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Profili problematici in ordine alle tecniche di tutela esecutiva specifica dei diritti strumentali del lavoratore alle dipendenze della p.A. - Judicium

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Giorgio Vercillo

Profili problematici in ordine alle tecniche di tutela esecutiva specifica dei diritti strumentali del lavoratore alle dipendenze della p.A.

1

S

OMMARIO

: 1. Premessa. - 2. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A.: tra diritti soggettivi strumentali, potere datoriale ed autonomia funzionalizzata della p.A. - 3. La necessità di ammettere forme di tutela esecutiva specifica in favore del pubblico dipendente a protezione dei c.d. diritti soggettivi strumentali. La naturale fungibilità degli obblighi datoriali della p.A. - 4. Gli strumenti di tutela esecutiva specifica a protezione dei diritti strumentali del pubblico dipendente: tra ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva. Profili di carattere generale. - 5. Analisi delle modalità di applicazione delle tecniche di tutela esecutiva specifica a tutela dei diritti strumentali del pubblico dipendente. - 6.

Conclusioni.

1. Premessa.

A distanza di poco più di quindici anni dall’avvio del processo che ha portato alla riforma del pubblico impiego

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, la problematica relativa all’attuazione delle pronunzie emanate dal giudice ordinario nel contenzioso del lavoro privatizzato appare ancora aperta.

Nel quadro legislativo attualmente in vigore sembra infatti essere presente una evidente lacuna: da un lato, l’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001, limitandosi a disciplinare i poteri del giudice del lavoro nel processo di cognizione, non dispone nulla riguardo la su menzionata questione;

dall’altro, con la recente riforma del processo civile, il Legislatore sembra essere intervenuto sul problema a “gamba tesa” escludendo espressamente dall’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 614-bis c.p.c., le controversie di lavoro subordinato pubblico e privato.

Ciò nonostante, tale tematica non può essere ignorata.

Se è vero, come è vero, che il processo deve assicurare alla parte lesa tutto e proprio tutto quello che le è riconosciuto dalla norma sostanziale

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; che la tutela giurisdizionale delle situazioni

1 Testo della relazione tenuta in data 23 settembre 2009, in occasione del Seminario sul tema “L’attuazione delle decisioni del giudice del lavoro pubblico”, organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia nell’ambito del Corso di Dottorato di Ricerca in Tutela Giurisdizionale delle Situazioni Giuridiche Soggettive.

2 Sulle riforme che hanno investito la disciplina del pubblico impiego, ex multis, cfr. A.BARTOLINI, Il personale, in B.

Cavallo, Teoria e prassi della pubblica organizzazione, Milano, 2005, 527 ss.; A.POLICE, Le risorse umane, in Diritto amministrativo, F. G. SCOCA (a cura di), Torino, 2008, 575 ss.

3 Per una recente affermazione di tale principio, in giurisprudenza, cfr. Cass, Sez. Un., 10 gennaio 2006, n. 141; Id., 5 luglio 2004, n. 12270.

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giuridiche soggettive non può essere <<esaurita dalla cognizione (piena o sommaria) e dal giudizio che ne è il risultato>>

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, limitandosi al solo accertamento di chi ha ragione o di chi ha torto nel caso di specie; che, pertanto, il principio di effettività di tutela impone di assicurare una concreta soddisfazione dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi azionati in giudizio, mediante la traduzione della regola giuridica affermata dal giudice in fatti reali, è allora inevitabile per il giurista indagare in ordine alle ragioni dell’apparente silenzio serbato dal Legislatore.

Se, poi, a tali osservazioni si aggiunge che nel settore del pubblico impiego, in caso di inadempimento degli obblighi datoriali, l’attuazione della pronuncia giudiziale costituisce l’unico rimedio processuale che permette, non solo di rimuovere gli ostacoli che impediscono al titolare del diritto leso il godimento delle specifiche utilità assicurategli dalla normativa sostanziale, ma altresì di assicurare la piena ed effettiva osservanza dei principi costituzionali di cui agli artt. 97 e 98 Cost., è ancora più evidente come forme di riparazione economica, quali, ad esempio, il risarcimento del danno, non possano affatto rappresentare efficaci strumenti di tutela, tanto degli interessi dei privati, quanto di quelli collettivi.

Con questo breve studio ci proponiamo, pertanto, di analizzare quali siano e come operino le tecniche di tutela esecutiva specifica

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cui potrebbe far ricorso il pubblico dipendente al fine di portare ad attuazione le pronunzie di condanna ottenute dal giudice ordinario nei confronti della p.A. all’esito di un giudizio in cui siano stati azionati (e riconosciuti meritevoli di tutela dall’autorità giurisdizionale) i diritti soggettivi strumentali di cui il primo risulta titolare nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro che lo lega al datore di lavoro pubblico.

In particolare, dopo aver descritto le caratteristiche che connotano le principali situazioni giuridiche soggettive coinvolte nell’ambito dello svolgimento del rapporto di pubblico impiego privatizzato

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, dapprima cercheremo di evidenziare le ragioni che a nostro avviso impongono la

4 In tal senso, cfr. A.PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 692.

5 Con tale espressione ci riferiamo a quel tipo di garanzia offerto dall’ordinamento alle situazioni giuridiche soggettive dei privati (tutela) mediante il quale, con la realizzazione coattiva e per via giudiziale delle sentenze di condanna, è possibile ottenere una piena coincidenza tra risultato che l’esecuzione è astrattamente idonea a produrre e la specifica realizzazione del diritto (esecutiva specifica). Sul punto, il rinvio è d’obbligo a B.SASSANI, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto. Ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva, Milano, 1997, 46-47. Sulla tutela specifica la letteratura è molto vasta. Per un recente studio si rinvia a I.PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente, Milano, 2004, secondo la quale l’espressione tutela specifica indica quella tecnica di tutela <<che in caso di lesione consente di restaurare il complesso dei rapporti giuridici nello status quo ante>> (10). In senso conforme, cfr. A.PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., il quale indica con tale espressione <<quella tutela diretta a fare conseguire al titolare quelle stesse utilità garantitegli dalla legge (o dal contratto) e non utilità equivalenti>>

(746).

6 Tale esigenza è a nostro avviso imposta dalla specifica natura che contraddistingue il rapporto giuridico in cui convivono le situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari rispettivamente il pubblico dipendente e la p.A. datrice di lavoro. Come cercheremo di evidenziare nelle pagine a seguire, infatti, la possibilità di ammettere forme di tutela esecutiva specifica in subiecta materia si fonda proprio sulle persistenti peculiarità che, pur a seguito del processo di privatizzazione che ha investito il settore del pubblico impiego, differenziano tutt’oggi il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A. da quello “ontologicamente privato”, nell’ambito del quale, com’è noto, l’attuazione delle

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necessità di ammettere forme di tutela esecutiva specifica in subiecta materia; successivamente, ci soffermeremo sull’analisi di quali siano e come operino in concreto gli strumenti che potrebbero essere utilizzati al fine di portare ad attuazione i pronunciamenti di condanna della p.A. datrice di lavoro; infine, proveremo a trarre delle conclusioni, cercando di evidenziare come, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A., il dipendente della p.A. goda di un trattamento processuale più favorevole rispetto a quello cui potrebbe far ricorso il lavoratore alle dipendenze di un datore privato, disponendo, a differenza di quest’ultimo, proprio di quegli strumenti che gli consentono di tutelare appieno i propri diritti soggettivi strumentali, potendo portare ad attuazione le pronunzie di condanna della p.A. ad un facere (o ad un non facere) specifico emanate dal giudice ordinario.

2. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A.: tra diritti soggettivi strumentali, potere datoriale ed autonomia funzionalizzata della p.A.

