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Statodell’artedeisistemidiprotezionesismicainnovativi 5

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5

Stato dell’arte dei sistemi di

protezione sismica innovativi

Nel presente capitolo verranno introdotti i sistemi di protezione sismica innovativi ed in particolare quelli autoricentranti.

5.1

Brevi cenni storici sulle tecniche di protezione

sismica

Nell’antichità non si può parlare propriamente di costruzioni antisismiche nel sen-so di edifici espressamente costruiti per resistere ad un terremoto, d’altronde alcuni edifici hanno retto migliaia di anni mostrando così che alcune soluzioni costrutti-ve sono in grado di resistere ad ecostrutti-venti violenti. Va inoltre sottolineato che alcune tecniche costruttive possono essere spiegate come sistemi antisismici verificati a po-steriori e solo in seguito codificati o quantomeno entrati nell’uso corrente. È questo il caso ad esempio delle chiese armene, delle pagode cinesi e delle case baraccate. È altresì il caso di edifici monolitici in cui i pesanti blocchi poggiati su una piattaforma sono in grado di resistere a forze estreme, un esempio è la tomba di Ciro il Grande a Pasargadae in Iran.

Un esempio di sistema di dissipazione dell’energia sismica sono le colonne co-struite sovrapponendo i vari rocchi unendoli con caviglie di piombo. Il peso proprio delle colonne e degli altri elementi strutturali provvede ad una precompressione con-siderevole delle colonne generando un momento resistente alle giunzioni tra i vari rocchi e alla base. Durante l’azione orizzontale prodotta dai terremoti i segmenti si separano in corrispondenza dei giunti e si deformano reciprocamente seguendo un moto combinato di oscillazione e scorrimento. In aggiunta, durante questo movi-mento, le chiavi di taglio in piombo si deformano oltre il limite elastico dissipando

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Figura 5.1: Tomba di Ciro il Grande, Pasargadae, Iran

così energia. Le colonne di Marco Aurelio e di Traiano a Roma ne evidenziano

Figura 5.2: Uso tipico dei sistemi oscillanti e di costruzioni (multi blocchi) nei templi greci e romani

Figura 5.3: Sforzo assiale per l’autoricentramento; uso di elementi di piombo come chiave per il taglio e la torsione

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il comportamento, mentre tanti templi ancora parzialmente eretti mostrano come il sistema sia effettivamente adatto a dissipare le forze.

Dopo i terremoti del 553 e 557 alcune colonne della cattedrale di Santa Sofia ad Istanbul vennero poste su lastre di piombo rappresentando, forse, il primo intervento espressamente antisismico, anche se poi la cattedrale ha subito comunque vari crolli in seguito a terremoti.

In Cina pagode ed edifici pubblici venivano costruiti isolati dal terreno e, nei casi a più piani, i solai sono flottanti ed ancorati al piano sottostante con un sistema complesso di incastri. Questa pratica costruttiva è stata standardizzata e codificata nel XII sec. ed utilizzata dalla Cina al Giappone o, nelle pagode questo sistema è

Figura 5.4: Due pagode di Dali (Yunnan Province) e la Big Wild Goose Pagoda (Xian), in Cina

stato utilizzato ininterrottamente fino ad oggi.

La Horyuji Pagoda (figura 5.5), come le altre di Kyoto, è di legno; la struttura portante centrale, nascosta dai grandi sbalzi che con il loro peso la sollecitano notevolmente, è piuttosto snella. Le pagode cinesi, invece, sono in muratura. Per quanto concerne, ad esempio, la Big Wild Goose Pagoda di Xian (figura 5.4), fonti storiche della di-nastia Ming (1368-1644) riferiscono che la costruzione avrebbe sopportato numerosi terremoti, fra i quali uno particolarmente catastrofico, di magnitudo 8.0, che distrus-se l’intera provincia di Huaxian provocando oltre 830000 vittime. L’evento produsdistrus-se solo alcuni danni alla zona del pinnacolo. Non è noto però quale sia stato l’effettivo movimento del suolo nella zona della costruzione.

Infine si può citare la casa baraccata derivata dall’opus craticium romano, ma di origine molto più antica. Si tratta di una costruzione in cui le pareti sono formate da telai di legno controventati ed affogati, o tamponati, in una muratura alleggerita generalmente con cannicciati (anche nei solai). Il sistema, diffuso anche in zone non sismiche, presenta indubbi vantaggi di flessibilità e resistenza. La casa baraccata è

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Figura 5.5: Horyuji pagoda di Nara, Kyoto, XIV secolo

stata codificata come antisismica in varie legislazioni: in Portogallo dopo il terremo-to del 1755 e nel regno delle due Sicilie nel 1784 dopo il devastante terremoterremo-to del 1783. La casa baraccata rappresenta ancora oggi indubbi vantaggi antisismici, ma, nonostante ciò, è una tecnica ormai in pratica abbandonata. Solo l’uso dei solai leg-geri costituiti da travetti, cannicciato, lapillo, massetto sottile e pavimento, è rimasto ancora attivo sopratutto nel sud Italia e nelle isole.

Figura 5.6: Piante, sezione e prospetto della casa baraccata tratte da Vivenzio Giovanni “Istoria dè tremuoti avvenuti ... ”, Napoli 1787

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stragran-de maggioranza stragran-delle persone viveva in campagna in costruzioni ad un solo piano fatte di legno, terra battuta o canne e con tetti di paglia o cannicci e che questo ha sicuramente ridotto il numero delle vittime anche in presenza di sismi violentissimi.

5.2

Introduzione ai sistemi dissipativi supplementari

e all’isolamento sismico

Fino agli ultimi decenni il sistema di progettazione antisismica era basato sull’assi-curare un soddisfacente livello di sicurezza che corrispondeva all’impedire il crollo repentino dell’edificio e la perdita di vite umane. Secondo questa prassi se una strut-tura non collassa quando assoggettata ad un terremoto di progetto si considera che essa abbia raggiunto il suo scopo, anche se questo dovesse comportare la perdita tota-le della funzionalità della stessa e la conseguente necessità di abbattimento. Benché la progettazione improntata alla pura salvaguardia della vita umana sia ancora oggi la base della progettazione antisismica, la realtà socio-economica ha portato, soprat-tutto per le strutture di tipo strategico, a cercare di raggiungere livelli di sicurezza sempre maggiori. D’altra parte in seguito ad eventi sismici, anche di modesta entità, i costi derivanti dalla perdita di operatività di un edificio possono risultare significa-tivi, spesso paragonabili o addirittura superiori, al costo originario della costruzione o di un suo adeguamento ad un livello prestazionale maggiore.

5.2.1

Concetti fondamentali

Negli ultimi 50 anni sono state condotte molte ricerche per sviluppare sistemi sismo-resistenti innovativi che siano in grado di innalzare il livello di sicurezza della co-struzione mantenendone però contenuti i costi. La maggior parte di questi sistemi sono progettati per dissipare l’energia sismica indotta alla struttura tramite sistemi dissipativi supplementari e/o per limitare l’apporto di energia sismica in ingresso per mezzo di sistemi di isolamento.

