• Non ci sono risultati.

Solo così sarebbe stato possibile adottare un sistema innovativo come l’internal auditing all’interno di un settore stabile, solido e consolidato come era, ed è tutt’ora, la Commissione Europea

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Solo così sarebbe stato possibile adottare un sistema innovativo come l’internal auditing all’interno di un settore stabile, solido e consolidato come era, ed è tutt’ora, la Commissione Europea"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

CONCLUSIONE

La linea tracciata attraverso questo mio studio sulla normativa riguardante il controllo interno del settore pubblico, vuole essere una sorta di filo conduttore, attraverso il quale esplorare qual è l’attuale stato delle disposizioni normative italiane e quale la tendenza evolutiva che da queste è possibile derivare. Il riferimento alla produzione europea in merito, è finalizzato a render noto, come, in altri contesti, la stessa problematica sia stata affrontata, gestita e quali risultati abbia prodotto, evidenziando gli sforzi e le difficoltà fronteggiate dagli organi direttamente coinvolti nell’implementazione di un sistema di internal auditing.

Ciò che senza dubbio risalta al pubblico lettore, fa riferimento all’accuratezza con la quale la Commissione Europea si è dedicata alla preparazione delle fondamenta, non solo materiali, ma anche, e soprattutto, culturali, allo scopo di creare prima l’ambiente più adatto e poi i riferimenti normativi principali. Solo così sarebbe stato possibile adottare un sistema innovativo come l’internal auditing all’interno di un settore stabile, solido e consolidato come era, ed è tutt’ora, la Commissione Europea.

Se non viene infatti, in primis, chiarificato qual è la finalità che si intende perseguire, come inserirla in un determinato contesto e come affrontare le relative problematiche d’inserimento, è impossibile pensare di realizzare una funzione efficiente, che apporti davvero valore aggiunto all’ambiente nel quale è inserita e in grado di svolgere correttamente il lavoro per il quale è stata istituita.

E di questo ci dà prova la normativa italiana, che ancora oggi continua con una fluente emanazione di testi normativi volti a disciplinare e regolarizzare la situazione attuale, ma che in concreto si traduce in una mera sovrapposizione di leggi, deleghe e attese di reali provvedimenti correttivi.

Il percorso affrontato a livello europeo può, a mio avviso, costituire un valido spunto al quale far riferimento nel contesto italiano. Mi spiego meglio.

Tutta quanta la normativa europea promulgata ai fini dell’adozione e dell’implementazione del controllo interno nella Commissione, segue un iter che

(2)

può essere facilmente schematizzato e che, per certi versi, presenta affinità ed analogie con la “via italiana”.

La motivazione principale con la quale in Europa si aprono le frontiere all’internal auditing in Commissione è legata alla necessità di un ammodernamento interno, richiesto via via in misura maggiore col passar del tempo, in funzione dell’allargamento della Comunità Europea e contestualmente dell’estensione degli incarichi assegnati alla Commissione stessa. La mole di lavoro cambia, il contesto nel quale lavorare cambia, gli strumenti a disposizione cambiano: affinchè tutti questi cambiamenti si possano tradurre in un rafforzamento del ruolo della Commissione all’interno dell’Europa in generale, piuttosto che in ostacoli, rallentamenti e appesantimenti vari che vadano a ledere l’immagine e l’importanza di un organo di tali proporzioni, si rende necessario far spazio ad elementi di gestione nuovi, che pur intervenendo in maniera profonda nella struttura originaria, non andranno ad intaccare nulla di quello che è il tradizionale e ormai noto compito della Commissione, agli occhi di ogni altra istituzione europea. È rilevante a tal fine, la volontà di cambiamento che ha origine in seno alla stessa Commissione, che da sola riconosce la sua attuale inadeguatezza a portare avanti i compiti finora assegnateli e inizia un percorso auto-valutativo di “rinascita”.

In Italia la volontà al cambiamento è altrettanto presente, forse però non nella stessa misura o comunque non in una tale consapevolezza della sua importanza ai fini della gestione pubblica. Laddove la Commissione vuole cambiare per rendere nuovamente efficiente il suo lavoro offerto ai membri della Comunità Europea, il Governo italiano vive da anni nella consapevolezza che quanto offre ai cittadini non è il massimo a cui si possa aspirare, tuttavia, non emana alcun provvedimento legislativo che concretamente renda possibile il cambiamento e i benefici che da questo l’intera comunità italiana potrebbe trarne. Inizia così il raffronto con il settore privato e si avanzano proposte di “adeguamento”, in un certo senso, tra l’uno e l’altro ambito gestionale, cercando di individuare i punti forza della gestione privata, adattandoli poi al settore pubblico. È cosi che l’internal auditing fa il suo ingresso nell’ambito pubblico, come per la

(3)

Commissione, per esigenze di ammodernamento, miglioramento dell’efficienza e dei risultati ottenibili da offrire ai propri cittadini.

