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I fondamenti giuridici italiani in tema di danno emergente e lucro cessante

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(1)

I fondamenti giuridici italiani in tema di danno emergente e lucro cessante

di

Riccardo Del Giudice*

E' bene fare subito una premessa di carattere sistematico in tema di risarcimento del danno.

La Giurisprudenza più autorevole, con a capofila la Corte Costituzionale con la sentenza 184 dell'86, coagulando intorno a sé gli orientamenti già formatisi nel frattempo, ha posto alcuni punti fermi che si possono così sintetizzare:

1. da ogni fatto illecito scaturisce l'obbligo di risarcire il danno (art. 2043);

2. ogni fatto che per le sue caratteristiche di riconosciuta illiceità arrechi un danno da lesioni personali realizza per prima cosa una ipotesi di danno biologico od alla salute che si pone allorché manifestandosi come tale quale presupposto di fatto, ed allo stesso tempo giuridico, di eventuale danno che va a colpire “il patrimonio” del soggetto leso nonché di altrettanto eventuale ulteriore danno c.d. morale.

La conseguenza di questa impostazione è che, nel praticato giurisprudenziale e non, il maggiore spazio sul terreno delle problematiche da risarcimento è stato egemonicamente occupato dalle questioni in tema di danno biologico, confinando in posizione di retroguardia tutto quanto - superata la barriera dell'eventualità - potrà attenere al danno c.d. patrimoniale.

Fatta questa premessa, un avvertimento: allorché si parli di danno, di risarcimento, di responsabilità extracontrattuali e connessioni con il momento assicurativo, è facile mentalmente ritrovarsi a circoscrivere il discorso al fenomeno della circolazione stradale.

Qui infatti, l'obbligatorietà della legge porta a far largamente sovrapporre l'area assicurativa a quella della responsabilità e conseguentemente quella della responsabilità a quella del risarcimento.

In virtù di un meccanismo di traslazione, realizzato dalla normativa vigente in regime di assicurazione obbligatoria fin dal 1971, ecco che assicurazione e risarcimento pervengono ad un diretto rapporto di interdipendenza. Non occorre altro per comprendere con quanta attenzione il mondo assicurativo segua le problematiche che hanno per oggetto il danno da risarcire.

La prima frase che apre una delle più qualificate trattazioni sulla liquidazione del danno alla persona e che si ripresenta nei concetti come avvertimento ricorrente, è la seguente:

"La valutazione del danno alla persona pone il più arduo dei problemi nel campo della responsabilità civile".

Lasciando da parte le altre aree del danno risarcibile quali danno biologico e danno morale tocca ora vedere da vicino il punto di vista dell'assicuratore sui criteri per la liquidazione del danno patrimoniale.

Corre pure l'obbligo di ricordare, più che altro a noi stessi, che si parla qui di danno risarcibile quale conseguenza di responsabilità dipendente non da inadempienza contrattuale bensì da illecito, presupposto di una responsabilità che viene dal nostro sistema giuridico definita "responsabilità extracontrattuale o aquiliana".

* Dirigente Toro Assicurazioni, Torino

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Il nostro codice è estremamente avaro di norme regolatrici specifiche ed ha optato (art.

2056 c.c.) per una soluzione di aggancio con le normativa contrattuale (art. 1223 - 1226 - 1227 c.c.) dettata in tema di inadempimento delle obbligazioni, lasciando a giurisprudenza e dottrina di trovare ed indicare soluzioni e criteri da seguire.

Le disposizioni del nostro codice risalgono al 1942 e per oltre trent'anni il danno da risarcire è stato sempre visto come danno patrimoniale o meglio ancora come danno economicamente incidente sulla capacità dell'uomo a produrre reddito e, allorché questo non trovava riscontro nella realtà, si è sostanzialmente finto che ciò accadesse.

Del resto l'intera costruzione del dovere di risarcire è notoriamente poggiata sull'insidioso terreno di una inevitabile fictio iuris.

L'ingresso, sulla scena, del danno biologico ha mutato profondamente le regole del gioco, ha additato nuovi referenti normativi (art. 32 della Costituzione) ed ha avuto il merito di riportare il danno patrimoniale nel suo giusto alveo.