L’evoluzione della normativa antisismica

L’evoluzione della normativa antisismica può essere direttamente collegata all’av-vento di terremoti di particolare rilevanza. È quindi possibile fare facilmente una classificazione cronologica delle normative di progettazione antisismica (Landolfo, 2005):

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I) Norme di I generazione (fino al 1960): si tratta di norme puramente prescrit-tive, consistono essenzialmente nella definizione di una serie di indicazioni progettuali da rispettare volte a ridurre la vulnerabilità degli edifici la mag-gioranza dei quali costruiti in muratura. Per quanto riguarda l’Italia la prima normativa sismica può essere considerata il R.D.L. n◦193 del 18 Aprile 1909, emanato a seguito del terremoto di Messina del 1908.

II) Norme di II generazione (fino al 1980): si tratta di norme prestazionali a sin-golo livello che si focalizzano sui terremoti rari (con tempi di ritorno di circa 500 anni) nei confronti dei quali si richiede la salvaguardia della vita uma-na. Le verifiche di resistenza si basano sul metodo delle tensioni ammissibili studiando la risposta di sistemi equivalenti in regime elastico. Si cominciano anche a considerare i sistemi di isolamento e/o dissipativi con comportamento isteretico in campo plastico.

III) Norme di III generazione (fino al 2000): si tratta di norme prestazionali a dop-pio livello caratterizzate dal progressivo abbandono del metodo alle tensioni ammissibili in favore di quello agli stati limite. Queste norme sono la base del-l’attuale codificazione antisismica (tra cui le prime versioni degli attuali Eu-rocodici). La risposta del sistema strutturale si analizza con riferimento a due livelli di azione sismica caratterizzati da differenti tempi di ritorno: il terre-moto di Servizio (conTR= 95 anni) e il terremoto Distruttivo (con TR= 475

anni). A questi eventi vengono associati due livelli prestazionali: lo Stato Limi-te di Esercizio (SLE) e lo Stato LimiLimi-te Ultimo (SLU). La capacità delle strutture di dissipare energia è funzione della duttilità e viene differenziata in base al-le tipologie strutturali. Si considera inoltre la possibilità di operare secondo diverse strategie progettuali che comportino l’utilizzo di sistemi di controllo attivo, passivo e iper-resistenti.

IV) Norme di IV generazione (dopo il 2000): si tratta di norme prestazionali mul-tilivello che sono di fatto la naturale evoluzione delle precedenti tramite l’in-serimento di due ulteriori livelli prestazionali intermedi e relativi stati limite. Gli obiettivi di progetto vengono quindi definiti tramite il Performance Based Design (PBD) con il quale si cerca di garantire per ciascun livello di azio-ne sismica una determinata prestazioazio-ne. Attualmente questo è il livello più avanzato nel panorama della progettazione sismica.

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Categorie di dissipatori e sistemi di isolamento

I sistemi dissipativi e quelli isolanti possono essere classificati in diverse tipologie di protezione sismica, come mostrato nella tabella di figura 5.7. Ciascun gruppo

in-Figura 5.7: Classificazione dei sistemi di protezione sismica

clude un approccio differente per mitigare gli effetti dei terremoti sulle strutture. I sistemi convenzionali si basano sulla filosofia antisismica tradizionale che porta alla dissipazione di energia tramite meccanismi inelastici stabili. Questi meccanismi pos-sono essere attivati tramite la formazione di cerniere plastiche nelle travi, colonne o muri; lo snervamento di elementi di controvento metallici instabili a compressione e le cerniere a taglio in elementi metallici. Se si seguono dei buoni principi di capacity design, questi meccanismi dissipativi possono portare ad un buon rendimento strut-turale in caso di sisma. D’altronde, per questo tipo di sistemi, l’energia isteretica usata per dissipare quella sismica in ingresso corrisponde ad un danno alla struttura che è considerato accettabile fintanto che la capacità della stessa di portare i carichi verticali non sia messa a repentaglio.

I sistemi dissipativi aggiuntivi possono essere suddivisi in due categorie: sistemi passivi e sistemi attivi o semi-attivi.

- Sistemi passivi: dissipano parte dell’energia sismica venendo semplicemente attivati dal movimento della struttura principale.

- Sistemi attivi o semi-attivi: necessitano dell’apporto di energia esterna (at-tivatori, energia elettrica, computer, ...) per poter dissipare parte dell’energia sismica in ingresso.

Nel presente lavoro verrà focalizzata l’attenzione sui sistemi di protezione sismica passivi, che verranno trattati nei paragrafi successivi. Per quanto riguarda i sistemi di protezione attiva e semi-attiva , si rimanda alla letteratura tecnica.

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Dissipatori ed Isolatori

I sistemi dissipativi supplementari usano degli elementi, chiamati dissipatori mec-canici. Questa dissipazione meccanica dell’energia sismica viene attivata dal movi-mento della struttura principale e va quindi a ridurre la risposta dinamica comples-siva dell’edificio al terremoto. Un sistema ben studiato, inoltre, si sviluppa in modo da proteggere gli elementi principali della struttura incanalando l’energia sismica in questi sistemi meccanici che possono anche essere ispezionati ed, in alcuni casi, rimpiazzati.

Idealmente, se tutta l’energia sismica potesse essere assorbita dai sistemi dissipativi, la struttura principale non subirebbe alcun danno.

I sistemi di isolamento, invece, consistono nell’inserimento di isolatori al di sotto dei punti di supporto dell’edificio (generalmente i pilastri). Negli edifici, in genere, gli isolatori sono posizionati tra la sovrastruttura e le fondazioni, mentre nei ponti sono posizionati in testa ai piloni. Gli isolatori sono progettati per avere una rigidezza allo spostamento laterale nettamente inferiore a quella della struttura che proteggono e la separano dagli elementi collegati al terreno. Da un punto di vista energetico un sistema di isolamento limita il trasferimento dell’energia sismica alla sovrastruttura. Idealmente, se non passasse alcuna energia sismica, l’edifico rimarrebbe totalmente

indifferente al terremoto.

I sistemi di isolamento devono, tuttavia, essere in grado di subire grandi spostamenti mantenendo inalterata la capacità portante verticale. È quindi spesso necessario ridurre la deformazione degli isolatori affiancandovi un sistema dissipativo. I sistemi di isolamento si compongono quindi di due elementi:

- un isolatore con una rigidezza laterale significativamente minore di quella della sovrastruttura;

- un dissipatore che riduce l’energia sismica in ingresso abbattendo contempo-raneamente le forze trasmesse alla sovrastruttura e le deformazioni dell’isola-tore.

