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CAPITOLO I AREE PROTETTE E SVILUPPO SOSTENIBILE

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CAPITOLO I

AREE PROTETTE E SVILUPPO SOSTENIBILE

«Il parco può essere assunto come modello e laboratorio di sistema o quadro ambientale e paesaggistico, sistema

o quadro che è frutto della lunga interazione storica fra società e natura e non isola separata dallo spazio del produrre e del contendere del territorio»1.

1.1 PARCHI NAZIONALI E AREE PROTETTE: RUOLO E FINALITÀ

La nascita dell’idea “moderna” di area protetta2. Con la

Rivoluzione industriale si assiste alla affermazione di complessi processi di modernizzazione socio-economica, di mutamenti nelle forme di produzione e di trasformazione ambientale cui corrisponde l’avvio di una politica di protezione di significative e ampie zone di elevato valore naturale o seminaturale e di notevole bellezza paesaggistica, quasi sempre prive di insediamenti umani, considerate come strumenti essenziali per la sopravvivenza delle popolazioni esposte ai rischi e agli effetti derivanti dai dirompenti processi di urbanizzazione del territorio3. In tale contesto vanno dunque ricercate le radici

1 Tratto da corso di aggiornamento sull’educazione ambientale tenuto dal professor Leonardo Rombai nel 1998 e promosso da Italia Nostra. Tale intervento è riportato in Giovanni Valdré, I parchi non servono più?, in Paesaggio, ambiente e geografia. Scritti in onore di Giuseppe Barbieri, cit., p. 269.

2 In questa sede si fa riferimento alla “invenzione americana” relativamente ai parchi naturali nazionali, risalente ai primi anni Settanta dell’Ottocento, con l’istituzione del primo parco di Yellowstone. Oggi, invece, per area protetta s’intende una specifica porzione di territorio (area appunto) che richiede misure specifiche (regolamenti, ecc.) per la conservazione della biodiversità, nonché una gestione garantita dalla legislazione o da altri mezzi efficaci e una qualche forma di organismo di gestione, individuato per garantire la conservazione dell’area stessa. Si tratta di una definizione scritta da Adrian Phillips, Presidente uscente della World Commission on Protectdet Areas dell’IUNC, nel 2003, in vista del V Congresso delle Aree protette di Durban. Cfr. Giuliano Tallone, I Parchi come sistema. Politiche e reti per un nuovo ruolo delle aree protette, Edizioni ETS, Pisa, 2007, pp. 102-104.

3 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, a c. di Anna Guarducci – Leonardo Rombai, Italia Nostra sezione di Firenze, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 1999, p. 13. La Rivoluzione industriale prese avvio in Inghilterra tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, per estendersi e consolidarsi, nei decenni successivi, anche negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, in particolare in Francia, Germania, Olanda e Belgio. Inizia l’epoca della manifattura cotoniera, delle miniere di carbone, dell’altoforno, dell’industria pesante, del boom delle costruzioni stradali e poi ferroviarie, nonché dei battelli a vapore. Stati Uniti e Europa rappresentano i due poli di questo sviluppo impetuoso che costituisce un cambiamento irreversibile e radicale rispetto al passato. Cfr. AA.VV., Geografie della storia. Orizzonti globali (XVIII – XIX) 2, Cappelli Editore, Bologna, 1998, pp. 169-176; Paolo Viola, Storia moderna e contemporanea. L’Ottocento, Giulio Einaudi Editore,

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di molti disastri ecologici dovuti alla graduale diffusione della industrializzazione, dinanzi ai quali, nel corso del secondo Novece nto, «il livello di preoccupazione per l’ambiente in Europa è cambiato, passando dallo stato di vaga inquietudine a quello d’importanza cruciale per la sopravvivenza dell’umanità»4. È nel corso degli ultimi cinquant’anni del Ventesimo secolo,

infatti, che si è acquisita la consapevolezza che il rapido sviluppo economico , affermatosi in diverse aree della Terra, basato spesso sullo sfruttamento dell’ambiente «senza controllo»5, rappresenta una minaccia «per l’equilibrio a

lungo termine del pianeta»6.

Anche in epoca preindustriale e addirittura precapitalistica erano state realizzate vaste opere di modifica degli ambienti naturali, come la diffusione e la sostituzione di specie vegetali coltivate a quelle spontanee, il terrazzamento di pendii, la deviazione di corsi d’acqua , gli interventi di bonifica di zone acquitrinose e paludose. L’obiettivo principale era quello di incrementare la produttività del suolo e ampliare i beni alimentari: l’agricoltura è stata, infatti, fino al Settecento, l’attività che più di ogni altra ha determinato la trasformazione dei paesaggi primordiali7. Da tempo

immemorabile, dunque, l’uomo sottrae spazio agli ecosistemi naturali per organizzarlo in territorio, non più regolato dalle leggi della natura, bensì dall’ordine che la società stabilisce, di volta in volta, anche con lo scopo di rendersi indipendente da essa8. Tuttavia, è con la formazione e lo sviluppo Torino, 2000, pp. 40-41; Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Storia contemporanea. L’Ottocento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 62-63.

4 Robert Delort, Francois Walter, Storia dell’ambiente europeo, prefazione di Jacques Le Goff, Edizioni Dedalo, Bari, 2002, p. 348. Nel 1949, nel suo libro, Fairfield Osborn, affronta il tema del rapido deterioramento di una Terra sovrappopolata da due miliardi di esseri umani e delle preoccupazioni per il futuro del pianeta. Si tratta di uno dei più significativi gridi d’allarme, che esprime la consapevolezza dell’impossibilità di maltrattare continuamente l’ambiente terrestre senza andare incontro a inesorabili conseguenze per l’umanità intera. Cfr. Fairfield Osborn, Il pianeta saccheggiato, Bombiani, Milano, 1950. La versione in lingua originale era stata pubblicata, a Boston, l’anno precedente dall’editore Little-Brown.

5 Robert Delort, Francois Walter, Storia dell’ambiente europeo, cit., p. 50.

6 La terre outragée. Les exsperts sont formels!, a c. di Jacques Theys e Bernard Kalaora, Autrement, Parigi, 1992, p. 25. Anche lo studioso francese Jean-Paul Deléage afferma che si assiste, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, ad un nuovo conflitto planetario, causato principalmente da un «sistema industriale che funziona come un vero e proprio vulcano artificiale in stato di crescente attività». Jean-Paul Deléage, Storia dell’ecologia: una scienza dell’uomo e della natura, CUEN, Napoli, 1995, p. 278.

7 Cfr. Maria Tinacci Mossello, Geografia economica, Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 69-75. Per quanto riguarda la nostra civiltà occidentale, si può affermare che è stata la coltivazione dei cereali «panificabili» ed in particolare del grano, che, da millenni, richiede un lavoro costante per ottenere i raccolti (vista la sua sensibilità alla variabilità delle condizioni naturali), a determinare lo sfruttamento dell’habitat naturale dando inizio all’antropizzazione accelerata. Cfr. Robert Delort, Francois Walter, Storia dell’ambiente europeo, cit., p. 33.

8 Cfr. Maria Tinacci Mossello, Questione ambientale e sviluppo regionale. Una nuova alleanza

possibile, in La sostenibilità dello sviluppo locale. Politiche e strategie, a c. di Maria Tinacci Mossello, Pàtron Editore, Bologna, 2001, p. 17. Gli esseri umani hanno alterato gli ecosistemi sin dall’inizio, allorché appiccavano incendi per uccidere mandrie di renne e bisonti o sterminavano intere specie di mammiferi. Si pensi poi alla deforestazione, avviata anche dai Greci e dai Romani nell’antichità, di ampie zone della regione mediterranea. Cfr. H.J. De Blij, Alexander B. Murphy,

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della società industriale9 e con la crescente pressione demografica10, che

l’assunzione di risorse dall’ambiente e la loro trasformazione fisica diventano così intense e generalizzate da far emergere, sin dall’Ottocento, il “problema ambientale” ossia la questione legata al deterioramento di ampie zone del territorio, all’inizio urbano, nell’ambito dei paesi industriali11. Secondo Paul

Crutzen, premio Nobel per la Chimica nel 1995, l’inizio della Rivoluzione industriale segna l’avvio di un nuovo periodo geologico, che egli definisce “Antropocene”, per sottolineare il ruolo centrale che la ricerca scientifica attribuisce alla specie umana quale potente agente della modificazione dei sistemi naturali12.