Tuttavia, se all’interno della Commissione viene promossa una campagna di sensibilizzazione all’importanza che l’ingresso di questa nuova funzione comporterà agli scenari amministrativi finora conosciuti, nel settore pubblico italiano il progetto stenta a decollare, e le motivazioni possono essere di varia natura, legate ad esempio alle difficoltà di adattamento che inevitabilmente il cambiamento di un settore consolidato come quello pubblico può far sorgere, soprattutto se ciò che si vuole inserire proviene da altro tipo di settore e verrà, per questa sede, adattato. L’adattamento richiede tempo, conoscenza, revisione e monitoraggio, ma soprattutto, una regolamentazione uniforme, ordinata, chiara e comprensibile per tutti i destinatari, che a loro volta, seriamente, dovranno essere interessati al cambiamento.

Il lavoro della Commissione prosegue sulla via dell’autoregolamentazione e porta avanti un progetto che si basa sul decentramento delle responsabilità di controllo alle proprie Direzioni Generali, facendo si che queste siano in grado, sotto la vigilanza della Commissione, di istituire meccanismi di internal auditing che sappiano perseguire i risultati prefissati.

In Italia avviene un po’ la stessa cosa: con il passare degli anni cresce la necessità di attribuire maggiori responsabilità agli Enti locali, cercando di riconoscere a questi una maggiore autonomia attraverso la previsione di uno Statuto individuale che contenga le disposizioni regolamentative per il controllo interno, la cui redazione è infatti rilasciata agli stessi Enti.

Anche se il progetto porta avanti idee condivisibili che stimolino

“all’autogestione” e “all’autocontrollo” degli organi pubblici, non vengono però adeguatamente predisposte le modalità con le quali intervenire.

L’approccio italiano può essere definito di tipo bottom-up poiché delega ai livelli inferiori la responsabilità di individuare i meccanismi di controllo più adatti alle proprie esigenze, in grado poi di adattarsi ai livelli via via più alti. Attribuire tutto questo “potere” in tempi cosi brevi senza però distribuire contestualmente punti saldi di riferimento, ha fatto si che in pochi abbiano accolto l’invito a modificare

(4)

la propria gestione interna, tant’è vero che attualmente la percentuale di Enti che abbia predisposto al suo interno strutture per l’internal auditing è ancora molto bassa. In un certo senso viene a mancare “lo stimolo” al cambiamento proposto, proprio perché a certi livelli non è sentita la necessità di un cambiamento.

Vero è che in Italia, la situazione degli Enti pubblici non può essere considerata per tutti sullo stesso piano: esistono rilevanti differenze tra le organizzazioni strutturali di un Ministero e quelle del Comune di 3000 abitanti, pertanto è auspicabile un approccio di tipo top-down, come è avvenuto in Commissione.

Premettendo che non si tratta di un confronto tra i due approcci, volevo esclusivamente sottolineare come l’organo europeo sia stato in grado di coinvolgere nell’implementazione della funzione di internal auditing tutte le sue Direzioni Generali, dapprima rendendo obbligatoria la previsione di una funzione di questo tipo per la quale ha stabilito caratteristiche e compiti specifici, e successivamente, autorizzando l’utilizzo di Standard appositamente redatti che fornissero le linee guida comportamentali in un contesto di adozione di tale funzione all’interno della propria organizzazione.

La Commissione ha voluto in pratica fornire dall’alto gli orientamenti lungo i quali ogni singola struttura operativa avrebbe dovuto muoversi nell’assolvere all’obbligo di inserire l’internal auditing tra le proprie funzioni, pur riconoscendo autonomia e individualità a ciascuna di esse. Non si è infatti parlato di un’organizzazione strutturale uguale per tutti, poiché ogni piccola unità è stata libera di individuare la struttura che meglio si configurava alla luce delle proprie caratteristiche, tipologia di operazioni e di attività svolte, pur muovendosi all’interno del contesto normativo creato attraverso gli Standard sul Controllo Interno. La Commissione si è preoccupata inoltre di istituire nuovi organi che, interagendo tra di loro, collaborassero per la supervisione del sistema cosi realizzato e soprattutto, che fornissero nuovi spunti per il miglioramento e l’autocorrezione. Non a caso gli standard, dalla prima versione del 2000, hanno poi subito modifiche di anno in anno, fino a raggiungere quella configurazione tale da poter essere implementati con successo nella realtà delle diverse DG.