Il leso - l'infortunato non lo si è più visto, nella totalità dei casi, nella veste, vera o falsa che fosse, di homo economicus bensì come soggetto passivo di un attentato alla propria integrità psicofisica e, solo eventualmente, e in alcune ipotesi da rigorosamente dimostrare, quale titolare di un ulteriore e specifico pregiudizio di natura squisitamente patrimoniale.

Posta la questione in tali termini, quanto meno come contraltare a quella che è stata efficacemente definita "l'anarchia del dopo sistema", effetto indotto delle concettualizzazioni di danno biologico/danno alla salute, si è assistito in dottrina ed in giurisprudenza ad un maggiore rigore che non può non trovare la condivisione degli Assicuratori specie laddove si ravvisi richiamata l'autorità della norma di cui all'art. 2697 del codice civile che esplicitamente dispone: "chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento".

Un contributo di maggior chiarezza, sempre in tema di danno patrimoniale, è pervenuto da parte del legislatore con la legge 39 del 26.2.77 conosciuta come "Miniriforma" che, recependo in un contesto di particolare effervescenza, i suggerimenti della dottrina e della giurisprudenza, ha preso posizione indicando i parametri di riferimento "nel caso di danno a persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile":

Così appunto si esprime l'articolo 4 della citata legge 39 nell'intento di andare a toccare, con i commi 1 - 2 e 3, l'intero ventaglio delle potenziali categorie di danneggiati. Li riportiamo integralmente:

1. Nel caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque quantificabile, tale reddito si determina per il lavoro dipendente sulla base del reddito di lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge, e per il lavoro autonomo sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall'apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro, ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n.

600.

2. E' in ogni caso ammessa la prova contraria, ma quando dalla stessa risulti che il reddito sia notevolmente sproporzionato rispetto a quello risultante dagli atti indicati nel comma precedente, il giudice ne fa segnalazione al competente ufficio delle imposte dirette.

3. In tutti gli altri casi, il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a “tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale.”

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Sarebbe ingenuo ritenere che una tale presa di posizione avrebbe eliminato ogni disputa interpretativa ma, in ogni caso, alcuni punti fermi sono stati fissati quali il rilievo dato alle risultanze fiscali che, specie per il lavoro dipendente, si presentano decisamente vincolanti nonché il riferimento al "3 volte la pensione sociale" quale ancoraggio di base per la stima del danno patrimoniale prevedibile (o meglio riconoscibile/concedibile) nelle ipotesi di soggetti infortunati non percettori di reddito.

Che le questioni aperte siano tante e di non facile soluzione non vi sono dubbi.

Ci si chiede infatti: "il risarcimento del lucro cessante esiste ancora?" Il caso "Luigino"

quali opinioni di commento saprà farci conoscere? Ed ancora: "come evitare il rischio di duplicazioni e sperequazioni nella liquidazione del danno da compromissione del reddito?"

Questi per citarne alcuni più a portata di mano, ma altri ancora ce ne presenta e ce ne presenterà l'esperienza di ogni giorno non ultimo il ricorrente dubbio sulla affermata ghettizzazione dell'art. 4 legge 39 al territorio della circolazione stradale.

Non è da meno la domanda che viene fatta di porsi circa la concessa possibilità, data dal Legislatore di dimostrare, con l'inciso "è in ogni caso ammessa la prova contraria", un maggiore reddito. Il che sembra purtroppo frustrare l'esigenza moralizzatrice emersa nel corso dei lavori preparatori.

Sarà per noi interessante conoscere sull'argomento l'atteggiamento assunto dagli altri sistemi europei.

Non si può che ribadire quanto in più occasioni affermato specie trattando di danno biologico: l'esigenza di predisporre il massimo delle condizioni per una certezza dei criteri e delle valutazioni.

L'assicuratore infatti non può non mirare a questo obiettivo di contenimento delle aree di opinabilità per una sua propria esistenziale necessità di adeguata, prevedibile, coerente e ricorrente ripetitività dei fatti.