Nel contesto della società industriale prese avvio la pianificazione dei primi parchi naturali. La finalità di tale politica era duplice: conservare alcuni territori di indiscussa bellezza e ricchezza di risorse da ogni forma di sfruttamento e garantirne il godimento da parte delle generazioni attuali e future (public enjoyment). Essa rappresenta la motivazione storica della istituzione, negli Stati Uniti d’America, dei primi grandi parchi naturali risalenti alla seconda metà dell’Ottocento13. In tale continente nacque, dunque, l’idea di

parco nazionale, con una visione globale e sistematica della conservazione della natura: si tratta dell’idea “moderna” di “area protetta”, cioè di uno spazio inteso come bene pubblico a vantaggio di una intera nazione. Qualcuno l’ha chiamata “la migliore idea americana”. Il primo ad essere istituito, nel 1872, fu il parco di Yellowstone, il primo esempio al mondo di protezione della natura

Geografia umana, cultura, società, spazio, Zanichelli, Bologna, 2002, pp. 439-440 e 453 (si tratta della seconda edizione italiana condotta sulla sesta edizione americana). In particolare, a partire dal V secolo a.C., si assiste ad un incremento della popolazione che determina maggiore bisogno di legname, di terreno coltivabile e cibo, di maggiori spazi per l’allevamento del bestiame, di ulteriori risorse minerarie e di metalli, oltre alla necessità di un ampliamento degli spazi urbani e delle vie di comunicazione. Tutto ciò causa le prime significative modificazioni del territorio, seppur in aree geografiche ben precise. Cfr. Giorgio Nebbia, Lo sviluppo sostenibile, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (FI), 1991, pp. 13-14.

9 Con la Rivoluzione industriale, l’uomo «per la prima volta nella sua storia ebbe il senso, come mai prima, di poter mutare la natura secondo i suoi progetti coscienti […]». Massimo L. Salvadori, L’età contemporanea 3, Loescher Editore, Torino, 1990, p. 909.

10 L’aumento della popolazione fu particolarmente rilevante proprio nelle aree geografiche dove la tecnica e l’industria conseguirono i maggiori risultati: Europa e Nord-America. I dati riportati di seguito evidenziano la situazione demografica precedente alla Rivoluzione industriale e quella agli albori del Ventesimo secolo, cioè dopo circa cento anni dall’inizio del fenomeno industriale. Nel vecchio continente si passò da centoquaranta milioni di abitanti presenti nel 1750 a quattrocentodieci milioni nel 1900. Nel Nord-America si passò da un milione di abitanti presenti nel 1750 a ottantuno milioni del 1900. Cfr. A.R.L. Gurland, Economia e società agli albori dell’èra industriale, traduzione di Silvio Daniele, in Il secolo XIX, volume ottavo di I Propilei. Grande Storia Universale Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966, pp. 393-394. Sulla crescita demica in Europa nell’Ottocento cfr. anche: Giorgio Negrelli, L’età contemporanea, Palumbo, Firenze, 1989, pp. 10-11.

11 Cfr. Maria Tinacci Mossello, Geografia economica, cit., pp. 69-75.

12 Cfr. Gianfranco Bologna, Conoscere e applicare la sostenibilità, in Lo sviluppo sostenibile in Italia

e la crisi climatica. Rapporto ISSI 2007, a c. di Edo Ronchi, Edizioni Ambiente, Milano, 2007, pp. 40-41.

13 Cfr. Roberto Gambino, I Parchi naturali. Problemi ed esperienze di pianificazione nel contesto

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selvaggia (wilderness) su larga scala, al fine di conservarne i valori estetici, panoramici e paesaggistici14. Poi fu la volta dei parchi nazionali di Sequoia, Yosemite, Generale Grant, Mount Rainier. Un importante contributo alla legittimazione delle politiche per i parchi derivò dalle scienze della terra, che misero in rilievo i rischi e i danni causati dalle azioni dell’uomo nei confronti delle risorse e dei processi naturali. Le iniziative per la real izzazione dei parchi e per la protezione di ampi spazi incontaminati e selvaggi si fondò, infatti, sin a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, su rapporti scientifici che documentavano in modo obbiettivo le caratteristiche e i valori degli ambienti da porre sotto tutela. Alle considerazioni di ordine estetico si aggiungevano dunque valutazioni di carattere scientifico che giustificavano l’adozione di forme di salvaguardia a favore di significative risorse primarie come le foreste e i corpi idrici. Nei vari Stati confederati, tali aree venivano “ritagliate” e isolate dal contesto territoriale in quanto considerate di valore eccezionale o speciale, in virtù della presenza di beni rilevanti dal punto di vista naturalistico, oppure perché ritenute a rischio per l’imminenza di minacce particolari15. Il paradigma di queste aree protette, infatti, era molto semplice:

circoscrivere, confinare determinati ambienti la cui proprietà era della Nazione , nei quali vietare ogni attività umana ad eccezione della fruizione pubblica , al fine di mantenere gli “equilibri naturali”. È questo il modello che ha fatto scuola nel mondo per oltre cento anni, tanto da essere trasferito, pedissequamente, in molte realtà su tutto il pianeta16.

Dalla duplice finalità della protezione/conservazione e del godimento/contemplazione, infatti, prese avvio una politica che ha determinato, dalla fine dell’Ottocento agli inizi di questo secolo, la tutela di circa un miliardo di ettari della superficie terrestre destinati a parchi e aree protette17. Molti altri Paesi, infatti, seguirono l’esempio di Yellowstone: nel

1879 fu istituito il primo parco nazionale australiano nel New South Wales, noto come Royal National Park; nel 1885 quello canadese di Banff; nel 1894 e nel 1898 altri parchi nazionali furono istituiti rispettivamente in Nuova Zelanda e in Sudafrica18. La politica di tutela delle aree naturali si è verificata

soprattutto in quegli Stati dove maggiori sono state le conseguenze della Rivoluzione industriale: Stati Uniti ed Europa (specialmente Gran Bretagna e

14 Cfr. Paolo Cassola, Turismo sostenibile e aree naturali protette. Concetti, strumenti e azioni, Edizioni ETS, Pisa, 2005, pp. 34-36; Giuliano Tallone, I Parchi come sistema. Politiche e reti per un nuovo ruolo delle aree protette, cit., p. 75; James Sievert, La migliore idea americana, in Cento anni di parchi nazionali in Europa e in Italia, a c. di Luigi Piccioni, Edizioni ETS, Pisa, 2011, pp. 2 e 21.

15 Cfr. Roberto Gambino, I Parchi naturali. Problemi ed esperienze di pianificazione nel contesto

ambientale, cit., pp. 35-40.

16 Cfr. Giuliano Tallone, I Parchi come sistema. Politiche e reti per un nuovo ruolo delle aree

protette, cit., pp. 78-81.

17 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, cit., p. 13. Si tratta di circa il dodici per cento della superficie terrestre destinata a parchi, riserve ed altre tipologie di area protetta. Si è passati, nel corso di cento trent’anni, da uno (Yellowstone) ad oltre centomila parchi e riserve. Cfr. Ugo Leone, Protezione della natura e sviluppo economico: un matrimonio sostenibile, in Paesaggio, ambiente e geografia. Scritti in onore di Giuseppe Barbieri, cit., p. 180.

18 Cfr. Paolo Cassola, Turismo sostenibile e aree naturali protette. Concetti, strumenti e azioni, cit., p. 36.

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Germania), in cui cioè si sono verificati processi di inquinamento, di degrado, di alterazione ambientale, dovuti ad esempio agli intensi processi di urbanizzazione, all’uso di sostanze chimiche in agricoltura, alla industrializzazione, all’imporsi di insostenibili modelli di consumo19.