La risposta sismica di una struttura fornita di elementi dissipativi e/o isolatori cam-bia notevolmente e, nonostante l’intento di questi elementi sia quello di migliorarla, potrebbe portare a peggiorarla o rendere il sistema inserito inefficiente. Occorre quindi comprendere a fondo come l’aggiunta di questo tipo di sistemi impatti sulla risposta della struttura così da assicurare l’efficacia del sistema.

Si riporta quindi un esempio illustrativo degli effetti dei vari sistemi sulle struttu-re tratto da Principles of passive supplemental damping and seismic isolation di C.

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Figura 5.8: Portali semplice, con sistema dissipativo e con sistema di isolamento alla base

Christopolous e A. Filiatrault:

Il portale illustrato in figura 5.8 a) ha un periodo naturale di 1 s con uno smorzamento criticoξ = 5%. Lo stesso portale lo ritroviamo fornito di un elemento dissipativo nella figura 5.8 b) e di un sistema di isolamento alla base nella 5.8 c).

In figura 5.9 l’accelerazione assoluta elastica e la risposta relativa dello

Figura 5.9: Spettro di risposta elastico del terremoto di El Centro del 1940 (componente S00W): a) Accelerazione assoluta b) Spostamento relativo

spettro in termini di spostamento sono plottati per differenti valori di smorzamento strutturale per la componente S00W del terremoto del 1940 nell’Imperial Valley in California. Il puntoA rappresenta la massima ac-celerazione e risposta in termini di spostamento del portale semplice. Se al portale, tramite il dissipatore, viene fornita una capacità dissipativa aggiuntiva tale da portare lo smorzamento alξ = 20% senza alterarne il suo periodo naturale, allora la risposta di questo sistema corrisponde

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al puntoB di figura 5.9. D’altra parte, se l’aggiunta del controvento dis-sipativo dovesse aumentare la rigidezza del sistema, tanto da ridurre il periodo ad un valore di 0.55 s e, contemporaneamente, aumentarne lo smorzamento alξ = 20%, allora l’accelerazione assoluta massima della struttura aumenta (confrontare il puntoA con il punto C). Questo perché la diminuzione del periodo naturale, relativamente al terremoto assunto, è associata ad una maggiore accelerazione spettrale. Il punto D corri-sponde alla risposta del portale munito dell’elemento dissipativo, il quale non dissipa alcuna energia, ma funziona solo da controvento irrigidente. Questo quindi abbassa semplicemente il periodo naturale della struttura a 0.55 s. Se, invece, viene introdotto il sistema di isolamente alla base, in modo da portare il periodo naturale della struttura a 2 s, l’accelerazione spettrale si riduce sensibilmente, mentre lo spostamento aumenta (punto E). Se il sistema di isolamento è accoppiato ad un elemento dissipativo tale da aumentarne lo smorzamento fino aξ = 20%, allora la risposta della struttura si riduce ulteriormente (puntoF). Il guadagno in termini di riduzione dell’accelerazione massima è irrisorio (confrontando i punti E ed F), ma si può osservare una significativa diminuzione dello sposta-mento.

È quindi dalla combinazione della traslazione del periodo fondamentale e dell’aumento dell’energia dissipata che si possono capire gli effetti e l’efficacia dei sistemi inseriti.

Per comprendere ancora meglio i principi alla base del funzionamento dei sistemi di protezione sismica si fa riferimento anche all’equazione di bilancio dell’energia che nel 1988 Uang e Bertero hanno derivato in campo sismico:

EI = EE+ ED (5.1)

che, in forma più estesa, può essere scritta così:

EI = EK+ ES+ EV + EH

dove:

EI = energia complessiva immessa nel sistema;

EE = EK + ES = energia elastica (reversibile) immagazzinata nel sistema;

ED = EV + EH = energia dissipata dal sistema (irreversibile);

EK = energia cinetica istantanea delle masse in movimento;

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EV = energia dissipata tramite smorzamento viscoso;

EH = energia di deformazione isteretica associata alle deformazioni plastiche.

In generale la struttura è in grado di resistere alle azioni che vi agiscono se la sua capacità è maggiore della domanda prestazionale:

Domanda ≤ Capacit`a (5.2)

Confrontando la (5.1) e la (5.2) si può notare come la domanda corrisponda all’ener-gia immessa nella struttura (EI) mentre la capacità è data dai contributi dell’energia elastica (EE) e dell’energia dissipata (ED).

In particolare, per le strutture moderne, il soddisfacimento della 5.2 è strettamente legato all’energia dissipata dal sistema che quindi può essere aumentata incremen-tandoEV,EH o entrambi.

Nei metodi tradizionali di progettazione generalmente viene aumentata EH preve-dendo la formazione di cerniere plastiche in punti strategici del sistema strutturale. Con l’utilizzo dei sistemi di protezione passiva, invece, si può agire in due modi alternativi:

1) riducendo la domanda di prestazione tramite isolatori;

2) aumentando la capacità della struttura tramite sistemi dissipativi supplemen-tari.

5.2.2

I sistemi di controllo strutturale passivo

Tra i sistemi di protezione sismica innovativi quelli di controllo strutturale passivi sono i più efficaci per via della loro semplicità, affidabilità e basso costo. Essi, come già detto, non necessitano dell’apporto di energia esterna per il loro funzionamento, ma si attivano semplicemente col movimento della struttura, questo fa sì che il loro comportamento sia costante senza la necessità di particolari attenzioni. Sarà neces-sario controllarli solo a seguito di eventuali eventi sismici per assicurarsi che siano ancora in grado di lavorare correttamente o per sostituirne alcune parti particolar-mente soggette ad usura.

Come già illustrato nel paragrafo 5.2.1, l’inserimento di questi dispositivi, compor-ta la modifica di alcuni parametri caratteristici della struttura (rigidezza, capacità di spostamento, capacità dissipativa) che, se ben studiati, ne aumentano il livello di performance.

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Tipologie di dispositivi di isolamento sismico

I principali tipi di isolatori ad oggi disponibili sono suddivisibili nelle seguenti cate-gorie:

- Isolatori elastomerici ad elevato smorzamento (High Damper Rubber Bea-ring, HDRB) sono costituiti da strati alternati di materiale elastico e lamine metalliche: l’elastomero dissipa durante le deformazioni laterali e ricentra al termine dell’azione sismica, mentre il metallo ha la funzione portante rispetto ai carichi verticali.

Figura 5.10: Schema di isolatore elastomerico ad elevato smorzamento

- Isolatori elastomerici con nucleo di piombo (Lead Rubber Bearing, LRB) sono simili ai precedenti con l’aggiunta di un nucleo di piombo che costituisce il nucleo di dissipazione dell’energia, mentre gli altri elementi contribuiscono al ricentramento e alla portanza verticale.

Figura 5.11: Schema di isolatore elastomerico con nucleo di piombo

- Isolatori a pendolo scorrevole (Friction Pendulum System, FPS) che si basano sul principio di funzionamento del pendolo semplice. Sono costituiti da due piastre in acciaio, almeno una delle quali caratterizzata da una curvatura di raggio R elevato tra le quali è presente una rotula centrale che durante il moto sismico scorre sulla superficie concava dissipando energia per attrito.

