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LA SELVICOLTURA ITALIANA NELLO SCENARIO EUROPEO E MONDIALE ALLE SOGLIE DEL XXI SECOLO S C N S

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       72 (6): 321‐333, 2017 

© 2017 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

Dal 5 al 9 novembre 2018 si terrà a Torino il IV Congresso Nazionale di Selvicoltura - Il bosco: bene indispensabile per un presente vivibile e un futuro possibile.

A partire dal numero 5 del 2017 pubblichiamo le relazioni di apertura dei tre congressi precedenti. L’intento è di far conoscere ai giovani come si è evoluto negli ultimi sessanta anni il pensiero forestale sotto l’aspetto scientifico, tecnico e operativo.

Il Secondo Congresso Nazionale di Selvicoltura: per il miglioramento e la conservazione dei boschi italiani, si svolse a Venezia dal 24 al 27 giugno 1998. L’evento fu organizzato dalla Consulta Nazionale per le Foreste ed il Legno, la Direzione Generale per le Risorse Fore- stali, Montane ed Idriche e l’Accademia Italiana di Scienze Forestali.

La relazione fu tenuta dal Dott. Sergio Incoronato, allora Direttore Generale delle Risorse Forestali, Montane ed Idriche.

S ECONDO C ONGRESSO N AZIONALE DI S ELVICOLTURA PER IL MIGLIORAMENTO E LA CONSERVAZIONE DEI BOSCHI ITALIANI

V ENEZIA , 1998

SERGIO INCORONATO

LA SELVICOLTURA ITALIANA NELLO SCENARIO EUROPEO E MONDIALE ALLE SOGLIE DEL XXI SECOLO 1

Riprendendo anche il messaggio del Ministro Pinto, desidero innanzitutto esprimere il più vivo compiacimento agli organizzatori di questo secondo Con- gresso Nazionale di Selvicoltura, che segue a distanza di oltre 40 anni il primo Congresso Nazionale - promosso nel 1954 a Firenze, nella ricorrenza del V Cen- tenario del riordino delle leggi forestali della repubblica di Venezia - e che si prospetta come avvenimento di notevole importanza per lo studio e la promo- zione di iniziative qualificanti per lo sviluppo del settore forestale alle soglie del terzo millennio.

La scelta accurata dei temi offerti al dibattito, l’autorevolezza dei relatori in- caricati della relativa trattazione, l’alto livello qualitativo dei numerosi parteci- panti, l’attenzione manifestata dai mezzi di informazione e l’interesse ormai lar- gamente diffuso nel pubblico per i problemi della gestione forestale durevole e per la qualità della vita in genere, rappresentano tutti elementi che, con un fon- dato ottimismo, lasciano intravedere positivi sviluppi dai lavori di questa impor- tante assise.

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Tratto dal Secondo Congresso Nazionale di Selvicoltura per il miglioramento e la conservazione dei boschi italiani. Venezia,

24-27 giugno 1998. A cura di M. Magni, E. Giordano e C. Di Girolamo. Stampa EdAs, 1999. Vol. I, p. 17-32.

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Quando, due anni orsono, sono stato chiamato ad assumere la Direzione Ge- nerale dell’Economia Montana e delle Foreste, non pensavo certo di dover af- frontare il non facile compito di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica, del mondo politico, imprenditoriale e scientifico, il ruolo che la selvicoltura è chiamata a svolgere a favore dello sviluppo del nostro Paese in un così delicato momento delle modifiche e dei cambiamenti istituzionali.

Da più parti mi è stato chiesto: perché un Congresso di Selvicoltura a Venezia?

La risposta, se vogliamo, è semplice: Venezia è una delle poche città al mondo

“fondata” sul principale prodotto della foresta e cioè sul legno; tra l’altro, attra- verso i secoli, l’esistenza della città e la sua affermazione politica, economica e culturale è stata possibile grazie ad un grande rispetto del bosco e ad una saggia applicazione delle regole selvicolturali.

Ai boschi, infatti, era affidato il compito di regolare la circolazione idrica, es- senziale per la vita della città lagunare, di migliorare le condizioni ambientali dell’entroterra, di fornire il legname per l’arsenale, fondamentale per l’espansione dei commerci nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, nelle Americhe.

Le regole della buona selvicoltura perseguita dalla Repubblica veneta sono conservate a pochi metri da questa sala, nell’Archivio di Stato ed è certamente un punto di riferimento significativo per il Congresso poter leggere il primo piano di gestione della foresta del Cansiglio che reca la data del 1458.

I secoli sono passati e lo scorrere veloce del tempo ne annuncia uno nuovo, ormai prossimo e sono quindi opportune alcune riflessioni in un momento in cui i cambiamenti che stanno avvenendo in tutti i settori della società, con l’ap- plicazione delle nuove tecnologie, rischiano di far perdere di significato al rap- porto tra l’uomo ed il bosco, che, per essere proficuo, deve tenere conto delle leggi della natura (di cui molto si parla, ma che raramente vengono rispettate).

I luttuosi avvenimenti che hanno colpito la Campania, sono l’esempio più recente della mancanza di interventi efficaci alla gestione del territorio, di cui i boschi occupano ormai circa il 30% della superficie del Paese.

