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UNA CASA DELLA MUSICA E UN TEATRO CONTEMPORANEO PER MILANO

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UNA CASA DELLA MUSICA E UN TEATRO CONTEMPORANEO PER MILANO

Alice Buccio Rhaetia Dell’Adami De Tarczal Bianca Pichler

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POLITECNICO DI MILANO

I Facoltà di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni | a.a. 2015_2016

Corso di Laurea Magistrale in Architettura

UNA CASA DELLA MUSICA E UN TEATRO CONTEMPORANEO PER MILANO

A cura di:

Alice Buccio Rhaetia Dell’Adami De Tarczal

Bianca Pichler

Relatore: Prof. Arch. Massimo Ferrari Correlatore: Arch. Claudia Tinazzi

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Ringraziamo il Professore Massimo Ferrari che durante questi anni insieme, ci ha arricchite, stimolate, grazie alla sua passione per l’ar-chitettura, anche attraverso metafore divertenti che ci spronassero alla ricerca di nuove idee. Grazie a Claudia Tinazzi che, con la sua grande pazienza e dedizione, è stata un riferimento durante tutto il nostro percorso. Grazie al Professore Claudio Sangiorgi, per la sua disinteressata disponibilità ad aiutarci nel trovare le soluzioni più appropriate al proget-to. Una sostegno fondamentale per noi e per il nostro lavoro.

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Il progetto nasce con l’idea di dar forma a un “sistema” dello spazio performativo, un luogo della e per la collettività che si inserisca nella rete infrastrutturale e di relazione con gli altri luoghi dello spettacolo e della cultura della città di Milano. L’interesse era quello di rispon-dere alla necessità di dotare anche Milano di una struttura interamente dedicata alla musica, che potesse divenire sede di orchestre stabili, accogliendo funzioni necessarie al suo sviluppo, come quella di una scuola di musica; oltre che di un luogo che potesse divenire il quartier generale del teatro sperimentale nella città. Uno spazio di incontro creativo di performing arts, teatro, musica, danza ed espressioni artisti-che offerte dalle nuove tecnologie, artisti-che possa dar luogo a nuovi format di relazione tra artisti e pubblico.

Si è scelto il parco urbano come luogo pubblico atto ad ospitare un sistema culturale; in particolare il contesto in cui si è operato è quello dei Giardini di Porta Venezia, che si contraddistinguono per la loro forte identità di spazio pubblico e storico della città, da sempre teatro di eventi artistici ed esposizioni.

Il sistema si costituisce di diverse parti: una spina di servizi, tessuto connettivo del complesso che diviene una strada sopraelevata tra i rami degli alberi a quota bastioni e un edificio che si sviluppa longitudinalmente e accoglie in sé differenti funzioni a quota parco, il volume della sala della musica sinfonica e il volume del teatro contemporaneo. La lettura della storia che ha segnato questo pezzo di città ha guidato le scelte compositive. Il progetto stabilisce così nuove relazioni che riprendono antiche direzioni: il basamento dei servizi segue la direttrice del parco, mentre le sale seguono gli assi della città. Le sale, come architetture solide di pietra, appartengono alla città; il basamento dei servizi, pensato in acciaio, vetro e legno e costruito con elementi prefabbricati, completamente smontabile, alla guisa di una grande serra, appartiene al parco. I nuovi volumi dialogano con la natura, le alberature e i monumenti del parco e, come attori di un teatro, ne definiscono i luoghi e vanno a costituire una nuova scena urbana.

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1

LA CITTÀ DI MILANO

genesi e morfologia

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LA MUSICA E IL TEATRO

tema di progetto

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I GIARDINI PUBBLICI DI PORTA ORIENTALE

area di progetto

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UNA CASA DELLA MUSICA E UN TEATRO CONTEMPORANEO PER MILANO

il progetto

p. 11

p. 31

p. 57

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“La città nella sua vastità e nella sua bellezza è una creazione nata da numerosi e diversi momenti di formazione; l’unità di questi mo-menti è l’unità urbana nel suo complesso; la possibilità di leggere la città con continuità risiede nel suo perminente carattere formale e

spaziale.”

Aldo Rossi, L’architettura della città

1. LA CITTÀ DI MILANO

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1.

LA CITTÀ DI MILANO

genesi e morfologia

1.1 Lettura e interpretazione della città 1.1.1 Medhelanon celtica e castrum

romano

1.1.2 Medhelanon repubblicana 1.1.3 Medhelanon massimianea 1.1.4 La Milano comunale

1.1.5 La Milano viscontea e sforzesca 1.1.6 La Milano spagnola

1.1.7 La Milano asburgica e napoleonica

1.1.8 Milano dopo l’Unità D’Italia 1.2 Bibliografia 21 19 17 15 13 23 25 27 29

Il progetto è nato a partire dalla città, dalla sua lettura e dalla sua interpretazione.

La lettura intesa come modo di conoscere e decifrare il significato dei segni a partire dai quali la città si è costruita e generata: le fortifi-cazioni romane, comunali, spagnole, i monumenti, il sistema delle acque, delle strade e delle infrastrutture; la lettura intesa come modo per ricostruire la rete dei rapporti che ha connesso questi segni nello spazio e nel tempo.

1.1 Lettura e interpretazione della città

1.1.1 Medhelanon celtica e castrum romano

Milano nasce nel secondo secolo prima di Cristo come castro Romano posto a guardia di una preesistente borgata gallo-celta. Sul luogo, un terreno asciutto ma vicino a comode vie d’acqua, convergono importanti strade da Lodi(Roma), da Bergamo (Ve-rona, Danubio), da Como (Chiavenna, Spluga), da Novara (Aosta), da Pavia (Torino, Rodano).

La città Romana è caratterizzata dal tracciato di tre cinte mu-rarie, ampliate man mano che la città aumentava la sua impor-tanza. La prima è quella del secondo secolo a.C e recinge un quadrato di circa seicento metri (un po’ più grande di quello di Aosta e un po’ meno di quello di Pavia) di lato angolato di 38° col meridiano. Il recinto appoggia i suoi quattro vertici nelle piazze Filodrammatici, Beccaria, Missori e all’incrocio di cinque Vie. Il castro fu probabilmente bastito prima alla svelta in legno e terra di riporto e, poi, rinforzato in muratura listata sopra una lieve emergenza del terreno, nella parte più bassa del quale, colmata irregolarmente e certamente ancora acquitrinosa, si addensava il borgo che le sessanta o ottanta torri del castro sporgenti dalle mura a un tiro di freccia l’una dall’altra dovevano, volta a volta, difendere.

Rielaborazione grafica

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Rielaborazione Grafica

1.1.2 Medhelanon repubblicana

In età repubblicana si rende necessario un successivo amplia-mento a raccogliere i borghi esterni alla cinta di difesa di questa città ormai fiorente a cui Giulio Cesare aveva concesso la dignità di Municipio. L’impianto quadrato o rettangolare, che si può dire tradizionale delle città romane “ad accampamento” è a Mediola-num osservato con notevoli deformazioni, dovute alla situazione topografica della lieve altura sulla campagna irrigua, che non si è voluto mutare così che solo l’angolo meridionale è quasi ret-to, mentre sono tondeggianti le estremità est e la settentrionale. A occidente è una lunga smussatura, dovuta al corso del Seve-so, che era ottima difesa alle mura e diventerà l’alveo del Circo, mentre il fiume sarà spostato più ad occidente. E’ possibile rin-tracciare l’ubicazione del Foro, situato attorno a Pizza San Se-polcro tra il decumano (via S. Margherita- via Nerino) e il cardo maggiore (via Unione, via Moneta).

Le mura repubblicane racchiudevano un’area di quasi 80 ettari con un perimetro di circa tre chilometri e mezzo ed erano cir-condate da un fossato alimentato principalmente dalle acque del Seveso. Costruite in tempo di pace, incarnarono a lungo l’orgo-glio civico, svolgendo una funzione simbolica fino alla seconda metà del III secolo d.C., quando servirono a proteggere la città in momenti di grave instabilità politica e durante le invasioni barba-riche. Le mura presentano una base larga due metri composta da quattro file di mattoni uniti da sottili strati di malta e il nucleo interno è fatto di ciottoli stesi accuratamente in malta abbondan-te e scompartiti ogni 35 cm da doppie fila di mattoni. L’elevato è costituito da due parametri contenenti un nucleo in conglomera-to di ciotconglomera-toli e malta livellaconglomera-to a intervalli da due filari di matconglomera-toni. IL paramento esterno presentava un basamento in blocchi paral-lelepipedi di pietra alto 1,5 metri, sormontato da laterizi; quello interno era composto da spezzoni di pietra legati da malta. Per motivi di stabilità le mura erano più sottili verso l’alto e rinforza-te, verso la città, da un terrapieno.

Nelle cortine si aprono sei porte direzionate lungo altrettante arterie stradali, e tre pusterle. Dell’intera cerchia resta attual-mente una delle torri appartenenti alla Porta Ticinensis, visibile in largo Carrobbio.