Nell’ambito dello svolgimento del rapporto di pubblico impiego (privatizzato), le principali situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari il pubblico dipendente e la p.A. datrice di lavoro possono essere senza dubbio identificate, rispettivamente, da un lato, nei c.d. diritti soggettivi strumentali; dall’altro, nel potere datoriale.

Con l’espressione diritti soggettivi strumentali ci riferiamo ad una categoria di situazioni giuridiche soggettive (statiche

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e di vantaggio

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) che, seppur finalizzate alla protezione di specifici interessi ritenuti dall’ordinamento giuridicamente rilevanti, nel complesso sono preordinate al perseguimento di un interesse ulteriore (il c.d. interesse finale o al bene della vita) che non è aprioristicamente garantito al rispettivo titolare

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, dipendendo invece dall’esercizio dell’altrui comportamento.

sentenze di condanna del giudice ordinario si arresta di fronte al limite invalicabile dell’infungibilità della prestazione cui è tenuto il datore (in qualità di debitore) inadempiente.

7 Se si richiama all’attenzione la dicotomia tra situazioni giuridiche soggettive statiche e dinamiche elaborata da autorevole dottrina (F.G.SCOCA, Le situazioni giuridiche soggettive. Nozioni generali, in Diritto amministrativo, F.G.

SCOCA (a cura di), Torino, 2008, 133), le situazioni giuridiche soggettive strumentali non possono che essere ricondotte alla prima tipologia, avendo ad oggetto interessi e non comportamenti <<che, qualificati giuridicamente, consentono la modificazione di precedenti assetti di interessi>> .

8 Trattasi di situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, in quanto riconoscono o qualificano specifiche utilità per i rispettivi titolari.

9 In particolare, secondo la concezione da noi accolta, la strumentalità caratterizzante le menzionate situazioni soggettive trova fondamento nella particolare relazione giuridica intercorrente tra l’interesse protetto in via diretta (rectius, l’interesse strumentale) ed il c.d. bene della vita (rectius, l’interesse finale) che il singolo si propone di conseguire. In altri termini, una situazione soggettiva è definita strumentale in quanto è correlata ad un risultato finale che dipende, comunque, da una scelta unilaterale del titolare del potere.

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Trattasi, pertanto, di situazioni giuridiche soggettive

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che vivono nell’ambito di uno specifico rapporto giuridico di carattere potestativo

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: la p.A. datrice di lavoro, infatti, esercita uno specifico potere

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(il potere datoriale) che l’ordinamento tende sempre di più a vincolare attraverso l’imposizione di l i m i t i

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(rectius, o b b l i g h i ) procedurali che, da un lato, ne

10 In senso conforme, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 21 maggio 2004, n. 9747; Id., 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. Sez. Un., 9 febbraio 2009, n. 3055.

11 Nell’ambito dei c.d. rapporti giuridici a valenza potestativa le situazioni giuridiche soggettive strumentali sono correlate al potere da altri esercitato. In linea generale, va osservato che i rapporti giuridici che appartengono a tale categoria possono essere distinti in due differenti specie: a) i c.d. rapporti di diritto amministrativo, nell’ambito dei quali gli interessi legittimi (situazioni giuridiche soggettive strumentali) dialogano con il potere esercitato dalla p.A.

(per questa costruzione del rapporto tra le situazioni giuridiche soggettive coinvolte dall’esercizio del potere della p.A., su tutti, cfr. F.G.SCOCA, Interessi protetti (dir. amm.), in Enc. giur., Roma, 1 ss.; Id., Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990; Id., Le situazioni giuridiche soggettive. Nozioni generali, in Diritto amministrativo, F.G.SCOCA (a cura di), cit., 137); b) i rapporti obbligatori di carattere non integralmente paritario, nell’ambito dei quali una parte

“forte” è titolare del potere di condizionare l’esistenza e/o la soddisfazione degli interessi strumentali altrui, i quali sono protetti sub specie di diritti soggettivi (di credito).

12 In termini generali, il potere giuridico indica la dimensione soggettiva della possibilità accordata dall’ordinamento ad un soggetto di operare nella realtà giuridica, ossia di agire conseguendo un risultato utile, per sé o per altri, che può consistere tanto nella modificazione di questa realtà, quanto nella sua conservazione attuazione (in senso conforme, A. LENER, Potere (diritto privato), XXXIV, in Enc. dir., Milano, 1985, 614). Richiamando all’attenzione la classificazione delle differenti tipologie di poteri elaborata da autorevole dottrina, i poteri esercitati dal datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti costituiscono espressione di poteri innovativi di conformazione. Trattasi infatti di poteri <<capaci di costituire, modificare o estinguere posizioni, situazioni, qualità, altri poteri o rapporti giuridici…con atti giuridici di diversa natura o con azioni materiali giuridicamente regolate>> (SANTI ROMANO,Poteri. Potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, ristampa inalterata, 178) <<che non stanno mai a sé, ma sono inclusi in un rapporto giuridico precostituito o ineriscono comunque ad una relazione qualificata tra soggetti determinati>> (A. LENER, Potere (diritto privato), cit., 628, il quale su questo specifico aspetto prende tuttavia le distanze dall’opinione espressa in precedenza da SANTI ROMANO, secondo cui il potere non vivrebbe in uno specifico rapporto giuridico, ma lo presupporrebbe. Rifiuta la concezione irrelata di potere anche F. SANTORO PASSARELLI, Diritti assoluti e relativi (voce), XII, in Enc. dir., Milano, 1964, 755).

13 Sulla relazione intercorrente tra poteri-limiti-diritti, sempre attuale appare l’insegnamento di SANTI ROMANO,Poteri.

Potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico, cit., secondo cui <<in primo luogo, il potere è di regola, e specialmente nel diritto moderno, limitato, donde il dovere di rispettare tali limiti; in correlazione a questo dovere ci può essere, sebbene non ci sia sempre, il diritto altrui all’osservanza del limite. In secondo luogo, per quella categoria di poteri (funzioni) che si debbono esercitare nell’interesse altrui o nell’interesse generale, ricorrono, oltre ai doveri (negativi) attinenti ai loro limiti, altri doveri (positivi), per cui può essere obbligatorio esercitarli ed esercitarli in un dato modo>> (nostro il corsivo, 203).

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condizionano (rectius, vincolano) l’esercizio; dall’altro, arrecano un vantaggio

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in favore dei dipendenti, assicurando a questi ultimi la protezione di specifici diritti soggettivi

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(di credito)

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aventi come sostrato interessi strumentali che possono essere, a seconda delle circostanze, proiettati all’ottenimento (interessi pretensivi) o alla conservazione (interessi oppositivi) di peculiari beni della vita

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.

Per fare alcuni esempi, appartengono alla prima tipologia gli interessi che fanno capo a coloro che partecipano ad un concorso interno: a seguito dell’emanazione del bando, infatti, la p.A. datrice di lavoro assume l’obbligo di svolgere le procedure concorsuali in conformità delle prescrizioni contenute nel bando stesso e/o nelle norme regolamentari e contrattuali disciplinanti la materia

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.

14 In ordine al rapporto intercorrente tra vincoli all’esercizio del potere e vantaggi ad essi correlati, inevitabile è il rinvio alle lucide osservazioni di L.FERRARA, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003, il quale osserva quanto segue: <<ogni vincolo, sia di carattere sostanziale, che di carattere procedimentale o genericamente formale, si presta ad essere letto, guardando al lato attivo del rapporto, in termini di vantaggio…l’osservanza del vincolo, talora arreca un vantaggio in sé, soddisfacendo un interesse autosufficiente…talaltra costituisce un vantaggio la cui rilevanza traspare nella proiezione dell’ottenimento del bene della vita>> (142).