Se si vuole che questa cinghia di trasmissione realizzata dal rapporto a tre, assicurazione - responsabilità - risarcimento, funzioni senza sussulti e senza pericolosi fallimentari inceppamenti, è necessario seminare e raccogliere certezze o, quanto meno coerenze.

In maniera meno esasperata di quanto si vede praticare per il danno biologico, anche il danno patrimoniale, specie nelle forme di lucro cessante da invalidità permanente, richiede il mantenimento di una coerente linea di condivisione dei parametri di valutazione nonché delle logiche di previsione nel proiettare nel futuro le conseguenze di accadimenti del presente.

Queste ultime considerazioni valgono anche per i danni da uccisione laddove si debba procedere agli accantonamenti delle quote a favore degli aventi diritto.

E' qui che il diritto deve fare un passo indietro per ritornare ad attingere legittimità e coerenza nei territori del buon senso (e dell'equità) della consequenzialità immediata e diretta (art. 1223 c.c.) della causalità adeguata (art. 40 c.p.).

Tanto, per sottolineare la necessità di un aggancio con logiche ermeneutiche già esistenti nel nostro sistema giuridico seppur sviluppatesi nel limitrofo campo del penale ma parimenti finalizzate ad una esigenza di delimitazione dei confini del probabile e del prevedibile.

Altrimenti si cadrebbe nella tentazione di ravvisare, in qualsiasi lesione riconosciuta idonea ad incidere sulla capacità reddituale, la causa condizionante ed ineluttabile di ogni possibile perdita di chances nonché di opportunità e mancate realizzazioni esistenziali.

Come pure si rischierebbe di attribuire alla perdita di un congiunto, così uscendo dai confini del danno morale (sul quale è manifestamente corretto dare la giusta rilevanza ad ogni componente psichicamente ed emotivamente afflittiva), effetti estranei alla logica del danno patrimoniale che meglio, e più pertinentemente, andrebbe definito come danno al patrimonio.

Con tale accezione infatti si pone in più giusta luce che è "al patrimonio" che va rivolta

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l'attenzione per individuarne le differenze già prodottesi (danno emergente) e quelle che realisticamente potranno evidenziarsi attraverso un raffronto tra la situazione ex ante e quella prodottasi al verificarsi dell'evento (dannoso).

Per i casi di danni da lesioni invalidanti, illuminanti saranno le risultanze di una Consulenza Medico Legale esplicitata con la dovuta professionalità ed idonea a dare adeguata risposta ai quesiti posti con altrettanta competenza e pertinenza alle contingenze del caso concreto sul quale si discute.

Queste considerazioni sono l'implicita risposta al come vede l'Assicuratore il problema del danno patrimoniale che, per inciso, torniamo a suggerire di definire sistematicamente come danno "al patrimonio".

Né più né meno come un danno che deve essere comunque provato nelle componenti certe (o meno nebulose) con le normali tecniche già adottate da dottrina e giurisprudenza:

quota sibi, verifica del reddito di lavoro, titolarità degli aventi diritto, aspettative, ... per i danni mortali; effettività della incidenza delle menomazioni, perdita del posto di lavoro, riconversione eventuale, perdita di opportunità... nelle ipotesi di danni da permanente.

Aspettativa quindi di una puntuale applicazione della citata regola del 2697 c.c. con la richiesta di rigorosa prova di quei fatti posti a fondamento dei diritti da far valere, alla quale regola è possibile fare riferimento anche nelle ipotesi di proiezione futura della "deminutio patrimoniale" con un equilibrato dosaggio dei riferimenti al principio dell'"idquo duplerum que accidit".

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APPENDICE

Riferimenti normativi

art. 2043 c.c. - Risarcimento per fatto illecito

"Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno."

art. 2056 c.c. - Valutazione dei danni

"Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223 - 1226 e 1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso."

art. 1223 c.c. - Risarcimento del danno

"Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta."

art. 1226 c.c. - Valutazione equitativa del danno

"Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice come valutazione equitativa."

art. 1227 c.c. - Concorso del fatto colposo del creditore

"Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Il risarcimento non è dovuto per danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza."

art. 2697 c.c. - Onere della prova

"Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti sui cui l'eccezione si fonda."

art. 32 della Costituzione

"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."

art. 40 c.p. - Rapporto di causalità

"Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire,equivale a cagionarlo."