D. Caporusso, M. P. Donati, S. Masseroli e T. Tilibetti, Immagini di Mediolanum. Archeologia e storia di Milano dal V secolo a.C. al V secolo d.C., Milano, Civico Museo Archeologico, 2007

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Rielaborazione Grafica

1.1.3 Medhelanon massimianea

La costruzione della residenza imperiale e del circo determina la riorganizzazione di alcune aree centrali della città e di conse-guenza l’ampliamento dell’abitato ben oltre la cinta circondato di nuove mura, chiamate massimianee. La cerchia, che raggiunge così un perimetro di quattro chilometri e mezzo, include ad Ovest il circo di recente costruzione, che sul lato curvilineo, destinato anche a funzione difensiva, viene dotato di feritoie. Unica testi-monianza di questo intervento urbanistico pervenutaci è una tor-re che faceva parte di una specie di fortezza, vigilata da almeno due torri poligonali, posta a nord del Circo. L’ampliamento delle mura a Est, più ingente, detto “addizione erculea”, segue il trac-ciato del fossato già esistente dal I secolo d.C. ed ingloba il quar-tiere formatosi nell’area compresa tra la cinta tardo-repubblica-na e il fossato, compreso il grande edificio delle Terme costruite dall’imperatore. Le mura cominciano ad assolvere funzioni più ampie ed acquisiscono valori simbolici più profondi, la città in-fatti continuava la sua espansione anche fuori di questa secon-da cerchia murata. Ai tempi di Ambrogio, sorgevano ad esempio extra-muros il teatro, il tempio di S. Lorenzo, le basiliche di S. Eustorgio, S.Simpliciano, S. Ambrogio e l’arco Trionfale di Porta Romana. E’ probabile che un’ulteriore cinta di difesa cingesse già da allora la zona circostante e che anticipasse in tal modo il tracciato di quella cinta dei Navigli che sarà eretta in fretta e furia quasi otto secoli dopo.

I due tracciati stradali sovrapposti, quello diagonale derivato dalla maglia viaria romana e parallela alle primitive mura del Castro e quello “Cardinale” derivato dalle orientazioni Est-Ovest obbligate dalla moltiplicata costruzione delle chiese cattoliche, andranno da questo momento sovrapponendosi e intersecando le loro trame.

D. Caporusso, M. P. Donati, S. Masseroli e T. Tilibetti, Immagini di Mediolanum. Archeologia e storia di Milano dal V secolo a.C. al V secolo d.C., Milano, Civico Museo Archeologico, 2007

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1.1.4 La Milano comunale

Rasa al suolo da Uraia, condottiero Ostrogoto, declassata dal Longobardi in confronto di Verona e di Pavia, città regia, e di Mon-za, Milano risorge faticosamente dalle sue rovine. Nel secolo IX, Ansperto provvederà a far riprendere e integrare le mura, inclu-dendovi la zona sacra milanese esterna alle Porte Vercellina e Ticinese, mentre dentro il recinto si forma quasi un primo dema-nio boscoso e cintato (il Brolo Vescovile) tra le pusterle di porta Tosa e del Bottonuto.

A metà del XII secolo, mentre incombe la minaccia imperiale si realizza con grande premura un altro amliamento delle mura con l’annessione e l’incameramento dei Borghi (Grande, Nuo-vo, Spesso, di S. Spirito e del Brolo). La doppia linea di difesa è integrata dal fossato alimentato alla pusterla delle Azze (via Sacchi) e alla Porta Argentea rispettivamente dalle acque del Ni-rone, proveniente dalle Groane e del Seveso, proveniente dalla Comasca, cui si aggiunger l’Olona a metà di Via De Medici. Così integrate le mura resistono al Barbarossa, ma la città cade per fame e per incendio e viene rasa al suolo due volte.

La vittoria di Legnano che vede la vittoria della lega Lombarda sul Barbarossa riscatta la recente sciagura e si riprendono i lavori di presidio. Sotto questa nuova spinta le mura, in nove anni saranno solidamente riorganizzate e man mano si trasformeranno in un robusto recinto di pietra e di cotto nel giro del quale si aprono sei turrite porte maggiori quasi tutte a doppia fornice (Vercellina,Ti-cinese, Romana, Nuova, Orientale, Cumana) che corrispondono alle vie maestre dei sei sestieri , nonché una porta Tosa e dodici pusterle, ubicate in generale all’ingresso di strade secondarie e quindi intermedie alle prime, (Giovia, S.Ambrogio, dei fabbri, di S.Lorenzo, S. Eufemia, Monforte, S.Marco, delle Azze, S. Stfano, Bottonuto, Nuova). Grazie alla ricostruzione storica più precisa si dispone in primo luogo di tre esempi di porte perfettamente integrate nell’arredo urbano, sia pur parzialmente o totalmente ricostruite: gli archi di Porta Nuova, la pusterla di Sant’Ambrogio, e la pusterla di Porta Ticinese. Molte di queste porte rimarranno incompiute, proprio perché la pace di Costanza aveva reso meno urgente il problema della difesa di Milano.

Le porte erano munite di doppio fornice (per l’ingresso e per l’u-scita) rinserrato tra due torri quadrate dal lato di circa otto metri, sporgenti verso la campagna o, più propriamente, verso il fossa-to e collegate alle spalle e sui fianchi con le mura urbane. Mentre le pusterle avevano un solo fornice ed un’unica torre sormontava il fornice della pusterla.

Porta Nuova, da M.Roberti, A.Vincenti e G.M. Tabarelli, Milano città fortificata, Milano, Istituto Italiano dei Castelli, 1983 Porta Romana, da M.Roberti, A.Vincenti e G.M. Tabarelli, Milano città fortificata,

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Se nell’età dei Comuni l’opera pubblica nasce da volontà collet-tiva, nel Trecento e nel Quattrocento ogni intervento capitale sul volto urbano porta il segno di una intenzionalità privata e domi-nante.

Le operazioni più significative riguardano il restauro voluto da Azzone intorno al 1330 che prevedeva il rafforzamento delle mura comunali e delle relative porte nonché l’abbellimento di queste ultime mediante l’aggiunta dei tabernacoli votivi; le for-tificazioni erette da Bernabò Visconti, infine la sistemazione e l’ampliamento di Gian Galeazzo Sforza.

Tali interventi si innestano sulla gloriosa cortina di età comunale, che fino al Cinquecento rimane il fulcro effettivo della difesa del-la città: l’aldel-largamento deldel-la cinta voluto dai Visconti mediante il Redefosso, a protezione dei borghi sorti fuori le mura medioe-vali, non può essere interpretato alla stregua di un vero baluar-do, ma piuttosto come avamposto formato da un fosso guarnito da bastioni. Ma delle innovazioni dette sopra quella destinata a maggiori conseguenze urbanistiche è certamente la costruzione del castello di Porta-Giovia. A questo le fortezze si difendono con fossi d’acqua e con muri sempre più alti e robusti e con mer-lature e magazzini capaci e ben difesi. Nella sua più completa espressione, il Castello visconteo sforzesco consta di tre nuclei rettangolari adiacenti, costituiti da un recinto d’armi, con la torre detta del Filarete, coperta da un battiponte e da un rivellino e i due torrioni tondi voluti da Francesco sforza e volti verso la Porta Vercellina e la Porta Comasina, da un blocco ducale e da una Rocchetta. All’incontro dei tre nuclei sta una torre di ultima dife-sa (Bona di Savoia) e tutt’attorno gira un fosdife-sato. Verso la campa-gna, una cinta parallela al blocco quadrato, detta della Ghirlanda raddoppia la difesa con un doppio fossato. Alle saldature delle mura del castello con quelle della città, che ne resta così metà fuori e metà dentro, al duplice scopo di trarne forza e di difen-dersene, stanno due rilevanti opere belliche che sono i rivellini di S.Spirito e della Fossa. Verso la campagna, invece, il Castello Sforzesco, prima, e quello franco spagnolo poi, conserveranno prudentemente sgombro un ampio settore di manovra e di tiro e poiché la città si espande a macchia d’olio, questo triangolo, tenuto libero ad ogni costo non soltanto determina la caratteri-stica inconfondibile topografica a foglia d’edera ma conserverà ai posteri l’area verde del parco Sempione.

Pianta di Milano, P. D. Massajo, Milano, 1456 - 1472

1.1.5 La Milano viscontea e sforzesca

Il XIV secolo registra alcuni importanti rivolgimenti edilizi che si rifletteranno durevolmente nel futuro tracciato viario milanese: la costruzione da parte dei Visconti del castello di Porta Giovia, il trasporto del Broletto dalla zona del palazzo arcivescovile e dalla piazza di Palazo Reale a quello dei Mercanti, la demolizione di S. Tecla e l’inizio dei lavori per la chiesa Metropolitana, l’introduzio-ne della prima Conca (Ponte dei fabbri, Via Varenna) l’introduzio-nel giro del fossato per scaricare i blocchi di Gandoglia necessari alla fabbri-ca del Duomo.

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imperiale.