15 Sebbene l’opinione dottrinaria e giurisprudenziale allo stato attuale prevalente riconduca le situazioni giuridiche soggettive dei lavoratori all’interno della categoria dei diritti soggettivi, va ricordato che in passato altri autori hanno preferito qualificare tali posizioni soggettive come interessi legittimi di diritto privato. Per una ampia trattazione della controversa definizione, su tutti il rinvio è d’obbligo a L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967; Id., Interesse legittimo: diritto privato, in Dig. disc. priv., IX, Torino, 1993, 527 ss. Per una condivisibile critica a tale originale ricostruzione teorica si rinvia a C.ZOLI, La giurisprudenza sui concorsi privati tra logiche pubblicistiche e strumenti civilistici: oscillazioni e assestamenti, in Riv. it. dir. lav., 1992, 11 ss. nel cui contributo vengono riprese le tesi dallo stesso autore più ampiamente analizzate in La tutela delle posizioni <<strumentali>> del lavoratore. Dagli interessi legittimi all’uso delle clausole generali, Milano, 1988; E. CAPACCIOLI, Interessi legittimi e risarcimento dei danni, in Diritto e processo. Scritti vari di diritto pubblico, Padova, 1978, 301 ss.

16 In entrambi i casi, gli interessi strumentali costituiscono il sostrato di veri e propri diritti di credito, i quali implicano l’obbligazione al cui adempimento sono tenuti i datori di lavoro.

17 Il rapporto intercorrente tra l’interesse strumentale protetto in via diretta dalla legge e quello effettivamente perseguito dal privato (il c.d. interesse finale), permette infatti di distinguere le situazioni giuridiche in esame in due tipologie: a) quelle pretensive, preordinate al conseguimento di uno specifico bene della vita; b) quelle oppositive, finalizzate invece alla sua conservazione.

18 In particolare, in questo caso il datore di lavoro deve regolamentare ed osservare specifiche e concrete modalità di espletamento del concorso che siano conformi ai criteri generali di correttezza e buona fede: escludendo che le singole prove e/o i titoli richiesti siano privi di capacità di determinare una adeguata, razionale ed obiettiva selezione dei candidati; affidando le operazioni alla commissione competente, la quale deve essere costituita e composta in osservanza delle modalità prescritte; svolgendo la selezione secondo le modalità e le tecniche predeterminate che sono state pubblicizzate o portate a conoscenza dei candidati con il bando di concorso; valutando titoli e prove con criteri che non finiscano, in qualche modo, per agevolare alcuni candidati a discapito di altri (Cass. civ., Sez. Lav., 24 dicembre 1999 n. 14547; Id., 1 agosto 2001 n. 10515; Id., 1 marzo 2000 n. 2280; Id., 29 gennaio 2003, n. 1382).

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Costituiscono, invece, interessi strumentali di carattere oppositivo, quelli protetti dagli artt. 7 St. lav. - 55 d.lgs. n. 165/2001 e/o dalle disposizioni applicative eventualmente contenute negli specifici contratti collettivi recanti la disciplina dei diritti sindacali, il cui tratto caratterizzante va individuato nell’esigenza di assicurare ad ogni lavoratore, nel momento in cui gli sono addebitate condotte con finalità sanzionatorie, il diritto soggettivo (di credito) al coinvolgimento nel relativo procedimento disciplinare

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.

A differenza di quanto accade per i rapporti di lavoro alle dipendenze dei privati, nell’ambito della disciplina inerente il settore del pubblico impiego privatizzato i l i m i t i

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che vincolano l’esercizio del potere datoriale, oltre ad essere preordinati alla protezione degli interessi dei lavoratori, sono al contempo posti in funzione dell’interesse che l’ordinamento prende in considerazione quando conferisce il potere alla p.A. datrice di lavoro.

E’ questo l’evidente discrimen, cui abbiamo poco sopra accennato, che differenzia sostanzialmente il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A. da quello “ontologicamente privato”

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.

A seguito della privatizzazione del pubblico impiego, infatti, non sono affatto venute meno le ragioni a fondamento dei l i m i t i i n t e r n i all’esercizio del potere datoriale pubblico: se, da un lato, in linea generale l’agire amministrativo, allorquando si esprime attraverso gli strumenti del diritto privato, non perde la natura sua propria di azione funzionalizzata

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, dall’altro, lo spazio

19 In questo caso, infatti, l’osservanza del vincolo imposto dalla sopraccitata disposizione di legge al datore di lavoro, reca al lavoratore: a) un vantaggio in sé, soddisfacendo, sia l’interesse a conoscere l’addebito che gli deve essere contestato, sia quello a poter addurre, in tempi ragionevoli, giustificazioni a propria difesa; b) un vantaggio proiettato alla conservazione di un bene della vita, essendo l’esercizio del diritto strumentale finalizzato al mantenimento del proprio posto di lavoro. Sulla rilevanza della procedura di cui all’art. 7 St. lav., di recente, cfr. Cass., Sez. Un., 30 marzo 2007, n. 7880.

20 Per una approfondita descrizione dei limiti al potere del datore di lavoro, sempre attuale appare il contributo di C.

ZOLI, La tutela delle posizioni <<strumentali>> del lavoratore. Dagli interessi legittimi all’uso delle clausole generali, cit., il quale, richiamando la distinzione elaborata da SUPPIEJ (Replica, in I poteri dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori, in Atti del IV Congresso nazionale di Diritto del Lavoro, Saint Vincent, 3-6 giugno 1971, Milano, 288 ss.), distingue i limiti interni, ossia <<quelli introdotti a protezione dell’interesse che l’ordinamento prende in considerazione quando conferisce il potere>>, dai limiti esterni, i quali invece <<sono posti a tutela di interessi diversi da quelli per i quali il potere è attribuito>> (154).

21 A differenza del potere datoriale pubblico, infatti, il potere del datore di lavoro privato non è funzionalizzato né al soddisfacimento di finalità pubbliche o sociali, né al perseguimento di un supposto interesse privatistico qual è

<<l’interesse dell’impresa>>. In tal senso, cfr. U. COREA, La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi nel pubblico impiego privatizzato, in Giust. civ., 2000, 2955 ss.; S. MENTO, Bandi di concorso a punteggio vincolato, discrezionalità della commissione di esame e sindacato del giudice, in Lav. P.A., 2005, 1198; G. SIGISMONDI, La tutela nei confronti del potere pubblico e dei poteri privati: prospettive comuni e aspetti problematici, in Dir. pubbl., 2003, 486; C.

ZOLI, Subordinazione e poteri del datore di lavoro: pubblico e privato a confronto, in Dir. pubbl., 1997, 369 ss.; Id. La tutela delle posizioni <<strumentali>> del lavoratore. Dagli interessi legittimi all’uso delle clausole generali, cit., 154 ss.

22 Sul punto, il rinvio è d’obbligo a F. G. SCOCA, Autorità e consenso, in Dir. amm., 2002, 431 ss.; Id., Attività amministrativa (voce), in Enc. dir., Agg. VI, Milano, 2002, 94 ss.; Id., L’attività amministrativa, in Diritto Amministrativo, F.G.SCOCA (a cura di), Torino, 2008, 173 ss. Per simili osservazioni, cfr. N. LONGOBARDI, La legge n.

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di autonomia privata attribuito all’amministrazione datrice di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 è in realtà solo apparente

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.

Come ha affermato autorevole dottrina, infatti, l’azione amministrativa posta in essere con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, non costituisce espressione della libertà di iniziativa economica privata garantita dall’art. 41 Cost.