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Riferimenti giurisprudenziali

Corte Costituzionale n. 184 del 30.6.1986

"... 4 - Per poter distinguere il danno biologico dai danni morali subiettivi, come dai danni patrimoniali in senso stretto, occorre chiarire la struttura del fatto realizzativo della menomazione dell'integrità biopsichica del soggetto offeso."

"Ed a tal fine va premessa la distinzione tra evento dannoso o pericoloso, al quale appartiene il danno biologico, e danno-conseguenza, al quale appartengono il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale. Vale, infatti, distinguere da un canto il fatto costitutivo dell'illecito civile extra contrattuale e dall'altro le conseguenze, in senso proprio, dannose del fatto stesso. Quest'ultimo si compone, oltreché del comportamento (l'illecito è, anzitutto, atto) anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni danno è, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso è, infatti, conseguenza dell'atto, del comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere, anche in diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, è momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo è momento dinamico ed il secondo momento statico del fatto costitutivo dell'illecito. Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le conseguenze, in senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito, causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalità.

Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del danno-conseguenza in senso stretto."

"Certo la strada per rileggere tutto il sistema del codice civile alla luce della Costituzione e per ricondurre l'illecito civile, pur nelle innegabili specificità, ai principi generali dell'illecito giuridico è, forse, ancora lunga: le teorie e la giurisprudenza che allargano l'ambito di operatività dell'art. 2043 del c.c. ai danni economici (misurabili direttamente ed obiettivamente in moneta) che comprendono ma non esauriscono i danni patrimoniali in senso stretto o che si riferiscono all'incidenza del danno biologico sulle attività extralavorative non retributive, meritano, nella previsione di tale strada, particolare attenzione.

15 - Va, infatti, riconosciuto che, pur essendo, come s'è detto, il danno biologico nettamente distinto dal danno patrimoniale od economico; pur assumendo un ruolo autonomo sia in relazione al lucro cessante da invalidità lavorativa (temporanea o permanente) in concreto incidente sulla capacità di guadagno del danneggiato sia nei confronti del danno morale in senso stretto; pur essendo sempre presente nell'avvenuta menomazione psico-fisica, e sempre risarcito, a differenza delle due voci (eventuali) del (predetto) lucro cessante e del danno morale subiettivo; da una parte il risarcimento del danno biologico costituisce un primo, essenziale, prioritario risarcimento, che ne condiziona ogni altro e, pertanto, anche quello del preindicato lucro cessante (non vi può esser risarcimento di danni patrimoniali derivanti da fatto illecito lesivo della salute senza il necessariamente preliminare risarcimento del danno biologico); e dall'altra parte, la ragione per la quale è vietato causare menomazione dell'integrità psico-fisica (ossia la tutela delle manifestazioni della vita ordinaria, del soggetto passivo del fatto, sia lavorativa che extralavorativa) è quella stessa che fonda la risarcibilità del danno patrimoniale. Una sola è, invero, la ratio del combinato disposto degli artt. 32 della Costituzione e 2043 del c.c."

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"In tempi nei quali non erano prospettate ipotesi di specifici interessi garantiti anche nei rapporti tra privati, ritenendosi il danno ex art. 2043 del c.c. limitato al danno emergente ed al lucro cessante (e cioè alla lesione direttamente od indirettamente incidente sul patrimonio del danneggiato) si è individuato un principio, valido in sede di responsabilità extra contrattuale, secondo il quale il danno si sostanzia esclusivamente nelle conseguenze patrimoniali (e non) dell'illecito.

