di Geerz del 1994 ha riportato delle altissime percentuali di TVP negli arti inferiori nei pazienti in cui non era stata somministrata nessuna profilassi. Queste percentuali vanno dal 41 al 66% nelle lesioni spinali, nel 61% nelle fratture dell’anello pelvico, nel 66-86% nelle fratture di tibia e del 59-74% nelle fratture di femore23. Molti autori sostengono che l’incidenza della TVP documentata venga diminuita dall’associazione di profilassi chimica e meccanica, mentre non ci sono serie che dimostrano un effetto diretto della profilassi nella diminuzione della morte per embolia polmonare. È imperativo che il chirurgo ortopedico abbia conoscenza di queste condizioni e delle sue conseguenze e che si avvalga di un protocollo per la loro

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prevenzione. Questi protocolli potrebbero non valere per pazienti ad alto rischio se sottoposti a terapia anticoagulante o quei pazienti in cui la terapia anticoagulante è controindicata, in questi casi ci si potrebbe valere del posizionamento pre-operatorio e temporaneo di filtri cavali per 14 giorni24.

Attualmente in assenza di contusioni polmonari non vi è evidenza in letteratura di controindicazioni nell’alesaggio nell’utilizzo di chiodi endomidollari.

Conclusioni:

La World Safety Commission dell’OMS sostiene che il 70-75% degli errori commessi in Italia sia da imputare a problemi organizzativi e che solo il 6% sia dovuto alla capacità del clinico, questo perché l’ospedale e sempre più un’organizzazione complessa, multiprofessionale e mutidimensionale basata sulla tecnologia. L’Hospital Risk Manager ha a che fare con il rischio clinico legato alla diagnosi, agli interventi e terapia ma anche con i problemi di gestione informativa dei dati personali con la comunicazione in

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centrale nel controllare la conflittualità la metodica documentazione clinica, la puntuale comunicazione dei sintomi, l’osservanza delle linee guida e l’interpretazione dell’area di lesione che rappresenta il fatto più importante da condividere con il paziente ed i suoi familiari perché determina i tempi del trattamento.

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