Ed invero, non avendo la privatizzazione del pubblico impiego cancellato il Sollen (dover essere) che, in quanto obbligo giuridico, la p.A. è comunque tenuta a realizzare

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, in primo luogo quest’ultima continua ad essere “ontologicamente” obbligata ad osservare i principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost

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; in secondo luogo, i pubblici dipendenti, nel prestare la propria attività <<al servizio esclusivo della Nazione>> (e non delle singole parti vincolate dal sinallagma contrattuale)

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, assolvono ad un incarico che ancora oggi riveste la natura di munus sottoposto ai

15/2005 di riforma della legge n. 241 del 1990. Una prima valutazione, in www.giustamm.it; W. GIULIETTI, Il conferimento degli incarichi ai dirigenti: dai principi alle regole, ivi.

23 Contra, cfr. A. PIOGGIA, Il giudice e la funzione. Il sindacato del giudice ordinario sul potere privato dell’amministrazione, in Dir. pubbl., 2004, 219 ss., nel cui contributo vengono riprese le posizioni già sostenute in Giudice e funzione amministrativa, Padova, 2004, tesi poi ripetute successivamente in Funzione amministrativa e giudice del lavoro, in Lav. P.A., 2007, 395 ss; A. RICCARDI, Privatizzazione, tecniche regolative e giustiziabilità. Per una nuova dogmatica dell’attività organizzativa dell’amministrazione, in Lav. P.A., 2007, 105 ss. e 467 ss.; C. ZOLI, Amministrazione del rapporto e tutela delle posizioni soggettive dei dipendenti pubblici, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 633 ss.; Id., Subordinazione e poteri del datore di lavoro: privato e pubblico a confronto, in Dir. pubbl., 1997, 369 ss.

Secondo gli autori da ultimo citati, la privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A. avrebbe determinato una integrale parificazione tra la disciplina sostanziale dell’impiego pubblico a quella del privato, sia attraverso la trasformazione delle situazioni giuridiche soggettive dei dipendenti da interessi legittimi in veri e propri diritti soggettivi; sia con la contestuale modificazione dei caratteri della potestà esercitata dall’amministrazione nella gestione del rapporto di lavoro, mediante la sostituzione dei primigeni connotati dell’autoritarietà e della funzionalizzazione con quelli della libertà e dell’autonomia, caratterizzanti, all’opposto, il potere di gestione del rapporto di lavoro di cui è titolare datore privato.

24 In tal senso, cfr. A.BARTOLINI, Il personale, cit., il quale precisa che, <<mentre il potere datoriale privato è soggetto al principio di autonomia, per cui il datore può anche organizzare “male” la propria azienda, nella pubblica amministrazione ciò non è possibile, in quanto l’amministrazione non è autonoma, dovendo invece canonizzare la propria gestione secondo l’imparzialità ed il buon andamento>> (552).

25 In questo senso, su tutti, cfr.A.BARTOLINI, Il personale, cit., 552; A.POLICE, Inottemperanza della P.A. ai provvedimenti del giudice ordinario (in materia di pubblico impiego) ed esecuzione in forma specifica, cit., 955; B. SASSANI, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, cit., 212. Sul rapporto tra privatizzazione del pubblico impiego ed art.

97 Cost., cfr. A. GARILLI, La privatizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e l’art. 97 Cost.: di alcuni problemi e dei possibili rimedi, in Riv. giur. lav., 2007, 300 ss.

26 In proposito occorre rilevare che, qualora la gestione del rapporto di lavoro dovesse essere realmente intesa quale

“questione” da risolversi in termini esclusivamente privatistici, allora l’inevitabile applicazione del principio desumibile dall’art. 1372 c.c., secondo cui ogni atto espressione di autonomia negoziale sarebbe res inter alios acta che tertio neque prodest, neque nocet, determinerebbe la palese violazione dell’art. 98 Cost.

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medesimi principi che regolano l’azione amministrativa, essendo anch’esso inevitabilmente funzionalizzato alla cura delle medesime finalità a fondamento del pubblico potere datoriale

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.

Stando così le cose, non appare peregrino escludere, per esempio, la possibilità di equiparare il potere esercitato dal datore di lavoro pubblico nel valutare i partecipanti ad un concorso

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(o nell’irrogare nei confronti dei propri dipendenti provvedimenti disciplinari), a quello esercitato dal datore di lavoro privato.

Mentre, infatti, l’attività di quest’ultimo costituisce espressione dell’esercizio del potere di gestione rientrante nella libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost.

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, nell’espletamento del proprio incarico tanto i commissari di un pubblico concorso, quanto i dirigenti preposti all’esercizio dei poteri disciplinari, operano comunque nell’esclusivo interesse della p.A. datrice di lavoro (art. 98 Cost.) e sono tenuti ad ossequiare i principi di imparzialità e di buon andamento portati nel precetto costituzionale dell’art. 97 Cost.

Del resto, l’attendibilità della tesi secondo cui la logica del rapporto propria del pubblico impiego privatizzato non appare incompatibile con imparzialità e buon andamento

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, trova un esatto riscontro nel più recente orientamento della giurisprudenza nazionale.

In particolare, da un lato, la Suprema Corte

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, nei casi in cui è stata chiamata a pronunciarsi su fattispecie relative a comportamenti datoriali lesivi dei diritti soggettivi strumentali dei

27 Contra, M. LOZITO, Il passaggio dalla pianta organica alla dotazione organica complessiva nel lavoro pubblico, in Lav.

P.A., 2009, 61 ss., secondo cui <<seppure non si possa mettere in dubbio che la prestazione lavorativa del dipendente pubblico sia lo strumento principale attraverso cui l’ente persegue i suoi fini istituzionali (e nel fare ciò, quest’ultimo è vincolato al rispetto dei criteri imposti dall’art. 97 Cost.),…va però ribadito che, completata la privatizzazione, non si ritiene ancora sostenibile che i valori del buon andamento e dell’imparzialità connotino casualmente la prestazione nel contratto di lavoro con la p.a.>> (105).

28 Sulla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto concorsi interni che si svolgono nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, cfr. Cass. civ., Sez. Un., 24 maggio 2006, n. 12221; Id., 19 febbraio 2007, n. 3717; Id., 12 novembre 2007, n. 23439; Id., 9 febbraio 2009, n. 3055.

29 Cass. civ. , Sez. Lav., 17 luglio 1998, n. 7038; Id. 1 marzo 2000 n. 2280; Id., 1 agosto 2001 n. 10514; Id., 28 agosto 2003, n. 12637 ; Id., 29 gennaio 2003, n. 1382; Id., 14 settembre 2005, n. 18198.

30 E’ questa l’opinione tra i tanti sostenuta da A. POLICE, Inottemperanza della P.A. ai provvedimenti del giudice ordinario (in materia di pubblico impiego) ed esecuzione in forma specifica, cit., 925 ss.

31 In senso conforme, cfr. Cass. civ., S. U., 26 giugno 2002, n. 9332; Id., 14 aprile 2008, n. 9814; Id., 26 novembre 2008, n. 28274, secondo cui i principi di buona fede e correttezza non sono ”neutrali” rispetto a qualsiasi possibile direzione dell’azione, né tali da escludere alcuna opzione sul processo decisionale, dal momento che <<nell’ambito del rapporto di lavoro privatizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il Giudice ordinario sottopone a sindacato l’esercizio dei poteri, esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza delle regole di correttezza e buona fede, siccome applicabili anche all’attività di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.>> (nostro il corsivo).