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Al termine dell’evento sismico il dispositivo ritorna in posizione centrale per effetto della gravità, garantendo così ottime capacità di ricentramento.

Figura 5.12: Isolatore a pendolo scorrevole

Tipologie di dispositivi di dissipazione dell’energia

I principali tipi di dispositivi di dissipazione dell’enegia ad oggi disponibili sono suddivisibili nelle seguenti categorie:

- Dissipatori isteretici metallici (Metallic Yielding Dampers, MYD) essi si ba-sano sulla capacità dei metalli di sopportare numerosi cicli di deformazioni plastiche (cicli di isteresi) dissipando così notevoli quantità di energia. Al termine dell’evento sismico presenteranno delle deformazioni residue.

Figura 5.13: Dissipatore isteretico metallico con elementi dissipativi a farfalla (MEF)

- Dissipatori ad attrito (Friction Dampers, FD) la dissipazione dell’energia è affidata all’attrito che si sviluppa all’interfaccia tra più parti del dispositivo che scorrono mutuamente. Le superfici sono generalmente trattate con appositi materiali che massimizzano l’effetto dell’attrito.

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Figura 5.14: Dissipatore ad attrito

- Dissipatori viscoelastici solidi (Viscoelastic Dampers, VED) la dissipazio-ne dell’edissipazio-nergia avviedissipazio-ne tramite gomme polimeriche ad elevata elasticità che conferiscono ai dispositivi un comportamento elastico e contemporaneamente capacità ricentranti.

Figura 5.15: Dissipatore viscoelastico solido

- Dissipatori viscosi fluidi (Viscous Dampers, VD) la dissipazione dell’energia è ottenuta tramite il passaggio in pressione di fluidi ad alta viscosità in sistemi del tipo cilindro-pistone.

Figura 5.16: Dissipatore viscoso fluido

- Dissipatori a massa rotante (Tuned Mass Dampers, TMD) sono costituiti da masse secondarie collegate alla struttura principale per mezzo di un sistema di molle e di smorzatori viscosi in modo tale da avere una frequenza di

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oscil-lazione simile a quella della struttura principale, ma fuori fase che ne smorza quindi le oscillazioni.

Figura 5.17: Dissipatore a massa rotante

- Dissipatori autoricentranti (Self-Centering Energy Dissipating, SCED), si ba-sano sugli stessi principi dei dissipatori metallici semplici, ma sono dotati di appositi elementi che annullano gli spostamenti residui al termine dell’azione sismica riportando il sistema alla posizione iniziale.

Figura 5.18: Return to center steering damper (RTC)

A seconda del principio fisico che comporta l’attivazione del meccanismo, i dispositivi dissipativi possono essere suddivisi in altre tre categorie:

- Dispositivi dipendenti dallo spostamento (displacement-activated) si atti-vano grazie agli spostamenti relativi che si verificano alle due estremità del dispositivo; la loro risposta è indipendente dalla frequenza del moto sismico e le forze che si generano sono generalmente in fase con quelle presenti negli elementi strutturali.

- Dispositivi dipendenti dalla velocità (velocity-activated) si attivano grazie alla velocità relativa presente ai due estremi; la loro risposta dipende dalla

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frequenza del sisma e le forze che generano sono fuori fase rispetto a quelle presenti negli elementi strutturali.

- Dispositivi attivati dal moto della struttura (motion-activated) sono costi-tuiti da masse che oscillano fuori fase rispetto alla struttura principale, si atti-vano durante il moto dell’edificio riducendone l’ampiezza delle oscillazioni.

5.3

I sistemi autoricentranti

5.3.1

Comportamento dei sistemi dissipativi autoricentranti

L’attuale filosofia progettuale prevede, spesso, una risposta oltre il limite elastico sviluppando, in regioni opportunamente definite del sistema strutturale, un mecca-nismo duttile in grado di dissipare energia. L’energia introdotta dal terremoto viene dissipata attraverso le deformazioni plastiche cicliche che si verificano all’interno delle zone dissipative: tanto più elevate saranno le deformazioni, tanto più elevata sarà la quota di energia sismica dissipata.

Confrontando il comportamento di un sistema elastico lineare con quello di un si-stema elasto-plastico di uguale massa e rigidezza iniziale (figura 5.19) si osserva che la forza massima indotta nel sistema elasto-plastico è significativamente inferiore rispetto a quella del sistema elastico lineare. L’area delineata dalla curva di isteresi

Figura 5.19: Risposta sismica idealizzata di una struttura duttile

rappresenta l’energia dissipata per ciclo dal sistema; poiché si suppone che buona parte dell’energia sismica di input venga dissipata per isteresi, al termine del ter-remoto nell’edificio saranno presenti spostamenti residui significativi. Queste de-formazioni possono essere anche di grande entità e possono portare alla perdita di

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funzionalità, alla non riparabilità dell’opera e persino all’eccessiva riduzione di resi-stenza laterale residua che, durante le eventuali scosse di assestamento, porterebbe ad un collasso strutturale.

Per ovviare a tali problematiche e per garantire alle strutture maggiori standard di sicurezza, sono stati studiati diversi sistemi dissipativi autoricentranti. Come si può notare anche dalla figura 5.20 tali elementi dissipano l’energia sismica tramite cicli isteretici annullando però le loro deformazioni alla fine di ciascun ciclo, assumendo quindi la caratteristica forma flag-shaped.

Se si confrontano le figure 5.19 e 5.20 si può notare che il totale dell’energia

dissi-Figura 5.20: Risposta sismica idealizzata di una struttura autoricentrante

pata dal sistema ricentrante è minore, ma, in compenso, il sistema ritorna al punto zero-forza/zero-spostamento al termine di ogni ciclo e soprattutto al termine del ter-remoto.

Si possono puntualizzare alcune differenze fondamentali tra l’isteresi autoricentrante e quella elasto-plastica:

- L’energia dissipata da un sistema autoricentrante per ciclo è inferiore, al più la metà, rispetto a quella dissipata per isteresi elasto-plastica;

- L’isteresi autoricentrante presenta cambiamenti di rigidezza più frequenti nel-l’arco di un ciclo non lineare rispetto a quella elasto-plastica;

- L’isteresi autoricentrante ritorna al punto zero-forza/zero-spostamento alla fi-ne di ogni ciclo presentando deformazioni simili in entrambe le direzioni, mentre la plasticizzazione del sistema elasto-plastico avviene generalmente lungo una direzione principale.

La relazione forza-spostamento flag-shaped dei sistemi isteretici ricentranti è sche-matizzata in figura 5.21.

