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1 1.1 Origine genetica 1 Introduzione

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1 Introduzione

1.1 Origine genetica

La reale provenienza geografica del pesco [Prunus persica (L.) Batsch.], e cioè l’ovest della Cina, è stata accertata in epoca recente, ma per molti secoli fu erroneamente ritenuto che venisse dalla Persia dove, invece, giunse verosimilmente solo all’inizio del secondo secolo prima di Cristo, appena prima dell’avanzata dell’esercito romano in quello che rappresenta l’attuale Iran.

In accordo con quanto riportato dalla letteratura latina, il pesco fu introdotto in Italia nel corso nel I sec d.C, e raggiunse la Francia attraverso la via dei Balcani e del Mar Nero.

L’introduzione nel continente americano avvenne secondo due ondate distinte. La prima, nella prima metà del XVI sec., operata dagli spagnoli in Centro America e la seconda, molto più recente, nella metà del 1800, tramite l’importazione diretta dalla Cina negli USA.

Alcuni ecotipi locali, derivati dall’introduzione spagnola, sono tutt’oggi coltivati in Centro America per il mercato fresco e rivestono importanza anche come fonte di caratteri interessanti per il miglioramento genetico, in particolare quelli per la resistenza ad alcune patologie (oidio, monilia ecc.).

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1.2 Aree di coltivazione e produzione in Italia

La coltivazione del pesco è presente su tutto il territorio nazionale, ma due regioni su tutte rivestono un’importanza fondamentale: l’Emilia Romagna con il 22,4% della superficie a pesco e ben il 47,8% della superficie a nettarine e la Campania con il 25,3% delle pesche e il 13,6%, la delle nettarine. Altre importanti regioni sono il Piemonte e il Veneto al Nord, la Sicilia, la Calabria e la Puglia al Sud. Al centro la peschicoltura è maggiormente presente nel Lazio e in Abruzzo. Una differenza riscontrata tra le regioni peschicole settentrionali e quelle meridionali è la maggiore produzione di nettarine delle prime e di pesche nelle seconde. La superficie coltivata a pesco in Italia è diminuita, negli ultimi 10 anni, da circa 80.000 ettari a circa 67.000 ettari; nello stesso periodo le nettarine hanno mantenuto la stessa superficie, pari a circa a 33-34.000 ettari.

Le produzioni hanno un andamento molto più altalenante, risentendo in misura accentuata della variabilità delle condizioni climatiche, ma nell’insieme, la produzione di pesche è in netto calo, mentre quelle delle nettarine è in continuo aumento. La produzione nazionale delle nettarine è fortemente condizionata dalla produzione delle regioni settentrionali mentre più distribuita sul territorio, è quella delle pesche. Quindi è chiaro che la maggior parte della variabilità è data dalle regioni centro-meridionali, proprio perché la peschicoltura meridionale è favorita, oltre che da migliori condizioni climatiche, anche da una maggiore adattabilità delle cultivar (il numero di varietà per il Sud e doppio per il Nord e ciò costituisce un notevole, indubbio vantaggio per i peschicoltori meridionali).

Dal punto di vista commerciale, la produzione italiana è la seguente (fig.1): pesche 45% (38% a polpa gialla, 7% a polpa bianca), nettarine 44% (42% a polpa gialla, 2% a polpa bianca), percoche 11%. La maggior parte delle percoche è

commercializzata come frutto fresco nei mercati centro meridionali e solamente un quarto è trasformato in pesche sciroppate.

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Figura 1: composizione percentuale della produzione interna al mercato italiano

Analizzando la produzione italiana da un punto di vista varietale (fig. 2) si osserva che essa è costituita ancora da una maggioranza di cultivar americane introdotte negli anni ’60 e ’70 e solo alcune negli anni’90. Nessuna delle principali pesche è a polpa bianca e solamente una (Springbelle) è stata selezionata in Italia. Il panorama varietale delle nettarine mostra un maggiore dinamismo, con 4 cultivar (Stark Gold, Springred, Independence, Flavortop) ottenute in California negli anni ’60 e una maggioranza di cultivar italiane (Venus, Caldesi 2000, Sweet Lady, Nectaross, Maria Aurelia, Maria Laura, Maria Carla) selezionate negli anni ’80 e ’90. Tra le nettarine più diffuse, Caldesi 2000 è a polpa bianca. La produzione di percoche è concentrata su un minor numero di cultivar, prevalentemente di origine americana, alcune ottenute in Italia (Tebana, Romea, Adriatica).

percoche 11,4% pesche gialle 38,3% nettarine gialle 41,2% pesche bianche 6,9% nettarine bianche 2,2%

Importanza percentuale delle categorie commerciali sulla produzione complessiva (Fonte : CSO)

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Pesche Nettarine Percoche

1. Springcrest 2. Elegant lady 3. Fayette 4. Maycrest 5. Springbelle 6.Flavocrest 7.Royal Glory 8.Spring Lady 9. Redhaven 10. Rich Lady 11. Royal Gem 12. Suncrest 1. Stark Redgold 2. Venus 3. Big Top 4. Caldesi 5. Springred 6. Independence 7. Sweet Lady 8. Nectaross 9. Maria Aurelia 10. Maria Laura 11. Maria Carla 12. Flavortop 1. Babygold 2. Andross 3. Babygold 6 4. Carson 5. Tebana 6. Romea 7. Jungerman 8. Adriatica

Figura 2: le principali cultivar in produzione secondo l’ordine d’importanza.

1.3 Cultivar diffuse a livello nazionale

L’ampia adattabilità delle specie alle diverse condizioni pedoclimatiche e il vasto programma varietale rendono possibile la sua coltivazione in tutto il territorio nazionale, dall’estremo sud della Sicilia, alle pianure e colline delle regioni pedo-alpine. L’attuale assortimento varietale è costituito dai seguenti gruppi pomologici: pesche e nettarine a polpa gialla, pesche e nettarine a polpa bianca, percoche. I gruppi pomologici delle pesche e nettarine a polpa gialla sono quelli maggiormente evoluti come assortimenti varietali; le cultivar presentano ottime caratteristiche agronomiche e pomologiche dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo. Sono frutti principalmente destinati alla grande distribuzione e all’esportazione, giacché sono in grado di rispondere alle esigenze di commercializzazione, grazie all’elevata consistenza della polpa, la buona conservazione frigorifera e l’ottima resistenza alle manipolazioni e ai trasporti. Per quanto riguarda i gruppi pomologici delle pesche e delle nettarine a polpa bianca, molte di queste sono ancora di tipo tradizionale, caratterizzate da buone caratteristiche

organolettiche (sapore ed aromi particolari), ma spesso di scarsa consistenza, pertanto sono destinate soprattutto ai mercati locali e alla piccola distribuzione. Le percoche sono il gruppo pomologico destinato prevalentemente alla trasformazione industriale,

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solo al sud esiste la tradizione di consumare questi frutti allo stato fresco¸ poche sono le cultivar presenti nel mercato pienamente rispondenti alle esigenze dell’industria, d’altra parte il limitato interesse per questa tipologia di pesche ha generato scarsi stimoli all’introduzione di nuovo materiale genetico. In linea generale, si può affermare che l’ambiente pedoclimatico del nord e del centro Italia è idoneo alla cultivar del pesco e nettarine a maturazione intermedia; mentre nel sud Italia, oltre a queste, è possibile anche la coltivazione delle cultivar precocissime.