Un elemento innovativo nella politica territoriale di cui si dovrà tenere conto nel prossimo secolo è proprio quello del rinnovato rapporto tra uomo e bosco, che potrà consentire di applicare in maniera più efficace le regole selvicolturali senza i condizionamenti del passato.

È difficile far comprendere ai giovani quanto sia stata ardua la difesa del bo- sco in un Paese come il nostro in cui la “fame di terra” è stata un elemento di conflittualità permanente attraverso i secoli. Non è necessario evocare le grandi carestie del XIV, del XV e del XVII secolo, alle quali hanno fatto seguito terri- ficanti incendi che hanno sconvolto le regioni italiane dalla Calabria alla Toscana;

è sufficiente ricordare gli ultimi disboscamenti compiuti negli anni cinquanta, quando l’elenco delle terre messe a coltura in seguito alla riforma agraria, suo- nava quasi come un bollettino di vittoria.

La parola sopravvivenza ha ormai un significato ben diverso rispetto al pas-

sato, poiché raramente coincide con il binomio fame-terra; comunque, il ciclo

che si era compiuto nel resto d’Europa durante il secolo scorso, con lo sviluppo

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dell’industrializzazione, ha avuto nel nostro Paese un prolungamento anche nella prima metà di questo secolo, fin quasi a coincidere con il primo Congresso di Selvicoltura.

Va, però, riconosciuto che i forestali e la selvicoltura italiana - nonostante la posizione marginale in cui era stata costretta dall’urgenza dei problemi da risol- vere, primi tra tutti quello alimentare che minava la salute delle popolazioni di molte regioni - hanno compiuto, dagli inizi del secolo, nell’opera di conserva- zione e di gestione del bosco, anche un grande sforzo di rinnovamento.

Infatti, proprio dall’Istituto Forestale di Vallombrosa ha avuto origine quel movimento culturale che doveva portare all’abbandono degli schemi che ave- vano trovato applicazione nel nostro Paese, sotto la spinta delle potenze occu- panti, e cioè quelli della scuola austriaca e di quella francese.

Scriveva all’epoca Adolfo Di Bérenger, primo Direttore della Scuola di Val- lombrosa, in un sintetico libretto dal titolo “Paradossi forestali” esaminati e di- scussi da un ispettore generale dei boschi del Regno d’Italia, pubblicato a Prato nel 1869: “non v’ha più un solo bosco in Italia che sia razionalmente governato, né un solo istituto di scienza forestale nel quale le materie proprie delle profes- sioni siano usufruite ed insegnate in modo relativo ai nostri bisogni”.

Prendendo lo spunto dal fatto che la legge forestale del Regno di Napoli nel 1826 prescriveva come taglio regolare, il taglio a raso con riserve e “vietava” il taglio saltuario, Di Bérenger definisce come “rovinoso” tale taglio ed affronta in maniera razionale il problema delle forme di trattamento risalendo alle indica- zioni dei georgici romani.

Merita ricordarle, poiché sono la chiave per poter interpretare in maniera cor- retta anche l’attuale assetto del nostro paesaggio e le problematiche del futuro.

Infatti, fin dall’epoca romana, il taglio raso era adottato per i boschi cedui, per i boschi da combustibile, eccezionalmente per quelli di resinose, e quando i bo- schi si volevano ringiovanire “mediante abbruciamento delle fratte” per interca- lare l’utilizzazione agraria del fondo e la susseguente risemina artificiale. Il taglio a dirado era, invece, mezzo normale per l’utilizzazione dei boschi da costruzione e per i fruttiferi, cioè: per i querceti, faggeti, castagneti; esso veniva ripetuto a periodi determinati, ogni lustro.

Nei secoli bui non si badò molto alla regolarità dei tagli e soltanto con l’av- vento del monachesimo - diffuso anche nell’Italia centrosettentrionale, in parti- colare anche grazie all’azione di San Giovanni Gualberto e dell’Ordine dei Mo- naci Vallombrosani - si incominciò a rimettere ordine alle selve, creando così le premesse alle norme dei tagli che furono così largamente adottate dalla Repub- blica Veneta a partire dal XV secolo. In sintesi, queste riguardavano “il taglio alla distesa”, cioè a raso per i cedui ed il trattamento di dirado per le fustaie.

Il tempo non consente l’analisi dei contributi di coloro che hanno curato le basi della moderna scuola di selvicoltura italiana da Di Bérenger fino al primo Congresso Nazionale di Selvicoltura.

I provvedimenti che erano stati proposti in quella occasione riguardavano l’ap-

plicazione di forme di trattamento basate su criteri naturalistici e colturali, al fine

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di migliorare lo stato delle fustaie dotate di modeste provvigioni e di diffondere la conversione dei cedui destinati alla produzione di carbone e di legna da ardere.

Dopo il Congresso del 1954 si sono verificati molti avvenimenti che hanno portato a riconsiderare alcune precedenti posizioni dottrinarie e di applicazione relative alla scelta dei metodi selvicolturali che hanno favorito l’affermazione, a livello nazionale, del concetto di gestione sostenibile.