Se, dunque, è vero che da millenni l’uomo modifica l’ambiente in cui vive e se nel corso degli ultimi secoli il degrado ambientale e l’inquinamento si sono ampliati, seppur all’interno di aree geografiche specifiche, è soltanto a partire dal secondo Novecento che lo sfruttamento del territorio e le alterazioni del mondo fisico, causate dall’azione umana, sono in grado di provocare cambiamenti ambientali su scala globale20. La pressione antropica sulle risorse rinnovabili e non rinnovabili, infatti, procede a ritmi così rapidi, che, oggi, è l’intero ecumene e l’integrità della vita stessa sulla Terra ad essere a rischio21. Le stesse catastrofi ecologiche e le fonti d’inquinamento

verificatesi in un punto qualsiasi della Terra possono avere ripercussioni dirette o indirette su scala planetaria, poiché le sostanze inquinanti travalicano i confini e le frontiere dei singoli Stati: basti pensare alle piogge o deposizioni acide, alle contaminazioni nucleari22, senza dimenticare le conseguenze del

cambiamento climatico in atto che riguardano l’intera superficie terrestre23.

Emblematico il caso della nube radioattiva sprigionatasi, nel 1986, dalla centrale nucleare di Chernobyl24, che, oltre ad aver provocato un numero

imprecisato di morti, numerose malattie e danni genetici a diverse generazioni, a causa dei venti, giunse fino a colpire i grandi parchi della penisola scandinava con gravissimi conseguenze per le specie animali e non solo. Un nuovo «invisibile nemico, irrispettoso di limiti e frontiere»25, rappresentava

«una inedita condizione di pericolo per tutta l’umanità»26. Significativo anche il caso del Monte Bianco, dove, a oltre quattromila metri di altitudine , sono state trovate tracce della polluzione prodotta dal traffico pesante istradato a circa tremila metri più in basso. Non si dimentichino, inoltre, le massicce e continue

19 Cfr. Roberto Gambino, I Parchi naturali. Problemi ed esperienze di pianificazione nel contesto

ambientale, cit., pp. 13 e 40.

20 Cfr. H.J. De Blij, Alexander B. Murphy, Geografia umana, cultura, società, spazio, cit., pp. 439-440.

21 Cfr. Patrizia Romei, Aree protette in Toscana, in La sostenibilità dello sviluppo locale. Politiche e

strategie, a c. di Maria Tinacci Mossello, cit., p. 219.

22 Dopo le esplosioni delle prime bombe atomiche nel 1945 e soprattutto in seguito alle esplosioni sperimentali di ordigni atomici nell’atmosfera, si ebbe la dimostrazione di come il livello di radioattività della biosfera fosse ormai superiore ai limiti ritenuti di sicurezza. Ci fu la prima presa di coscienza collettiva che dinanzi agli effetti delle nuove tecniche non esistevano confini: le sostanze contaminanti attraversavano oceani e continenti, con ripercussioni negative per l’ambiente e per gli esseri viventi per secoli o addirittura millenni, coinvolgendo quindi le generazioni future. Cfr. Giorgio Nebbia, Lo sviluppo sostenibile, cit., p. 22.

23 Sulle conseguenze del cambiamento climatico cfr. Franca Canigiani, Salvare il pianeta: la sfida

del XXI secolo, in Giuseppe Barbieri – Franca Canigiani – Laura Cassi, Geografia e cambiamento globale. Le sfide del XXI secolo, cit., pp. 139-170.

24 Giovanni Battista Zorzoli, Il pianeta in bilico. Il difficile equilibrio tra ambiente e sviluppo, Garzanti Editore, Milano, 1989, p. 55.

25 Piero Bevilacqua, Lo sviluppo e i suoi limiti, in AA.VV., Storia contemporanea, Donzelli editore, Roma, 1997, p. 600.

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perdite di petrolio dei trasporti navali, dovuti principalmente ad avarie e naufragi, che inquinano i mari, specialmente quelli chiusi come il Mediterraneo, logorando anche l’ecosistema delle aree protette marine. Oppure si pensi alla nube asiatica estesa per milioni di chilometri quadrati, dall’Arabia alla Cina, caratterizzata da un miscuglio inquinante di particelle aerosolitiche e di caligine liberate dall’incendio di ampie superfici di foreste e dalla combustione dei fossili27. In questi ultimi anni possiamo affermare che la “questione ambientale” è divenuta ancora più complessa rispetto al passato proprio per il suo collegamento con le variazioni climatiche28 che stiamo

vivendo, responsabili sia dell’aumento di eventi estremi (periodi di siccità prolungati, violenti nubifragi, temperature ora basse ora troppo elevate), che di mutamenti nella distribuzione geografica e nell’habitat di flora e fauna . In Toscana, ad esempio, risultano significative le gravi patologie e la “febbre ambientale” che hanno colpito alberi e pinete domestiche e marittime, come risulta da una ricerca condotta da un gruppo dell’Università di Firenze29.

Non vi sono più ambienti al riparo dai rischi e dalle aggressioni causate da un inquinamento che diventa sempre più “globale”30. Per questo le

aree protette ricoprono un ruolo fondamentale nella conservazione del patrimonio di biodiversità a nostra disposizione, che si è assottigliato sempre

27 Cfr. Roberto Gambino, La pianificazione degli spazi naturali, in Anna Segre, Egidio Dansero,

Politiche per l’ambiente. Dalla natura al territorio, UTET, Torino, 1996, p. 185. Cfr. anche Giovanni Valdré, I parchi non servono più?, in Paesaggio, ambiente e geografia. Scritti in onore di Giuseppe Barbieri, cit., pp. 267-268; Franca Canigiani, Ambiente e Paesaggio. Idee per i corsi di geografia e discipline ambientali, Nicomp L.E., Firenze, 2007, pp. 83-85.

28 Per mutamento climatico o variazioni climatiche s’intende, in generale, ogni forma d’incostanza del clima, qualunque ne sia la causa. Variazioni delle condizioni climatiche sono sempre state presenti nel corso della storia della Terra: alcune sviluppatesi in tempi molto lunghi, come quelle verificatesi durante le ere geologiche, altre più brevi come quelle secolari o decennali. Particolarmente interessanti, dal punto di vista geografico, specialmente per le interazioni uomo-ambiente, sono le variazioni che si sono succedute nell’età postglaciale, in particolare negli ultimi diecimila anni. Negli ultimi decenni risulta sempre più stretto il rapporto uomo-clima, oggetto di studio da parte degli scienziati, per capire il ruolo dell’uomo e delle attività antropiche nella modificazione degli elementi climatici. Cfr. Paolo Roberto Federici – Sandra Piacente, Geografia fisica, Carocci, Roma, 1998, pp. 150-151 e 168. Il World Resources Institute di Washington, in vista della Conferenza delle Parti tenutasi a Nairobi, in Kenya (17-28 ottobre 2005), nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione, ha pubblicato lo studio di diversi esperti di vari Paesi del mondo, tra cui l’italiano Riccardo Valentini, basato sulle complesse e reciproche interazioni che legano la desertificazione ai cambiamenti climatici in atto e alle attività antropiche, alla deforestazione ecc. Emerge la convinzione che il mutamento climatico in corso inciderà sul ciclo idrologico globale, sull’andamento delle precipitazioni con gravi conseguenze in termini di aumento dei fenomeni di aridità. Cfr. Franca Canigiani, L’ambiente tradito, in Paesaggio, ambiente e geografia. Scritti in onore di Giuseppe Barbieri, cit., p. 195. 29 Cfr. Leonardo Rombai, Mariarita Signorini, La mappa delle criticità in Toscana. Una nuova

questione ambientale, in Il paesaggio della Toscana tra storia e tutela, a cura di Rossano Pazzagli, Edizioni ETS, Pisa, 2008, p 296.