Nel nostro paese, la peschicoltura della regione Emilia Romagna è la più consolidata e tecnicamente avanzata e quindi meno passibile di ulteriori sviluppi; più dinamica appare invece la situazione in diverse regioni del sud, dove negli ultimi anni è in atto un costante processo evolutivo che investe sia la categoria delle pesche che quella delle nettarine, nonché le percoche già diffuse da molto tempo con numerose cultivar autoctone, che prevede la comparsa di nuovi e moderni impianti, anche su larga scala; questo fenomeno in crescente aumento prende il nome di ‘meridionalizzazione della coltura’ (Fideghelli, 2003; Mennone et al., 2003).

Le analisi che seguono sulle liste varietali, suddivise per gruppi pomologici esposte nelle successive tabelle, rappresentano una sintesi delle valutazioni delle cultivar consigliate, per grandi aree nel nostro paese dove:

A = comprende le cultivar di interesse generale adatte a grandi aree geografiche e a grandi produzioni; B = cultivar più idonee per particolari ambienti e per produzioni limitate;

C = comprende cultivar promettenti o emergenti;

X = cultivar giudicate negativamente, quindi da non diffondere.

a) Cultivar di pesco a polpa gialla

Le pesche gialle sono il gruppo pomologico che ha registrato la più grande evoluzione; è infatti, a ragione il più ricco sia dal punto di vista dell’assortimento varietale (fig. 3), sia come quantità prodotta a livello nazionale (35%). Il calendario di maturazione di queste cultivar si distribuisce uniformemente in un arco di tempo di circa 4 mesi. Numerose cultivar a maturazione precoce ed intermedia afferiscono alla lista A e B, dotate di elevate caratteristiche agronomiche e pomologiche, come: Rich May (-36), molto diffusa in Italia, i cui frutti di elevata qualità, sono i primi a comparire sui nostri

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mercati, seguita da Maycrest (-30), Springcrest (-25) e Spring Lady (-21) che si adattano bene nelle tre grandi aree del nostro Paese. Nel periodo intermedio si collocano ‘Grenat’ (+14) molto produttiva, di buona pezzatura, con sovracolore esteso su tutto il frutto, elevata consistenza e tenuta della polpa, che è di tipo subacido; Suncrest (+19), una delle tre cultivar studiate in questo lavoro di tesi, che presenta una buona adattabilità e produttività in tutte e tre le macroaree italiane.

Cultivar

Nord Centro Sud

Maturazio ne(*) Lista Maturazio ne(*) Lista Maturazio ne(*) Lista Early Maycrest -35 X -34 B -38 B Quenncrest -34 X -32 B/X -38 B/X

Rich May* -33 A/B -36 B/C -37 A/B

Springcrest -24 A/B -25 A/B -28 A/B

Crimsonlady -19 C -15 C -26 B/C Spring Lady* -19 B/X -20 A -24 A Flavocrest -3 B -3 A -3 A/B RedHaven 0 B 0 B 0 B/C

Red Top +6 X +6 A/B +7 A/B

Summer Rich* +8 B +8 B +7 A/B Maria Marta* +10 B +10 A/B +8 B/C Red Valley* +16 X +16 X +15 A/B Elegant Lady* +18 B +18 A/B +19 A Suncrest +19 B +19 B +20 B/C

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F i g 3 : C u

Figura 3: cultivar di pesche a polpa gialla diffuse in Italia.

Il colore nero indica le cultivar idonee solo per particolari ambienti.

Il colore rosso indica le cultivar appartenenti alla lista A o B, adatte alle grandi aree.

Il colore verde indica le cultivar emergenti, appartenenti alla lista C.

La lettera Y indica le cultivar in corso di sperimentazione, appartenenti alla lista Y.

(*) Epoca di maturazione espressa in giorni + o – rispetto a ‘Redhaven’.

Il simbolo * indica una cultivar protetta.

b) Cultivar di pesco a polpa bianca

Le pesche a polpa bianca rappresentano circa il 20% della produzione totale. Esse comprendono le cultivar tradizionali (Iris Rosso, Mariangela, Duchessa D’Este e Regina di Londra) che presentano problemi sotto il profilo

commerciale a causa della loro insoddisfacente consistenza, buccia sovente poco colorata ed attraente, breve shelf life e pertanto devono essere consumate

rapidamente e relegate soprattutto nei mercati locali. Questa tipologia di pesca però ha suscitato un rinnovato interesse dei consumatori; infatti, la ‘pasta bianca’ è tradizionalmente conosciuta in Italia ed apprezzata per i suoi aromi e profumi particolari. Molto diverse da queste sono le nuove cultivar a polpa bianca che si differenziano dalle precedenti per l’intensa colorazione rossa della buccia, quasi priva di colore di fondo, molto attraenti, ma anche anonime, dal momento che a colpo d’occhio non sono facilmente identificabili e presentano una maggiore consistenza della polpa spesso subacida e caratterizzata da sapore

Summer Lady* +33 C +33 C - - Marylin* +36 X +36 A/Y +36 B/C Padana +40 B/X +40 B +40 X O’Henry +46 X +45 A/B +40 X Guglielmina +57 B/X +58 A +58 A

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piatto e mancanza di aromi. A questa categoria appartengono le cultivar subacide Anita (-18), Felicia (+6), Fidelia (+6), White Lady (+12) e Douceur (+52), che non soddisfano i gusti dei consumatori italiani.

c) Cultivar di nettarine a polpa gialla

Altro gruppo pomologico dove sono avvenute significative innovazioni, intese come rinnovamento varietale, è quello delle nettarine a polpa gialla, che comprende 50 cultivar, ben distinte dal periodo precocissimo a quello tardivo, rappresentando il 27% della produzione nazionale. L’assortimento varietale è caratterizzato da tratti pomologici innovativi; infatti la maggior parte delle cultivar sono dotate di grossa pezzatura, ottima qualità ed elevata conservabilità dei frutti. Più della metà appartengono alle liste A e B e pertanto presentano valide caratteristiche pomologiche. Le cultivar che si adattano al nord sono 22, mentre la maggior parte delle cultivar trova nelle condizioni ambientali del centro sud i migliori risultati quantitativi e qualitativi.