Sino alla nomina di governatore di Milano di Ferrante Gonzaga si era discusso quale sarebbe stata la soluzione migliore: una cer-chia murata oppure un raddoppio del castello, creando una bipo-larità fortificata che, se realizzata, sarebbe stata una vera rarità. Un secondo castello che avrebbe avuto la funzione dichiarata non di contrapporsi ma di sostituirsi al primo, perché costruito se-condo le più moderne teorie e capace quindi di soddisfare tutte le nuove esigenze tattiche: il vecchio sarebbe rimasto come re-sidenza di rango, come reggia provvisoria, come ricordo storico d’alto livello. Il posizionamento del nuovo castello sarebbe do-vuto essere stato, rivoluzionano un concetto difensivo milanese millenario, a sud della città, verso Porta Romana ma visto che avrebbe dovuto pagarlo per intero le casse dell’imperatore non fu mai costruito. Prevale quindi il progetto di una nuova cinta mura-ta, la quale, con la scusa che li avrebbe difesi tutti, sarebbe stata pagata da tutti i cittadini.

Il nuovo recinto fu cominciato nel 1548, con la posa della pri-ma pietra, presso la Chiesa di San Dionigi, vicino al Lazzaretto, dalle parti della futura Porta Venezia. La fascia muraria voluta nel 1546 dal governatore Ferdinando Gonzaga è il segno impres-so dalla dominazione spagnola alla capitale del Ducato e ne ri-leva lo splendore e le miserie: rappresenta il consolidamenti e l’integrazione della città all’impero fondato da Carlo V. L’opera è infatti intrapresa con finalità grandiose e senza risparmio di costi. L’estensione della città all’interno del nuovo anello, per un perimetro di undici chilometri, raggiunge una superficie totale di otre 800 ettari con un ampliamento di otre 580 rispetto all’area compresa dalle mura medioevali. Venne prevista anche una te-naglia appoggiata al vertice nord-est del castello in direzione del Borgo degli Ortolani, oggi via Canonica.

La bastionatura del castello ha infatti inizio solo nel 1567, dodici anni dopo, cioè, l’inizio della costruzione della cinta. Il castello viene incamiciato da uno stellato circuito di baluardi e mezzelu-ne.

Scontato quindi che, all’inizio almeno, la cinta gonzaghesca do-veva saldarsi sia con la catena che con la tenaglia, ben altri erano tuttavia anomalie e difetti: otto chilometri di cinta, con relativi fossati, strade di arroccamento e tutti gli atri servizi, e solo le porte serrate da bastioni corretti ed efficienti.

Era il 1560, nove anni dopo il primo baluardo, quello ad est del torrione di destra era terminato.

La demolizione della catena e della tenaglia rallentarono i lavo-ri dei baluardi che dovevano occupare quello spazio. La frattura 1.1.6 La Milano spagnola

Nell’età di Ludovico il Moro prende vita l’idea di un disegno or-ganico capace di abbracciare e dare omogeneità al corpo metro-politano. Una duplice funzione fu attribuita alle porte: da un lato un valore interno e rappresentativo finalizzato alla promozione cittadina dell’immagine del signore nei confronti del corpus dei sudditi; dall’altro un significato valido solo “esternamente” in re-lazione allo staterello di cui Milano è capitale.

Quando Ludovico il Moro abbandona Milano, nel 1499, sotto l’in-calzare dei francesi di Luigi XII, le fortificazioni milanesi sono un castello e una cinta muraria: piuttosto malandata questa, in ot-time condizioni, invece, quello. Il castello milanese è infatti una poderosa macchina difensiva

Nel 1511, Gastone di Foix, nipote di Luigi XII decise di rafforzare le difese milanesi in vista delle mosse possibili da parte della coalizione antifrancese. Fa costruire bastioni e altri simili nei borghi. È il primo accenno a difese cittadine, dall’epoca di Azzone Visconti, che non riguardino solo il castello. Nel giugno del 1512 i francesi abbandonano Milano, ma non il castello.

Nella trentina d’anni, quindi, che vanno galla fuga del Moro all’insediamento stabile dei rappresentanti spagnoli del potere di Carlo V, il castello di Porta Giovia, che mai dalla sua nascita aveva sperimentato in proprio fatti di guerra, supporta, e onore-volmente, sei assedi.

Di tutti questi assedi del castello di Milano l’avvenimento più ter-rificante è l’esplosione avvenuta nel 1521, nella sommità della Torre del Filarete usata come polveriera. Lo scoppio provocò un danno alle strutture del castello che fece diventare prioritario il lavoro di restauro di questo e rimandare la discussione partico-lareggiata delle mura a un momento più lontano. Il Cesariano propone un’ipotesi in cui l’aspetto militare ha la prevalenza e si propone in una cinta ottagonale già cosciente dei canoni imposti dai nuovi metodi difensivi, conosciuti con il nome di bastionatura. Altrettanto importante è, agli inizi del 1500, l’aver sostituito gli apparati medievali, cioè le torri, cortine troppo alte, merlature, feritoie saettiere e balestriere, con quelli più consoni alle boc-che da fuoco come bastioni, detti appunto baluardi, cortine basse e massicce, feritoie archibugiere o cannoniere, merloni bassi e tondeggianti.

Casa Sforza si estingue nel 1535, ducato e castello vengono offer-ti a Carlo V da un’ambasceria di milanesi, e l’imperatore accetta e nomina Antonio de Leyva luogotenente cesareo e governatore: Milano diventa un dominio spagnolo, che la governò come feudo

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sarà ormai definitiva: il castello, destinato a diventare piazzafor-te e sede di guarnigione, tornerà ad essere patrimonio cittadino solo nel nostro secolo, dopo restauri che lo avranno riportato a vesti viscontee-sforzesche; le mura saranno sentite, secondo il momento, o come meta di domenicali passeggiate, o soffocante cintura per l’ingrandimento cittadino, o caotica arteria di scorri-mento, una delle circonvallazioni, a mano a mano che nel tempo la città si espanderà.

La costruzione dei baluardi non segnò la conclusione delle tra-sformazioni, ma meglio sarebbe dire aggiunte, spagnole al ca-stello. Con Filippo IV (re dal 1621 al 1665) al giro dei baluardi si aggiunse quello delle mezzelune, o controguardie, tra baluardo e baluardo e la stella definitiva che ne risultò fu così di dodici punte. I torrioni vengono cimati dalla merlatura hanno però an-cora l’altezza data loro da Francesco Sforza: perderanno due pia-ni solo con le demoliziopia-ni austriache dell’ancora lontano 1848. Va ricordato che al momento dell’avvento spagnolo furono fatti cimare anche i campanili di molte chiese cittadine, perché non costituissero facile bersaglio di eventuali assedianti. Anche da questi piccoli particolari appare chiaro come l’antica reggia mi-lanese era diventata esclusivamente una macchina da guerra. 1.1.7 La Milano asburgica e napoleonica

Nel 1706 Eugenio di Savoia, in nome dell’imperatore austriaco per il quale combatteva, si era al sesto anno della guerra co-nosciuta come di successione spagnola, entra in Milano. Così la Spagna esce dal palcoscenico e vi subentra l’Austria. Nel dicem-bre del 1745 Milano fu occupata dagli spagnoli. Fu tuttavia un episodio molto breve: nel marzo dell’anno dopo, l’Austria torna-va, e fu un ritorno piuttosto pesante. Con la pace di Aquisgrana del 1748 cessarono i risentimenti austriaci e le vicende belliche. Scarsa importanza offre l’iniziativa urbanistica del dominio au-striaco. Le chiese, i benefici e il demanio ecclesiastico vengono ridotti enormemente di numero e di potenza e la soppressione continuerà naturalmente nel periodo seguente francese-cisalpi-no con un conseguente francese-cisalpi-notevole spezzettamento della proprietà. Si inizia il sistema verde del Giardino Pubblico di Porta Orientale ad opera dell’architetto Piermarini e dei Boschetti, si rettifica la Porta romana e la si pavimenta con marciapiedi di granito alla moderna che lo Stendhal loderà ampiamente, mentre si stabi-liscono norme di polizia cittadina. La città perde rapidamente l’aspetto medioevale, dalle vie attorte, strette e rosse nei laterizi lombardi delle sue case, delle sue chiese e dei suoi conventi. Gli

architetti di stato Piermarini, Pollack e Cantoni danno un aspetto nuovo alla città, con le costruzioni in stile neoclassico e monu-mentali.

Le mura, legate all’espansione cittadina, furono ignorate sino a quando la loro cintura non fu considerata troppo soffocante. Il Piermarini fu incaricato di un progetto di recupero teso al rein-serimento dell’enorme opera fortificata nella nuova realtà citta-dina. Gli architetti ottocenteschi inserirono nel percorso i caselli dei dazi e le porte, secondo i canoni neoclassici del momento. Terminato il primo dominio austriaco, con la pace di Luneville, nel 1801 si riconosceva per la seconda volta la Repubblica Cisal-pina. Napoleone si presenta alla ribalta e, per le sovrastrutture spagnole i giorni sono contati. Egli ordina la demolizione della cinta bastionata stesa attorno al castello i rottami della quale servirono a eguagliare il fossato.