30 Sull’inquinamento globale cfr. Franca Canigiani, Salvare il pianeta: la sfida del XXI secolo, in Giuseppe Barbieri, Franca Canigiani, Laura Cassi, Geografia e cambiamento globale. Le sfide del XXI secolo, cit., pp. 139-170. Sulle diverse forme di inquinamento, quali minacce globali, cfr. anche: Giovanni Battista Zorzoli, Il pianeta in bilico. Il difficile equilibrio tra ambiente e sviluppo, cit., pp. 62-72.

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più dopo due secoli di industrializzazione, specialmente nel corso del Novecento31. Affermava, a tal proposito, nel 1998, l’insigne studioso francese François Ramade: «Jamais dans sa longue histoire – et au moment même où elle entre dans le XXI siècle – l’espèce humaine n’a exercé un effet aussi dévastateur sur la nature»32. Già nel 1975, il geografo Giuseppe Barbieri aveva

affermato: «Nella sua corsa al progresso l’uomo si è fatto così potente, così presuntuoso, talora così insensato da ottenere sì vantaggi immediati, ma da provocare anche imprevisti squilibri e distruzioni, in misura tale da mette re in pericolo l’esistenza stessa, sia propria che della natura»33. Per queste ragioni

non è pensabile che la tutela dell’ambiente si concentri oggi solo su spazi limitati, ma deve prevedere una politica di pianificazione e di gestione delle attività umane nel resto del territorio. Risulta necessaria una politica dell’ambiente che superi i confini dei singoli Stati, per divenire una gestione coordinata a livello globale, attraverso norme e accordi sovranazionali da applicare realmente34. Come afferma lo storico Simone Neri Serneri, la storia

dell’uomo è intrecciata indissolubilmente alla storia della natura, per cui le notevoli trasformazioni ambientali in corso avranno co nseguenze sulle condizioni di vita dell’intero pianeta. Di qui le domande: quale natura erediteranno le future generazioni? Quanto la storia degli uomini sta minando la natura e la storia futura?35

La svolta: dal paradigma delle “isole di natura” a quello dello sviluppo sostenibile. Al secolo scorso risalgono i primi parchi nazionali

istituiti in Europa: tra il 1909 e il 1910 Abisko, Peliekajse, Sarek e Stora Sjofallet in Svezia, ai quali seguirono il parco nazionale della Bassa Engadina realizzato, nel 1914, dalla Confederazione elvetica; quelli di Cavadonga e

31 Cfr. Patrizia Romei, Aree protette in Toscana, in La sostenibilità dello sviluppo locale. Politiche e

strategie, cit., p. 219. Nel corso del Novecento, infatti, ai danni ambientali causati dai Paesi industrializzati si sono aggiunti quelli prodotti dai Paesi emergenti che si sviluppano bruciando foreste e carbone e quindi in modo non sostenibile. Cfr. Franca Canigiani, Ambiente e Paesaggio. Idee per i corsi di geografia e discipline ambientali, cit., p. 85. Proprio l’abbattimento e l’incendio di consistenti aree di foreste tropicali pluviali rappresenta l’ecatombe delle specie viventi, se si considera che, nel corso del secondo Novecento, vengono abbattuti circa centomila chilometri quadrati di foreste ogni anno. Si stima la perdita di circa quattromila-seimila specie viventi ogni anno solo in questi ambienti, ai quali ad esempio si aggiungono i danni per la biodiversità derivanti dall’abbattimento di altre tipologie di foresta come quelle degli Stati Uniti, il cui legname viene venduto al Giappone e ad altri Paesi delle coste del Pacifico. Cfr. Edward O. Wilson, La diversità biologica in pericolo, in Giorgio Nebbia, Lo sviluppo sostenibile, cit., pp. 124-126. L’industria, quindi, e i modi di vita nonché di consumo delle società industriali, negli ultimi decenni, si sono configurati come sperperatori di ricchezze naturali. «La straordinaria potenza di produzione di ricchezza che la tecnologia ha reso possibile ha dunque messo in luce nell’ultimo mezzo secolo il più inquietante dei suoi effetti imprevisti, la crescente minaccia agli equilibri globali del pianeta». Piero Bevilacqua, Lo sviluppo e i suoi limiti, in AA.VV., Storia contemporanea, cit., p. 604.

32 François Ramade, Le grand massacre, Hachette, Paris, 1999, p. 7. 33 Giuseppe Barbieri, Un pianeta da salvare, Principato, Milano, 1975, p. 3.

34 Cfr. Giovanni Valdré, I parchi non servono più?, in Paesaggio, ambiente e geografia. Scritti in

onore di Giuseppe Barbieri, cit., pp. 269-270.

35 Cfr. Simone Neri Serneri, Incorporare la natura. Storie ambientali del Novecento, Carocci, Roma, 2005, pp. 309 e 324.

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Ordesa, nel 1918, in Spagna e il parco di Kredovaja Pad in Russia nel 1916. Anche in questi casi la ragione principale era da ricercare nella volontà di evitare che territori di singolare bellezza venissero trasformati e degradati a causa delle attività antropiche. Per diversi decenni, dunque, le “aree protette” sono state identificate come ampie zone da difendere dai processi di sviluppo in corso, al fine di evitare la loro distruzione o parziale men omazione. I parchi comunicavano l’idea di voler isolare e tenere lontano la natura dalla logica del mercato, dai consumi, dallo sfruttamento a fini economici delle risorse locali36.

A partire dagli anni Settanta (in particolare nel ventennio 1970 -90), in seguito all’emergere delle contraddizioni sociali e ambientali risalenti al decennio precedente, si sono affermati, nell’ambito della politica ambientale comunitaria e internazionale, nuovi orientamenti che hanno respinto lo scontro tra la logica produttiva da una parte e quella ambientale dall’altra, ossia tra la crescita economica e la conservazione degli ecosistemi terrestri. Sullo sfondo vi sono da una parte l’onda del “neoambientalismo” che, nel secondo dopoguerra, impone, con prepotenza, il problema della percezione e della salvaguardia delle risorse naturali; dall’altra il diffondersi delle prime interpretazioni apocalittiche sulla crisi ambientale d’ispirazione neomalthusiana, fondate sull’idea di una crescita esponenziale della popolazione e sull’incapacità del pianeta ad alimentare queste nuove masse37.

In questo periodo aumenta la sensibilità di economisti e non economisti

36 Cfr. Paolo Cassola, Turismo sostenibile e aree naturali protette. Concetti, strumenti e azioni, cit., pp. 36-37. In Europa, già nei primi anni del Novecento, si assiste alla affermazione di una legislazione rivolta a proteggere le bellezze naturali e paesaggistiche (Baviera 1901, Granducato di Hess 1902, Prussia 1904, ecc.). Nell’Europa centrale gli spazi protetti unicamente per la bellezza dei loro paesaggi si chiamarono “parchi paesaggistici”, ma in tali contesti mancava la tutela globale dell’ambiente e non era percepita l’esigenza di salvaguardare flora e fauna. Gli interventi degli amministratori di quei parchi si verificavano solo quando si profilava un degrado paesaggistico. Si tratta dunque di esperienze non assimilabili a quelle dei successivi parchi nazionali istituiti in diversi Stati europei, in cui le finalità erano simili o identiche a quelle riscontrate nell’istituzione dei parchi nazionali americani. Cfr. Ibid., p. 36.