(5)

Traslando questa linea comportamentale in Italia, si potrebbe immaginare che, piuttosto che delegare agli Enti l’individuazione dei meccanismi di controllo interno, venissero invece diffusi dall’alto, degli “Standard” comportamentali, che fossero in grado di fornire linee guida generali per tutti gli organi pubblici, liberi a loro volta, di istituire al proprio interno la struttura più consona al proprio ambito di lavoro. Così verrebbero contestualmente soddisfatte due esigenze:

1. Riconoscere un adeguato livello di autonomia a ciascun organo pubblico;

2. Assicurare una diffusione capillare della funzione di internal auditing nel contesto della pubblica amministrazione.

Stando alla situazione attuale infatti, gli Enti che si sono adoperati al fine di realizzare strutture per l’internal auditing, hanno in qualche modo dovuto

“arrangiarsi” per individuare la forma più adatta alle proprie esigenze e ciò, oltre a rendere lo scenario complessivamente disomogeneo e caotico, non fa altro che testimoniare la mancanza di organizzazione che regna a livello di ordinamento legislativo e di applicazione dello stesso, lasciando emergere un ambiente per certi versi “anarchico”, dove ogni ente è costretto a gestirsi da sé la propria realtà.

Purtroppo dopo anni di legislazione, ci troviamo ancora oggi a constatare una totale assenza di ordine e disciplina nel contesto dell’internal auditing pubblico, riscontrabile non soltanto nell’esercizio della funzione di per sè, ma anche nel rapporto tra controlli interni e controlli esterni.

Se nella Commissione, volendo continuare a tenere la realtà europea come spunto evolutivo, sono state istituite apposite funzioni di controllo super-partes come l’Internal Auditing Service o il Comitato di Vigilanza per l’Audit, allo scopo di affidare loro incarichi precisi di controllo “esterno”, in Italia, l’unico organo da sempre deputato come addetto a tale funzione, ovvero la Corte dei Conti, subisce continuamente “attacchi” alla sua unicità, poiché viene a mancare una netta definizione dei compiti ad essa spettanti.

A distanza di decenni dal momento in cui la Corte dei Conti è stata delineata come l’organo che meglio rappresentava “lo stato Comunità per la sua neutralità, indipendenza e terzietà”, non è ancora chiaro se i ruoli ad essa assegnati lo siano

(6)

in via esclusiva, oppure in una sorta di “collaborazione” ora con il Collegio dei Revisori, ora con l’Unità di Monitoraggio, collaborazione non espressamente dichiarata, bensì dovuta alla sovrapposizione degli incarichi tra i suddetti istituti e i loro rispettivi compiti, pertanto in questa sede definibile “forzata”.

E’ possibile che l’idea fosse quella di far sì che al lavoro della Corte collaborassero altre istituzioni, per garantirne l’obiettività e l’indipendenza, così come all’interno della Commissione Europea collaborano organi di controllo esterno e le stesse unità sottoposte a controllo rappresentate dai propri Direttori Generali o Capi di Servizio. Se così fosse però, sarebbe certamente più opportuno chiarire attraverso le norme questo tipo di rapporto collaborativo, che al momento appare certamente non come tale, bensì come una mera sovrapposizione di incarichi.

Negli ultimi anni tra l’altro, abbiamo assistito in Italia, non tanto ad una vera e propria produzione legislativa in materia, bensì ad una produzione di “deleghe”

ai fini della realizzazione di norme che regolarizzassero questo contesto, sulla base di disposizioni generiche che dovrebbero costituire le linee guida per la suddetta produzione normativa, deleghe che sono addirittura scadute prima che reali provvedimenti venissero intrapresi.

Questo lascia trasparire come la mancanza fondamentalmente venga dall’alto, marcando la differenza più importante tra la realtà della Commissione e quella del settore pubblico italiano: coma già osservato, la necessità di un cambiamento nasce in seno alla stessa Commissione, che nel giro di 6 anni circa, decide di riformare la propria organizzazione e realizza una struttura adatta alle proprie caratteristiche, ormai infatti, considerabile operativa in termini di efficacia, efficienza ed economicità. In Italia è evidente che i “piani alti” non avvertano questa esigenza, o meglio non la avvertano agli stessi livelli della Commissione, e che pertanto ritardino e prolunghino i tempi entro i quali ordinare la situazione.

Ciò si riflette inesorabilmente ai livelli più bassi, che non ricevendo stimoli precisi dall’alto non sono motivati a far proprie le attuali disposizioni sull’internal auditing e, se lo fanno, sono consapevoli di iniziare da soli un cammino tra molteplici ostacoli, dubbi ed incertezze, dove si avanza per

(7)

“tentavi”, che sempre nella più totale autonomia, vengono formulati e portati avanti dagli stessi Enti.