Cultivar

Nord Centro Sud

Maturazio ne(*) Lista Maturazio ne(*) Lista Maturazio ne(*) Lista Gran Sun * - - -30 C -46 C

Rita Star* -17 B -17 B -18 A/B

Supercrimson -10 B -10 B -18 A/B

Big Top* -2 B 0 B -2 A/B

Maria Laura +4 X +3 B +3 B Lydi Star* +23 X +23 X +19 B Maria Aurelia +25 A +26 A +26 A Zee Glo +33 Y +27 C +28 C Mary Star +37 X +35 C +32 B

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Fig 4 cultivar di nettarine a polpa gialla diffuse in Italia

Il colore nero indica le cultivar idonee solo per particolari ambienti.

Il colore rosso indica le cultivar appartenenti alla lista A o B, adatte alle grandi aree.

Il colore verde indica le cultivar emergenti, appartenenti alla lista C.

La lettera Y indica le cultivar in corso di sperimentazione, appartenenti alla lista Y.

(*) Epoca di maturazione espressa in giorni + o – rispetto a ‘Redhaven’.

Il simbolo * indica una cultivar protetta.

- Cultivar oggetto di studio: Big Top (0)

Origine Albero Frutto Giudizio

d’insieme Ottenuta da

F.Zaiger, in California, da incrocio non noto. Diffusa nel 1984 Mediamente vigoroso e regolarmente produttivo Molto grosso, sferico totalmente ricoperto di rosso intenso brillante. Polpa gialla, venata di rosso a maturazione, molto soda, parzialmente spicca, di ottimo sapore, subacida I frutti sono di ottima pezzatura, con una buona consistenza della polpa, anche se sono sensibili alla monilia ed alla ruggine in determinate condizioni favorevoli all’attacco soprattutto nel nord Italia

Fig 5: caratteristiche generali del cultivar di nettarina a polpa gialla oggetto di studio

Sweet Red* +35 A/B +35 B +32 A/B

Maria Dolce* +33 B +33 A/C +32 C Sweet Lady* +40 B +40 B +35 A/C Sparkling Red +42 X +42 B +40 B Lady Erica +45 B +45 B +50 B August Red* +54 C +60 C +54 A/B California - - +70 B +65 B

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d) Cultivar di nettarine a polpa bianca

Il gruppo delle nettarine a polpa bianca è ancora scarsamente rappresentativo comprendendo solo 13 cultivar. Queste assumono scarsa importanza nel panorama varietale e produttivo, incidendo per circa l’8% sulla produzione totale. La più diffusa e affermata e la Caldesi 2000 (-8), che presenta positive caratteristiche agronomiche e pomologiche; la pianta è vigorosa e di elevata produttività, buona la resistenza alle minime termiche, che consente una buona adattabilità al nord e al sud Italia. I risultati ottenuti dal miglioramento genetico per questo gruppo pomologico sono l’introduzione di nuove cultivar come ‘Maria Lucia’ (-20), Neve (-16) e Maria Anna (+18) con frutti di elevata consistenza e sapore, in grado di migliorare lo standard qualitativo verso analoghi risultati ottenuti per il pesco a polpa gialla (elevata consistenza della polpa).

e) Cultivar di percoche

Le liste varietali si concludono con il gruppo pomologico delle percoche, che rappresentano il 10% della produzione totale e comprendono 21 cultivar.

Va evidenziato che al nord, contrariamente a quello che avviene nel sud Italia, i frutti vengono destinati esclusivamente alla trasformazione industriale. Di conseguenza sono pochi gli stimoli all’introduzione di nuovo materiale, se non per particolari periodi del calendario produttivo o per soddisfare le esigenze dei consumatori meridionali, che apprezzano questi frutti essenzialmente per il consumo fresco. L’attuale standard varietale delle percoche è costituito da poche cultivar concentrate nel periodo medio-tardivo, di ampia diffusione e precisamente: ‘Romea’(0), ‘Carson’ (+14) e ‘Andross’ (+32) tra le intermedie; ‘Jungerman’ (+36) e ‘Babygold 9’ (43) tra le tardive.

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Fig 6: principali cultivar di percoche diffuse a livello nazionale

Il colore nero indica le cultivar idonee solo per particolari ambienti.

Il colore rosso indica le cultivar appartenenti alla lista A o B, adatte alle grandi aree.

Il colore verde indica le cultivar emergenti, appartenenti alla lista C.

La lettera Y indica le cultivar in corso di sperimentazione, appartenenti alla lista Y.

(*) Epoca di maturazione espressa in giorni + o – rispetto a ‘Redhaven’.

Il simbolo * indica una cultivar protetta. Cultivar

Nord Centro Sud

Maturazio ne(*) Lista Maturazione( *) Lista Maturazio ne(*) Lista Jonia -21 X -21 B -21 B/C Tirrenia -3 X -3 B -4 B Romea* 0 B +2 A 0 A/B Adriatica* +6 X +6 X +2 B Loadel 0 X +6 B +5 A/B Babygold 6* +7 X +7 X +12 B/C Carson +14 A +14 A +14 A/C Vivian +14 X +18 B +19 B/C Andross +32 A +32 A +30 A Jungerman +36 A +36 A +34 A/B Babygold 9* +45 B/X +43 B +40 A/B

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- Cultivar oggetto di studio: Babygold (+43)

Origine Albero Frutto Giudizio

d’insieme Ottenuta da n. Brunswich nel New Jersey, dall’incrocio ‘P.I. 35201 x UPT-TO-DATE P.I. 43137. Diffusa nel 1961. Elevata vigoria e produttività Grosso, buccia giallo-arancio. Polpa giallo-aranciata chiara, di consistenza elevata e di buon sapore Molto diffusa e coltivata in Italia, è utilizzata prevalentemente per sciroppati industriali. Fig 7: caratteristiche generali del cultivar di percoca oggetto di studio

1.4 Inquadramento

botanico

e

caratteristiche

morfologiche del pesco

L’inquadramento sistematico del pesco è stato un’operazione piuttosto complessa che, nel tempo, ha visto questa specie elencata sotto generi e specie diversi. Bailey, nel 1927, riuscì a definire la classificazione raggruppando tutte le Rosacee che producono drupe sotto il genere Prunus.