37 Cfr. Sergio Conti, Geografia economica. Teoria e metodi, UTET, Torino, 2000, pp. 468-473. Un esempio significativo dell’approccio neomalthusiano alla tematica ambientalista che precede di alcuni anni la Conferenza di Stoccolma è costituito dalla seguente opera: Garrett Hardin, The Tragedy of the Commons (“Science”, 162), 1968, pp. 1243-1248. Da non dimenticare il testo The Population Bomb (Ballantine Books, New York, 1970), in cui viene denunciato il rischio ecologico legato all’esponenziale incremento della popolazione del globo terrestre: elevata popolazione, scarso cibo, crisi certa. Le radici di questo dibattito risalgono al reverendo scozzese Thomas Robert Malthus, che, nel suo celebre saggio sulla popolazione mondiale, Saggio sul principio della popolazione, pubblicato nel 1798, fece emergere il concetto di limitatezza delle risorse del pianeta. Pur avendo a disposizione dati frammentari sui tassi di crescita della popolazione mondiale e sui tassi di disponibilità di cibo, Malthus affermò che se la popolazione del globo terrestre cresce in modo esponenziale e se la produzione di alimenti aumenta con legge lineare, si determina una situazione nella quale le risorse alimentari non sono più sufficienti a sfamare i nuovi nati (i poveri essenzialmente). Nonostante le critiche alla impostazione di Malthus, che rifletteva il punto di vista dell’egoismo borghese, mosse dai marxisti, non si può escludere la validità della legge biologica secondo cui una popolazione non può aumentare al di là della capacità ricettiva di un territorio, costituita innanzitutto dalla disponibilità di spazio e di cibo. Cfr. Giorgio Nebbia, Lo sviluppo sostenibile, cit., pp. 6-7; Alessandro Lanza, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 41-43.

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rispetto agli effetti delle attività economiche sull’ambiente, che si manifesta attraverso contributi essenziali nell’ambito della letteratura che affronta i temi e le correlazioni tra economia ed ecologia38. Già nel 1966, attraverso un celeberrimo articolo di Kenneth Boulding39, emerge l’idea della fine dell’era

delle risorse “facili”, in quanto non infinite, ma, al contrario, limitate: di qui la definizione di economia della navicella spaziale, caratterizzata dalla necessità di comportarsi come l’astronauta che deve riciclare e recuperare il massimo possibile perché nella sua navicella le risorse sono estremamente limitate. Cade, in questo modo, il mito della crescita indefinita e della possibilità di consumare le risorse dell’ambiente senza alcun limite, rigettando vi continuamente i residui delle attività di produzione e consumo. Secondo l’impostazione dell’economia della navicella spaziale, soltanto attraverso il recupero e il riciclo il processo può andare avanti all’infinito40. Al 1972 risale la

pubblicazione della ricerca condotta da Dennis e Donella Meadows con Jorgen Randers e William Behrens, commissionata dal Club di Roma e svolta presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston, il cui titolo è The Limits to Growth41, tradotto in italiano con I limiti dello sviluppo42. La ricerca, finalizzata

ad analizzare il futuro delle attività antropiche sulla Terra nel lungo periodo (preso atto dei vincoli fisici che impediscono la crescita infinita), evidenzia l’ipotesi che l’umanità sia destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro un secolo, nel caso in cui quest’ultima proceda in modo inalterato in cinque settori fondamentali: popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare e consumo delle risorse della natura. Il risultato del superamento di tali limiti determinerà il collasso del sistema Terra, in corrispondenza del quale viene previsto un declino repentino e incontrollato della popolazione e del benessere diffuso. Per gli autori della ricerca risulta necessario invertire la tendenza rispetto alle dinamiche correnti in quel periodo, allo scopo di modificare la linea di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità economica ed ecologica in grado di protrarsi nel futuro43. Tale obiettivo si può raggiungere mediante trasformazioni

tecnologiche, culturali e istituzionali volte a impedire che l’impatto umano superi la capacità di carico della Terra. Dal volume dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di Boston emerge un quadro della situazione globale caratterizzato da uno stato di forte gravità, ma non mancano venature ottimistiche legate alla possibilità di evitare il superamento

38 Cfr. Federico Simone Bastianoni, M. Pulselli, Nadia Marchettini, Enzo Tiezzi, Quello che il PIL non

dice. La soglia della sostenibilità, Nuova edizione ampliata, Donzelli Editore, Roma, 2011, p. 40. 39 Kenneth E. Boulding, The Economics of the Coming Spaceship Earth, in Environmental Quality in

a Growing Economy, H. Jarret (ed.), Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1966.

40 Cfr. Cfr. Mercedes Bresso, Per un’economia ecologica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993, p. 17.

41 Cfr. Dennis H. Meadows, Donella L. Meadows, Jorgen Randers e William W. Behrens III, The

Limits to Growth, Universe Books, New York, 1972.

42 Cfr. Dennis H. Meadows, Donella L. Meadows, Jorgen Randers e William W. Behrens III, I limiti

dello sviluppo, Mondadori, Milano, 1972.

43 Cfr. Federico M. Pulselli, Simone Bastianoni, Nadia Marchettini, Enzo Tiezzi, Quello che il PIL non

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dei limiti ecologici globali purché si intervenga in tempo44. Sempre nel 1972,

un altro volume, pubblicato da Barry Commoner45, evidenzia la vertiginosa crescita dell’inquinamento e dei consumi di energia verificatisi nel secondo dopoguerra, attribuendone la responsabilità ad un uso spregiudicato delle nuove tecnologie, specialmente quelle chimiche.

In questo contesto intellettuale si svolge, a Stoccolma, nel 1972, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, in cui, per la prima volta, si identifica la questione ambientale come problema globale riguard ante continenti e paesi diversi: di qui la necessità di prevedere vincoli e misure comuni a cui sottoporre il sistema-mondo. Da allora, comincia a farsi strada, progressivamente, il concetto di “sviluppo sostenibile”46, basato sulla corretta

gestione dell’uso della biosfera e quindi su una nuova armonia tra le esigenze del mercato e la tutela della natura, con l’obiettivo di soddisfare i bisogni delle popolazioni presenti, senza compromettere le possibilità di soddisfacimento delle future generazioni. Si tratta di una della definizioni più accettate di sviluppo sostenibile, che si ricollega allo “spirito di Stoccolma”, derivante dal Rapporto Brundtland – World Commission on Environment and Development, 1987: Gro Harlem Brundtland era il premier norvegese che, dal 1983, era a capo della Commissione sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite47.

44 Cfr. Gianfranco Bologna, Conoscere e applicare la sostenibilità, in Lo sviluppo sostenibile in Italia

e la crisi climatica. Rapporto ISSI 2007, cit., p. 39.

45 Cfr. Barry Commoner, Il cerchio da chiudere, Garzanti, Milano, 1972.

46 «Il concetto di “sostenibilità” proviene dalla letteratura scientifica e naturalistica. […]. Si definisce infatti sostenibile la gestione di una risorsa se, nota la sua capacità di riproduzione, non si eccede nel suo sfruttamento oltre una determinata soglia […]. In generale, il tema della sostenibilità è riferito alle risorse naturali rinnovabili, cioè quelle che hanno la capacità di riprodursi». Alessandro Lanza, Lo sviluppo sostenibile, cit., p. 11. Si può affermare che la sostenibilità è l’insieme delle relazioni tra le attività antropiche (che hanno una dinamica veloce) e la biosfera (che ha dinamiche più lente). Queste relazioni devono essere tali da consentire alla vita umana di continuare nel tempo, ma in modo che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane non superino certi limiti, per evitare la distruzione del contesto biofisico globale. Cfr. Federico M. Pulselli, Simone Bastianoni, Nadia Marchettini, Enzo Tiezzi, Quello che il PIL non dice. La soglia della sostenibilità, cit., p. 51. Il concetto di “sviluppo” proviene, invece, dalle scienze sociali e dall’economia in particolare. Esso non è legato soltanto alla crescita del reddito, ma anche ad elementi di carattere sociale come l’istruzione, la sanità, la tutela dei diritti civili e politici, ecc. Lo sviluppo sostenibile quindi ha una importante dimensione sociale. Cfr. Alessandro Lanza, Lo sviluppo sostenibile, cit., pp. 14-15.