La selvicoltura italiana, grazie all’attività del Corpo Forestale dello Stato, degli Istituti di Ricerca, delle Università, presenta alla fine di questo secolo un modello ideale di bosco verso il quale tendere, pur tenendo conto della varia- bilità delle condizioni locali e cioè, il bosco misto, disetaneo a rinnovazione naturale, dotato di strutture e di provvigioni analoghe a quelle di soprassuoli vicini allo stato naturale.

È il bosco che offre le migliori garanzie dal punto di vista ambientale e natu- ralistico, poiché la copertura permanente, dotata di una buona efficienza protet- tiva e produttiva, riesce a mantenere nel tempo la propria struttura, ma è anche in grado di consentire le utilizzazioni periodiche compatibili con l’incremento del soprassuolo.

Il raggiungimento di questo obiettivo non è facile ed ha dato luogo a contrasti ogni qualvolta si è dimenticato che l’ecosistema bosco rappresenta una compo- nente essenziale dell’ambiente naturale e che esso esplica tanto meglio le proprie funzioni, quanto meno ne viene turbato l’equilibrio interno ed esterno.

Purtroppo, le condizioni dei soprassuoli forestali del nostro Paese recano an- cora le tracce della forte pressione antropica che si è manifestata durante i secoli e se il modello ideale di trattamento disetaneo mantiene la sua piena validità, è altrettanto vero che esiste una miriade di situazioni ancora troppo lontane e di- verse che ne rendono l’applicazione difficoltosa, incerta ed estremamente lunga nel tempo.

Un vasto campo in cui si dovrà cimentare il mondo scientifico riguarderà in futuro le foreste di protezione nelle quali sarà necessario verificare il grado di variabilità genetica delle principali specie al fine di favorirne la rinnovazione na- turale, mediante appropriati interventi.

Saranno, pertanto, particolarmente utili i progressi conseguiti in alcuni campi della genetica forestale nello studio delle provenienze, corrispondenti, il più delle volte, ad ecotipi od a razze ecologiche. Le prospettive più recenti riguardano, infatti, le conoscenze della genetica molecolare sul DNA e sulle sequenze geni- che, che sono destinate ad aprire nuove vie al miglioramento dei boschi con conseguenti riflessi anche sulla scelta della specie, sulle pratiche selvicolturali e sulle tecniche di diradamento.

A questo proposito l’importanza di questo approccio è destinata ad aumen- tare nel nuovo secolo, poiché il programma di ampliamento delle aree forestali da sottoporre a protezione per esigenze ambientali o naturalistiche è ormai una realtà concretamente avviata a livello internazionale, nazionale e regionale.

L’applicazione dei risultati delle ricerche di genetica e di ecofisiologia appare

indispensabile anche per la gestione delle foreste ad uso multiplo, nelle quali è

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necessario raggiungere un equilibrio dinamico tra produzione, protezione e frui- zione, garantendone la rinnovazione per via naturale o per via artificiale. È evi- dente in questo caso la necessità della selezione delle piante di migliore qualità e la regolazione delle mescolanze tra le specie.

Il problema diventa più complesso nel caso della rinnovazione artificiale poi- ché sarà necessario riprendere, in maniera coordinata tra Stato, Regioni e privati, il lavoro di miglioramento del materiale di propagazione e della produzione vi- vaistica che, in seguito all’apertura delle frontiere ed alla creazione del mercato unico, rischia di non offrire più quelle garanzie di origine e di qualità che sono indispensabili per la conservazione della biodiversità. A questo scopo un soste- gno prezioso può giungere dal recupero di quelle attività che, sinora svolte dall’ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, dagli Istituti di ricerca o dalle strutture dell’Ente Cellulosa e Carta, rischiano ora di essere disperse.

Vi è, quindi, necessità di fare ricorso ragionevolmente a tutte le forme di co- noscenza e di esperienza che hanno concretamente dimostrato di assicurare l’obiettivo fondamentale della conservazione del bosco.

Anche sul piano scientifico stanno prevalendo gli indirizzi che tengono conto delle condizioni del bosco e che lasciano al tecnico la libertà di applicare anche più metodi di intervento, in rapporto alle esigenze ed alle condizioni ambientali: in sintesi acquistano validità i metodi colturali, che obbligano ad una attenta presenza del forestale, che diventa il responsabile del processo di conservazione.

Ma la novità del nuovo secolo è che il forestale non sarà più solo. Infatti, la maturità raggiunta nell’opinione pubblica, anche grazie all’opera di informazione e conoscitiva svolta dai movimenti ambientalisti, ha portato al riconoscimento del ruolo delle foreste su scala mondiale con la dichiarazione dei principi forestali di Rio de Janeiro (1992), nonché alla formulazione di documenti comuni per la gestione dei boschi a livello paneuropeo sottoscritti dal nostro Paese a Stra- sburgo, Helsinki, e, recentemente, a Lisbona, e che formeranno le linee guida delle attività selvicolturali per il 2000.

È proprio in ambito europeo, infatti, che assumono rilevante importanza le misure adottate dalla Conferenza ministeriale per la protezione delle foreste in Europa, soprattutto con le quattro Risoluzioni di Helsinki (1993), che riguardano specificatamente la gestione sostenibile delle foreste, la conservazione della bio- diversità delle foreste europee, la cooperazione forestale tra Paesi con economia in transizione e le strategie da adottare per migliorare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle foreste.