Il pesco è stato incluso nella sezione Euamygdalus del sottogenere Amygdalus. P. persica è una specie diploide (2n = 16), che si distingue dall’affine mandorlo (P. dulcis con cui condividerebbe un comune progenitore), in quanto quest’ultimo è caratterizzato da un mesocarpo che a maturazione si presenta sottile e cuoioso (e che, fessurandosi, lascia uscire un endocarpo legnoso) e da foglie lanceolate, con margine dentellato.

Nel pesco il mesocarpo è, invece polposo e le foglie sono lanceolate con il margine normalmente crenato (il margine dentellato si trova associato, come carattere recessivo, all’assenza di glandole). Di seguito si elenca la classificazione botanica:

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Famiglia Sezione Genere Specie

Rosaceae Prunoide Prunus Prunus

persica

Fig 8: classificazione botanica del P. persica

Il pesco è una pianta basitona, considerata di media altezza, può infatti raggiungere 8 m, con medie di 4-6 m. Sono riscontrabili diverse tipologie di portamento, caratterizzate principalmente dall’angolo di inserzione dei rami e dalla lunghezza dell’internodo. La dimensione dell’albero è influenzata, oltre che dal vigore, soprattutto dalla dimensione degli internodi (parametro qualitativo). Il fusto è dritto e liscio-squamoso, con corteccia grigio-rossastra che con il tempo tende a scurirsi. L’apparato radicale è molto ramificato, piuttosto espanso. Le foglie presentano una colorazione verde della pagina superiore più intensa rispetto a quella inferiore e il colore della nervatura principale è associato a quello della polpa del frutto: giallognolo nei frutti a polpa gialla e bianco verdastra nei frutti a polpa bianca. Il pesco ha fiori

ermafroditi e perigini con calice gamosepalo che cade spontaneamente all’inizio dell’ingrossamento del frutticino (allegagione). La corolla, composta da petali separati, si presenta con due fogge distinte: a petali larghi (rosacea) e a petali piccoli (campanulacea, carattere dominante), in cui le antere emergono dalla corolla ancora prima dell’antesi. Comunemente i petali sono cinque, di colore che può variare dal bianco al rosso scuro, anche se, nella maggior parte delle cultivar, il colore dominante è il rosa, in

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1.5 Composizione morfologica del frutto di pesco

Il frutto del pesco è una drupa che si presenta di varie dimensioni a seconda della varietà, generalmente globosa, con epicarpo vellutato o perfettamente glabro; la polpa (mesocarpo) è aromatica e succosa e in alcune varietà si distacca facilmente dal nocciolo, di forma tonda o ovale, spesso terminante in punta spiniforme. Il nocciolo della pesca ha il guscio irregolarmente e tortuosamente solcato e contiene normalmente un seme ovoideo complesso. Ha un peso variabile che va da meno di 50 g nelle piante selvatiche fino a 700 g per le cultivar tardive commerciali e presenta le seguenti caratteristiche morfologiche:

Figura 9: Rappresentazione frutto di pesco

- Epicarpo: sottile e più o meno aderente alla polpa, normalmente è pubescente, mentre quello glabro, tipico delle nettarine , è dovuto a una mutazione verificatasi in Cina e importata in Europa nel XIV secolo.

- Mesocarpo: il fattore qualità nella polpa è condizionato non solo dalla componente aromatica presente, ma anche dal contenuto in zuccheri solubili come glucosio, fruttosio e soprattutto saccarosio (circa il 10-15% nelle pesche commerciali di contenuto zuccherino) e dagli acidi carbossilici (malico, oltre il 50%, citrico e succinico) che possono variare dallo 0.9 ad oltre l’1.6% in peso fresco.

- Endocarpo: si presenta legnoso e incide nella misura del 5-8% sul peso totale del frutto. A maturazione, la polpa può restare aderente all’endocarpo, oppure distaccarsene con facilità (cultivar spiccagnole). Da ricordare che nella struttura

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dell’endocarpo vi è la presenza del glucoside amigdalina il quale determina il sapore amaro e la tossicità dei cotiledoni. L’amigdalina (glucoside cianogenetico) infatti, entra in contatto con l’emulsina (enzima idrolitico) che libera glucosio, benzaldeide dal caratteristico odore di mandorla e acido cianidrico il quale è il vero responsabile dell’azione tossica sul nostro organismo.

1.6 Il ciclo di sviluppo annuale del pesco in rapporto ai fattori

ambientali

a) Dormienza delle gemme

Nel corso del ciclo biologico annuale del pesco le gemme vanno incontro a stati di attività e di latenza che rispecchiano lo stato fisiologico dei meristemi vegetativi e riproduttivi ed i fattori di inibizione che causano la dormienza delle gemme stesse. Dal punto di vista della fenologia della specie in rapporto all’andamento climatico, particolarmente rilevanti sono gli stati di dormienza legati a fattori di inibizione endogena (endo-dormienza) ed ambientali (eco-dormienza) perché entrambi direttamente o indirettamente influenzati dalla temperatura. La temperatura gioca un ruolo fondamentale nel superare la fase di endo-dormienza, la quale fase può essere superata solo dopo che la pianta è stata esposta a temperature moderatamente basse (circa 6°C) per un periodo di tempo specifico. Il tempo di esposizione alla temperatura necessaria per superare la fase di endo-dormienza è definito fabbisogno in freddo ed è considerato un rigoroso fattore di regolazione del ciclo biologico annuale della pianta. Mediante il fabbisogno in freddo, la pianta sincronizza l’alternanza degli stati di crescita e di riposo con le stagioni dell’anno. Se durante il riposo invernale le piante non sono esposte per un periodo di tempo definito a temperature basse, si possono verificare disordini fisiologici quali un ritardo nel risveglio o, nei casi estremi, il mancato germogliamento delle gemme. Se invece il fabbisogno in freddo è soddisfatto per molto tempo, il risveglio della pianta si può verificare con eccessivo anticipo, anche in pieno inverno con il rischio di esporre i fiori e la vegetazione ai ritorni di freddo.