47 Cfr. Sergio Conti, Geografia economica. Teoria e metodi, cit., pp. 471-472; Franca Canigiani,

Salvare il pianeta: la sfida del XXI secolo, in Giuseppe Barbieri, Franca Canigiani, Laura Cassi,

Geografia e cambiamento globale. Le sfide del XXI secolo, cit., p. 122, nota 1. A distanza di circa trent’anni dal Rapporto Brundtland, sono stati compiuti significativi passi in avanti nella conoscenza relativa agli effetti negativi dell’intervento antropico sui sistemi naturali, ma, ad oggi, non si registrano importanti segnali di inversione di tendenza. La popolazione continua a crescere (quasi sette miliardi di abitanti nel 2007) e raggiungerà, molto probabilmente, circa nove miliardi di individui nel 2050, come risulta dagli studi delle Nazioni Unite. All’incremento demografico si sommano l’espansione dei sistemi urbani, la crescita del consumo di energia e di risorse, seppur con profonde diseguaglianze sociali e a livello geografico, oltre alla pressione sugli ecosistemi del pianeta, sempre più vulnerabili a causa del massiccio intervento umano. Cfr. Gianfranco Bologna,

Conoscere e applicare la sostenibilità, in Lo sviluppo sostenibile in Italia e la crisi climatica. Rapporto ISSI 2007, cit., pp. 37-38.

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Assicurare i bisogni essenziali vuol dire realizzare una crescita economica per i Paesi più poveri che sia rispettosa dell’ambiente, cioè in sintonia con il potenziale produttivo degli ecosistemi, ma significa anche che i Paesi dell’area del benessere devono adottare degli stili di vita compatibili con le risorse naturali del pianeta. Da tali considerazioni si può affermare che lo sviluppo sostenibile è un “processo di cambiamento” in cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti ed i mutamenti istituzionali devono perseguire l’obiettivo della compatibilità con i bisogni futuri , oltre che con quelli presenti. Nel concetto di sviluppo adottato dalla Commiss ione Bruntland vengono compresi sia le trasformazioni economiche che i cambiamenti sociali e istituzionali48.

Per quanto riguarda la Comunità europea, sin a partire dal 1972 è stata avviata una politica ambientale comune, realizzata mediante “programmi d’azione”, direttive e regolamenti su una vasta gamma di temi e, nel febbraio 1992, nel Trattato di Maastricht istitutivo dell’Unione49, è stata inserita la

protezione dell’ambiente quale elemento indispensabile al progresso economico e sociale dei popoli europei. Con il Trattato di Amsterdam (luglio 1997) è stata ribadita la necessità di uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, nonché di un elevato livello di protezione dell’ambiente. Anche a livello istituzionale si sono verificati importanti cambiamenti nel periodo preso in esame, come la costituzione , in tutti i maggiori Stati europei, di strutture centrali specializzate, essenzialmente Ministeri, o, come nel caso degli Stati Uniti, di un’Agenzia pe r l’ambiente, istituita, negli anni Novanta, anche nell’Unione europea con sede a Copenaghen50. In Italia il Ministero dell’Ambiente è stato varato dal Parlamento ed è entrato in funzione nel 198651.

48 Cfr. Mercedes Bresso, Per un’economia ecologica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993, pp. 83-84.

49 Tale trattato, noto anche come Trattato sull’Unione Europea, che ha rappresentato un passo decisivo verso il processo di integrazione tra gli Stati aderenti, è entrato in vigore a partire dal 1993 e ha determinato, tra l’altro, la trasformazione della denominazione da Comunità economica europea a Unione Europea. Cfr. Geografia dell’Italia e dell’Europa, coordinamento editoriale Maria Bianchi, Markes, Milano, 2007, p. 110. L’operato dell’Unione Europea si sviluppa a scala regionale con l’obiettivo di favorire la cooperazione economica tra i Paesi dell’Europa Occidentale. Cfr. Alyson L. Greiner, Giuseppe Dematteis, Carlo Lanza, Geografia umana un approccio visuale, UTET, Torino, 2013, pp. 18-19.

50 Cfr. Maria Tinacci Mossello, Questione ambientale e sviluppo regionale. Una nuova alleanza

possibile, in La sostenibilità dello sviluppo locale. Politiche e strategie, cit., pp. 19-22 e 28-29; Giuliano Tallone, I Parchi come sistema. Politiche e reti per un nuovo ruolo delle aree protette, cit., p. 95; Enrica Lemmi, Dallo “spazio consumato” ai luoghi ritrovati. Verso una nuova geografia del turismo sostenibile, Franco Angeli, Milano, 2009, pp. 82-83. Come afferma lo studioso Paolo Roberto Federici, lo sviluppo sostenibile «è la sola idea in grado di estendere eticamente lo sviluppo alle masse che ancora non ne beneficiano e di garantirne la durata nel tempo». Paolo Roberto Federici, I quattro principi dello sviluppo sostenibile, in Paesaggio, ambiente e geografia. Scritti in onore di Giuseppe Barbieri, cit., p. 223. La costituzione di un Ministero dell’Ambiente in molti Stati, specialmente negli anni Ottanta del Novecento, è il frutto anche di riflessioni, di posizioni, di campagne dimostrative e di sensibilizzazione avviate da nuovi movimenti e partiti, in particolare i cosiddetti raggruppamenti Verdi, sorti negli anni Sessanta e Settanta, che rappresentano una delle novità più significative dello scenario internazionale del secondo

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Le considerazioni di cui sopra hanno rappresentato una svolta anche nell’ambito della pianificazione dei parchi e della tutela delle aree naturali, specialmente nell’Europa occidentale: risale al 1973 l’approvazione, da parte del Consiglio d’Europa, di una “Risoluzione relativa alla terminologia europea delle zone protette” con cui «si raccomandava ai governi di mettere in opera tutti i mezzi disponibili per rafforzare le misure di protezione dei parchi esistenti e di studiare le possibilità di istituirne d i nuovi, da inquadrare in una vera e propria rete europea»52. La finalità di tale rete era quella di

salvaguardare gli ecosistemi e le specie animali e vegetali ivi presenti, fornire aree per il tempo libero e per la ricerca e quindi favorire le attività ri creative e la circolazione del pubblico in tali aree protette. Si enunciava, di fatto, il principio dello sviluppo sostenibile, cioè si riconosceva che era difficile garantire una protezione della natura consistente nell’isolare vasti territori da ogni influenza antropica proprio perché nei paesi industrializzati europei le risorse naturali erano comunque sottoposte a modifiche o influenze esterne; di conseguenza nella maggior parte dei casi si rendeva necessaria un’attività umana necessaria al mantenimento degli equilibri biologici del territorio, sebbene controllata da esperti e ridotta ai minimi termini.

Da allora il principio dello sviluppo sostenibile si è affermato sempre più a livello internazionale tanto che a Caracas , nel 1992, al convegno sui parchi, le aree protette sono state messe al centro delle politiche dello sviluppo in quanto concepite come luoghi in cui sperimentare nuovi modelli di crescita economica rispettosi dell’ambiente. Il modello primigenio di parchi, intesi come “santuari della natura”, che potevano essere istituiti in America, Africa e Australia, dove in vaste aree territoriali la presenza antropica era molto scarsa o quasi del tutto assente, non erano infatti applicabili all’Europa dove la natura, per molti secoli, è stata influenzata continuamente e quindi modificata in base alle esigenze e agli interessi economici delle diverse società53. Negli ultimi decenni del Novecento, infatti, si è assistito all’incremento esponenziale di una pluralità di categorie di aree protette nel nostro continente (dovuto molto spesso alle iniziative delle Regioni, dei Länder, delle Contee, dei Cantoni, cioè delle autorità di governo sub -nazionali), istituite in prossimità e talvolta all’interno delle grandi conurbazioni, cioè in territori che hanno perduto o alterato i loro caratteri naturali primigeni, con l’obiettivo di salvaguardare non qualità eccezionali del paesaggio o risorse naturali di straordinario valore, bensì porzioni di spazio libero non ancora completamente degradate dalle logiche ur bane e dalle strutture economiche limitrofe, sulle quali si proiettano le “voglie di verde” dei cittadini. Proprio in questi ambiti in cui contesti urbani si intrecciano con quelli rurali e naturali, risulta quanto mai necessario adottare strategie unitarie di Novecento. Si pensi, ad esempio, ad Organizzazioni quali il WWF (1961) o Greenpeace (1971), che hanno favorito, con le loro molteplici iniziative, un atteggiamento diverso dei Governi, oltre che dell’opinione pubblica, verso i temi ambientali. Cfr. Piero Bevilacqua, Lo sviluppo e i suoi limiti, in AA.VV., Storia contemporanea, cit., p. 605.