La tendenza all’interpretazione dello spazio urbano secondo cri-teri di funzionalità risulta con evidenza delle vicende progettuali preliminari la creazione di Foro Bonaparte: dove, sulle soluzioni utopistiche ideate dagli architetti giacobini orientate ad un uso altamente celebrativo, prevale la proposta di utilizzazione razio-nale dello spazio urbano studiata dal Canonica.

Questa nuova idea dello spazio urbano come organizzazione integrata di funzioni presiede anche agli interventi sul sistema delle porte: la cornice muraria perde il valore aggressivo di stru-mento di difesa e di limite invalicabile, ma risulta integrato nel panorama della città attraverso il conferimento di attributi d’uso civile. La città si presenta così come un corpo assimilato al ter-ritorio circostante. Altre realizzazioni, a un tempo celebrative e funzionali alla nuova immagine di una città senza mura, libera e aperta verso la campagna, furono le nuove porte progettate o realizzate sulle principali vie di comunicazione fra la città e le grandi strade nazionali. Se gli austriaci avevano potenziato il corso di porta orientale, l’asse direzionale di Vienna, i francesi pensarono soprattutto alla strada del Sempione, staccante pro-prio dalla Piazza d’Armi alle spalle del Castello, ma al contempo dedicarono particolari attenzioni anche ad una altra direttrice, quella verso Pavia e l’alessandrino, promuovendo il rifacimento dell’antica porta Ticinese, ribattezzata con nome di Porta Ma-rengo. La costruzione dell’Arco della Pace rappresenta sotto il profilo urbanistico un elemento di radicale innovazione. Non ha infatti altra utilità urbana che quella di segnare il limite dell’a-rea metropolitana in direzione nord, celebrando i fasti del potere. La finalità rappresentativa è del resto alla base di altre opere sollecitate da occasioni celebrative, ma destinate a

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trasforma-Rielaborazione Grafica

re permanentemente il panorama urbano: ecco l’arco onorario stabile innalzato a porta Vercellina e inaugurato per la solenne incoronazione imperiale del Bonaparte che avviene nel Duomo di Milano nel maggio 1805; ecco la struttura posticcia innalzata a tutta velocità dal Cagnola su porta Orientale, in occasione delle nozze fra il Beauharnais e Amalia Augusta di Baviera e la porta Nuova disegnata dall’architetto Zanoja fra il 1810 e il 1813. Nel 1814 vi fu il ritorno degli austriaci.

Le trasformazioni urbanistiche che intervengono durante la Re-staurazione e in seguito, sino all’unità d’Italia, si innestano nel solco delle trasformazioni napoleoniche di cui emulano l’appa-rato monumentale. Del resto l’ottocento risveglia la soluzione teatrale delle porte che fanno da sfondo agli eventi ufficiali. La barriera di porta Orientale non è fatta oggetto solo di attenzioni occasionali e festive: dal momento che torna ad essere l’entra-ta nobile della città, gli austriaci vorrebbero conferirle dignità attraverso un apparato monumentale permanente. Scartate le soluzioni più curiose, come quella, formulata dal Cagnola, di smontare pezzo per pezzo l’emblema del potere napoleonico per ricostruirlo a porta Orientale, prevale, per concorso, l’idea razio-nalizzante del Vantini.

Anziché aperti spazi, allusivi alle ritrovate ed esaltate libertà, il castello, con la restaurazione austriaca, si trovò munito di una poderosa, pur se squallida, piazza d’armi dove far manovrare in ordine chiuso le truppe che nell’antica, e sempre più avvilita, reg-gia sforzesca avevano trovato la loro caserma.

Mentre l’Italia nel ’46-’48 è percorsa da un fremito di riforme e di rivoluzione, l’Austria raddoppia i sospetti e la oppressione. Scop-pia il conflitto noto come le Cinque Giornate di Milano che così si libera da sola dall’esercito austriaco, mentre Carlo Alberto varca il Ticino inalberando il tricolore della rivoluzione. La ripresa delle armi nella primavera del ’49, è un altro disastro. Milano ricade sotto il pesante militare austriaco. Dall’8 giugno 1859 incomincia la nuova era della città.

1.1.8 Milano dopo l’Unità D’Italia

Cessato il dominio Austriaco i milanesi sono presi da un grande fervore di rinnovamento. L’anno del 1860 segna l’inizio di quel-la serie di trasformazioni urbane che dovevano così fortemente influire sulla vita della Milano futura. La prima ingente trasfor-mazione è la nuova sistetrasfor-mazione di Piazza del Duomo. I concorsi indetti dalla civica amministrazione vedono la vittoria del proget-to per la Galleria Vitproget-torio Emanuele del Mengoni.

Cominciano così i lavori della Piazza, della Galleria e delle adiacenze

Nel 1867 si diede inizio alla via Carlo Alberto e alla via Mercan-ti. Con questo complesso di opere si accentuò malaugurata-mente il carattere monocentrico della nascente metropoli e si instaurò il sistema radiocentrico della sua rete stradale. Data la velocità di crescita della città si rendeva ormai urgente un piano regolatore generale. Il Piano Beruto, che venne ap-provato nel 1885 prevedeva nella zona interna della città l’a-pertura di alcuni tronchi stradali a ponente della Piazza del Duomo, il principale dei quali fu via Dante; nella zona periferi-ca, l’estendersi uniforme della città con grandi arterie anulari continuative di circonvallazione e con maglie stradali secon-darie prevalentemente a scacchiera, e infine l’abbattimento delle mura spagnole. La frattura, a mano a mano che la città si ingrandiva, tra la città di dentro e la città di fuori era sempre meno supportabile, il piano previde così, senza misure, l’ab-battimento della cinta bastionata. E così avvenne per gradi. Gli ultimi tratti demoliti dovettero attendere il 1946.

Il primo tratto a cadere è quello fra porta Ticinese ed il Castel-lo. Il Novecento segna la fine della cinta da porta Ticinese alla Lodovica, in senso esattamente contrario a quello seguito un secolo prima per la costruzione dei viali dei Bastioni. Le parti che vengono abbattute sono incluse nella muratura degli edifi-ci che vi si appoggiano e man mano riempiono tutta la fasedifi-cia di terreno inclusa fra Bastioni e Circonvallazione. Con la distru-zione dei primi, le porte rimangono come sporadiche presen-ze edilizie, destinate ad utilizzazioni casuali, senza più alcun legame reciproco, facendo sfondo ciascuna di esse al limitato scenario che la circonda.

La ferrovia si sviluppa notevolmente: ai primi tronchi ferroviari che avevano collegato Milano con Monza nel 1840 e Milano con Treviglio nel 1846 si erano orami aggiunte linee per Como, Ge-nova, Piacenza, Torino. La stazione centrale entra in esercizio nel 1864 e la Stazione di Porta Genova nel 1865. Varie opere di notevole mole ebbero attuazione nel ventennio 1860-1880: l’apertura di via Solferino, della via Statuto e della via Volta; la Costruzione del Cimitero Monumentale, il rione delle vie Paolo Sarpi, Maroncelli, Farini; la via Galileo Galilei, il nuovo quar-tiere del Lazzaretto fra la stazione Centrale e Porta Venezia; la fabbricazione sui due lati del viale per Monza, divenuto cor-so Buenos Aires; la fabbricazione del settore fra il bastione di Porta Vittoria e le vie Monforte e Conservatorio.

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Rielaborazione grafica, Milano e i suoi segni

1.2 Bibliografia e Sitografia

Caporusso D., Donati M.T., Masseroli S. e Tilibetti T., Immagini di Mediolanum. Archeologia e storia di Milano dal V secolo a.C. al V secolo d.C., Milano, Civico Museo Archeologico, 2007

Cavalazzi G., Falchi G., La Storia di Milano, Bologna, Zanichelli, 1989

Comune di Milano, Milano, Il Piano Regolatore Generale, Torino, ED. di “Urbanistica”, Rivista dell’Istituto Nazionale di Urbanistica 1956,

Colombo A., (a cura di) Grecchi G. e Fava F., Milano romana: un suggestivo itinerario sul filo dell’arte, dell’archeologia, della sto-ria e della leggenda, Milano, Libresto-ria Milanese, 1994

Mirabella Roberti M., Vincenti A. e Tabarelli G.M., Milano città fortificata, Milano, Istituto Italiano dei Castelli, 1983

Tettamanzi L., Milano, le porte: la storia di Milano attraverso le porte, Como, Enzo Pifferi Editore, 1989, pp. 7-68

Tolfo M.G., Medhelanon-Mediolanum: Il passaggio dal santuario celtico alla città romana, Milano, Comune di Milano. Settore civi-che scuole secondarie e diritto allo studio, Coordinamento C.E.P, Storia di Milano, 1998

Varni A. (a cura di), I confini perduti. Le cinta murarie cittadine europee tra storia e conservazione,Bologna, Editrice composito-ri, 2005, pp. 283-296

Vercelloni V., Atlante storico di Milano, città di Lombardia, Mila-no, L’Archivolto, 1989

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2. I GIARDINI PUBBLICI DI PORTA ORIENTALE

“Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le

vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come

non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato.”