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b) Fioritura e germogliamento

Terminata la dormienza invernale, le gemme rimangono quiescenti fino a quando la temperatura raggiunge livelli favorevoli al risveglio vegetativo. Questo periodo viene definito anche come eco-dormienza, ad indicare che le limitazioni allo sviluppo sono determinate da condizioni ambientali non favorevoli più che da inibizioni endogene (Lang, 1987). Anche la durata di quest’ultimo periodo dipende dalla temperatura, che in questo caso gioca un effetto opposto rispetto a quello descritto per l’endo-dormienza. In particolare, il risveglio della pianta si verifica se la temperatura si mantiene su valori favorevoli alla crescita: temperature moderatamente elevate favoriscono il germogliamento e la fioritura e quindi abbreviano la durata del periodo di eco-dormienza. Come tutti i processi di crescita, la fioritura avviene in maniera più o meno rapida in funzione della temperatura ambiente, con valori ottimali intorno ai 25° C. Così come la endo-dormienza è caratterizzata da un fabbisogno in freddo, in modo analogo, l’eco-dormienza, dal punto di vista termico viene superata a condizione che venga soddisfatto uno specifico fabbisogno in caldo, anch’esso assunto come una caratteristica genetica (Scalabrelli e Couvillon, 1986).

c) Crescita e sviluppo del frutto

Un altro importante evento fenologico nel ciclo annuale del pesco è l’accrescimento e la maturazione dei frutti. Il periodo di sviluppo dei frutti, ovvero l’intervallo di tempo tra la piena fioritura e l’inizio della maturazione, varia infatti, dagli 80 giorni delle cultivar a maturazione extra-precoce (Flordastar) ai 210 di quelle extra-tardive (Tudia) (Caruso et al., 1995; Motis et al., 1996). Di seguito sono elencate le tre fasi principali legate alla crescita e sviluppo del frutto:

• I fase: dalla fecondazione a circa 40 giorni, inizia la microsporogenesi e si verifica una attiva divisione cellulare e un accrescimento rapido del frutto;

• II fase: inizia il processo di indurimento del nocciolo e lo sviluppo dei cotiledoni, l’accrescimento è molto rallentato. Dura da pochi giorni a 2-3 settimane in relazione alla precocità della maturazione;

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• III fase: è caratterizzata da una ripresa di crescita del frutto per distensione cellulare, la durata e la crescita della curva dipendono dall’epoca di maturazione. (D. Avanzato, 1991; Frutticoltura speciale).

Il lasso di tempo che caratterizza ogni fase ha un’ alta variabilità, non solo tra cultivar diverse, ma anche tra cultivar uguali. Infatti la durata dell’intervallo fioritura-maturazione (I fase) per la stessa cultivar, può mostrare differenze anche del 15-20 % tra anni e località diverse, in funzione dell’andamento della temperatura nel corso della stagione primaverile (Batjer e Martin, 1965; Motis et al., 1994). Temperature moderatamente elevate nel corso delle prime fasi, stimolano un aumento del numero di cellule nel frutto (fase di citochinesi) ed una progressione più rapida dello sviluppo e, quindi, un più veloce passaggio allo stadio successivo (indurimento del nocciolo). Anche la durata delle fasi successive è influenzata dalla temperatura ambiente. Alcuni autori (DeJong e Gourdiaan,1989; Marra et al., 2002) hanno rilevato che la data di maturazione è strettamente legata alla data in cui si verifica il passaggio alla II fase (sviluppo del frutto), e sulla base di tale osservazione, hanno messo a punto un metodo di previsione della data di maturazione.

1.7 Componenti chimici e strutturali del frutto

a) Colorazione della buccia e della polpa

Il colore della buccia e della polpa del frutto di pesco, bianco o giallo, sono i criteri più utilizzati nella classificazione delle cultivar di pesco. La pesca a polpa ‘bianca’ è stimata per le sue distinte proprietà legate al flavour e all’aroma (Robertson et al.,1990), sebbene questa categoria è particolarmente suscettibile alle manipolazioni rispetto alle cultivar a polpa ‘gialla’, in cui la maggior presenza in carotenoidi (pigmenti arancioni) riesce a mascherare le ossidazioni derivanti da ammaccature o altri danni meccanici.

Sui lipidi del frutto di pesco vi è poca bibliografia in merito, anche se ad esempio Lessertois e Moneger (1978), hanno studiato la variazione dei pigmenti durante la fase

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di maturazione sulla cultivar ‘Earligro’. Il contenuto di clorofilla a e b e dei carotenoidi sono stati misurati ad intervalli durante la maturazione del frutto. La concentrazione di carotenoidi risulta massima all’inizio della I fase (circa 70 mg.kg.h-1 ) per poi scendere in maniera repentina durante la III fase; solamente in tracce sono presenti nel frutto maturo: b-carotene, cryptoxantina e i suoi epossidi, zeaxantina, anteraxantina, auroxantina sono i carotenoidi più rappresentativi. I livelli di clorofilla sono alti (510mg/kg ) alla fine della I fase, per poi decrescere progressivamente. Infatti la clorofilla del mesocarpo è comunemente usata come indice di maturazione (Delwiche e Baumgardner, 1985).

Le antocianine, i derivati glicosidici delle antocianidine, sono responsabili della gamma di colorazioni cromatiche che vanno dal blu al rosso e sono localizzati dentro i vacuoli cellulari, sia nell’epidermide che nella buccia.

La presenza delle antocianine è indipendente dal colore della buccia, sia bianca che gialla, e dal punto di vista quantitativo è influenzata dalla quantità di luce ricevuta e dallo stato di maturazione, che in questo caso è massima a fine maturazione. Per quanto riguarda il profilo qualitativo, le antocianine sono espresse solo a livello di epidermide e non sono correlate né con la quantità di luce ricevuta né con lo stato di maturazione. Mentre i carotenoidi sono piuttosto stabili al calore, le antocianine sono altamente sensibili e sono soggette a fenomeni di imbrunimento lungo la catena della filiera post-raccolta; questo ha portato alla selezione di cultivar di pesche che presentano nella polpa la mancanza di antocianine. Quando le antocianine sono presenti nella polpa, la loro localizzazione è principalmente definita al di sotto dell’epidermide, anche se sia la quantità, che la distribuzione nel mesocarpo delle antocianine, dipende per la maggior parte dalla cultivar e può variare anche tra stessi frutti posti sullo stesso albero.

b) Composti della polpa che influenzano sapore e aroma

Alcuni composti contribuiscono a dare sapore e aroma alla polpa del frutto di pesco: composti aromatici (volatili), acidi organici, fenoli e zuccheri sono i maggior responsabili di cui si conoscono le indubbie proprietà.