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Figura 5.21: Relazione forza-spostamento ideale per un sistema isteretico autoricentrante

Al modello sono associati due parametri caratteristici indipendenti: il coefficiente di rigidezza post-elasticaα (espresso come rapporto tra la rigidezza di incrudimento e quella iniziale k0) ed il coefficiente di dissipazione dell’energia β. In

particola-re il coefficiente β influisce significativamente sul comportamento e la forma del ciclo: il limite inferioreβ = 0 produce un sistema bilineare elastico, privo di capa-cità dissipative, mentre il limite superiore β = 1 caratterizza un sistema al limite del mantenimento delle capacità ricentranti. Una rappresentazione delle possibili combinazioni diα e β è riportata in figura 5.22.

5.4

Analisi del comportamento meccanico del

dissipatore autoricentrante utilizzato

Il dispositivo dissipativo oggetto di studio consiste in un sistema realizzato inte-ramente in acciaio e appartenente alla categoria dei dissipatori isteretici metallici autoricentranti o SCED.

Il dispositivo combina le capacità di ricentramento garantite dalla presenza di cavi post-tesi con la capacità dell’acciaio di dissipare energia per isteresi una volta supe-rata la soglia di snervamento, esibendo quindi un legame forza-spostamento di tipo flag-shaped.

Il dispositivo è progettato in modo da concentrare le deformazioni e conseguente-mente la dissipazione di energia nei soli elementi dissipativi, appositaconseguente-mente studiati e realizzati con un tipo di acciaio ottimizzato per la prestazione sismica1, mentre le 1Per la validazione sperimentale dell’acciaio citato si rimanda a Braconi A., Morelli F., Salvatore

W. Development, design and experimental validation of a steel self-centering device (SSCD) for seismic protection of buildings, Bulletin of Earthquake Engineering 10 (6), 1915-1941

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Figura 5.22: Variazione della curva flag-shaped in funzione dei parametriα e β

rimanenti parti che costituiscono il dispositivo mantengono un comportamento pu-ramente elastico, sia in fase di compressione che di trazione.

Il dispositivo può essere classificato nella categoria dei displacement activated: esso entra infatti in funzione quando le due parti della struttura a cui è collegato si muo-vono reciprocamente. Durante l’applicazione della forza esterna le singole parti si spostano rispetto alla posizione iniziale di riposo, dando luogo a spostamenti relativi i quali, a loro volta, attivano i cavi post-tesi e gli elementi adibiti alla dissipazione di energia.

Il comportamento del dissipatore è di tipo unidirezionale: le sue componenti si muo-vono assialmente, mentre gli spostamenti nelle direzioni ortogonali all’asse princi-pale sono impediti dalle condizioni di vincolo verso la struttura principrinci-pale.

5.4.1

Configurazione del dispositivo dissipativo autoricentrante

Come mostrato nella figura 5.23, il dissipatore è composto da una serie di elementi in acciaio collegati tra loro in modo da costituire un sistema dal comportamento dissipativo autoricentrante. Il dispositivo è dimensionato in maniera tale da renderlo

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di facile inserimento all’interno di una maglia strutturale. Gli elementi che costituiscono il prototipo del dissipatore sono:

Figura 5.23: Assemblaggio del dispositivo dissipativo autoricentrante

1) Il Telaio esterno (o carter) che svolge la funzione di guida per gli elementi mo-bili interni. Questo elemento ha sezione tubolare rettangolare ed è realizzato con quattro lamiere in acciaio bullonate tra di loro come indicato in figura 5.24. Una delle due estremità è sagomata in maniera tale da consentire il col-legamento a cerniera con la struttura nella quale viene inserito.

All’interno di questo elemento sono inoltre saldate otto flange aventi la du-plice funzione di guidare il telaio mobile interno e di fungere da elementi di contrasto per i piatti di estremità.

Figura 5.24: Carter

2) Il Telaio interno o telaio mobile è realizzato mediante due profili tubolari a sezione quadrata disposti parallelamente tra loro e distanziati alle estremità da due piatti. Lungo tutta la loro estensione questi profili sono mantenuti distanziati da elementi sagomati in maniera tale da permettere lo scorrimento al loro interno del pistone. Questi fungono anche come stabilizzanti laterali dello stesso riducendone la lunghezza di libera inflessione sia in trazione che

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in compressione.

Figura 5.25: Telaio mobile interno

3) I piatti di estremità sono ottenuti mediante lamiere rispettivamente di 50 e 70 mm e sono forati in maniera tale da permettere l’inserimento ed il colle-gamento delle cartucce dissipative. In posizione di riposo questi elementi si trovano a contatto con il telaio mobile e gli elementi di contrasto del carter.

Figura 5.26: Piastre di estremità

4) I cavi post-tesi sono realizzati mediante funi in acciaio e sono inseriti all’in-terno degli elementi tubolari del telaio inall’in-terno e ancorati ai piatti di estremità mediante barra filettata come indicato in figura 5.27.

Figura 5.27: Capocorda cilindrico regolabile con barre filettate di etremità (tecnologia Redaelli Tecna S.p.a.)

5) Gli elementi dissipativi sono realizzati mediante lamiere in acciaio sagomate ad osso di cane come indicato in figura 5.28(a) e opportunamente forate per

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permettere la giunzione ad attrito sia con i piatti di estremità che con il telaio interno. Poiché questi elementi dissipativi sono soggetti a cicli di trazione-compressione anche oltre il limite elastico, sono forniti di un opportuno siste-ma di stabilizzazione laterale (incamiciatura) come quello di figura 5.28(b).

Figura 5.28: Elementi dissipativi e loro incamiciatura

6) Il pistone è costituito da un profilo tubolare a sezione circolare in acciaio. Que-sto elemento presenta le zone di estremità opportunamente studiate per per-mettere il collegamento a cerniera con la struttura da un lato e la giunzione ad attrito con in telaio mobile dall’altro.

Figura 5.29: Pistone

5.4.2

Comportamento meccanico

Per comprendere il comportamento del dispositivo si ipotizza di sottoporlo ad un carico ciclico.

Durante il funzionamento acompressione (figura 5.30(a)) il pistone trasmette l’azio-ne esterna al telaio mobile il quale esercita sulla piastra di estremità di sinistra una forza di contatto che contrasta quella dei cavi post-tesi e, una volta superata la forza di pretensione delle funi, provocano lo spostamento della piastra stessa. Lo sposta-mento relativo tra le due piastre di estremità comporta il distacco tra le superfici del telaio mobile e della piastra di estremità destra. Questo induce la deformazione per trazione degli elementi dissipativi di destra, mentre quelli di sinistra rimangono ancora scarichi.