Gli interessi sostanziali, a tutela dei quali s'impone l'obbligazione risarcitoria, passavano in secondo piano: nessuno avvertiva il bisogno d'esplicitarli; e, data, da un canto, la conclamata atipicità dell'illecito civile e dall'altro la facilità della prova del danno emergente e del lucro cessante, ogni indagine s'incentrava sull'obbligazione risarcitoria d'un danno patrimoniale (o non) comunque da provare, di volta in volta, conseguente all'illecito.

Venute, invece, in rilievo esigenze di tutela, anche in sede di diritto privato, di specifici valori, determinati soprattutto dalla vigente Costituzione, valori personali, prioritari, non tutelabili, neppure in sede di diritto privato, soltanto in funzione dei danni patrimoniali (e non) conseguenti all'illecito, occorre fare un passo ulteriore, rompere lo schema dell'esistenza, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, soltanto di danni-conseguenze, in senso stretto e, incentrando l'attenzione sul divieto primario violato dall'illecito extracontrattuale (e, in particolare sui valori tutelati, lesi da quest'ultimo) chiarire gli effetti che il bene tutelato dal divieto primario opera sul precetto secondario del risarcimento del danno. E' la natura (il valore, il significato giuridico) del bene garantito che, riverberandosi sul precetto secondario, lo condiziona, sottraendolo, ove del caso, ad arbitrarie determinazioni del legislatore ordinario."

21 - La precedente disamina conduce a ribadire conclusivamente che, oltre alla voce relativa al risarcimento, per sé, del danno biologico, ove si verifichino, a seguito del fatto lesivo della salute, anche danni-conseguenze di carattere patrimoniale (esempio lucro cessante) anch'essi vanno risarciti, con altra autonoma voce ex artt. 32 della Costituzione e 2043 del c.c.. Così, ove dal fatto in discussione derivino, danni morali subiettivi, i medesimi, in presenza, nel fatto, anche dei caratteri del reato, vanno risarciti ex art. 2059 del c.c.

Il cumulo tra le tre voci di danno, pur generando pericoli di sperequazioni (i soggetti che percepiscono un attuale reddito lavorativo hanno diritto a richiedere una voce di danno in più) dovrebbe consigliare cautela nella liquidazione dei danni in esame, onde evitare da un canto duplicazioni risarcitorie e dall'altro gravi sperequazioni nei casi concreti."

Corte Costituzionale n. 445 del 24.10.1995

"Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo e terzo comma, D.L. 23.12.1976, n. 857, convertito nella legge 26.2.1977, n. 39, allorché distingue la situazione del danneggiato che sia lavoratore dipendente o autonomo, al quale è richiesto di provare, anche mercè presunzioni, il reddito effettivo da porre a base del calcolo del risarcimento del danno patrimoniale subito, dalla situazione di coloro che non percepiscono reddito da lavoro, per i quali è previsto un risarcimento commisurato al triplo della pensione sociale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione."

Corte di Cassazione n. 60 del 7.1.1991

"Per consolidata giurisprudenza sono risarcibili i soli pregiudizi i quali pur essendo indiretti rientrino nella serie delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto, secondo il principio della cosiddetta regolarità causale .... secondo una correlazione impostata sui criteri della necessarietà, della proporzionalità e della consecutività temporale."

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Corte di Cassazione n. 6692 del 2.6.1992

In caso di lesioni personali, il danno patrimoniale da lucro cessante sussiste solo in quanto la lesione subita dalla persona danneggiata possa avere un'incidenza diretta ed immediata nella produzione del reddito (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva liquidato il danno da lucro cessante, sebbene l'attore fosse invalido al cento per cento, in quanto non vedente, e grande invalido di guerra)."

Corte di Cassazione sez. III n. 5669 del 10.6.1994

"Posto che il danno da invalidità permanente non può essere vincolato al reddito attuale del soggetto, ma va individuato in proiezione futura, la norma a tenore della quale il reddito cui deve farsi riferimento in assenza di attività lavorativa, pari al triplo della pensione sociale, trova applicazione anche al danneggiato che svolga un'attività di lavoro autonomo ma non abbia reddito, in quanto potenzialmente idoneo a produrlo, mentre non può applicarsi per la quantificazione del danno biologico."