Tali atti - volti a dare una più concreta attuazione ai principi forestali della

Conferenza di Rio de Janeiro nel contesto europeo, riprendono in parte e svi-

luppano alcuni degli impegni fissati al termine della prima Conferenza ministe-

riale sulle foreste in Europa, tenutasi a Strasburgo nel 1990. In questa occasione

sono state, appunto, firmate dai paesi partecipanti sei Risoluzioni riguardanti la

creazione di reti europee per il rilevamento dello stato fitosanitario delle foreste,

la conservazione delle risorse genetiche, la creazione di una banca dati europea

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sugli incendi, l’adattamento della gestione delle foreste montane alle nuove condizioni ambientali, l’allargamento della rete Eurosilva per lo studio della fisio- logia delle piante legnose e, infine, la creazione di una rete europea per le ricerche integrate sugli ecosistemi forestali.

Ma è la recente terza Conferenza di Lisbona (2-3 giugno 1998) che offre una grande opportunità per meglio evidenziare e sottolineare, a distanza di pochi giorni, un avvenimento di eccezionale importanza, al quale ho preso parte ac- compagnando il Ministro Pinto.

La Conferenza di Lisbona - sulla scia appunto delle precedenti conferenze svolte a Strasburgo e ad Helsinki, a fronte delle grosse preoccupazioni emerse sullo stato di salute delle foreste europee, nel corso degli anni ’80, e rilanciate e ribadite, su scala mondiale, in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite su “Am- biente e Sviluppo”, svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992 - ha rappresentato il ne- cessario momento di verifica sullo stato di attuazione delle diverse risoluzioni adottate in quelle sedi, nonché l’ulteriore maturazione del processo già avviato a favore della gestione durevole delle foreste a livello paneuropeo.

L’organizzazione della Conferenza di Lisbona, infatti, si è fondata sul lavoro preparatorio, durato circa due anni, in parte dedicato ai seguiti delle due prece- denti Conferenze, ma soprattutto indirizzato alla formulazione di una dichiara- zione generale improntata ad una visione d’insieme che riflette i caratteri più significativi delle esigenze, delle utilità e delle funzioni forestali nell’Europa di oggi, nonché di due risoluzioni sottoscritte dai Ministri.

Con la dichiarazione generale, che affronta il nodo cruciale “società-foreste”, viene così prospettata tutta una serie di interventi per facilitare il dialogo fra le forze interagenti sul mondo forestale, l’integrazione con altre iniziative interna- zionali, la continuità con le risoluzioni precedentemente adottate e viene riba- dito, in pari tempo, l’impegno per la ricerca di consenso a favore di uno stru- mento giuridico per la protezione delle foreste mondiali, in parallelo ed a soste- gno delle analoghe iniziative promosse nell’ambito della “Commissione per lo Sviluppo Sostenibile” delle Nazioni Unite, sfociate, nel giugno 1997, nell’istitu- zione del Forum Intergovernativo sulle Foreste, che dovrà concludere i suoi la- vori entro la primavera del 2000.

Sempre in tema di problemi forestali mondiali, mi sembra opportuno ricor- dare che un Programma di Azione sulle Foreste è stato anche predisposto da un gruppo di esperti forestali dei paesi G8, per decisione adottata nel vertice dei Capi di Stato degli anni scorsi, a fronte della gravità del problema della defore- stazione in atto nei paesi in via di sviluppo, soprattutto dell’area tropicale, e che le relative raccomandazioni sono state approvate nell’incontro dei Ministri degli Esteri svoltosi a Londra nei giorni 8-9 maggio 1998.

Ma, tornando alla Conferenza di Lisbona, desidero soffermarmi ancora sulle due risoluzioni adottate e sottoscritte dai Ministri dell’Agricoltura e delle Foreste presenti, e che hanno riguardato temi di grande attualità, quali:

 il rafforzamento degli aspetti socio-economici della gestione forestale dure-

vole (risoluzione LI);

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 i criteri, gli indicatori, e le linee guida della gestione forestale durevole a livello operativo (risoluzione L2).

Queste due risoluzioni, a ben vedere, sono strettamente connesse ed unite dal comune denominatore della necessaria riscoperta dalla “normalità del bosco”, pilastro portante della scuola forestale classica, secondo nuovi parametri e con- tenuti destinati ad esprimere i bisogni di libertà insiti nelle scelte genuinamente civili e maggiormente protese verso l’avvenire.

La parola “normalità”, peraltro, un po’ trascurata negli ultimi tempi, ritengo non possa non ritrovare adeguata collocazione, sia a livello individuale che col- lettivo, come recupero delle regole a garanzia dei sani rapporti e del rispetto dell’identità dei beni e delle persone, dei sistemi sociali come di quelli ecologici, nei quali le singole componenti si possano trovare nelle condizioni di esprimere le proprie attitudini e capacità naturali, senza mettere in pericolo la stabilità e conservazione dei sistemi stessi.