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2.

I GIARDINI PUBBLICI DI PORTA ORIENTALE

area di progetto

2.1 Lettura e interpretazione di questo pezzo di città

2.1.1 Prima dei giardini 2.1.2 La nascita dei Giardini.

Piermarini architetto di stato

2.1.3 L’ampliamento dei giardini, Giuseppe Balzaretto

2.1.4 L’Esposizione Industriale Italiana del 1881

2.1.5 La risistemazione dei Giardini, Emilio Alemagna 2.1.6 I giardini nel ‘900 2.2 Cartografia 2.3 Bibliografia e Sitografia 33 35 41 43 45 45 48 55

1590, Chiesa di San Dionigi a Porta Orientale, A.A., Stoccarda, Galleria di Stato

Ritenendo il luogo e le relazioni con il contesto contributo fondamentale nella definizione del progetto, si sono indagati i segni, le relazioni tra gli eventi architettonici, le relazioni tra le misure dello spazio e le dinamiche socio-culturali che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora questo pezzo di città.

2.1 Lettura e interpretazione di questo pezzo di città

2.1.1 Prima dei giardini

L’area su cui nacquero i Giardini Pubblici di Porta Orientale, pri-ma della costruzione delle Mura Spagnole, era area di campagna chiamata anche dei “Corpi Santi”, perché luogo in cui, ai tempi dei primi cristiani, si seppellivano i martiri e venivano fondate le prime basiliche.

Nell’epoca viscontea, nella seconda metà del 1300, l’area all’in-terno delle mura medievali era satura e per questo si comincia-rono a costruire nuovi villaggi lungo le principali vie d’uscita. Per proteggere questi villaggi, venne in seguito costruito il fossato dei Redefossi con relativo terrapieno il cui tracciato era parallelo alle mura comunali e prefigurava le future mura spagnole. Al suo interno, oltre a monasteri e borghi c’erano molti orti per i quali venne costruita una fitta e intelligente rete di canali di irrigazio-ne.

Corso di Porta Venezia, strada esistente fin dai tempi romani, divenne uno degli assi principali di sviluppo della città e parti-va dalla Basilica di Santa Tecla, (demolita per la costruzione del Duomo) proseguiva fino alla porta corrispondente alle mura Me-dievali costruite nel 1156, fino a raggiungere la Porta Orientale, lungo le Mura Spagnole, costruite nel 1546.

Nel 1546, durante il periodo della dominazione Spagnola, venne costruita la nuova cinta muraria della città. Le antiche mura me-dioevali di difesa erano diventate inutili a causa dell’uso ormai ricorrente delle armi da fuoco e dei cannoni ed era perciò ne-cessario dotare la città di baluardi protettivi più solidi e massicci.

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Rielaborazione grafica della pianta di Ugo Monneret de Villard del 1300

L’area di studio, a suo tempo denominata Borgo di Porta Orien-tale, viene descritta dal Manzoni con immagini che riportano all’ambiente tipico della campagna, dove l’attuale tratto finale di Corso Venezia appariva come un viottolo fiancheggiato da un fosso sul quale prospettavano le mura di edifici secolari, quali i conventi delle Carcanine e di San Dionigi con i loro orti rigogliosi. Il Borgo, compreso tra la cerchia dei Navigli e le nuove mura, era caratterizzata dalla divisione tra la proprietà della famiglia Du-gnani con la Villa e i campi agricoli e l’area della Basilica di San Dionigi e del convento delle Carcanine; una roggia, la roggia Ba-lossa, derivante dal canale della Martesana, divideva le proprietà e irrigava i campi identificando la strada Marina.

Fuori le mura sorgeva il Lazzaretto, costruito nel 1488 su pro-getto dell’architetto Lazzaro Palazzi di Lugano. Si trattava di un grande recinto quadrato 400x400 m, con portici e celle, usato per il ricovero degli appestati e malati contagiosi.

2.1.2 La nascita dei Giardini. Piermarini architetto di stato

Durante la seconda metà del ‘700 si stabilì a Milano un nuovo du-cato, dato dall’unione di Milano e Mantova sotto il nome di Lom-bardia Austriaca. In un clima di rinnovamento e di trasformazio-ne della città si inserisce la proposta del 1783, di un “Passeggio Pubblico” da farsi nell’area di Porta Orientale che rientrava in un’operazione di sistemazione urbanistica più ampia, tesa alla valorizzazione dell’intero quartiere. Si pensò quindi di dotare an-che Milano, come Vienna e le principali città europee, oltre an-che di scuole pubbliche e di una biblioteca pubblica (Brera), anche di un giardino pubblico.

Come conseguenza della soppressione di molti enti religiosi da parte del Governo Austriaco, in particolare della soppressione del monastero delle Carcanine e della demolizione della basilica di San Dionigi nel 1783, si decise che quello era il luogo adatto ad ospitare i nuovi Giardini.

I bastioni divenivano un sistema lineare di ricreazione e pas-seggio, Il Corso di Porta Orientale, che diveniva la radiale per Vienna e le Venezie fu pavimentato e allargato per consentire il passaggio delle carrozze e fu coperto il fossato dell’Acqualonga che scorreva lungo il Corso.

Veniva così modificato il ruolo difensivo della cinta spagnola e smantellato l’aspetto militare dell’ingresso in città, con l’abbatti-mento delle due modeste baracche utilizzate dai soldati.

Piermarini G., Piano dei Giardini Pubblici, Milano, Civica Raccolta Bertarelli, Archivio Cagnola

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Rielaborazione grafica della pianta di Marc’Antonio Dal Re del 1735

Nel 1769 Giuseppe Piermarini, architetto di Stato, venne inca-ricato di costruire la “porta del dazio”, che acquistava quindi un carattere più amministrativo e celebrativo rispetto a quello mili-tare svolto fino a quel momento. I caselli Daziari del Piermarini vennero demoliti nel 1818 e ricostruiti tra il 1827 e il 1828, su progetto dell’architetto Rodolfo Vantini.

La costruzione del Giardino Pubblico avvenne nel 1783 per opera dell’architetto Piermarini, incaricato dagli Asburgo di progettare il parco.

Il giardino era inteso come cerniera fra i diversi passaggi: quello del Corso di Porta Orientale, asse principale di espansione della città verso Est, quello lungo i bastioni, nuovo luogo di passeggio e quello della strada Marina.

“Il Giardino Pubblico offre anche accesso alle mura, o ai così detti Bastioni, i quali servono di delizioso e comodissimo passeggio, perché ombreggiati da piante a doppio ordine dall’una e dall’al-tra parte, ed offrono al tempo stesso uno spazio comodissimo al corso delle carrozze.”

Guida di Milano, o sia, Descrizione della città e de’ luoghi più osservabili ai quali da Milano recansi i forestieri, compilata dal cavalier Luigi Bossi, Milano, 1818, P. e G. Vallardi.

“Dispaccio per i Giardini Pubblici di Milano nel luogo che era occupato dal soppresso convento di San Dionigi, verso le mura della città, in poca distanza dal dazio di Porta Orientale e del soppresso monastero delle Carcanine. Questo pubblico giardino deve essere separato dalla strada o sia corso per mezzo di mol-ti piedistalli di miarolo. Vi saranno arbori, siepi, case, luogo del gioco del pallone.”

ASC, Avvisi manoscritti, Milano, 1783.

“Alberi, siepi, boschetti, tappeti verdi, e viali ben distribuiti, e un circo che serve per giunchi di equitazione ed anche il Teatro Diurno, con una Giostra ed un Caffè, rendono delizioso questo-soggiorno, e lasciano luogo a disporre e ad eseguire spettacoli popolari che nella state sono molto frequentati.”

F. Pirovano, Nuova Guida di Milano, Milano, della Tipografia di Giò Silvestri, 1822, ristampa anastatica Il Polifolio, Milano 1988.

Appiani A., Veduta dei Giardini Pubblici di Milano in tempo delle feste pubbliche. Milano, Civica Raccolta Bertarelli Pubblico passeggio sui Bastioni di Porta Venezia in Milano, Milano, Civica Rac-colta Bertarelli

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Rielaborazione grafica della pianta degli Astronomi di Brera del 1814

“Gli incontri si svolgevano la sera e consistevano in un passeggio o ritrovo pubblico di persone a piedi, in un luogo aperto e ben illuminato, disposto a padiglioni verdi e giardinetti con sedili, al-lietato dalla musica, dalle danze, da giochi, da fuochi artificiali, a rappresentazioni provveduto di spacci di bibite, rinfreschi, tabac-chi, commestibili, ventagli, minutaglie e simili”

Carte d’archivio civico, in Giovanni De Castro, Milano nel settecento, Milano, Du-moland fratelli editori 1887 p.297

In tre anni i lavori furono terminati e il parco venne inaugurato il 29 settembre del 1786.