51 Cfr. Legge 8 luglio 1986, n. 349. Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di

danno ambientale, in Supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale 15 luglio 1986 n. 162. 52 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, cit., p. 13.

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governo e strumenti tesi allo sviluppo sostenibile e al miglioramento della qualità della vita54. In questo contesto si è passati da una concezione naturalistica delle origini (in taluni paesi integrata con una concezione storicistica ossia volta a salvaguardare ambienti non solo naturali ma anche culturali, come forme peculiari del paesaggio agrario, edifici rurali e protoindustriali, pascoli ecc.) ad una concezione “sviluppista”55. Si è acquisita cioè la consapevolezza che i parchi, in virtù del patrimonio che rappresentano, sono portatori di valori economici, in quanto ben i usufruibili dalla collettività, e di valori culturali legati all’identità locale56.

Negli ultimi decenni, dunque, alla duplice finalità classica si è associata una terza finalità, quella dello sviluppo economico e sociale delle comunità interessate, cioè collocate nelle adiacenze o all’interno delle aree tutelate o da tutelare. Particolarmente significative, da questo punto di vista, le esperienze inglesi e francesi in cui si sono rivelate fondamentali la cooperazione delle popolazioni locali e talvolta la loro diretta partecipazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi conservativi e del pubblico godimento di determinate aree protette o parchi, cui si è associata la rinascita economico -sociale delle zone limitrofe57. Il consolidamento della tendenza a dare spazio

alle comunità locali si è manifestata soprattutto a livello regionale in diverse parti d’Europa: oltre alle citate esperienze francesi e inglesi, ricordiamo che tale indirizzo è presente anche in Scozia, Spagna, Portogallo, Austria, Olanda e Italia. Nel nostro Paese, infatti, i parchi regionali sono più orientati alla promozione dello sviluppo locale (sia in sede di definizione delle finalità dell’area protetta, che di pianificazione e gestione), in quanto più prossimi alle grandi realtà urbane rispetto ai parchi nazionali58.

54 Cfr. Roberto Gambino, La pianificazione degli spazi naturali, in Anna Segre, Egidio Dansero,

Politiche per l’ambiente. Dalla natura al territorio, cit., pp. 187-189. Sul significato di “voglie verdi” dei cittadini è opportuno specificare che, da questo punto di vista, il parco o area protetta sembra acquistare una crescente rilevanza poiché tali ambienti rivestono un significato simbolico in quanto percepiti come “metafora vivente” di un nuovo e più accettabile rapporto con la natura. Per molta gente, infatti, (specialmente quella che vive nelle grandi città o conurbazioni) solo nei parchi naturali è possibile trovare uno spazio incontaminato, l’aria pura, il silenzio, gli animali selvatici e così via. Essi rappresentano i luoghi in cui si possono riconciliare i ritmi della vita di tutti i giorni con quelli della natura. In questa ottica, dunque, ai parchi viene attribuita una ulteriore finalità, che si aggiunge a quelle storiche, che consiste nella “rappresentazione e comunicazione culturale”. Cfr. Roberto Gambino, I Parchi naturali. Problemi ed esperienze di pianificazione nel contesto ambientale, cit., pp. 47-48. Significative anche le parole del geografo Giuseppe Barbieri: «Se il mondo moderno è il regno del rumore, il parco è il regno del silenzio; se il mondo moderno è il regno del cemento, il parco è il regno della natura […]». Giuseppe Barbieri, Evoluzione del concetto e della funzione dei parchi nella politica del territorio e dell’ambiente, in Giuseppe Barbieri, Franca Canigiani, Le ragioni dei parchi e l’Italia “protetta”, Quaderno 15, prima parte, Atti dell’Istituto di Geografia dell’Università di Firenze, 1989, p. 14.

55 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, cit., pp. 13-14.

56 Cfr. Patrizia Romei, Aree protette in Toscana, in La sostenibilità dello sviluppo locale. Politiche e

strategie, cit., p. 226.

57 Roberto Gambino, I Parchi naturali. Problemi ed esperienze di pianificazione nel contesto

ambientale, cit., p. 44.

58 Cfr. Roberto Gambino, La pianificazione degli spazi naturali, in Anna Segre, Egidio Dansero,

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Tuttavia, in Italia, il cosiddetto “modello sviluppista”, nella istituzione e gestione dei parchi (assente in quello del Gran Paradiso del 1922 , dove l’unico obiettivo era quello di non turbare le dinamiche naturali e della vita biologica dell’area, mediante la rigorosa vigilanza delle guardie forestali), può essere “rintracciato” già a partire dagli anni Venti e Trenta del secolo scorso con la creazione dei parchi nazionali d’Abruzzo (1923), del Circeo (1934) e dello Stelvio (1935), in cui l’obiettivo era quello di coniugare conserva zione e crescita economica, seppur in una visione centralistica. La legge istitutiva del parco nazionale d’Abruzzo, alla cui stesura aveva collaborato Benedetto Croce59, intellettuale e politico abruzzese, prevedeva la possibilità di attivare, grazie al parco, lo sviluppo del turismo e dell’industria alberghiera. È con questa legge specifica che si introduceva, “in qualche modo” in Italia, il concetto di “sviluppo sostenibile”, grazie alla volontà di perseguire, oltre alla protezione della natura e dei valori estetici, anche il miglioramento delle terre, dei paesi e delle condizioni di vita degli abitanti delle aree da tutelar e. Non sempre questi obiettivi sono stati raggiunti anche perché con il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta, nonostante l’imponente regime vincolistico (molto spesso virtuale), la notevole pressione dei diversi interessi locali e di alcune potenti lobbies nazionali (caccia, edilizia residenziale e turistica, industrie ecc.) è riuscita a travolgere, quasi ovunque, il fragile sistema della vigilanza e della tutela. Anche il quinto parco nazionale, quell o della Calabria, risalente al 1968, agli anni cioè della irresponsabile cementificazione del territorio e del “consumo” incontrollato dei beni naturali, nonostante fosse improntato allo sviluppo delle popolazioni locali , grazie alla valorizzazione turistica del parco, è rimasto, per decenni, il simbolo degli emblematici “parchi di carta”. Questi ultimi hanno visto una certa diffusione, a partire dagli anni Settanta, in virtù dell’incremento delle aree protette istituite anche dalle Amministrazioni regionali60. L’articolo 80 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, infatti, trasferiva alle Regioni le funzioni amministrative in materia di uso del territorio e protezione dell’ambiente, mentre l’articolo 8 3 conteneva la delega alla protezione delle bellezze naturali, alle riserve e ai parchi naturali. Lo Stato centrale manteneva la potestà per individuare nuovi territori in cui istituire parchi e riserve di carattere interregionale, oltre a conservare le competenze sulle riserve e sui parchi nazionali , che rispondevano ad un interesse dell’intera collettività61.

59 Benedetto Croce aveva svolto un ruolo importante, già agli inizi degli anni Venti, quando era Ministro, attraverso la legge 11 giugno 1922 n. 778 “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, che rappresentò il primo strumento giuridico per la difesa della natura in Italia e la premessa alla istituzione dei parchi nazionali, che presero il via proprio a partire dal 1922. Cfr. Paolo Cassola, Turismo sostenibile e aree naturali protette. Concetti, strumenti e azioni, cit., p. 42.

60 Cfr. Leonardo Rombai, Geografia storica dell’Italia. Ambienti, territori, paesaggi, Le Monnier, Firenze, 2002, pp. 338-339.