Il “bosco normale”, alla luce delle nuove esigenze e con le premesse di cui sopra, va, quindi, inquadrato in una concezione di multifunzionalità particolar- mente attenta ai bisogni sociali ed economici - intesi nei significati più ampi e profondi - che includa gli aspetti qualitativi della vita e della salvaguardia dei di- ritti della proprietà privata, ai quali fa specifico riferimento la risoluzione LI, sot- toscritta a Lisbona.

Il messaggio che viene da Lisbona e che qui intendo con forza rilanciare, è, quindi, di operare nel segno dell’integrazione degli sforzi e dei progetti, sia all’in- terno del mondo forestale, che in rapporto al mondo agricolo, seguendo anche le più recenti indicazioni provenienti da Bruxelles, volte a riconsiderare gli inter- venti forestali ed agricoli in un unico nuovo regolamento, in corso di perfezio- namento e definizione, sullo sviluppo rurale.

La risoluzione LI si sofferma, inoltre, sulla necessità di incrementare il dialogo del mondo forestale con il mondo esterno, al fine di sensibilizzare il pubblico ai problemi della gestione durevole delle foreste, evidenziando le grandi possibilità che le risorse forestali possono determinare come sorgente diretta ed indiretta di occupazione, anche in funzione di piccole attività industriali e di altre attività connesse alle foreste, come la ricreazione e l’eco-turismo.

A questo proposito merita ricordare l’iniziativa promossa dalla Federlegno per il restauro dei boschi cedui anche come grande opportunità per l’ambiente e per l’oc- cupazione, che il Ministro Pinto ha voluto sottoporre al Comitato Tecnico Intermi- nisteriale per la Montagna, ottenendo ampi e convinti riconoscimenti con l’assicu- razione del suo inserimento nel quadro strategico delle politiche per la montagna.

Voglio anche ricordare, per i possibili sviluppi a favore delle zone interessate,

l’iniziativa della Provincia di Trento di organizzare, dal 24 al 26 settembre pros-

simi, il secondo Colloquio Internazionale sul tema “Un progetto europeo per la

foresta di Montagna” che è stato presentato alla Conferenza di Lisbona dalla

Federazione Europea dei Comuni Forestali e dall’Osservatorio Europeo della

Foresta di Montagna.

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Ebbene, l’insieme di tutte queste iniziative si muove nella direzione che la selvicoltura italiana aveva in qualche modo già anticipato con il Piano Nazionale Forestale del 1987, e cioè la conservazione e lo sviluppo appropriato della diver- sità biologica degli ecosistemi forestali, la valorizzazione delle funzioni protet- tive, suolo e acqua, la protezione della vitalità degli ecosistemi ed il migliora- mento delle funzioni produttive legnose e non legnose delle foreste.

Ma a differenza del passato, l’applicazione delle linee guida è ora oggetto di valutazione internazionale e ciò andrà a costituire un forte elemento catalizzatore affinché la loro formulazione ed il loro recepimento nella legislazione nazionale e regionale avvenga nel più breve tempo possibile.

Questa esigenza, che mi auguro venga tenuta in debita considerazione dal Congresso nella stesura della mozione finale, è tanto più avvertita oggi, in quanto la presenza di Paesi come l’Austria, la Finlandia e la Svezia, per non dire di quelli dell’Est che quanto prima entreranno a far parte dell’Unione, che dispongono di vaste risorse forestali e di strutture industriali prevalentemente basate sulla tra- sformazione del legno, è destinata ad influire anche sulle scelte gestionali del nostro Paese, che meritano, comunque, qualche ulteriore riflessione.

La maggior parte dei Paesi dell’Europa centrale, infatti, dispone di ecosistemi forestali semplificati, basati su un ridotto numero di specie autoctone, che tro- vano un limite alla loro diffusione a causa delle condizioni climatiche severe.

Il confronto con le strutture forestali mediterranee è oltremodo significativo ed è facilmente percepibile nella grande complessità dei nostri ecosistemi fore- stali dovuti alla molteplicità delle specie ed espressione di una prorompente bio- diversità.

È giusto, quindi, che nelle assise internazionali si stabiliscano principi comuni per la gestione delle foreste, ma è altrettanto importante che si tenga conto delle realtà forestali del nostro Paese e che vengano accettate e rispettate le esigenze della loro particolare gestione e conservazione.

Né si può consentire che al settore forestale italiano sia affidato soltanto il compito di conservare il materiale genetico utile, cosi come è successo per molte specie agrarie, a beneficio di altri Paesi, senza permettere la piena valorizzazione del potenziale genetico da utilizzare per accrescere la produzione legnosa; a que- sto riguardo valgono i risultati conseguiti dalla pioppicoltura italiana.

In questo senso, dovremo farci carico di rivendicare, nelle sedi nazionali ed internazionali, una maggiore considerazione per la produzione legnosa fuori foresta.

Questo non significa minore rispetto della natura o del paesaggio, ma ade- guato uso delle risorse disponibili in rapporto alle future esigenze del Paese, se- condo una tradizione mediterranea, in cui l’albero non è solo legno, ma è ele- mento essenziale per la vita delle popolazioni e per la caratterizzazione dell’am- biente a testimonianza di vicende storiche che affondano le loro radici negli al- bori della civiltà.