Sono ormai frequenti infatti, i gruppi di discussione che, attraverso internet, creano reti virtuali di realtà territoriali che hanno adottato soluzioni alternative per introdurre al proprio interno la funzione di internal auditing, e che quindi attraverso il web si confrontano portando avanti valutazioni autonome sul proprio lavoro e i frutti della “strategia” adottata. Alla luce poi del fatto che in Italia le realtà pubbliche spaziano per tipologia e caratteristiche in maniera piuttosto ampia, è facile immaginare come di soluzioni alternative ne vengano individuate ed implementate in gran numero, con importanti differenze tra le une e le altre.

Tenendo conto di quest’ultima considerazione, viste le molteplici differenze tra le varie tipologie di enti pubblici presenti sul territorio italiano, si potrebbe pensare ad un approccio, sempre di tipo top-down, che effettui una scomposizione per campi di applicazione. In altre parole, piuttosto che optare per degli Standard che siano validi per tutti gli enti pubblici lasciando a questi l’autonomia di decidere come inserirli nella propria organizzazione, si potrebbero individuare degli standard specifici per settore. Se la difficoltà principale, è data dal fatto che gli enti non sono tutti uguali e che quindi trovare una disciplina comune può sembrare ad oggi impossibile, allora, prendendo atto di queste differenze, sarebbe forse più opportuno individuare degli Standard che abbiano come riferimento il settore di applicazione: sanitario, economico-finanziario, difesa e così via.

In questo modo, verrebbero meglio osservate le peculiarità dell’ambiente nel quale inserire la funzione di internal auditing, si riuscirebbe ad adattarle in maniera più puntuale alle esigenze del controllo e si eviterebbero i dubbi interpretativi che inevitabilmente nascono laddove gli spazi di applicazione si fanno più estesi. L’idea degli standard potrebbe essere dunque valida per creare lo scheletro dell’organizzazione amministrativa dell’ente, lasciando poi a quest’ultimo l’ultima parola in tema di organizzazione strutturale vera e propria.

(8)

Con questo ribadisco che non riconosco nel metodo della Commissione Europea la via giusta in assoluto per la gestione della funzione di internal auditing, ma senza dubbio è la via giusta per il suo contesto organizzativo.

In Italia è evidente invece, che la via giusta debba ancora essere trovata: una via che sappia muoversi tra la necessità di attribuire autonomia anche agli enti più piccoli ma che sappia comunque dimostrare che stimoli e direttive debbano prima venire dall’alto per essere comprese al meglio anche ai piani più bassi; una via che si caratterizzi per chiarezza, precisione e puntualità, e non per i molteplici dubbi interpretativi, sovrapposizioni, mancanze e costanti ritardi che definiscono quella attuale; una via che sappia individuare in un ristretto gruppo di figure istituzionali i compiti ad essi spettanti, siano essi relativi ad un contesto di controllo interno o di controllo esterno, creando le basi per la realizzazione di un ambiente collaborativo si, ma dove ciascun suo componente abbia chiaro quale sia il suo compito e come portarlo a termine.

In questa sede, il lavoro della Commissione rappresenta soltanto un possibile indirizzo per la “via italiana”, che le possa fornire in un certo senso, lo spunto per la realizzazione di un quadro regolamentare davvero efficiente per la realtà amministrativa statale, regionale e locale, che elimini il superfluo e disciplini correttamente le risorse disponibili.

Riferimenti

Documenti correlati

( 2 ) Decisione 2010/425/UE della Commissione, del 28 luglio 2010, che modifica la decisione 2009/767/CE riguardo all’elaborazione, aggiornamento e pubblicazione degli elenchi

• Gran parte delle differenze sono legate a differenze negli investimenti in istruzione e innovazione tra regioni. • Queste differenze stanno crescendo: le nuove tecnologie stanno

zione e formazione professionale per il periodo 2011-2020, in particolare al fine di aumentare l'attrattiva dell'istruzione e formazione professionale iniziale,

o «crema», che fa chiaramente riferimento a uno degli allergeni elencati nell’allegato II (ad esempio latte) e per la quale non è richiesto un elenco

La capacità finanziaria dei richiedenti deve essere valutata sulla base dei seguenti documenti giustificativi, da presentare unitamente alla domanda:.. —

Questa pubblicazione riflette esclusivamente le idee degli autori e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso venga fatto delle informazioni qui

Questa pubblicazione riflette esclusivamente le idee degli autori e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso venga fatto delle informazioni qui

Questa pubblicazione riflette esclusivamente le idee degli autori e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso venga fatto delle informazioni qui