All’incrocio dei filari di piante, a metà percorso, venne collocato un obelisco, con preciso intento di creare, attraverso le alberatu-re, un viale centrale come asse prospettico che terminava nella “scalinata ad anfiteatro” che dava accesso ai Bastioni. Questo grande viale alberato, asse principale del parco diveniva un vero e proprio Vaux-hall, luogo per le feste e i piaceri del popolo; il monastero delle Carcanine, restaurato, dotato di nuove facciate neoclassiche, venne coperto e trasformato in salone per le fe-ste popolari e per i balli, i corpi annessi al convento divennero la bottiglieria al servizio dei frequentatori del giardino, e venne progettato un campo per il gioco della palla.

Nel 1783 si costruì lo stradone per Loreto, che collegava il Corso Orientale con Monza.

Nel 1784, in concomitanza con la realizzazione dei Giardini, ven-ne proposta l’apertura della contrada Isara (attuale via Palestro, larga circa 7 metri, per collegare il Corso di Porta Orientale con la Strada Marina e Via Manin. All’incrocio delle due strade tra il 1790 e il 1793 venne costruito, su progetto dell’architetto vienne-se Leopold Pollack, allievo del Piermarini, la Villa per il principe Lodovico Barbiano Belgioioso, dotata del primo giardino all’in-glese entro le mura della città.

Con la vittoria di Napoleone nella battaglia di Marengo nel 1800, fu stabilita la Repubblica Cisalpina a Milano. Gli architetti L.Ca-gnola e L.Canonica, nuovi architetti di stato, pensarono a un pia-no urbanistico voluto da Napoleone, per il quale furopia-no costruiti l’Arena, l’Arco della Pace, la sistemazione del Castello e il Foro Bonaparte. Il risanamento, consistente anche nell’abbellimen-to delle facciate, continuò anche nel periodo della restaurazione austriaca. Furono aperti cortili e piccoli giardini all’interno delle corti e tracciati nuovi assi viari che collegavano il centro con l’e-sterno della città.

In questo clima di innovazione si sentì la necessità di dotare la

F.Lose, C.Lose, veduta nel giardino Pubblico di Milano. Edificio detto “Salone”, Milano, Civica Raccolta Bertarelli

G. Galliari, Veduta della R. Villa Bonaparte presa dai Giardini Pubblici di Milano, Milano, Civica Raccolta Bertarelli

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Rielaborazione grafica della pianta di Beruto del 1884

città di ulteriori pubblici passeggi, giardini e spazi aperti affinchè tutti potessero usufruire di luoghi adatti al riposo. Per stare al passo con i tempi e dimostrare l’opulenza della città di Milano divenuta capitale del Regno d’Italia, L’Amministrazione Comuna-le decise l’ampliamento dell’area del vecchio Giardino, con una espansione verso il limitrofo fondo Dugnani ed entrò quindi in trattative di compera che si conclusero solo nel 1846 con il pen-siero di trasformare il tutto in un luogo pubblico.

Nel 1809, verso il margine volto al Corso di Porta Orientale viene costruito il Teatro Diurno dei Giardini Pubblici. I Teatri Diurni che in questo periodo proliferano nella città si collocano lontano dal centro, lungo gli assi di espansione della città e rappresentano, nel sistema teatrale, le prime versioni dichiaratamente rispon-denti ad un utile imprenditoriale: essi ripropongono gli stessi ter-mini direttivi e organizzativi dei teatri tradizionali, ma in versione più economica perché rivolti ad un pubblico più povero.

2.1.3 L’ampliamento dei giardini, Giuseppe Balzaretto Successivamente, a partire dal 1815 con il ritorno degli Austriaci, vennero imposte regole ferree per timore di assembramenti; i milanesi continuarono a frequentare i Giardini ma dovettero ri-nunciare a feste, luminarie e fuochi d’artificio. Anche il Salone venne chiuso e il campo per il gioco del pallone venne demolito. Nel 1826 il Salone divenne sede dell’atelier dello scultore Pom-peo Marchesi. Nel 1834 vi fu un incendio e l’edificio andò in gran parte distrutto, vennero fatte diverse proposte di realizzazione mai portate a termine.

Nel 1848 la Congregazione Municipale, dopo anni di trattative, dispose la trasformazione del Giardino Pubblico, inglobando le proprietà ex Dugnani e la parte di Giardino progettata in prece-denza dal Piermarini, Fu dato l’incarico all’ing. Giuseppe Balza-retto il cui progetto venne approvato nel 1857.

Di tutti gli edifici presenti nel progetto del Balzaretto solo il Caffè sul Monte Merlo venne realizzato nel 1863. Si provvide alla siste-mazione degli spazi esterni al Giardino, creando Piazza Cavour con il relativo monumento a Camillo Benso, la Via Isara prese la-denominazione di via Palestro e vennero costruiti i vari accessi al giardino.

Fu necessario da parte del Balzaretto anche il riordino di Palazzo Dugnani, decisa come sede del Civico Museo di Storia Naturale creato nel 1838 fino a quell’anno ospitato nel Palazzo Comunale di Santa Marta.

G.Balzaretto, veduta a volo d’uccello dei Giardini Pubblici,1857, Milano, Civica Raccolta Bertarelli

Monumenti e Caffè Balzaretto, in “Milano Nuova Illustrata”, 1866, Milano, Civica Raccolta Bertarelli

F. Knippenberg, Panorama dei Nuovi Giardini Pubblici, 1857, Milano, Civica Raccolta Bertarelli

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1881, Esposizione Nazionale e costruzioni nei Giardini, Milano, Civico Archivio Fotografico

La vicinanza del Museo di Storia Naturale favorì l’inserimento di “attrazioni animali”: alle voliere si aggiunsero la casa della giraf-fa, lo scomparto dei cervi e delle scimmie.

Il nuovo parco possedeva quegli aspetti tipici del “giardino pitto-resco” con movimenti di terra, acqua corrente e “rocailles”. La Roggia Balossi, che scorreva ai piedi dei bastioni e un tempo ir-rigava i campi dei Dugnani, doveva alimentare il nuovo laghetto voluto dal Balzaretto. Il corso d’acqua sfociava nella “Sciattera”, la vasca-peschiera a gradinate posta di fronte a Villa Reale, per poi proseguire lungo i Boschetti. I viali dei giardini furono pen-sati per sopperire a diverse funzioni e perciò opportunamente dimensionati.

Nel 1871, il Salone ospitò la prima Esposizione industriale Italia-na, nel 1872 quella di Belle Arti fino al 1881, quando fu inglobato nei padiglioni della Grande Esposizione.

2.1.4 L’Esposizione Industriale Italiana del 1881

Il 5 maggio 1881 ebbe inizio l’Esposizione Industriale Italiana all’interno dei Giardini Pubblici, curata dall’architetto Giovanni Ceruti. I Giardini, ormai divenuti un importante punto di riferi-mento culturale e di incontro per la città di Milano, ben si pre-stavano ad accogliere questa grande manifestazione: la stazione ferroviaria di Piazza Repubblica era situata nelle vicinanze, la conformazione dello spazio disponibile permise la realizzazione di 57.000 metri quadrati coperti e, infine, la presenza di molta acqua rese possibile il funzionamento delle macchine presenti all’Esposizione.

La manifestazione occupò il tre quarti della loro superficie, il Sa-lone, i Boschetti, il Palazzo del Senato, Villa Reale e il parterre del Balzaretto di fronte ad essa. All’interno dell’Esposizione si inaugurò anche una Mostra di Belle Arti allestita nei cortili del Palazzo del Senato.

Furono costruiti padiglioni dalle volte a lucernaio, chiostri dagli stili più disparati, gallerie, tettoie, un tunnel lungo 260 metri in vetro e acciaio e le rotatorie per la ferrovia speciale per il tra-sporto delle merci che giungevano fino a Corso Venezia.

L’accordo con il Comune prevedeva che nulla sarebbe rimasto di quanto costruito per l’esposizione stessa: “l’Isba russa” fu l’uni-co padiglione ad essere acquistato dal Comune al termine della manifestazione che venne poi distrutto dal bombardamento del 1943. Oltre a questo padiglione rimase in piedi anche la vasca d’acqua adiacente a Palazzo Dugnani, Nonostante i progetti

pre-Pianta Generale dell’Esposizione Italiana del 1881 in Milano, da G. Lopez, La Gran Fiera di un secolo fa, Gaetano Pini, Milano, 1979

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1881, Esposizione Nazionale e costruzioni nei Giardini, Milano, Civico Archivio Fotografico

vedessero misure cautelari verso alberi e aiuole, l’esposizione fu di grave danno per i Giardini in quanto vennero abbattuti molti alberi e arbusti.

2.1.5 La risistemazione dei Giardini, Emilio Alemagna A Esposizione conclusa, nel 1882 furono incaricati l’architetto Emilio Alemagna e l’ingegnere Bignami Sormani della risiste-mazione dei Giardini.

La prima proposta prevedeva l’inglobamento della Villa Reale e del suo Giardino, mantenendo quella continuità segnata dal pa-diglione dell’Esposizione; la seconda proposta, quella definitiva e approvata, fu una variante della prima e caratterizzata da grandi modifiche riguardo all’impianto del Balzaretto.