È quindi sentita la necessità di nuove norme per l’agroselvicoltura, che ri-

chiede maggiore considerazione da parte del legislatore e che deve uscire

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dall’equivoco di un contrasto con le regole della conservazione ambientale, molto spesso derivante dalla semplice traslazione da ambienti e da situazioni so- cio-economiche troppo lontane dalle nostre.

I chiarimenti che potranno giungere dal Congresso, saranno, quindi, di grande utilità per le azioni che l’amministrazione forestale dovrà proporre per la defini- zione ed il coordinamento delle attività selvicolturali non solo in foresta, ma an- che fuori foresta.

Questa necessità è giustificata anche da un altro motivo ossia dai riflessi che l’espansione delle attività forestali produrranno in seguito alla globalizzazione dei mercati.

Il mondo delle industrie forestali, e mi riferisco al settore della cellulosa, si è mosso ormai da tempo. Le dimensioni e la capacità produttiva degli impianti si è triplicata nel volgere di pochi anni ed il sistema integrato, che va dall’America latina alla Nuova Zelanda, dal Canada alla Scandinavia, lascia poco margine all’autonomia del nostro Paese.

Tuttavia, esiste anche in questo caso una grande specificità nella nostra pro- duzione delle paste cartarie, che richiede soprattutto un impegno nell’approvvi- gionamento del materiale di base nel nostro territorio per le attività di trasfor- mazione che offrono, così, occasione di lavoro a livello locale e che hanno una lunga tradizione storica; Fabriano è un esempio noto in tutto il mondo.

Ma se questo vale per la carta, che dire dell’industria dell’arredamento e di quella innovativa delle macchine per la trasformazione del legno? Due settori attivi della nostra bilancia commerciale che offrono ampia occasione di lavoro e significativa immagine della nostra capacità imprenditoriale all’estero.

L’industria di trasformazione stenta, però, a trovare quell’indispensabile col- legamento con la produzione legnosa, dovendo operare in condizioni di minore dinamicità, certamente dovuta ad una peculiarità della produzione forestale, le- gata ai lunghi cicli e poco sostenuta da una complessa normativa di garanzie che risulta scarsamente incentivante per i privati ed anche per gli Enti pubblici.

Questo Congresso dovrebbe, inoltre, far riflettere sui benefìci che sono de-

stinati ai Paesi che hanno presentato nelle assise europee la filiera foresta-legno-

ambiente fortemente integrata. A questo riguardo ho avuto modo di apprezzare

il paziente, discreto lavoro svolto per tanti anni dal compianto Senatore Ferrari

Aggradi, come Presidente della Consulta Nazionale per le Foreste ed il Legno e

posso confermare l’appoggio della Direzione Generale delle Risorse Forestali,

Montane ed Idriche al nuovo Presidente Senatore Diana per il non facile com-

pito di consolidare ed ampliare la prolifica collaborazione che si è instaurata con

tutte le componenti che sono rappresentate nella Consulta. Il livello di maggiore

coinvolgimento del settore foresta-legno-ambiente, nella formulazione della po-

litica forestale per il nuovo secolo, risulterà tanto più efficace se si troveranno

nuovi strumenti che diano voce anche a quelle strutture associative che sono già

presenti sul territorio, quali le Comunità Montane ed i Consorzi tra i Comuni; la

nuova organizzazione Federforeste ne è già un esempio che può costituire anche

un punto di riferimento dell’associazionismo tra i privati.

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Si portano frequentemente ad esempio il Portogallo e la Spagna per la loro presenza e la loro capacità di essere propositivi nelle sedi europee: ebbene in questi Paesi l’efficienza della filiera e l’integrazione tra tutti gli organismi respon- sabili delle attività forestali, pur nel rispetto delle autonomie regionali, è avvenuta ed ha trovato il momento catalizzatore nella forte presenza dei rispettivi Stati a livello internazionale.

L’augurio che desidero esprimere al Congresso è anche quello di poter offrire a tutti un quadro aggiornato di quell’insieme complesso, rappresentato dal set- tore forestale, da cui trarre elementi e motivazioni per la formulazione di una moderna legge forestale che assicuri continuità agli interventi selvicolturali, la ripresa della difesa dei territori montani dalle avversità idrogeologiche, la conser- vazione del patrimonio naturale, l’adeguata utilizzazione delle produzioni le- gnose e non, l’affermazione delle funzioni multiple del bosco.

Il Ministero per le Politiche Agricole intende riprendere il quadro di questi impegni per rilanciare attenzioni più specifiche nei confronti del settore forestale, attraverso l’elaborazione di un “Piano Forestale Nazionale”, nella prospettiva della gestione, della conservazione e dello sviluppo sostenibile delle foreste met- tendo in atto i principi forestali stabiliti e sottoscritti a Rio de Janeiro e ad Hel- sinki e, più recentemente, a Lisbona.

Il nostro Paese possiede un ricchissimo patrimonio biologico vegetale e nu- merose unità paesaggistiche, con tipologie a volte fortemente diversificate tra loro. La penisola italiana costituisce, infatti, un ponte che collega gli ambienti centro-europei, anche di tipo continentale, con quelli mediterranei.