Corte di Cassazione n. 10269 dell'1.12.1994

"In caso di evento lesivo dell'integrità parziale, il danno biologico e quello patrimoniale attengono a due distinte sfere di riferimento: il primo riguardando il cosiddetto diritto alla salute ed il secondo attinendo alla capacità di produrre reddito, talché il giudice deve procedere a due distinte liquidazioni e può scegliere per ciascuna di esse il criterio che ritiene più idoneo in relazione al caso concreto. Tuttavia, perché il risarcimento del danno sia completo e, per altro verso, non si traduca in un arricchimento senza causa, egli deve tener conto di tutte le particolarità della fattispecie e considerare che i due danni, pur se ontologicamente diversi, costituiscono entrambi proiezione negativa nel futuro di un medesimo evento, sicché le liquidazioni degli stessi, pur se distinte, devono essere tenute presenti contemporaneamente affinché la liquidazione complessiva sia corrispondente al danno nella sua globalità."

Corte di Cassazione n. 1959 del 22.2.1995

"I cosiddetti danni patrimoniali futuri risarcibili a favore dei genitori e dei fratelli di un minore deceduto a seguito di fatto illecito, vanno ravvisati nella perdita o nella diminuzione di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che - sia in relazione a precetti normativi (artt. 315, 433, 230 bis c.c.) che per la pratica di vita improntata a regole etico- sociali di solidarietà familiare e di costume - presumibilmente e secondo un criterio di normalità il soggetto venuto meno prematuramente avrebbe apportato, alla stregua di una valutazione che faccia ricorso anche alle presunzioni ed ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, con riguardo a tutte le circostanze del caso concreto."

Corte di Cassazione n. 6074 del 30.5.1995 Determinazione del reddito e liquidazione del danno

"A norma dell'art. 4, primo e secondo comma, del D.L. 23 dicembre 1976 n. 857 (convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1977 n. 39) - il quale disciplina i criteri di determinazione del reddito da considerare nella quantificazione del risarcimento per inabilità temporanea o permanente spettante al danneggiato che, al momento del sinistro, abbia un reddito da lavoro dipendente o autonomo - tale determinazione non può avvenire equitativamente, bensì deve essere obbligatoriamente effettuata in base alle risultanze delle

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dichiarazioni fiscali, restando ammessa la prova contraria (da fornirsi, a seconda dell'interesse, a cura dell'assicuratore o del danneggiato) tendente a dimostrare la divergenza tra realtà e contenuto di dette dichiarazioni.

Corte Cassazione n. 7058 del 22.6.1995

"Il danno rappresentato dalla perdita e dalla diminuzione della capacità lavorativa rientra nel concetto di lucro cessante, che il danneggiante è tenuto a risarcire, trattandosi del futuro

"mancato guadagno", indicato dall'art. 1223 cod. civ. e richiamato dal successivo art. 2056 cod. civ. Questo danno è rappresentato dal venir meno, totale o parziale, del guadagno che il danneggiato avrebbe tratto dall'esercizio dell'attività lavorativa, sia che questa si svolga con il carattere della subordinazione, sia che si tratti di attività autonoma. Occorre ricordare inoltre che non bisogna confondere il concetto di lucro cessante con il reddito percepito dall'infortunato, in quanto quest'ultimo è soltanto un criterio di liquidazione del lucro cessante quando l'esistenza di questo sia riconosciuta. Il danno per inabilità permanente deve essere accertato in concreto in relazione alle incidenze che la invalidità potrà avere sul patrimonio futuro che l'interessato potrebbe incrementare in assenza della menomazione riportata".

Corte Cassazione n. 11143 del 26.10.1995

Il danneggiato che pur avendo subito una menomazione permanente parziale continua a percepire l'intera retribuzione, ha tuttavia il diritto a percepire un risarcimento aggiuntivo al danno biologico. Il giudice, nella liquidazione del danno, non deve accertare il danno, ma deve motivare nel modo più esauriente un eventuale diniego di una voce risarcitoria, che deve essere comunque "provata" dalla parte richiedente.