Contra, A.PIOGGIA, la quale osserva invece come le clausole generali di buona fede e correttezza sarebbero in realtà caratterizzate dalla <<completa e piena neutralità rispetto a qualsiasi direzione possibile dell’azione, coerentemente, del resto, con la loro funzione di principi di autonomia. Diversamente da imparzialità e buon andamento, non

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pubblici dipendenti, non ha mancato di rilevare la compatibilità dei l i m i t i i n t e r n i

32

dei poteri attribuiti dalle norme al datore di lavoro con i menzionati principi costituzionali

33

; dall’altro la Corte costituzionale

34

, oltre a rilevare che la p.A. <<conserva pur sempre – anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare, essendo tenuta al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa>>

35

, nella recente sentenza n. 351 del 2008

36

ha affermato, con magistrale chiarezza, che <<a differenza di quanto accade nel settore privato…nel settore pubblico il potere [datoriale]…è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi…che trovano riconoscimento nelle norme costituzionali>>

37

.

Ma v’è di più.

In perfetta linea con il trend inaugurato dall’orientamento giurisprudenziale su richiamato sembra essersi altresì mosso di recente il Legislatore, il quale, con il d.l. 25 giugno 2008, n. 112, la legge 4 marzo 2009, n. 15

38

e, da ultimo, con il D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150, pur confermando

contengono alcuna opzione sul processo decisionale, potendo un comportamento corretto e in buona fede essere tale anche a prescindere dalla parità di trattamento o dalla utilità della scelta in termini di buon funzionamento del sistema>> (Il giudice e la funzione. Il sindacato del giudice ordinario sul potere privato dell’amministrazione, in Dir.

pubbl., 2004, 250).

32 Cass. civ., Sez. Lav., 14 aprile 2008, n. 9814.

33 In senso conforme, cfr. A.BARTOLINI, Il personale, cit., 552-553.

34 In più occasioni la Consulta ha avuto modo di osservare come la progressiva assimilazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni con quello alle dipendenze dei privati non abbia integralmente azzerato le differenze che rendono le due situazioni affatto omogenee. In tal senso, cfr. Corte cost. 9 novembre 2006, n. 367, ivi; Id., 27 marzo 2003, n. 89, ivi; Id., 12 marzo 2003, n. 82, ivi; Id., 5 luglio 2001, n. 275, ivi. Per una critica alla tesi della perdurante specialità del rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A., oltre agli autori citati nella precedente nota 22, cfr. altresì E. ALES, secondo cui <<detto rapporto è disciplinato da norme che possono, a seconda dei casi, essere qualificate come uniformi (tra pubblico e privato), speciali (nel caso in cui un medesimo istituto sia regolato in maniera differente nei due settori), o, infine, specifiche (laddove per il lavoro pubblico il legislatore o la contrattazione collettiva introducano istituti sconosciuti al settore privato> (Il periodo di prova nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: parziale specialità della disciplina legale e specificità della disciplina contrattuale collettiva, in Riv. it. dir. lav., 2009, 378, nel quale vengono riprese le tesi già sostenute in, Contratti di lavoro e pubbliche amministrazioni, Padova, 2007).

35 Così, Corte cost., 16 maggio 2008, n. 146, in www.cortecostituzionale.it.

36 Così, Corte cost., 24 ottobre 2008, n. 351, in Giur. cost., 2008, con nota di M. MIDIRI, Spoils system, interesse pubblico, risarcimento del danno, 3874 ss.; in Lav. P.A., 2009, 109 ss., con nota di M. MONTINI, Le <<cose buone dal sapore antico>>, l’art. 97 della Costituzione e la tutela del dirigente pubblico, 115 ss.

37 Così, Corte cost., 24 ottobre 2008, n. 351, cit.

38 Per un commento alle innovazioni introdotte dal Legislatore, cfr. F.CARINCI, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo governo Berlusconi: dalla legge n. 133/2008 alla legge n. 15/2009, in Il lavoro nelle P.A., 2008, 949

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il principio di convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato

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, pare aver voluto evidenziare le specialità che, a nostro avviso, differenziano tutt’oggi il rapporto di lavoro alle dipendenze delle p.A. da quello privato, rimarcando quelle distinzioni

40

tra disciplina privatistica e disciplina pubblicistica che sono correlate al differente ruolo svolto dalla p.A nell’esercizio di un potere, qual è quello datoriale, che non è libero, ma continua tutt’oggi ad essere inevitabilmente “funzionalizzato”.

3. La necessità di ammettere forme di tutela esecutiva specifica in favore del pubblico dipendente a protezione dei c.d. diritti soggettivi strumentali. La naturale fungibilità degli obblighi datoriali della p.A.

La perdurante specificità dei rapporti di pubblico impiego non opera solo sul versante sostanziale. Sotto il profilo della tutela giurisdizionale non può parlarsi, infatti, di totale identità di situazioni, dovendo invece essere ritenuta ammissibile ogni diversità di disciplina processuale che trovi giustificazione nella specialità del rapporto e nelle esigenze del perseguimento degli interessi generali cui è tutt’oggi tenuta la p.A. in qualità di datore di lavoro

41

.

Ed invero, in linea con quanto è emerso nella trattazione che precede, anche le peculiarità caratterizzanti il trattamento processuale delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte nell’ambito dei rapporti di lavoro alle dipendenze della p.A. possono essere osservate da una duplice prospettiva: l’una (interna), collegata alla specifica natura dell’azione posta in essere dalla p.A. e finalizzata ad assicurare una effettiva applicazione dei superiori principi di cui agli artt. 97

ss.; S. MAINARDI, Fonti, poteri e responsabilità nella valutazione del merito dei dipendenti pubblici, ivi, 729 e ss.; R. URSI, Alcune considerazioni sul regime delle sanzioni disciplinari dopo il decreto Brunetta, ivi, 759 e ss.; E. VILLA, Il sistema di misurazione/valutazione della performance dei dipendenti pubblici nel d.lgs. n. 150/2009, ivi, 773 ss.; A. ZUCARO, L’”Ircocervo” delle responsabilità dirigenziali tra il Decreto 150/2009 ed i Contratti collettivi nazionali, ivi, 942 ss. ; M.

SCAGLIONE, Prime osservazioni sulla riforma c.d. <<Brunetta>> del lavoro pubblico privatizzato, in Mass. Giur. Lav., 2009, 884 ss.

39 Cfr. art. 1, comma 2, lett. a), legge 4 marzo 2009, n. 15.

40 Esemplari, in proposito sono: a) la revisione della disciplina dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali (cfr. art. 46-bis, d.l. n. 112/2008); b) la disciplina relativa alle assenze per malattia e per permesso retribuito di cui all’art. 72, d.l. n. 112/2008; c) l’estensione della regola del concorso per il reclutamento dei dipendenti delle società pubbliche (art. 18 d.l. n. 112/2008); d) il depotenziamento del ruolo della contrattazione collettiva operato dall’art. 1, comma 1 legge n. 15/2009 e dagli artt. 53 e ss. D.lgs. n. 150/2009; e) l’introduzione di meccanismi finalizzati a premiare il merito e la premialità <<anche mediante l’affermazione del principio di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi>> (cfr. art. 5, comma 1, legge n. 15/2009 – 17 e ss. D.lgs. n.

150/2009); f) l’affermazione dei principi di trasparenza e pubblicità relativi ai criteri di conferimento, di mutamento o di revoca degli incarichi dirigenziali (cfr. art. 6, comma 2, lett. h) legge n. 15/2009 – 37 e ss., D.lgs. n. 150/2009); g) l’introduzione di una disciplina inderogabile in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici (cfr. art. 7 legge n. 15/2009 – 67 e ss. L. n. 150/2009).

41 In tal senso, cfr. Corte cost., 23 maggio 2003, n. 199, in www.cortecostituzionale.it

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e 98 Cost.; l’altra (esterna), connessa ad interessi distinti da quelli per i quali il potere è esercitato e preordinata al completamento del sistema di tutela dei diritti strumentali di cui i dipendenti risultano titolari nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro.