In fase di scarico si verifica lo snervamento a compressione degli elementi dissipa-tivi di destra precedentemente tesi e si ha il ripristino del contatto tra la piastra di estremità destra e il telaio mobile, ci si trova nuovamente nella posizione di riposo. Sottoponendo adesso il dissipatore ad un carico ditrazione (figura 5.30(c)), il telaio

(23)

Figura 5.30: Comportamento del dispositivo a compressione (a), durante la fase di scarico (b) e a trazione (c)

mobile esercita sulla piastra di estremità di destra una forza di contatto che contra-sta l’azione delle funi post-tese e, una volta superata la forza di pretensione dei cavi, provoca lo spostamento della piastra di estremità destra. Lo spostamento relativo tra le due piastre di estremità comporta il distacco delle superfici del telaio mobile e della piastra di estremità di sinistra con conseguente deformazione degli elementi dissipativi di sinistra.

(24)

Quando si annulla il carico esterno si ha la fase di scarico nella quale gli elementi dissipativi di sinistra si snervano per compressione e si ripristina il contatto tra pia-stra di estremità depia-stra e telaio mobile, tornando nella posizione di riposo.

Il dispositivo è stato progettato in modo tale da concentrare lo snervamento e la conseguente dissipazione dell’energia nei soli elementi dissipativi. Il resto degli elementi è stato progettato per rimanere in campo elastico durante tutto il funzio-namento del dissipatore. In questo modo, terminate le sollecitazioni esterne, l’a-zione autoricentrante dei cavi post-tesi riporta il telaio mobile nella sua posil’a-zione iniziale annullando lo spostamento residuo della struttura e il dissipatore può essere ripristinato semplicemente sostituendo le cartucce dissipative.

5.4.3

Modellazione teorica

Modello meccanico del dissipatore

Per analizzare il comportamento meccanico del dissipatore, le parti che lo costi-tuiscono possono essere schematizzate come molle, ognuna dotata di opportuna rigidezza e legame costitutivo. La rigidezza ki di ogni elemento del dissipatore è calcolata sulla base della relazione fondamentale che descrive il legame elastico:

ki =

EAi

Li

dove:

E è il modulo elastico del materiale; Ai è la sezione trasversale;

Li è la lunghezza dell’elemento considerato.

Il carter viene idealmente diviso in due sezioni, la prima (C1) costituita dalla parte corpo principale compresa tra le 8 flange, la seconda (C2) costituita dalla rimanente parte fino all’ancoraggio con la struttura; di queste, la seconda può considerarsi con rigidezzak = ∞ e la sua influenza può essere quindi trascurata ai fini del calcolo. Una volta definiti i legami costitutivi, è possibile rappresentare il dissipatore come uno schema di molle opportunamente collegate tra loro. In particolare si possono individuare due schemi fondamentali che differiscono leggermente a seconda che il dissipatore funzioni in compressione (figura 5.31) o in trazione (figura 5.32), poiché, come detto precedentemente, nei due casi le forze si trasmettono secondo percorsi diversi all’interno dei vari elementi.

È possibile fare riferimento ai problemi matematici di molle collegate in serie ed in parallelo per risolvere tali schemi ed ottenere per ognuno di essi le rigidezze equivalenti.

(25)

Figura 5.31: Schema a molle del dissipatore durante il comportamento a compressione

Figura 5.32: Schema a molle del dissipatore durante il comportamento a trazione

- Molle connesse in serie: la forza esercitata da ogni molla è la medesima, lo spostamento totale si ottiene come somma dei singoli spostamenti (figura 5.33); la rigidezza equivalente è data da:

Figura 5.33: Schema risolutivo per molle connesse in serie

1 keq =X i 1 ki

(26)

- Molle connesse in parallelo: tutte le molle si allungano della stessa quantità, la forza risultante è data dalla somma delle forze delle singole molle (figura 5.34); la rigidezza equivalente è data semplicemente da:

Figura 5.34: Schema risolutivo per molle connesse in parallelo

keq=

X

i

ki

La risoluzione degli schemi riportati consente di giungere a definire un modello se-mianalitico (Banushi, 2010) che descrive in maniera più che soddisfacente il reale comportamento del dissipatore, ottenendo legami forza-spostamento del tutto

con-Figura 5.35: Diagramma forza-spostamento ottenuto con il modello semianalitico

(27)

I parametri che entrano in gioco nella definizione della curvaF -S sono molteplici; in particolare il comportamento dei cavi post-tesi e degli elementi dissipativi è go-vernato dalle seguenti grandezze:

cavi post-tesi φ = diametro dei cavi APTE = nπφ

2

4 = sezione totale

fyPTE = tensione di snervamento

ρPTE = percentuale di pretensione

fPTE = ρPTEfyPTE = tensione di precompressione

FPTE = APTEfPTE = forza di precompressione

LPTE = lunghezza

EPTE = modulo elastico

dPTE = fyPTE(1−ρPTE) EPTE LPTE Elementi dissipativi ADE = sezione totale fyDE = tensione di snervamento FyDE = ADEfyDE= forza di snervamento

LDE = lunghezza della sezione ridotta

Definizione della curva flag-shaped semplificata

In questo paragrafo si riporta il modello semplificato studiato da Ceccherini C. nel suo lavoro di tesi.

Per procedere alla determinazione della curva F -S è necessario procedere inizial-mente al dimensionamento delle sezioni delle singole parti del dispositivo.

Le sezioni trasversali degli elementi carter, telaio mobile e pistone sono calcolate in modo da impedire fenomeni di instabilità durante l’azione sismica, mentre i cavi post tesi egli elementi dissipativi sono dimensionati in maniera tale da soddisfare la do-manda del sistema a seguito del sisma. Le dimensioni iniziali dei vari elementi sono riassunte in tabella 5.1. Note le rigidezze dei singoli elementi, la curva caratteristica F -S è completamente definita una volta noti i seguenti valori:

- kel= rigidezza del tratto elastico

- kpe = rigidezza del tratto post-elastico

- Fy = forza di snervamento del sistema

- Fu = forza massima incassata dal sistema

(28)

Elemento Ai [mm2] Li [mm] ki[kN/mm]

Carter 1 11088 3700 kC = 629.32

Carter 2 - 690 kC2= ∞

Telaio mobile 1538.72 3500 kTM= 92.32

Pistone 861.55 3500 kP= 51.69

Traversa mobile sinistra 66538 50 kCT = ∞

Traversa mobile destra 60048 70 kCT = ∞

Cavi post tesi 226.19 3500 kPT = 12.67

Cartucce dissipative sinistra 320 170 kDE = 395.29

Cartucce dissipative destra 320 170 kDE = 395.29

Tabella 5.1: Dati dimensionali degli elementi costituenti il prototipo del dissipatore

- du = spostamento massimo raggiunto dal sistema

- α = coefficiente di rigidezza post-elastico - β = coefficienti di dissipazione dell’energia

La base teorica per il dimensionamento del dissipatore è costituita dai due schemi di molle riportati precedentemente nelle figure 5.33 e 5.34, differenti nel caso di carico esterno di compressione o di trazione. In tali schemi le variabili che entrano in gioco sono molteplici, e portano ad ottenere una curvaF -S teorica efficace (figura 5.35) ma nella quale il numero di parametri di influenza è elevato. Per questo motivo in questa fase si sceglie di considerare dei modelli ancora più semplificati di quelli citati in precedenza per calcolare le rigidezze equivalenti e determinare quindi l’inclinazione dei diversi tratti del grafico.