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Tra i composti aromatici volatili (alcoli, aldeidi, esteri, ecc.) che contribuiscono in maniera significativa al tipico aroma della pesca, citiamo i più rappresentativi tra cui l’esanale (superiore 740 mg/L), trans-2-esanale (superiore a 120 mg/L), linalolo ( superiore a 250 mg/L), γ e δ-decalattone (superiore a 130 e 25 mg/L, rispettivamente) sia tra le cultivar a polpa gialla che in quelle a polpa bianca (Robertson et al., 1990). Il frutto del pesco è decisamente acido, rappresentato principalmente dall’acido malico (superiore del 50% tra gli acidi totali), seguito dall’acido citrico, chinico e succinico, con livelli di acidità che vanno dallo 0.9 all’1.6% espressi come acido malico su peso fresco e un pH generalmente al di sotto di 3.5. Durante la fase di maturazione si riscontra una diminuzione di acido malico e un aumento parallelo della concentrazione di acido citrico, anche se in totale la concentrazione di acido diminuisce con un conseguente aumento di pH (Kakiuchi et al., 1981).

Il contenuto zuccherino è generalmente valutato come contenuto dei solidi solubili (SSC) utilizzando come strumento di misura il rifrattometro. Questo valore può essere superiore al 20%, sebbene i valori riscontrati nelle cultivar commerciali si aggirano su valori che vanno dal 9 al 15% (Byrne et al., 1991). Tra i maggior rappresentati del contenuto zuccherino troviamo il saccarosio, con un range di valori tra il 45 e l’80% degli zuccheri totali, seguito dal glucosio, fruttosio e sorbitolo (Bassi e Salli, 1990) anche se vi è un alta variabilità in questi componenti tra le varie cultivar, tali da definire diversi profili aromatici. Dal punto di vista chimico, il pesco come le altre rosaceae, effettua una conversione durante la fase di crescita da sorbitolo a saccarosio (Manolov et al., 1977) e nel frutto maturo, vi è una concentrazione significante di acido galatturonico, che presumibilmente viene prodotto dalla degradazione delle pectine (Ash and reynolds 1954). Tra gli altri zuccheri alcol-solubili vi sono in basse concentrazioni inositolo, mannosio, xilitolo e xilosio. Le pesche definite di bassa qualità possono presentare un profilo zuccherino quattro volte inferiore in contenuto di fruttosio (lo zucchero più dolce nella pesca) e tre volte superiore di sorbitolo il quale comporterebbe un valore di SSC simile alle pesche definite di alta qualità.

Alcune cultivar di pesco presentano un profilo acido basso, denominati low acid (LA) o gruppo delle pesche al miele, diffuse nella zona asiatica nei paesi quali Cina, Giappone,

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Corea, dove queste pesche a carattere marcatamente zuccherino, vengono particolarmente apprezzate dal mercato interno. La caratteristica di questo fenotipo denominato LA, è quella di presentare come detto prima una bassa acidità addirittura dalle due alle quattro volte inferiore alle rispettive cultivar europee o americane (0.4 % contro l’1.4% di acido malico su peso fresco). Il pH del fenotipo LA è intorno a 4, mentre quello delle altre cultivar è generalmente al di sotto di 3.9 e il rapporto tra SSC e acidità titolabile (TA) è addirittura quattro volte superiore nel fenotipo LA. (Yoshida, 1970; Monet, 1979; Ventura et al ., 1995; Moing et al., 1998; Liverani et al., 2003).

I composti fenolici possono giocare un ruolo fondamentale nel profilo sensoriale, visto la loro nota azione ‘astringente’. Quando vengono comparati cultivar definiti di bassa e alta qualità a polpa bianca, Robertson et al (1988) definisce la concentrazione fenolica come un elemento negativo sensoriale (120-140 mg/100g FW). Stranamente, alti contenuti fenolici (superiori a 150 mg), sono stati trovati nelle pesche a polpa bianca di origine locale nel mercato italiano, e la loro valutazione tramite un panel test (Bassi e Salli, 1990) è stata più che soddisfacente. Questa discrepanza di valutazione, può essere interpretata non come un errore di valutazione tra i due gruppi di lavoro, bensì spiegata in termini di profilo aromatico tra le due cultivar. È possibile che l’aroma forte e intenso delle cultivar a polpa bianca italiana abbia mascherato la nota astringente dovuta ai polifenoli presenti, in modo tale da far ritenere quel tipo di cultivar di alta qualità.

Il contenuto polifenolico arriva al culmine durante la I fase per poi scendere lentamente attraverso le successive fasi di crescita (Kumar, 1987). Si stima che il contenuto totale possa variare da 17 al 141 mg% nelle pesche mature. Cultivars di bassa qualità sono distinte da un alto contenuto polifenolico. Dal punto di vista quantitativo i maggior costituenti fenolici sono l’acido clorogenico, epicatechina, catechina, cianidina e alcuni derivati dell’acido caffeico. Componenti minoritari sono il p-idrossifenilacetato, quercitina, miricetina, delfinidina, acido gallico e gentistico (Hermann, 1989; Senter et al., 1989). Non si sono riscontrate variazioni sostanziali durante la fase di maturazione o nella fase comune di stoccaggio in post-raccolta. Nel paragrafo successivo si vedrà come la pianta sintetizza i vari composti fenolici e come essi vengano impiegati nei vari tessuti per difendersi da vari stress biotici ed abiotici.

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Per quanto concerne lo studio degli enzimi che caratterizzano il frutto del pesco, si sono riscontrate molte difficoltà in merito nel caratterizzarle visto il basso contenuto proteico del frutto stesso, la presenza di composti fenolici e l’alto contenuto di pectine solubili che rendono difficoltoso lo studio di questa classe di proteine, e di conseguenza vi è poca bibliografia in merito. Infatti gli enzimi glicolitici, gluconeogenici e mitocondriali sono stati poco studiati a differenza degli enzimi coinvolti nelle fasi di conservazione in post-raccolta, come quelli che danno un contributo all’imbrunimento enzimatico. Durante la fase di sviluppo del frutto, l’attività della saccarosio sintasi (EC 2.4.1.13) e dell’ invertasi (EC 3.2.1.26), decresce relativamente all’aumento in peso del frutto nella fase I fino ad arrivare ad un minimo di attività nella fase II. Nella fase III l’attività della saccarosio sintetasi aumenta con un minimo aumento di attività riscontrata anche nell’invertasi. Dal punto di vista delle polifenossidasi (EC 1.10.3.1) sono state rilevate 4 isoforme (Wong et al.,1971) insieme alla catecolo ossidasi (EC 1.10.3.1) , la laccasi (EC 1.10.3.2) (Harel et al., 1970) e le perossidasi (Flurkey and Jen, 1978) le quali sono state tutte monitorate nella fase di stoccaggio in post-raccolta. Analizzando nel dettaglio le polifenolossidasi esse sono responsabili del fenomeno dell’imbrunimento enzimatico. Danni meccanici a carico delle cellule provocano la fuoriuscita dai vacuoli dei composti polifenolici immagazzinati, cosi da esporli all’azione ossidativa delle PPO. Di conseguenza, si vengono a formare i chinoni i quali polimerizzano per formare pigmenti di colore marrone scuro.

c) Consistenza della polpa

La composizione della parete cellulare influisce significativamente sulla consistenza della polpa. Almeno finora sono state identificate almeno tre diversi fenotipi, anche se non si è riusciti a capire in maniera globale come vengono determinati a livello genico e biochimico durante l’ultima fase di maturazione. I primi due fenotipi, descritti da Bailey e French (1932), sono il fenotipo melting (M) e non-melting (NM). La consistenza delle M mostra un significativo rammollimento nell’ultima fase (fase IV) di maturazione.