Fu diminuita la differenza di quota tra i Bastioni di Porta Venezia e il Giardino e, al posto dell’antica gradinata del Piermarini anda-ta distrutanda-ta, fu costruito un terrapieno doanda-tato di larga gradinaanda-ta a scogliera e cascata d’acqua.

L’area antistante la Villa Reale fu trasformata eliminando la va-sca del Balzaretto e sostituendola con tappeti erbosi, al contrario del laghetto che fu invece ingrandito.

Venne poi trasformato il giardino con movimenti di terra neces-sari a mascherare la fossa della roggia Balossa tra i boschetti e Villa Reale. Nel 1873 vennero abbattuti i bastioni ponendo, al loro posto, il doppio viale della circonvallazione. In questo modo la città si espanse e le aree fuori le mura vennero inglobate nel centro.

Un caso di rilevante speculazione è quello dell’area del Lazzaret-to che venne tagliata dalla ferrovia e lottizzata per la costruzione di un nuovo quartiere.

2.1.6 I giardini nel ‘900

Il progetto dell’Alemagna è l’ultimo grosso intervento che ha in-teressato i Giardini Pubblici che da allora sono rimasti invariati. Nuovi edifici vennero edificati nel parco durante il XX secolo. Nel 1888 si decise di demolire il Salone, ormai distrutto, per far posto all’attuale Museo di Storia Naturale del 1889; dal 1923 il Giardino ospitò il nuovo zoo della città, dando una miglior siste-mazione agli animali già ospitati in modo provvisorio dal Balza-retto.

Lo zoo e le relative costruzioni vennero poi smantellate

definiti-E. Alemagna, Planimetria dei Giardini Pubblici, Da Milano Tecnica. Dal 1859 al1884

1929 Milano, Il Planetario Hoepli. Da Portaluppi P., Aeditalia vol. II, Milano, Bestetti e Tuminelli, 1930

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Oggi, Via Marina

vamente negli anni ’90. Nel 1929 fu costruito il Planetario Ulrico Hoepli su progetto dell’architetto Piero Portaluppi.

Nella piccola area rimasta da sempre proprietà privata in occa-sione della demolizione di questa proprietà, nel 1939 fu permes-sa la costruzione della Torre Rasini, primo esempio di “grattacie-lo” a Milano, degli architetti Emilio Lancia e Gio Ponti.

Nel 1947 l’architetto Ignazio Gardella propose delle prime ipotesi progettuali per l’edificio delle scuderie della Villa Belgioioso, du-ramente bombardate durante la seconda guerra mondiale. L’e-dificio venne quindi trasformato nel Pac, Padiglione d’arte con-temporanea di Milano.

Villa Belgioioso invece, fu acquistata dal Comune di Milano nel 1921 che vi istituì la Civica Galleria d’arte Moderna di Milano, di cui è ancora sede.

Esposizione nazionale 1881, Costruzioni nei Giardini. Milano, Civico Archivio cartografico

(25)

1300, Ugo Monneret de Villard, Ipotesi di ricostruzione della pianta di Milano elaborata nel 1916

2.2 Cartografia

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(27)
(28)

1994, CTR Milano

2.3 Bibliografia e Sitografia

Garufi S.e Sicoli S., I Giardini Pubblici di via Palestro, Milano, Diakronia, 1997

Zanetti F., Il nuovo giardino di Milano, Milano, Tipografia Zanetti, 1869

Poggiali C., Storie e leggende nei giardini pubblici di Milano, Mi-lano, Cordani, 1942

Lanza, M. Somarè, Milano e i suoi palazzi - Porta Orientale, Ro-mana e Ticinese, Milano, Libreria milanese, 1992

Lopez G., La gran fiera di un secolo fa, Milano, ed Strenne, 1979 Vercelloni V., Atlante storico di Milano, città di Lombardia, Mila-no, L’Archivolto, 1989

(29)

“Il Teatro è un diritto e un dovere per tutti. La città ha bisogno del Teatro. Il Teatro ha bisogno dei cittadini”

Paolo Grassi

(30)

3.

LA MUSICA E IL TEATRO

tema di progetto

3.2 Un’ evoluzione tipologica della sala della musica

Dal teatro greco alla tipologia della sala a ventaglio

Dall’anfiteatro romano alla tipologia della sala

avvolgente

Dagli allestimenti provvisori allestiti nelle case private agli auditorium a scatola 3.3 Forme architettoniche ed

esperienze laboratoriali del teatro del 900 3.4 Bibliografia e Sitografia 59 63 65 67 71 69 91 77 78 81 82 85 73 75 3.1 Il rapporto tra forma del teatro e

forma della città nel tempo 3.1.1 I luoghi della musica e del teatro a Milano

dal 1594 al 1776

3.1.2 I luoghi della musica e del teatro a Milano

dal 1776 al 1801 3.1.3 I luoghi della musica e del

teatro a Milano dal 1801 al 1861

3.1.4 I luoghi della musica e del teatro a Milano

dal 1861 al 1885

3.1.5 I luoghi della musica e del teatro a Milano

dal 1885 al 1911

3.1.6 I luoghi della musica e del teatro a Milano

dal 1911 al 1940

3.1.7 I luoghi della musica e del teatro a Milano

dal 1940 al 1965

3.1.8 I luoghi della musica e del teatro a Milano dal 1965 ad ogg

Teatro provvisorio dei Gesuiti in piazza S. Fedele 1622, da G. Canella, Il sistema teatrale a Milano, Milano, Dedalo ed., 1993

Il progetto nasce con l’idea di dar forma a un “sistema” dello spazio performativo, un luogo per la e della collettività che si inserisca nella rete infrastrutturale e di relazione con gli altri luoghi dello spettacolo e della cultura della città di Milano.

L’interesse era quello di rispondere alla necessità di dotare anche Milano di una struttura interamente dedicata alla musica, che potesse divenire sede di orchestre stabili e che potesse accogliere funzioni necessarie al suo sviluppo come quella di una scuola di musica, oltre che di un luogo che potesse divenire il quartier generale del teatro sperimentale a Milano. Uno spazio di incontro creativo di performing arts, teatro, musica, danza ed espressioni artistiche offerte dalle nuove tecnologie con l’elaborazione di nuovi format di relazione tra arti-sti e pubblico.

3.1 Il rapporto tra forma del teatro e forma

della città nel tempo

3.1.1 I luoghi e del teatro a Milano dal 1594 al 1776

Dopo l’epoca romana durante la quale, oltre al circo e all’arena esisteva un teatro, la cui distruzione avvenne probabilmente per mano di Federico Barbarossa durante il saccheggio del 1162, e dopo il periodo medievale durante il quale gli spettacoli venivano allestiti su palchi in legno nelle strade e nelle chiese, la Milano rinascimentale degli Sforza era rimasta priva di luoghi teatrali permanenti e gli spettacoli venivano rappresentati nei saloni del-la nobiltà midel-lanese. Solo nel 1548, durante del-la dominazione spa-gnola, per festeggiare l’arrivo di Filippo di Spagna, figlio di Carlo V, viene allestito il primo teatro provvisorio della città nel Salone grande del Palazzo del Senato, con platea e scene improvvisate destinate ad essere rimosse in breve tempo. Nel frattempo l’in-teresse per il teatro si diffonde anche nelle classi meno abbienti: i comici si esibiscono nelle osterie e nelle case, nelle stanze af-fittate, nelle strade e nelle piazze, i filodrammatici e i girovaghi recitano e suonano nei conventi e nelle sedi parrocchiali davanti ad un pubblico sempre più vasto e attento.

Nel 1594 l’aristocrazia milanese ha la possibilità di dotarsi nuo-vamente di un teatro, quando il Consiglio dei Sessanta decide la costruzione nel secondo cortile di Palazzo Ducale, di un altro te-atro provvisorio in legno che, quattro anni più tardi, viene sostitu-ito da un salone costrusostitu-ito in onore della principessa Margherita d’Austria. Il nuovo teatro che prende il nome di Salone Marghe-rita, inaugurato nel 1594, viene realizzato da Giuseppe Meda e Antonio Maria Prata e diventa il primo teatro a carattere stabile della città, principalmente rivolto a lirica e melodramma.

All’inizio del ‘600, mentre Milano attraversa un periodo di grande sviluppo economico e demografico, si inaugura il Teatrino della Commedia, un altro teatro stabile collocato nel Palazzo Ducale, nel cortile verso la contrada delle Ore. Il cortile, che viene co-La ricerca si è concentrata sia su cosa fossero il teatro e la

mu-sica nella città di Milano nel loro aspetto spaziale, un’indagine comparata tra architettura del teatro e forma della città, sia nel loro aspetto culturale e sociale come spazio di relazione. Un’indagine sul tema dello spazio performativo e sui passati e presenti luoghi dello spettacolo considerando il sistema di relazioni di questi luoghi e il loro rapporto col contesto fisico della città.