Tale diversificazione si evidenzia, per quanto riguarda il patrimonio forestale, con il passaggio dai boschi alpini di resinose, affini a quelli del centro e nord Europa, ai boschi misti di latifoglie fino alla macchia mediterranea e alle forma- zioni dei climi caldo-aridi assimilabili a quelli dei paesi nordafricani.

Il primo Inventario Forestale Nazionale (IFN), eseguito nel 1985 dal Corpo Forestale dello Stato, secondo criteri in linea con quelli adottati da paesi europei e nordamericani, ha individuato un patrimonio forestale che si estende su 8,7 milioni di ha comprendenti sia le formazioni forestali propriamente dette, sia le aree di una certa estensione a vegetazione arbustiva, rupestre e riparia. In base a tale valore l’incidenza della superficie forestale sul territorio nazionale (coeffi- ciente di boscosità) risulta notevolmente significativa (pari al 28%), non molto lontana dalla media comunitaria (33,9%).

I boschi italiani, dal punto di vista della gestione, possono essere classificati in:

fustaie (28%), ceduo (42%), macchia mediterranea (23%) e piantagioni legnose (7%); mancano ovviamente foreste vergini mai toccate dall’uomo, mentre sono noti una cinquantina di siti, ubicati soprattutto in aree montane, che rappresentano boschi antichi e seminaturali, per una superficie complessiva di 160.000 ettari.

La selvicoltura moderna, organizzata su basi naturalistiche, rappresenta,

infatti, un’evoluzione della selvicoltura tradizionale e adotta, come linee guida

fondamentali, il mantenimento della produttività primaria delle foreste, la

conservazione della loro diversità biologica e la preservazione della loro capacità

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di attenuazione dei cambiamenti ambientali globali (accumulo di carbonio, interazione con il ciclo dell’acqua).

D’altra parte il concetto di “sviluppo sostenibile” ha radici storiche e pro- fonde nel settore forestale. Infatti, è proprio nel settore forestale che questo concetto può essere più facilmente accolto e praticato. Il selvicoltore è da sem- pre abituato a prospettive di lungo periodo a causa dei lunghi cicli che il bosco impone.

Il forestale è a conoscenza del concetto di perpetuità o rendimento costante nello sfruttamento della “risorsa foresta”. Per questi motivi risulta più facile alla comunità forestale, piuttosto che a quella agricola o di altri settori produttivi, passare dal rendimento sostenuto “allo sviluppo sostenibile” e quindi alla “ge- stione durevole”.

Tuttavia, non si è ancora risolto appieno il problema di come applicare nella pratica il concetto di sviluppo sostenibile al settore forestale, che, nella prospet- tiva, non può che collocarsi all’interno di programmi, di iniziative e di misure da assumere nell’ambito degli impegni internazionali sopra ricordati.

Una politica nazionale di gestione durevole delle foreste deve fondarsi su stru- menti esecutivi che permettano, da una parte di caratterizzare nello spazio e nel tempo i differenti tipi di foreste e di identificare zone sensibili che meritano delle azioni specifiche, dall’altra di seguire, a differenti livelli (geografici, ecologici ed economici), alcuni criteri ed indicatori più o meno complessi.

D’altra parte, proteggere le foreste e assicurare la continuità dei servizi da esse resi, è indispensabile al fine di salvaguardare gli equilibri ecologici non solo a livello locale, ma anche di tutta la biosfera.

Attuare la protezione degli ecosistemi forestali non significa immobilizzarne la struttura e la dinamica in una sorta di “museo vivente”, ma piuttosto esaltarne le intrinseche capacità produttive di beni e servizi.

I numerosi problemi irrisolti delle foreste derivano spesso da errati metodi di gestione che provocano la loro progressiva degradazione fino ad arrivare al col- lasso dell’intero ecosistema o, infine, da problemi esogeni quali l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici su scala globale, che hanno contribuito fortemente a situazioni ambientali critiche come fenomeni di erosione accelerata, aggravamento della torrenzialità, inondazioni, impoverimento e/o estinzione delle sorgenti, degradazione del patrimonio genetico, ecc.

Tuttavia, nonostante il verificarsi di questi fenomeni ed il ripetersi annuale della piaga degli incendi boschivi, la superficie forestale è in espansione, anche grazie a passati e recenti rimboschimenti, nonché alla naturale diffusione del bo- sco nelle zone in un passato, più o meno recente, sottoposte a coltura.

La natura si sta rivelando provvida per il nostro sistema forestale a dispetto delle imprevidenze e delle imprudenze dell’uomo.

Tuttavia, è necessario aiutare la natura con accorti e tempestivi interventi; i

nostri boschi hanno bisogno di cure, di manutenzione, di tutela. Bisogna rivalu-

tare la selvicoltura affidandole un ruolo centrale nella strategia di potenziamento

e di sviluppo del nostro patrimonio forestale; lo Stato si faccia maggiormente

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carico delle esigenze del bosco e di quelle della società e che tenga, altresì, conto di tutte le funzioni che il bosco è capace di svolgere.

La foresta, in altri termini, deve essere gestita in senso dinamico, non per- dendo di vista alcune linee strategiche di validità generale che sono emerse nello scenario internazionale degli ultimi anni.