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Figura 10: cv Suncrest tipo Melting

Variabilità nella consistenza (o grado di rammollimento) è stato studiato da Yoshida (1976) il quale ha distinto tre sottoclassi: morbido, medio e tenace. Il tipo tenace (firm type, FM), rammollisce in maniera graduale ed è meno suscettibile alle rotture meccaniche durante la manipolazione, così da essere meglio gestito durante tutta la catena post-raccolta, con un conseguente aumento della shelf-life. Inoltre, mostra una concentrazione maggiore di pectine insolubili e di calcio legato alle pareti cellulare.

Il fenotipo NM, denominato anche pesche da trasformazione, mostra una consistenza della polpa anche a maturazione avvenuta, e inizia a perdere consistenza solo nella fase di sovra maturazione senza però rammollire del tutto. Piuttosto, questo fenotipo comincia (dovuto alla cessione d’acqua da parte del frutto) durante la fase di senescenza a diventare più elastico.

Figura 11: cv ‘Babygold’ tipo Non-Melting

La mancanza di rammollimento nelle NM è legato alla mancanza delle endopoligalatturonasi (endoPGase), enzima responsabile della rottura delle pectine (catene di acido poligalatturonico), dove invece è attivo sulle pareti cellulari dei frutti M (Lester et al., 1996).

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I fenotipo M e NM sviluppano un alta quantità di etilene tra la fase III e la fase IV, anche se più abbondante per il fenotipo NM (Mignani et al., 2006). Il fenotipo NM è anche meno suscettibile al fenomeno della farinosità della polpa e ad altri disordini metabolici durante la conservazione a freddo (Brovelli et al., 1998). Recentemente analizzando il locus genico QTL responsabile del fenomeno della farinosità della polpa, è stato rilevato un’ attivazione del locus delle endoPG, confermando l’osservazione soggettiva che questi disordini sono particolarmente rilevanti nei fenotipi M. (Peace et al., 2005).

Il terzo tipo di fenotipo classificato in funzione dell’andamento della consistenza della polpa è stato descritto da Yoshida (1976). Egli li classificò come molto consistenti e croccanti, e le definì ‘stony hard’ (SH), fenotipo appartenente alla

Figura 12: cv tipo Stony Hard

famiglia delle M. Comunque questo fenotipo non rammollisce, infatti ricorda i NM, comincia a diventare elastico durante la fase di senescenza e può essere sia a polpa gialla che bianca. L’unica differenza notevole rispetto alle NM, è la quasi mancanza di produzione di etilene (Goffreda, 1992; Tatsuki et al., 2006), sebbene un aumento di etilene può essere stress-indotto con la conservazione a freddo sotto i 10°C (Gamberini, 2007; Belghedo et al., 2008). Dal punto di vista di parete cellulare le pectine insolubili nella parete cellulare sono abbastanza numerose, come del resto il calcio legato ad esso, sebbene il suo contenuto è abbastanza variabile (Bassi et al., 1998). Dal punto di vista biochimico, la quasi mancanza di produzione di etilene è dovuta alla soppressione (e

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non alla mutazione) dell’1-amminociclopropano-1-acidocarbossilico sintasi (Pp-ACS1), gene enzimatico chiave nel pathway della produzione di etilene. (Tatsuki et al., 2006, 2007). Dal punto di vista pratico, i frutti SH sono a volte difficilmente distinguibili sia dal fenotipo Melting che da quello Non-Melting. La valutazione classica del frutto sull’albero prima della raccolta, quali la valutazione della consistenza e la valutazione organolettica non è sempre realizzabile. Cosi l’unico metodo applicabile per valutare lo stato di maturazione del frutto sull’albero è la misurazione della produzione di etilene (Goffreda, 1992).

Inoltre vi è un possibile 4° caso, il cui fenotipo ricorda molto la polpa delle SH sia per quanto riguarda la consistenza che per la croccantezza, ma quando arriva a completa maturazione, comincia a rammollirsi e a produrre etilene, sebbene in modo imprevedibile anno per anno (I. Mignani, 2007).

Figura 13: cv ‘Big Top’

La consistenza della polpa, più consistente del fenotipo M, è evidenziata da una nuova cultivar sia per le nettarine (‘Big Top’) che nelle classiche pesche (‘Rich Lady’ e ‘ Diamond Princess’). Sono state per la prima volta introdotte in California da produttori privati, e a volte associate come per la cultivar Big Top, ad una bassa acidità.

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1.8 Sostanze nutraceutiche e aspetti nutrizionali

Nel loro naturale sviluppo, le piante devono contrastare gli effetti provocati da una serie di fattori di stress per mantenere il loro stato di salute. Per le piante, le condizioni di stress includono siccità, salinità, carenze nutrizionali, intensa insolazione, condizioni climatiche avverse, inquinanti, patogeni e insetti. A causa del loro stato sessile, le piante devono la loro capacità di sopravvivere a condizioni sfavorevoli alla loro plasticità genomica e alla capacità di stimolare l’attivazione di sistemi di difesa fra i quali la sintesi di numerosi fitochimici. La maggior parte delle sostanze bioattive delle piante sono metaboliti

secondari, non direttamente implicati nello sviluppo, crescita e riproduzione, ma implicate nella difesa e nell’adattamento della pianta all’ambiente in cui si sviluppa.

I prodotti naturali della pianta possono essere sinteticamente ascritti a tre classi principali di composti: fenilpropanoidi, isoprenoidi e alcaloidi,

ampiamente distribuiti nei prodotti di origine vegetale e nelle erbe medicinali.