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Rielaborazione Grafica dalla Mostra: “Milano Barcellona Teatro e Città”, Milano, 1999 LEGENDA

MILANO 1594 – 1776

1. Provvisorio di Palazzo Ducale 1594* 1598° Salone Margherita di Palazzo Ducale 1598* 1698° Regio Ducale Teatro Nuovo 1699* 1708° Nuovo Regio Ducal Teatro 1717* 1776° 2. Teatrino della Commedia di Palazzo Ducale 1610* 1729°

* apertura del teatro ° chiusura del teatro s.d. senza data

perto e attrezzato è accessibile dalla strada; la sua destinazione è principalmente rivolta alla recita drammatica e sembra che venga aperto ad un pubblico esterno e, per tanto, più vasto. Un embrionale sistema teatrale si ricrea quindi all’interno di Palaz-zo Ducale, che offre al pubblico un teatro più grande destinato alla lirica e al melodramma e l’altro, più piccolo destinato alla commedia.

La tradizione delle rappresentazioni sacre perdura; infatti, sol-tanto dopo quattro giorni dall’apertura del Salone Margherita i membri della compagnia del Gesù vi organizzano il primo spet-tacolo e nel 1622 allestiscono nella Piazza San Fedele un Teatro provvisorio all’aperto, con quinte ad archi e la facciata della Chie-sa come fondale.

La peste del 1629-‘32 dimezza la popolazione, aggrava la reces-sione già in atto che continuerà fino alla fine del secolo e inter-rompe bruscamente lo sviluppo del teatro comico. Nel 1695 il Salone Margherita si incendia e quattro anni più tardi si inau-gura, nella stessa area, il Regio Ducale Teatro Nuovo, proget-tato dall’architetto Federico Pietrasanta, ingrandito e doproget-tato di ordini sovrapposti di palchi che finirà anch’esso completamente distrutto dalle fiamme poco dopo, nel 1708. L’uso del cortile di palazzo e del loggiato prospiciente sono elementi caratterizzan-ti l’assetto funzionale e spaziale del teatro barocco italiano. Lo schema organizzativo di questa tipologia teatrale con la platea allungata ad U, il boccascena a cornice e la scena profonda, ha, nella ripetizione degli ordini sovrapposti di palchetti che cingono la sala, che sembrano costruire un fronte relazionato alla città piuttosto che alla cavità teatrale, “la cifra formale ma, anche e soprattutto, la acuta invenzione architettonica interpretante la cultura, le intenzioni, le remore, la realtà intera della società cit-tadina”1.

Intanto finisce la dominazione Spagnola e inizia quella Austriaca che durerà circa un secolo e mezzo. La nobiltà di corte, rimasta senza teatro, si sposta nel Teatrino della Commedia, ma le pre-carie condizioni dell’edificio inducono alla costruzione di un tea-tro nuovo. Nel 1717, un gruppo di nobili si impegna alla ricostru-zione del Ducale sull’area dell’ex Salone Margherita su progetto di G.D.Barbieri, allievo di Francesco Bibiena.

Si inaugura così il Nuovo Regio Ducal Teatro che propone lo stes-so schema del Regio Ducale Teatro Nuovo sebbene assai più per-fezionato. Andrà a fuoco nel febbraio del 1776 dopo la festa da ballo del sabato grasso, ultimo giorno del carnevale ambrosiano.

G. D. Barbieri, Pianta e Sezione del Nuovo Regio Ducal Teatro, 1747, da G. Canella, Il sistema teatrale a Milano, Milano, Dedalo ed., 1993 La sala del Nuovo Regio Ducaal Teatro durante la festa del ballo, dalle immagini

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LEGENDA MILANO 1776 – 1801 1. Internale 1776* 1778° 2. S. Simone 1776* 3. Alla Scala 1778* 4. Della Canobiana 1779* 5. Teatrino dei Foghetti 1780*

6. Teatrino dell’Albergo del Dazio Grande 1796* 7. Patriottico 1798*

8. Lentasio 1801*

* apertura del teatro ° chiusura del teatro s.d. senza data

Rielaborazione Grafica dalla Mostra: “Milano Barcellona Teatro e Città”, Milano, 1999

Se questi nuovi spazi teatrali si affermano come edifici autonomi dal punto di vista funzionale lo stesso non si può del tutto dire nel loro rapporto con la città rilevando una relazione con lo spa-zio urbano limitata allo spaspa-zio pubblico circostante. I fronti del-la Scadel-la e deldel-la Canobiana si affacciano entrambi su strade non molto larghe e presentano la dignità edilizia consueta del palaz-zo barocco tendendo ad adattarsi al panorama dell’edilizia mi-lanese. “Questo mimetismo rappresentativo-funzionale rischia persino di compromettere il coefficiente stesso di informazione che i nuovi organismi pretendono nell’economia delle immagini cittadine”2

Nel 1796 le truppe francesi invadono Milano diffondendo le idee della Rivoluzione borghese e dando nuovo impulso allo sviluppo urbano della città, dopo la riforma amministrativa e illuminista del governo austriaco.

Tra i progetti urbanistici, il progetto dell’architetto Antolini per il Foro Bonaparte del 1801, non realizzato, prevedeva anche un edi-ficio teatrale tra gli altri edifici pubblici dalle forme neoclassiche che circondavano la nuova piazza circolare ‘laica’ con al centro il Castello Sforzesco. Il Teatro nel Foro Bonaparte, che torna alla tipologia classica della cavea semicircolare riproponeva l’idea di un teatro senza distinzione di ceti, come servizio al cittadino. Per la prima volta il teatro è concepito come elemento fondamentale del progetto urbano, facente parte di una rete infrastrutturale e di relazioni con gli altri luoghi ed edifici pubblici della città e con le caratteristiche monumentali di un “grande tempio laico”. Sorgono intanto a Milano nuovi spazi teatrali di tipo popolare come il S. Simone, il Teatrino dei Foghetti, quello dell’albergo del Dazio Grande e il Teatro Patriottico che ha sede nella Chie-sa sconChie-sacrata di S. Damiano alla Scala. Esso, che può essere letto come la continuazione di quel teatro che nel corso del ‘700 occupava le stanze private della nobiltà milanese, diviene sede stabile di un’accademia, più tardi chiamata dei filodrammatici, dove si svolge lo studio, la preparazione dell’attività teatrale e quella politica, adattandosi alla sala della chiesa con una nuova impostazione distributiva e funzionale.

3.1.2 I luoghi della musica e del teatro a Milano dal 1776 al 1801

L’arrivo di Maria Teresa imperatrice d’Austria a Milano e succes-sivamente quello del figlio, l’imperatore Giuseppe II nel 1780, segnano l’occasione per una promozione culturale della città e l’inizio di un una serie di riforme amministrative e interventi ar-chitettonici come la costruzione di nuovi palazzi e case di abi-tazione per la piccola borghesia all’interno della cerchia delle Mura Spagnole e la realizzazione di ville sontuose nel contado. La riforma del sistema fiscale austriaco impone un’imposta sulla proprietà fondiaria come base della tassazione generale, attra-verso lo strumento catastale, segnando così la fine di un regime fondato sul privilegio e la diseguaglianza della nobiltà milanese e della chiesa. I risultati sull’economia della città e sull’ agricol-tura si faranno presto sentire.

Dopo l’incendio del Nuovo Regio Ducal Teatro l’aristocrazia mila-nese e la nuova borghesia emergente reclamano un altro spazio per gli spettacoli. L’Arciduca Ferdinando d’Austria desidera do-tare la città di un teatro stabile degno di una capitale; si decide quindi di non collocarlo più all’interno di Palazzo Ducale impo-nendosi la necessità di restaurare e rinnovare il Palazzo come sede reale. L’incarico del progetto è affidato all’architetto Giu-seppe Piermarini, allievo di Luigi Vanvitelli e l’area prescelta è quella della collegiata di Santa Maria della Scala, dove il nuovo Teatro Alla Scala (che può ospitare 3000 persone) viene inaugu-rato nell’ agosto del 1778. Il teatro alla Scala riprende le caratte-ristiche tipologiche e funzionali del Teatro Ducale: la sala a ferro di cavallo, cinque ordini di palchi più un sesto per il loggione, i camerini e l’introduzione di nuove parti, un grande foyer, il caffè e la trattoria, locali per il gioco, nuove funzioni che contribuiscono ad assegnare all’edificio teatrale una sua nuova autonomia. Sempre al Piermarini è contemporaneamente affidato anche il progetto di un secondo teatro stabile, nell’area delle antiche Scuole Canobiane, più adiacente al Palazzo Ducale e ad esso col-legato tramite una galleria. Inaugurato il 21 agosto 1779 prende il nome di Teatro Della Canobiana (2000 persone), ripete gli ele-menti caratterizzanti della Scala e sarà il futuro Teatro Lirico. Si vuole infatti avere la possibilità di avere luoghi teatrali diversi per repertori tendenzialmente distinti, che permettano l’accesso ad un sempre più vario e vasto pubblico. I repertori dei due nuovi teatri sono differenziati ma complementari: alla Scala drammi, opere liriche, balletti; alla Canobiana opere in prosa, melodram-mi e danze.

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