Pertanto, torno a sottolineare che lo sviluppo sostenibile delle foreste, coniu- gato con i valori economici ed ambientali, implica non solo la salvaguardia della capacità produttiva, ma anche il mantenimento o l’aumento della superficie fo- restale grazie sia alla rinnovazione naturale che artificiale.

Condizioni fondamentali nonché prerequisiti preliminari al perseguimento di questi obiettivi sono la conservazione e, se possibile, l’aumento della biodiversità intesa sia come variabilità genetica sia come variabilità specifica ed ecosistemica.

È necessario evidenziare che dall’importanza della difesa della diversità di specie nella biosfera e della diversità degli ecosistemi non discende immediata- mente l’esigenza della promozione della diversità negli ecosistemi come fine ul- timo di una strategia conservazionistica, bensì l’esigenza della tutela degli “eco- sistemi diversificati” come valore in sé e come mezzo per conseguire scopi cul- turali quali quelli di ricerca, di educazione e di alta ricreazione.

Indispensabili a tal fine sono: il mantenimento dell’efficienza del bosco attra- verso la conservazione dei processi dinamici propri dell’ecosistema forestale, la tutela delle risorse naturali di base, la salvaguardia dalle calamità naturali e dagli agenti patogeni, il rafforzamento del quadro normativo ed istituzionale del si- stema forestale.

Per raggiungere l’efficienza dell’ecosistema foresta in tutte le sue componenti è necessario, tenuto conto delle condizioni in cui si trova la maggior parte dei bo- schi italiani, intensificare gli interventi colturali e di manutenzione che sono indi- spensabili per raggiungere forme e strutture più ricche ed evolute sia nella compo- sizione specifica sia nei rapporti esistenti tra vegetazione, atmosfera e suolo.

Sebbene il principale problema forestale non risieda tanto nell’urgenza dell’ampliamento della superficie forestale nazionale quanto piuttosto nel poten- ziamento e miglioramento del patrimonio esistente, appare importante intensifi- care i programmi di rimboschimento sia per favorire interventi di riqualificazione del paesaggio in caso di superfici percorse dal fuoco o in casi di grave degrado del bosco, sia per accelerare i processi di attuazione delle misure di accompagna- mento della PAC, soprattutto sul versante della utilizzazione dei terreni agricoli per impianti di forestazione produttiva, utile anche ai fini della riduzione della pressione sulle altre foreste.

È necessario che l’Inventario Forestale Nazionale, a distanza di oltre dieci anni dalla prima pubblicazione, diventi il punto di riferimento costante per la programmazione delle varie attività connesse alla gestione del territorio, prime fra tutte quelle selvicolturali, ed il suo aggiornamento sarebbe opportuno diven- tasse norma dello Stato.

Il Corpo Forestale dello Stato ha elaborato negli anni innumerevoli docu-

menti, strumenti indispensabili alla conoscenza del patrimonio forestale e al sup-

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porto delle decisioni politiche: la Carta forestale, studiata in una regione pilota e problematica dal punto di vista forestale come la Liguria, il già citato Piano Na- zionale Forestale, strumento programmatorio su cui c’è stato un generale con- senso circa gli obiettivi e le modalità di conseguimento e altre indagini di rilievo, avviate negli anni ’90, come il censimento delle cave abbandonate, delle discariche abusive e delle sistemazioni idraulico-forestali.

Desta amarezza constatare che a fronte dell’intuizione e della validità delle ini- ziative siano, tuttavia, mancati in alcuni casi i riconoscimenti e, sino ad oggi, gli atti conseguenti per il proseguimento delle attività del Corpo Forestale dello Stato.

Sono convinto che non sarà più ammissibile nel futuro la giustificazione che il nostro Paese è privo di dati, e quel che è peggio, se ne dispone, non è in grado di utilizzarli tempestivamente quando accadono le emergenze.

Il Corpo Forestale è presente sul territorio ed ha sempre operato in passato proprio per prevenirle, contribuendo così alla conservazione dell’ambiente, di cui la foresta, che non conosce limiti e competenze amministrative, rappresenta il bene fondamentale per garantire un futuro migliore alle nuove generazioni. La speranza è che nella nuova organizzazione del nostro Paese si terrà conto di questi sentimenti che sono condivisi da larga parte delle popolazioni che dalla montagna e per la montagna trovano motivo per la loro sopravvivenza e per la loro affermazione sociale e culturale.

A conclusione della mia relazione, desidero rivolgere un sentito appello, dalla tribuna di questo importante Congresso perché possano emergere auspici non soltanto affinché venga preservata l’unitarietà e la professionalità del Corpo Fo- restale dello Stato, ma anche perché la sua operatività non sia ridimensionata per poter così continuare a svolgere il ruolo storico e insostituibile a difesa del patri- monio agro-forestale e ambientale, nell’interesse dell’intera comunità nazionale.

Con questi auspici sono certo che il Congresso - attesa l’attualità e l’impor-

tanza dell’insieme dei temi in discussione - non mancherà di fornire, al termine

dei lavori, precise e chiare indicazioni onde poter dare - con l’inizio del terzo

millennio - risposte adeguate e concrete al mondo delle foreste e del legno.

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Docente di Sociologia del mondo musulmano e istituzioni dei paesi islamici, Università di Trieste. docente di Islamistica, Università