Il principio per cui nulla compete a titolo di risarcimento del danno al lavoratore dipendente, per la sua invalidità totale temporanea, allorché questi, durante il relativo periodo, abbia continuato a percepire l'intero stipendio o salario (salvo la dimostrazione che, per effetto di tale invalidità, si è verificata la perdita di emolumenti supplementari o siano intervenuti pregiudizi alla normale evoluzione della carriera o del rapporto di lavoro), non è applicabile sic et simpliciter nel caso di invalidità parziale permanente, che, secondo l'id quod prelumque accidit, rende presumibile una influenza negativa sulla percezione di speciali compensi per una prestazione di lavoro più intensa del normale e/o sull'ulteriore sviluppo di carriera e/o su una possibile collocazione anticipata a riposo, nonché su alternativa possibilità di lavoro, talché in un caso siffatto, si impone l'obbligo del giudice del merito di accertare, pur quando il soggetto abbia continuato a percepire la retribuzione, se ed in quale limite sia al medesimo derivato un danno risarcibile sotto forma di lucro cessante".

Corte di Cassazione n. 3564 del 16.4.1996

"Il soggetto che abbia subito un danno alla persona in conseguenza di un sinistro stradale non è legittimato a chiedere giudizialmente il risarcimento del danno consistito nella perdita degli stipendi non conseguiti dal proprio coniuge il quale abbia dovuto sospendere il lavoro per assistere il consorte infortunato e ciò anche nel caso in cui tra i coniugi esistesse il regime di comunione dei beni."

Corte di Cassazione n. 8281 del 16.9.1996

"Per la liquidazione di danni da fatto illecito, che si proiettano nel futuro - come nel caso di danno da lucro cessante durante la inabilità temporanea può procedersi ad una valutazione equitativa in base al principio dell'id quod plerumque accidit".

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Corte Cassazione n. 8817 del 9.10.1996

"Ai fini della commisurazione del risarcimento del danno patrimoniale dovuto dall'assicuratore RCA in caso di invalidità temporanea o permanente, il criterio del triplo della pensione sociale è applicabile nella eventualità che il danneggiato non sia titolare di alcun reddito di lavoro ovvero che sia titolare di un reddito di lavoro attualmente negativo o, anche se positivo, con caratteristiche tali da escludere che esso possa costituire la base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro.

In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, in caso di inabilità temporanea o di invalidità permanente, l'art. 4 D.L. 23 dicembre 1976 n. 857, convertito, con modificazioni, in l. 26 febbraio 1977 n.

39, disciplina, ai commi 1° e 2°, in via esclusiva, la misura del risarcimento spettante al danneggiato ove questi sia titolare di reddito di lavoro, alternativamente dipendente o autonomo, mentre al 3° comma (con la previsione che il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale) fa riferimento all'eventualità o che il danneggiato non sia titolare di alcun reddito di lavoro, o sia titolare di un reddito di lavoro attualmente negativo in relazione a particolari contingenze o - anche se positivo - con caratteristiche tali (esiguità, discontinuità o precarietà del lavoro, livello di mansioni inferiori alle capacità professionali del lavoratore) da escludere che esso possa costituire la componente di base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro".

Tribunale di Alessandria n. 351 del 29.9.1984

"Qualora l'attore non assolva all'onere probatorio relativo alle conseguenze dannose derivate dall'impossibilità di attendere alle ordinarie occupazioni per la durata della accertata malattia, non fornendo la prova relativa al reddito da considerarsi - ex art. 4 legge n. 39/1977 per i lavoratori autonomi agli effetti del risarcimento danni per inabilità temporanea, è inapplicabile, atteso il disposto del terzo comma dello stesso articolo, il criterio del triplo dell'ammontare annuo della pensione sociale."

Corte d'Appello Bologna n. 1151 del 7.10.1995 (caso Luigino)

"Nell'ipotesi di decesso di un minore avvenuta a causa di sinistro stradale, i suoi genitori possono pretendere dal danneggiante il risarcimento dei danni patrimoniali per lucro cessante solo qualora dimostrino la sussistenza dei presupposti relativi."

Riferimenti

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