61 Cfr. D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22

luglio 1975, n. 382, in Gazzetta Ufficiale n. 234 del 29 agosto 1977 – Supplemento Ordinario; Beniamino Caravita, Diritto dell’ambiente, Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 286-288; Andrea Pisaneschi, Conflitti e governo dell’ambiente, in Storia del territorio e storia dell’ambiente. La Toscana contemporanea, a c. di Simone Neri Serneri, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 148; Carmelo

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Oggi i parchi, in Italia, sono realtà ben diverse rispetto a quelli “storici”, istituiti singolarmente, senza cioè alcuna visione di rete, tra gli anni Venti e Trenta, allorché le preoccupazioni maggiori riguardavano la conservazione di determinate specie animali o vege tali a rischio d’estinzione, da preservare mediante vincoli e una intensa vigilanza contro il bracconaggio, o la protezione di scenari ambientali e paesaggi unici valutati sulla base di un criterio dominante di tipo estetico percettivo62. Si è ormai diffusa e consolidata l’idea che i parchi possano diventare vere e proprie agenzie per lo sviluppo sostenibile63; industrie verdi e strumenti per la qualificazione dell’intero

territorio, con attenzione alle esigenze delle comunità locali64. Tutela e sviluppo sostenibile, salvaguardia ambientale e pianificazione del territorio sono concetti che possono integrarsi e in virtù dei quali attuare un ribaltamento della logica vincolistica. Le finalità di un’area protetta devono essere quelle di una tutela attiva della natura e del paesaggio e in quanto attiva, questa protezione necessita di programmi, piani, progetti tesi a promuovere anche l’economia e l’occupazione del territorio65. Come affermava

il geografo Giuseppe Barbieri alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, i parchi dovrebbero tutelare l’ambiente e stimolare, al tempo stesso, il progresso, diventando quindi fonte di vita e di lavoro66. Il parco può e potrà

trovare consenso anche presso le comunità e gli enti locali proprio se riuscirà ad alimentare e/o risollevare tradizioni, culture ed economie locali, diversamente destinate a scomparire67; se sarà in grado di creare nuove e

durature occasioni di lavoro mediante la stimolazione di quelle iniziative di sviluppo compatibili con il fine della conservazione della natura: agricoltura biologica, allevamento (se realizzato in modo non devastante per l’ambiente), artigianato, ecoturismo, attività di formazione ed educazione ambientale , promozione culturale e ricerca68. Secondo la legge quadro sulle aree protette

394/1991, infatti, una delle finalità del parco è quella della conservazione e del recupero non solo dei beni naturali, ma anche dei valori materiali e spirituali espressi dalle singole comunità locali e dalle organizzazioni territoriali69. La norma, infatti, non limita il sistema delle aree protette ai soli

complessi naturalistici, esenti dalla presenza antropica, ma lo estende anche a quelle situazioni ambientali più ampie e articolate, contrassegnate da valori D’Antone, La tutela del paesaggio. Il quadro normativo nazionale: dalla Costituzione al Codice Urbani, in Il paesaggio della Toscana tra storia e tutela, cit., pp. 150-151.

62 Cfr. Giuliano Tallone, I Parchi come sistema. Politiche e reti per un nuovo ruolo delle aree

protette, cit., pp. 81; 92; 123.

63 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, cit., p. 23.

64 Cfr. Roberto Gambino, Conservare, Innovare. Paesaggio, Ambiente, Territorio, UTET, Torino, 1997, p. 1.

65 Cfr. Roberto Moschini, I Parchi, oggi, Comunicazione, Forlì, 1998, p. 27.

66 Cfr. Giuseppe Barbieri, Evoluzione del concetto e della funzione dei parchi nella politica del

territorio e dell’ambiente, in Giuseppe Barbieri, Franca Canigiani, Le ragioni dei parchi e l’Italia “protetta”, cit., p. 19.

67 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, cit., p. 20.

68 Cfr. Ugo Leone, Nuove politiche per l’ambiente, Carocci, Roma, 2002, pp. 201-203; Giuseppe Rossi, La missione attuale dei parchi nazionali tra conservazione e sviluppo sostenibile, in Cento anni di parchi nazionali in Europa e in Italia, cit., p. 173.

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artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali70. In un paese come

l’Italia, dove sono rari i casi di elementi geologici, vegetazionali e faunistici “isolati” dal contesto antropico, l’integrazione delle dimensioni ambientale, economica, sociale e culturale costituisce un nodo cruciale da affrontare in sede di protezione naturalistica. La presenza umana, spesso significativa, nelle zone oggetto di tutela, specialmente in quelle più recenti, impone , dunque, il coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisional i, nella prospettiva di uno sviluppo armonico, partecipato e diffuso71. Solo in questo modo è

possibile, oggi, aumentare la sensibilità dei cittadini verso il “patrimonio verde” e trasformare le aree protette in luoghi in cui sia possibile trasmettere principi di educazione civica e ambientale e dove si possa scoprire la storia dei popoli che vivono in quelle zone attraverso la lettura del paesaggio plasmato nel corso dei secoli dall’uomo. Per favorire il decollo di una politica di sviluppo sostenibile che, partendo dalle aree protette, possa estendere i suoi benefici dal punto di vista occupazionale, oltre che in termini di conservazione delle risorse naturali, risulta necessario, come accade nelle esperienze europee, specialmente francesi e inglesi, una consistente disponibilità di risorse finanziarie comunitarie, statali e regionali72. Significativo, in Italia, il caso del

parco nazionale d’Abruzzo analizzato da Ugo Leone nel 2002. Egli affermava che i cinque miliardi di lire di finanziamenti che, mediament e venivano concessi al parco, alimentavano un giro d’affari superiori ai duecento miliardi di lire l’anno. Tale esempio dimostra come i vincoli possano diventare occasioni di sviluppo quando si riesce a coinvolgere anche le comunità locali ottenendone il consenso. Il caso sviscerato, in particolare, da Ugo Leone riguarda Civitella Alfedana, quale modello di ecosviluppo nell’ambito del parco nazionale d’Abruzzo: nel 1994, a fronte di quattrocento abitanti , si registravano oltre cinquecento posti letto in strutture ricettive e altrettanti in campeggio; cinquanta licenze commerciali e d’impresa; ventimila presenze turistiche di almeno cinque giorni nel corso dell’anno e trecentomila visitatori; trentasette miliardi di depositi bancari73. I parchi possono dunque svolgere una

importante funzione sia all’interno che all’esterno del loro perimetro grazie al sostegno finanziario derivante dal sistema istituzionale, impiegato sul territorio per perseguire le politiche sostenibili programmate: dal turismo ecocompatibile ai trasporti, dalla ricerca scientifica all’energia. Superata ormai la concezione del parco quale “isola” naturalistica ritagliata dal contesto74, per preservarlo

70 Cfr. Legge 6 dicembre 1991, n. 394 , in Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 292 del 13 dicembre 1991 – Serie generale n. 83. In particolare art. 2.2.

71 Cfr. Il turismo e la valorizzazione delle aree protette. Analisi dell’esperienza toscana, a c. di Roberto Pagni, IRPET – Regione Toscana, Firenze, 2002, pp. 19-20.

72 Cfr. Tra natura e cultura. Parchi e riserve di Toscana, cit., pp. 20-21. 73 Cfr. Ugo Leone, Nuove politiche per l’ambiente, cit., pp. 202-204.

74 Oggi, in virtù della Convenzione europea del paesaggio, siglata a Firenze nel 2000 e riconosciuta dall’Italia mediante legge 9 gennaio 2006, n. 14, si è andato rafforzando il rapporto privilegiato tra paesaggio e aree protette, tanto che l’idea si paesaggio non può che considerarsi inclusiva delle diverse tipologie di area protetta, scongiurando così il latente pericolo di isolamento e marginalizzazione di queste ultime nel quadro nazionale. In questo senso anche la Carta del Paesaggio dei Parchi proposta da Federparchi nel 2001. Le aree protette, che si configurano come realtà articolate, con distinte caratterizzazioni e situazioni geografiche diverse, sono considerate come infrastrutturazione ambientale del paese. Cfr. Roberto Gambino, Parchi, Paesaggio,

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