Tale assunto è di centrale rilevanza per la questione trattata nel presente studio.

Accogliendo, infatti, la tesi secondo cui i limiti all’esercizio del potere datoriale pubblico non sono esclusivamente finalizzati alla protezione degli interessi strumentali dei lavoratori, essendo altresì diretti a garantire l’osservanza dei superiori principi che, in via generale, sovrintendono all’azione amministrativa

42

, è allora evidente che, come <<forme di riparazione economica, quali, ad esempio, il risarcimento del danno o le indennità riconosciute dalla disciplina privatistica…non possono rappresentare nel settore pubblico strumenti efficaci di tutela degli interessi collettivi>>

43

, così non v’è ragione per escludere la necessità di ammettere in subiecta materia tecniche di tutela esecutiva specifica che siano finalizzate all’attuazione delle

42 Sui principi generali dell’azione amministrativa, cfr. A. POLICE, Principi e azione amministrativa, in Diritto amministrativo, F. G. SCOCA (a cura di), Torino, 2008, 191 ss.

43 Anche in questo caso, il rinvio è a Corte cost., 24 ottobre 2008, n. 351, cit.

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pronunzie di condanna ad un facere (o ad un non facere) specifico ottenute dal giudice ordinario nei confronti della p.A. datrice di lavoro

44

.

In questa prospettiva, è pertanto netta la specificità del trattamento giurisdizionale che l’ordinamento appresta in favore dei dipendenti pubblici titolari di diritti strumentali pregiudicati dall’esercizio dei poteri datoriali

45

.

44 In senso difforme dall’opinione espressa, altri autori hanno sostenuto che le sentenze di condanna del giudice ordinario rese nei confronti del datore di lavoro pubblico dovrebbero essere trattate al pari di ogni altra sentenza di condanna ad un facere infungibile. A parere di costoro, infatti, con la privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della p.A., il Legislatore avrebbe operato una integrale parificazione del dipendente pubblico a quello privato, la quale si sarebbe rivelata produttiva di effetti non solo sul versante sostanziale, ma anche su quello processuale, determinando una integrale equiparazione delle tecniche di tutela giurisdizionale quanto a presupposti, contenuti, conseguenze e, per quel che qui rileva, limiti. In altri termini, nell’opinione espressa dagli assertori di codesta differente impostazione, la modifica della natura sostanziale dei poteri esercitati dalla p.A. nello svolgimento del rapporto di lavoro, avrebbe prodotto un inevitabile effetto a cascata sulle tecniche di tutela predisposte in favore dei pubblici dipendenti, imponendo l’applicazione dei concetti di fungibilità e di infungibilità delle prestazioni cui la p.A. datrice di lavoro sarebbe tenuta. Di conseguenza, con l’eliminazione dell’ontologica distinzione tra datore di lavoro pubblico e datore di lavoro privato e con il contestuale riconoscimento di una natura esclusivamente privatistica alla concreta gestione del rapporto di impiego, i fautori di tale impostazione teorica ritengono inevitabile attribuire anche alle obbligazioni del p.A. il carattere dell’incoercibilità che tradizionalmente connota la maggior parte delle prestazioni del datore di lavoro privato. Di qui l’esclusione della possibilità di ricorrere tanto alla tecnica di tutela esecutiva specifica di cui agli artt. 612 c.p.c., quanto a quella di cui agli artt. 27, n. 4 T.U. C.d.S. - 37 della Legge T.A.R., in quanto, <<diversamente opinando, si finirebbe con l’attribuire al lavoratore pubblico privatizzato una tutela giurisdizionale…per la esecuzione coattiva nei confronti del suo datore di lavoro di obbligazioni di fare infungibili che, viceversa, viene costantemente negata al lavoratore privato, senza che esistano sostanziali ragioni giustificatrici di tale differente tutela, atteso che in entrambi i casi vengono ad avere decisiva rilevanza non certo atti amministrativi, ma atti di gestione del singolo rapporto di lavoro che la pubblica amministrazione adotta, come visto, con i poteri del datore di lavoro>> (così,S.BRUSATI, Esecuzione degli obblighi di fare infungibile nei confronti della P.A., cit., 1163). In tal senso, v. P. SORDI, I poteri del giudice ordinario nelle controversie di pubblico impiego, in Corr. giur., 1999, 512 ss.; F.

TRISORIO LIUZZI, Controversie relative ai rapporti di lavoro, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, F.

Carinci e M. D’Antona (a cura di), Milano, 1837 ss. In passato tale tesi è stata sostenuta altresì da A.VALLEBONA, Provvedimenti del giudice ed esecuzione nelle controversie di diritto pubblico, in Arg. dir. lav., 2000, 221 ss., il quale ha tuttavia rivisitato la propria posizione nella recente nota, Revoca dell’incarico dirigenziale ed atto amministrativo presupposto, in Mass. giur. lav., 2009, 316 ss.

45 Diversamente da quanto accade nel settore del pubblico impiego, la maggior parte delle prestazioni costituenti il contenuto del rapporto di lavoro “ontologicamente privato” richiede, invece, la necessaria e personale cooperazione datoriale, la quale, da un lato, costituisce diretta manifestazione dell’autonomia privata che è componente essenziale del potere di gestione aziendale in cui si esprime la libertà di iniziativa economica privata protetta dall’art. 41 Cost.;

dall’altro, esclude per il dipendente vittorioso in sede di cognizione la possibilità di ricorrere alle tecniche di tutela esecutiva specifica approntate dal codice di rito al fine di dare attuazione alla sentenza di condanna pronunziata dal giudice del lavoro in suo favore. In senso conforme, cfr. S. BRUSATI, Esecuzione degli obblighi di fare infungibile nei confronti della P.A., cit., 1163; I.PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit., 106-107; C.DELLE DONNE, Spunti per una riflessione in tema di tutela cutelare dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in Giust. civ., 2003, 281 ss.; L. MONTESANO, Garanzia di difesa ed esecuzione ordinaria contro terzi e successori particolari dell’obbligato, in Riv.

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Mentre, infatti, l’attuazione dei pronunciamenti di condanna ad un facere (o ad un non facere) specifico emessi nei confronti di un datore di lavoro privato incontrerebbe l’insuperabile ostacolo dell’infungibilità, essendo la gran parte delle obbligazioni datoriali insuscettibili di coercizione diretta

46

, tale limite non potrebbe operare per impedire l’esecuzione delle medesime pronunzie allorché siano emanate in materia di pubblico impiego, non potendo trovare spazio alcuno dinnanzi all’azione di un soggetto, qual’è la p.A. datrice di lavoro, esercente una attività che non è libera, ma ontologicamente funzionalizzata.

Diversamente opinando, non solo verrebbe irrimediabilmente pregiudicata l’effettività di tutela dei diritti strumentali di cui i pubblici dipendenti risultano titolari nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro. Qualora si escludesse la possibilità di ricorrere a strumenti di tutela atti a tradurre la regola giuridica affermata dal giudice del lavoro in fatti reali, infatti, verrebbe altresì pretermesso l’interesse di cui la p.A. risulta attributaria (essendo ostacolata la possibilità di rimediare con misure concrete alla violazione dei superiori principi di cui agli artt.

97 e 98 Cost.) e sarebbe del tutto azzerata la (originaria) funzione tutt’ora assolta dal giudizio di ottemperanza, rimedio processuale introdotto nel nostro ordinamento dal Legislatore proprio all’esclusivo fine di dare attuazione alle sentenze pronunciate dal giudice civile nei confronti della p.A. (cfr. art. 4 n. 4 legge 31 marzo 1889, n. 5992, ora art. 27, n. 4 T.U.C.d.S.).