Il primo tratto della curva a partire dall’origine è caratterizzato da un’inclinazione pari akel; questa può essere stimata considerando come schema la molla del pistone

Figura 5.36: Schema semplificato per la valutazione dikel

connessa in serie alle molle del carter e del telaio mobile connesse in parallelo (figura 5.36):

kel=

kP(kC+ kTM)

(29)

Il successivo tratto post-elastico della curva, che parte dal punto di snervamento del sistema, ha inclinazione pari akpe; tuttavia, analizzando come la forza esterna viene

trasmessa ai vari elementi, è possibile distinguere due schemi leggermente differenti nel caso di compressione e di trazione. In entrambi i casi si trascura il contributo degli elementi dissipativi in quanto dopo il primo ciclo di carico risultano snervati.

- compressione: lo schema è dato dalle molle del pistone, dei cavi post-tesi e del carter connesse in serie (figura 5.37):

Figura 5.37: Schema semplificato per la valutazione dikpec

kpec =

kPkPTkC

kPkPT+ kPkC+ kPTkC

- trazione: lo schema è dato dalle molle del pistone, del telaio mobile e dei cavi post-tesi connesse in serie (figura 5.38):

Figura 5.38: Schema semplificato per la valutazione dikpet

kpet =

kPkTMkPT

kPkTM+ kPkPT+ kTMkPT

Come accennato precedentemente si ipotizza che il dissipatore esibisca un compor-tamento identico in fase di trazione e compressione; si può allora stimare la rigidezza del tratto post-elastico come la media dei due valori appena ottenuti:

kpe =

kpec+ kpet

2

I parametri kel ekpe sono caratteristici del comportamento elastico del dissipatore,

in quanto dipendono esclusivamente dalla rigidezza dei componenti che rimangono sempre in campo elastico durante l’azione sismica.

Il passo successivo per la definizione della curva flag-shaped è costituito dalla valu-tazione dei due parametri caratteristici già introdotti in precedenza:

(30)

α: coefficiente di rigidezza post-elastico (post-yielding stiffness coefficient), dato dal rapporto tra la rigidezza del tratto post elastico, che definisce l’inclinazione del secondo tratto della curva:

α = kpe kel

β: coefficiente di dissipazione dell’energia (energy dissipation coefficient), defi-nisce la capacità dissipativa del sistema ed è valutabile come il rapporto tra la forza di snervamento degli elementi dissipativi e la forza per cui si ha il distacco degli elementi di contrasto:

β = FyDE

FPTE

Il parametro β ha come limite inferiore il valore 0.0 che corrisponde ad un siste-ma elastico bilineare senza capacità dissipative e, come limite superiore, 1.0 per il quale si ha la massima dissipazione di energia garantendo le capacità ricentranti del dispositivo; valori di β superiori all’unità corrispondono a sistemi privi di capacità ricentranti.

Considerati i parametri elencati in precedenza, l’espressione diβ può essere scritta in forma estesa come:

β = FyDE

FPTE

= ADEfyDE

APTEρPTEfyPTE

(5.3)

Dalla (5.3) si nota facilmente quali siano i parametri che influiscono direttamente sul valore diβ. Bassi valori della percentuale di pretensione ρPTE comportano un

aumento di β definendo curve F -S più ampie e conseguentemente una maggiore capacità dissipativa del dispositivo. Tuttavia prove sperimentali (Braconi et al. 2012) hanno mostrato come aumentando questo valore si abbia contemporaneamente una riduzione delle capacità ricentranti del sistema; per questo motivo è consigliabile assumere β ≤ 0.9, valore che riesce a garantire comunque buone capacità di ri-centramento. Analizzando la (5.3) si può inoltre notare come, assumendo costanti i valori difyPTE e difyDE, il parametroβ sia influenzato dalla variazione di sezione e

pretensione dei cavi e dalla sezione delle cartucce.

Lo snervamento del sistema Fy rappresenta il limite oltre il quale si ha il cambio

di rigidezza della curvaF -S, dovuto al superamento della forza di precompressione dei cavi post-tesi; il valore di questa forza si può dunque assumere pari alla forza di pretensione dei cavi:

(31)

Lo spostamento dy, in corrispondenza del quale si ha lo snervamento Fy, si può

ricavare facilmente considerando la rigidezza del tratto elastico iniziale della curva F -S:

dy =

Fy

kel

Il massimo spostamento raggiunto dal sistema du si assume pari al massimo allun-gamento dei cavi post-tesi, che è dato dalla relazione:

du = dPTE =

FyPTE(1 − ρPTE)

EPTE

LPTE (5.4)

Risulta evidente dalla (5.4) come la capacità di spostamento possa essere incrementa-ta o diminuiincrementa-ta agendo su diversi parametri; nell’ipotesi in cui si mantengano fisse le caratteristiche meccaniche del materiale (FyPTE eEPTE), il massimo allungamento è

funzione della lunghezza dei caviLPTE e della percentuale di pretensioneρPTE.

In base alle prove sperimentali condotte su un prototipo (Braconi et al. 2012) è emer-so che assumendo un valore diρPTE = 0.50 si riesce a garantire una buona capacità

ricentrante del dispositivo, pur mantenendo buoni livelli di smorzamento equivalen-te della struttura.

Infine la forza massima incassata dal dissipatoreFu è funzione della soglia di

sner-vamento della rigidezza del tratto post-elastico:

Fu = Fy+ [(du− dy)kpe]

Nella procedura proposta saranno mantenute costanti le sezioni trasversali degli elementi carter, telaio mobile, pistone e le dimensioni complessive dei piatti di con-trasto. Infine le caratteristiche dei materiali sono le medesime per tutti i dissipatori, sia per gli elementi dello scheletro, che dei cavi che degli elementi dissipativi (vedi tabella 5.2). Mantenendo fisse tutte le grandezze elencate si limita notevolmente il

Parametro Valore Unità di misura

AC1 11088 mm2 ATM 1539 mm2 AP 862 mm2 ACT 66538 mm2 E 210000 N/mm2 fyPTE 1670 N/mm 2 EPTE 196000 N/mm2 fyDE 240 N/mm 2 LDE 170 mm

(32)

numero di parametri di azione per il dimensionamento dei dissipatori, che si riduco-no a quelli elencati in tabella 5.3. Agendo quindi su questi sei parametri si possoriduco-no

Parametro di input Parametri influenzati

LC1 kel,dy LTM kel,dy LP kel,dy LPTE kpe,α, du,Fu φ kel,kpe,α, Fy,dy ρ Fy,dy ADE β

Tabella 5.3: Parametri modificati durante la procedura di progetto e influenza sui parametri della curvaF -S

ottenere curveF -S adattabili alle esigenze di progetto.