4. Gli strumenti di tutela esecutiva specifica a protezione dei diritti strumentali del pubblico dipendente: tra ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva. Profili di carattere generale.

trim. dir. proc. civ., 1987, 938; A.VALLEBONA, Tutele giurisdizionali e autotutela individuale del lavoratore, Padova, 1995, 7 ss.; A.POLICE, Inottemperanza della P.A. ai provvedimenti del giudice ordinario (in materia di pubblico impiego) ed esecuzione in forma specifica, cit., 940-941.

46 Secondo la migliore dottrina, il problema della fungibilità/infungibilità della prestazione del datore non deve essere affrontato in termini unitari; la questione deve, invece, essere risolta prendendo a riferimento i singoli comportamenti in cui la prestazione datoriale si articola. Occorre, in altri termini, <<scendere a vedere in ogni singola fattispecie che cosa sia fungibile, e quindi direttamente coercibile, e che cosa, invece, costituisca attività assolutamente infungibile, e sfugga perciò ad ogni diretta coercizione>> (così, M. TARUFFO, Problemi in tema di esecutorietà della condanna alla reintegrazione del lavoratore, in Riv. it. dir. proc. civ., 1976, 789 ss.). Gli obblighi di pati (ad esempio quelli consistenti nel consentire l’ingresso e la permanenza del lavoratore in azienda) non sono infungibili: ciò che, infatti, al datore di lavoro si chiede è di non ostacolare materialmente l’attuazione della sentenza di reintegra. Altri comportamenti, invece, quali quelli cui il datore è tenuto in adempimento di obblighi di non facere, o di obblighi di facere necessitanti una sua diretta collaborazione attiva (si pensi a quelli di ordinare, indirizzare, coordinare, assegnare le mansioni… al proprio lavoratore) rimangono ontologicamente infungibili. In senso conforme, cfr. M. BOVE, Il punto sull’esecuzione forzata dell’obbligo di reintegra del lavoratore, in Riv. it. dir. lav., 1985, 212 ss.; I.PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit.; Id., Diritti del lavoro e tecniche di tutela: problemi e prospettive, in Riv. it. dir. lav., 2005, 489; M.

PIVETTI, Ombre e luci della giurisprudenza in tema di tutela in forma specifica, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2005, 145 ss.;

A. PROTO PISANI, L’attuazione dei provvedimenti di condanna, in Foro it., V, 177 ss.; Id., Aspetti processuali della reintegrazione nel posto di lavoro, in Foro it., 1972, V, 117 ss.; M. TARUFFO, Problemi in tema di esecutorietà della condanna alla reintegrazione del lavoratore, cit., 789 e ss.

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Dimostrata la necessità di ammettere forme di tutela esecutiva specifica in favore dei diritti strumentali dei pubblici dipendenti, occorre a questo punto esaminare quali siano i rimedi esecutivi concretamente esperibili al fine di dare attuazione ai pronunciamenti di condanna della p.A. datrice di lavoro emanati dal giudice ordinario.

Com’è noto, al riguardo la dottrina ha prospettato differenti soluzioni: in particolare, gli studiosi del processo amministrativo

47

hanno sostenuto la possibilità di utilizzare il solo rimedio offerto dal già menzionato giudizio di ottemperanza; i processualcivilisti

48

, rompendo con la tradizione, hanno a loro volta teorizzato l’applicazione del solo strumentario apprestato dalle disposizioni del codice di procedura civile; altri autori

49

, hanno invece superato la divisione tra le menzionate scuole di pensiero, attribuendo al pubblico dipendente la possibilità di ottenere l’attuazione dei pronunciamenti favorevoli emessi in suo favore dal giudice ordinario, tanto mediante il ricorso agli strumenti offerti dal processo civile, quanto a mezzo del giudizio di cui agli artt. 27 T.U. C.d.S. – 37 legge T.A.R.

Delle tre impostazioni su richiamate, è quest’ultima che a nostro avviso appare preferibile.

Essa, infatti, oltre a risultare maggiormente conforme al diritto positivo vigente, assicura al

47 Su tutti, cfr. A.POLICE, Inottemperanza della P.A. ai provvedimenti del giudice ordinario (in materia di pubblico impiego) ed esecuzione in forma specifica, cit., 930 ss.; A. TRAVI, La giurisdizione civile delle controversie di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. proc. amm., 2001, 311 ss.

48 Muovendo dall’assunto secondo cui l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza finirebbe per <<riporta[re] (per la finestra) al giudice amministrativo il sindacato (a cui si era chiusa la porta) sui rapporti sottrattigli>>, gli studiosi del processo civile hanno preferito applicare il rimedio di cui agli artt. 612 c.p.c. ss., seppure adattandolo ad alcune soluzioni provenienti proprio dall’ottemperanza amministrativa. E’ questa l’originale tesi sostenuta per primo da B.

Sassani, il quale, al fine di evitare il massiccio ritorno al giudice amministrativo di ampi settori di cognizione e di decisione devoluti dal Legislatore della privatizzazione al giudice ordinario, ha teorizzato la possibilità di superare le difficoltà che potrebbero insorgere in sede esecutiva dall’inottemperanza della p.A., mediante la nomina da parte del giudice dell’esecuzione di un commissario ad acta incaricato di compiere tutti gli atti paritetici necessari ad attuare il comando contenuto nella sentenza del giudice del lavoro. Sul punto, il rinvio è d’obbligo ai seguenti contributi: Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, cit., 203 ss.; Giurisdizione ordinaria, poteri del giudice ed esecuzione della sentenza nelle controversie di lavoro con la pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 413 ss.;

L’esecuzione delle sentenze civili di condanna dell’amministrazione nei rapporti di lavoro, in Riv. esec. forz., 2005, 1 ss.

Aderisce a tale impostazione anche C. CECCHELLA, La tutela giurisdizionale nella riforma del pubblico impiego, in Riv.

trim. dir. proc. civ., 1995, 1374.

Sebbene tale tesi sia stata osteggiata da larga parte della giurisprudenza di merito (Trib. Vicenza, 23 agosto 1999, in Lav. P.A., 2000, 625; Trib. Palermo, 26 aprile 2001, in Giust. civ., 2003, 224; Trib. Benevento, 22 marzo 2001, in Lav.

P.A., 2001, 383; Trib. Parma, 12 luglio 2005, in Il lav. nella giur., 2005, 1160), non sono mancate pronunzie che ne hanno fatto applicazione (Trib. Reggio Calabria, 8 maggio 2006, in Giur. merito, 2007, 676 ss., con nota di A. LOMBARDI, Coercibilità dell’ordine cautelare di reintegra del lavoratore nei confronti del datore di lavoro pubblico; Trib. Lecce, 28 febbraio 2003).

49 E’ questa la tesi sostenuta da G. ALBENZIO, L’esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della Pubblica amministrazione, in Foro it., 1999, I, 3475; G. MONTEDORO, Esecuzione forzata e rapporto di lavoro pubblico privatizzato, in Cons. Stato, 2002, II, 2107 ss.

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contempo un più elevato livello di protezione delle situazioni giuridiche soggettive strumentali pregiudicate dall’esercizio del potere datoriale.

Ed invero, da un lato, non v’è dubbio che, non essendo gli artt. 27, n. 4 T.U. C.d.S. e 37 legge T.A.R. stati espressamente derogati dall’art. 63 d.lgs. 165/2001, il giudizio di ottemperanza continui

50

inevitabilmente a costituire ancora oggi un rimedio di carattere generale cui il pubblico dipendente potrebbe ricorrere al fine di ottenere l’adempimento, da parte della p.A. datrice di lavoro, dell’obbligo di conformarsi al dictum del giudice ordinario, purchè passato in giudicato;

dall’altro, l’opinione da noi accolta consentirebbe di portare ad attuazione non solo le pronunzie non più soggette ad impugnazione, ma anche quelle non ancora coperte dal giudicato formale (atteso che il rimedio di cui agli artt. 612 c.p.c. e ss. prescinde da tale presupposto), nonché le misure aventi ad oggetto obblighi di fare (o non fare) emesse nei confronti della p.A. datrice di lavoro ex art. 700 c.p.c.

51

(trovando applicazione, in questo caso, l’istituto di cui all’art. 669- duodecies c.p.c.).

Ma v’è di più.

Ragioni di sistema ci inducono ulteriormente a rilevare come l’ammissibilità della soluzione della doppia tutela trovi ulteriore conferma nell’esistenza di altre situazioni nelle quali la giurisprudenza ammette un concorso tra esecuzione forzata e giudizio di ottemperanza amministrativa.

Si prenda ad esempio il caso dell’attuazione nei confronti della p.A. dei decreti ingiuntivi non opposti. Ebbene, secondo l’orientamento prevalente, in tale evenienza il giudizio di ottemperanza non sarebbe precluso dall’esistenza di ulteriori e diversi strumenti di tutela, ma,

50 L’utilizzazione di questa espressione non è casuale. Il giudizio di ottemperanza “continuerebbe” ad operare perché in origine tale forma di tutela è stata introdotta nel nostro ordinamento dal legislatore proprio al fine di dare attuazione alle sentenze del giudice civile (cfr. art. 4 n. 4, legge 31 marzo 1889, n. 5992, ora art. 27, n. 4 T.U.C.d.S.).

Ottenuta la sentenza, il cittadino poteva chiedere alla p.A. di annullare l’atto, dichiarato incidentalmente illegittimo e che aveva provocato la lesione del diritto; se l’Amministrazione non ottemperava conformandosi alla sentenza, era quindi possibile ottenere tutela ricorrendo al Consiglio di Stato. Fu poi la giurisprudenza amministrativa che, dapprima estese tale rimedio all’attuazione anche delle sentenze amministrative (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 marzo 1928, n.

181), successivamente (Cons. St., Ad. Plen., 9 marzo 1973, n. 1) lo utilizzò per l’esecuzione delle sentenze di condanna al pagamento di somme del giudice ordinario (in un primo momento ritenute attuabili solo attraverso il processo d’esecuzione di cui al codice di procedura civile). I principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa sono, infine, stati cristallizzati dal legislatore negli artt. 33, comma 5 (introdotto dalla legge n. 205/2000) e 37 della legge T.A.R. Il giudizio di ottemperanza è stato oggetto di numerosi studi. Su tutti, cfr. M. NIGRO, Sulla natura giuridica del processo di cui all’art. 27, n . 4 delle leggi sul Consiglio di Stato, in Rass. dir. pubbl., 1954, 228 ss.; Id., Il giudicato amministrativo e il processo di ottemperanza, in Riv. dir. civ., 1981, 1175 ss.; Id., Giustizia amministrativa, Bologna, 2002 (VI ed. a cura di E. Cardi – A. Nigro), 311 ss.; F. LUBRANO, Il giudizio di esecuzione delle decisioni amministrative, Roma, 1992; L.

FERRARA, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, cit.; A. PAJNO, Il giudizio di ottemperanza come processo di esecuzione, in Foro amm., 1987, 1645 ss.; B.SASSANI, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, cit., 109 ss.; A.POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, Padova, II, 2001, 202 ss.; R.

VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971.

51 In dottrina, in senso conforme, cfr. C. DELLE DONNE, Spunti per una riflessione in tema di tutela cautelare dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in Giust. civ., 2003, 281 ss.; B.SASSANI, L’esecuzione delle sentenze di condanna dell’amministrazione nei rapporti di lavoro, cit., 1 ss.

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www.judicium.it

concorrendo con essi

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, potrebbe addirittura essere esperito anche contestualmente all’ordinaria procedura esecutiva

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Analoghe conclusioni potrebbero infine essere tratte dall’esame dell’art. 614-bis c.p.c., disposizione che, come è noto, ha di recente escluso espressamente dall’ambito oggettivo di applicazione delle astreintes le controversie di lavoro subordinato pubblico e privato.

A nostro avviso, infatti, la soluzione adottata dal Legislatore con l’emanazione della norma su menzionata non appare inconciliabile con la nostra posizione qui accolta: ed invero, qualora fosse interpretata adeguatamente, la sopraccitata disposizione di legge potrebbe addirittura confermare quanto pocanzi sostenuto.

Se, infatti, nell’esclusione dall’applicazione delle misure coercitive indirette di tutte le controversie in materia di lavoro pubblico privatizzato, si volesse leggere l’intenzione di colmare il vuoto normativo lasciato aperto dal d.lgs. n. 165/2001, onde attribuire il carattere di infungibilità delle obbligazioni inadempiute dalla p.A. datrice di lavoro, allora sarebbe evidente che tale norma finirebbe inevitabilmente per presentare notevoli profili di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 24, 97, 98 e 113 Cost.

Qualora, invece, a tale interpretazione letterale si sostituisse quella conforme alle su menzionate disposizioni della Carta costituzionale, allora l’esclusione dall’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 614-bis c.p.c.

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di tutte le controversie in materia di pubblico impiego devolute alla giurisdizione del giudice ordinario potrebbe trovare piena giustificazione proprio nella ontologica fungibilità delle prestazioni inadempiute dalla p.A. datrice di lavoro.

In altri termini, adottando questa differente chiave di lettura, nell’esenzione dall’applicazione delle misure coercitive indirette delle sentenze di condanna pronunciate dal giudice del lavoro in materia di pubblico impiego privatizzato sembrerebbe possibile intravedere la consacrazione della definitiva rivincita delle tecniche di tutela esecutiva specifica su quella per equivalente

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52 Cons. Stato, Sez. V, 5 febbraio 2009 n. 599, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 17 novembre 2008, n. 10251, ivi; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 26 settembre 2008 n. 11282, ivi; Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2003, n. 3031, ivi; T.A.R. Basilicata, 8 marzo 2004, n. 139, ivi; T.A.R. Veneto, Sez. I, 13 febbraio 2004, n. 223;

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 29 ottobre 2003, n. 9142, ivi; Id., 11 settembre 2003, n. 7582, ivi; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 23 giugno 2003, n. 615, ivi; TA.R. Molise, 12 maggio 2003, n. 463, ivi.

53In questa circostanza, infatti, secondo la prevalente giurisprudenza il ricorso introduttivo diventa improcedibile solo all'esito completamente satisfattivo della procedura esecutiva. Si vedano in giurisprudenza, Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2002, n. 480, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., Sez IV, 25 luglio 2000, n. 4125, ivi; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 8 ottobre 2004, n. 1878, ivi; T.A.R. Lazio, Latina, 21 settembre1994, n. 820, ivi.

54 Per un primissimo commento alla riforma del processo civile, cfr. M. BOVE, Brevi riflessioni sui lavori in corso nel riaperto cantiere della giustizia civile, in www.judicium.it; B.SASSANI, A.D. 2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario nelle novità riguardanti il processo di cognizione, ivi.

55 Diversi rilievi devono, però, essere mossi circa l’esclusione dall’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 614-bis c.p.c. delle controversie di lavoro subordinato privato. In questo caso, infatti, la strutturale infungibilità di gran parte delle obbligazioni datoriali inadempiute continua a non essere debitamente sanzionata. Ciò nonostante, costituendo questa l’unica eccezione a quella che il Legislatore ha dimostrato considerare come la “regola” allorquando si discuta su controversie aventi ad oggetto obbligazioni di facere infungibile o di non facere (queste ultime, com’è noto,

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