5.4.4

Validazione sperimentale del prototipo

I dispositivi impiegati sono basati su un prototipo ideato, sviluppato e brevettato dal Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Pisa (attualmente Diparti-mento di Ingegneria Civile e Industriale) nell’ambito dei progetti di ricerca europei PRECASTEEL e STEELRETRO. Si illustra di seguito la validazione sperimentale del prototipo (Braconi et al. 2012).

Setup di prova

Il prototipo del dissipatore è stato sottoposto a test di caratterizzazione meccanica presso il Laboratorio Ufficiale per le Esperienze dei Materiali da Costruzione del Di-partimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa. Il setup di prova è schematizzato in figura 5.39.

Il carico esterno è stato applicato con un martinetto idraulico da 400 kN equipag-giato con una cella di carico ed un trasduttore di spostamento. Il martinetto, posto orizzontalmente ad un’altezza di 1395 mm, è collegato da una parte ad un muro di contrasto e dall’altra ad una struttura in acciaio pendolare che permette gli sposta-menti orizzontali. Alla stessa struttura è stato collegato, tramite un giunto a perno, il dispositivo dissipativo, come indicato in figura 5.40(a) L’altra estremità del dissipa-tore è invece collegata, sempre mediante giunto a perno, ad una struttura in acciaio che ne impedisce i movimenti sia in direzione verticale che orizzontale, come indi-cato in figura 5.40(b).

Per poter misurare gli spostamenti, le deformazioni e i carichi durante lo svolgi-mento della prova, sono stati impiegati 8 sensori di spostasvolgi-mento LVDT (Limited

(33)

Figura 5.39: Schematizzazione del setup di prova

Figura 5.40: Collegamenti tramite giunti a perno

Variable Displacement Transducer), 20 estensimetri ed una cella di carico interna al martinetto disposti come in figura 5.41.

(34)

Prove

Sono stati effettuati due tipi di test: il primo tipo di prova è stato effettuato sul dissi-patore sprovvisto degli elementi dissipativi (DE) per poter stimare il valore effettivo della forza di richiamo elastico presente nelle funi (PTE) ed una seconda prova ci-clica sul dissipatore completo degli elementi dissipativi (DE) per la caratterizzazione del comportamento globale del dispositivo.

La prima serie di prove è stata realizzata in controllo di spostamento eseguendo un unico ciclo di carico-scarico in compressione e trazione, imponendo uno spostamen-to del martinetspostamen-to pari a±5 mm.

La seconda serie di prove è stata realizzata usando la Short Testing Procedure indica-ta dall’ECCS (European Convention for Constructional Steelwork, 1986), utilizzando, nella prima parte della prove, degli incrementi di spostamento tra un ciclo e l’altro sufficientemente piccoli (pari a 0.1mm) in modo tale da compiere almeno 4 cicli com-pleti con livelli di spostamento crescenti prima di raggiungere lo snervamento degli elementi dissipativi.

Successivamente allo snervamento degli elementi dissipativi, l’incremento di spo-stamento è stato fissato pari ad 1 mm e per ciascun livello di spospo-stamento sono stati eseguiti 3 cicli, come schematicamente mostrato in figura 5.42. Il valore della

velo-Figura 5.42: Storia di spostamento imposta durante il test di fatica oligociclica

cità di spostamento della testa del martinetto durante la prova è stato fissato pari a 3mm/min.

Risultati

In figura 5.43 sono riportati i risultati ottenuti dal primo tipo di prove, nelle quali si sono utilizzati diversi valori della coppia di serraggio per mettere in tensione i cavi

(35)

Figura 5.43: Diagramma forza-spostamento del dissipatore non equipaggiato con gli elementi dissipativi

(PTE). Lo spostamento riportato è quello misurato tra il carter esterno ed il telaio scorrevole interno (letto dagli induttivi C e D di figura 5.41).

Per ogni valore della coppia di serraggio utilizzata è stata calcolata la forza totale di precompressione esercitata dai cavi attraverso una schematizzazione del comporta-mento mostrato in figura 5.43 con un modello bi-lineare. In particolare, il livello di forza di pre-tensione del PTE si individua come il livello di forza a cui si ha il cam-biamento di rigidezza del sistema. Il tratto iniziale delle curve identifica il comporta-mento a dissipatore chiuso, ovvero quando il cavo PTE comprime tutti gli elementi contenuti nel carter e la zona centrale del carter stesso. Il secondo tratto della curva, in corrispondenza di livelli di forza maggiori alla pre-tensione nel cavo (oppure la pre-compressione negli altri elementi del dissipatore), identifica il comportamento del sistema privo di elementi dissipativi, mostrando perciò un comportamento ela-stico multi-lineare. I risultati ottenuti, e relativi al comportamento sia in trazione che in compressione del dispositivo dissipativo, sono riportati in tabella 5.4.

In figura 5.44 si riporta il risultato della prova ciclica effettuata sul dissipatore com-Diametro fune [mm] Coppia di serraggio [Nm] Forza di pretensione [kN]

Trazione Compressione

12 150 41 49

12 250 66 67

12 300 72 77

Tabella 5.4: Comportamento dei cavi pretesi

pleto degli elementi dissipativi.

(36)

Figura 5.44: Comportamento ciclico del dissipatore equipaggiato con gli elementi dissipativi

sono quelle riportate in tabella 5.5. Si osserva che al termine di ogni ciclo lo

spo-Elementi dissipativi

Numero di elementi 8

Sezione trasversale di ciascun elemento 40mm2

Tensione di snervamento (valore medio) 240N/mm2 Lunghezza zona a sezione ridotta 170 mm

Funi

Numero di elementi 2

Diametro esterno 12 mm

Tensione di snervamento di progetto 1670N/mm2

Lunghezza totale 3500 mm

Coppia di serraggio utilizzata 250 Nm Forza totale di precompressione iniziale 67 kN

Tabella 5.5: Caratteristiche geometriche e meccaniche di funi ed elementi dissipativi utilizzati durante la prova

stamento residuo risulta essere praticamente nullo ed il dissipatore esibisce quindi un’effettiva capacità di ricentraggio. Per ogni livello di spostamento, inoltre, il di-spositivo dissipativo esibisce dei cicli isteretici stabili, assicurando un livello costante di dissipazione dell’energia.

É di interesse notare come l’introduzione degli elementi dissipativi incrementi l’a-rea del ciclo seguendo però la pendenza della curva di riferimento data dal sistema dotato della stessa coppia di serraggio ma senza di essi, figura 5.44.

Figura

Figura 5.2: Uso tipico dei sistemi oscillanti e di costruzioni (multi blocchi) nei templi greci e romani
Figura 5.6: Piante, sezione e prospetto della casa baraccata tratte da Vivenzio Giovanni
Figura 5.8: Portali semplice, con sistema dissipativo e con sistema di isolamento alla base
Figura 5.10: Schema di isolatore elastomerico ad elevato smorzamento
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Riferimenti

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