Nel nostro emisfero la pesca matura nel periodo estivo (da maggio a ottobre, a seconda delle varietà) e, come emerge dai dati statistici, rappresenta il frutto preferito dagli italiani nella stagione calda, con un consumo medio attorno ai 10 kg pro capite. Dal punto di vista sensoriale, le pesche a polpa gialla hanno un sapore gradevole, profumato e più o meno dolce-acidulo, mentre quelle a polpa bianca sono particolarmente profumate, succose, dolci e con gusto aromatico ma sono molto delicate per il loro elevato contenuto in polifenoli, che le rende sensibili allo stress meccanico (ammaccature) e ossidativo (imbrunimento).

Dal punto di vista nutrizionale, la pesca ha un contenuto energetico piuttosto basso (30kcal/100g), ciò ne permette l’utilizzo anche nei regimi dietetici in quanto ricca di sapore ma povera di zuccheri, risulta una buona fonte di fibra solubile, acidi organici, sali minerali e vitamine tra cui : caroteni (provitamina A) e vitamina C. Inoltre ha un bassissimo contenuto di grassi (0.1%) e la quasi assenza di sodio. Le pesche contengono in media: 90% di acqua, 6% di zuccheri semplici (saccarosio e fruttosio), 0.8% di

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proteine, 0.1% di grassi, 1.6% di fibra, 0.7% di acidi liberi (acido malico, citrico e chinico), 0.3% di ceneri (sali minerali). Nella tabella successiva vi è un riepilogo totale di tutti i principali componenti del frutto di pesco.

Figura 10: composizione chimica e valore energetico della pesca fresca, senza la buccia

Dal punto di vista dei composti bioattivi e nutraceutici il frutto del pesco contiene numerose sostanze che rivestono questa importante funzione come ad esempio le fibre della polpa (circa 2g/100g), componente non nutriente in quanto non digeribile ma che svolge un effetto protettivo sull’organismo regolando il tempo di transito intestinale del bolo alimentare e regola il corretto assorbimento di alcuni nutrienti quali il glucosio e il colesterolo. Contiene inoltre acidi organici (0.5-0.7%) che contribuiscono non solo a definire le proprietà organolettiche della pesca ma anche gli effetti salutistici. Sono importanti per la loro azione regolatrice sull’equilibrio acido-base del sangue e sulla tipologia di microrganismi che popolano la flora batterica intestinale. La pesca ha in comune con altri frutti ed ortaggi, diverse sostanze con attività antiossidante, in grado cioè di proteggere l’organismo dai danni ossidativi riconducibili all’azione dei radicali liberi. Oltre alla ben nota vitamina C, contiene alcuni composti organici detti phytochemicals (presenti in quantità dell’ordine dei mg), che sono particolarmente attivi nella difesa dagli agenti ossidanti. Tra questi ricordiamo i carotenoidi che danno colore alla polpa, e i polifenoli localizzati quasi esclusivamente nella buccia. Dal punto di vista salutistico, questi composti antiossidanti agiscono neutralizzando i composti radicalici di varia natura prodotti anche dalla flora batterica intestinale, sia potenziando le difese

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del sangue nei confronti delle scorie del metabolismo cellulare. Il meccanismo d’azione dei phytochemicals si esplica, sia attraverso la neutralizzazione dei radicali dell’ossigeno che attraverso la rimozione dei metalli pro-ossidanti, consentendo la protezione dal rischio ossidativo delle biomolecole più esposte quali gli acidi grassi polinsaturi, le catene laterali delle proteine (amminoacidi aromatici) e gli acidi nucleici. Il risultato è l’attenuazione dello stress ossidativo e la protezione dell’organismo dall’insorgenza delle patologie cardiovascolari, oncologiche, degenerative del sistema nervoso, dell’invecchiamento precoce e della spermatogenesi. E’ importante sottolineare quanto sia importante l’effetto sinergico tra vitamine (C ed E) e polifenoli i quali inducono un attività antineoplastica secondo diversi meccanismi, tra i quali: induzione della biosintesi di enzimi detossificanti, inibizione della formazione di nitrosammine, diluizione e neutralizzazione di sostanze cancerogene nel tratto intestinale, interazione con l’equilibrio ormonale (fitoestrogeni), potenziamento dell’attività antiossidante della vitamina C ed E.

1.9 Profili sensoriali nel frutto di pesco

Grazie alle considerevoli realizzazioni dei programmi di miglioramento genetico e a un rinnovamento varietale che non si trova in altre specie frutticole, la pesca occupa sicuramente anche uno dei primissimi posti in termini di molteplicità per soddisfare i palati più esigenti e curiosi.

Già di base appartengono all’Universo Pesca cinque distinti gruppi pomologici, caratterizzati da pesche e nettarine sia a polpa gialla che bianca e percoche. Tra questi gruppi gli aspetti sensoriali sono ben differenziati, con le nettarine che puntano sulla freschezza della polpa croccante, le pesche su una polpa fondente, tendenzialmente fibrosa e molto succosa, le percoche su componenti aromatiche ‘classiche’ che danno sapore di ‘antico’. Tra i frutti a polpa gialla o bianca sono poi sensibili le differenze negli aromi, le prime con note più delicate. Per ogni tipologia la descrizione del sapore dovrebbe considerare una gamma estesa di combinazioni tra dolcezza e acidità, in grado di soddisfare i gusti di ogni tipo di palato. Si trovano cultivar con elevati gradi zuccherini (anche con più di 15°Brix) per gli amanti dei frutti dolci. Frutti equilibrati,

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aciduli, subacidi (con basso contenuto di acidità) sono in grado di andare incontro a ogni preferenza, offrendo opportunità di scelte e di continuità o di cambiamento nel corso della stagione.

Spesso però ci sono dei vincoli produttivi legati alla data di raccolta anticipata, in generale però i frutti divengono più aromatici ritardando la data di raccolta; questi aspetti possono essere modulati, in modo da non penalizzare i produttori, fornendo comunque ai consumatori un prodotto valido.

L’analisi sensoriale è un valido strumento per il controllo qualità del frutto di pesco, dove sono valutati i principali caratteri gustative della cultivar, quali consistenza, succosità, dolcezza, acidità, aromaticità, astringenza, amaro, aroma e caratteristiche specifiche, o difetti, della polpa quali fibrosità o farinosità. L’analisi sensoriale, quindi, è in grado di definire le caratteristiche gustative del cultivar, a volte simili esternamente, tuttavia dotate di aspetti sensoriali diversi.

Anche la tipicità dei prodotti può essere analizzata confrontando frutti provenienti da diverse aree produttive, per la valorizzazione di prodotti di eccellenza. Un aspetto di grande importanza commerciale è indubbiamente la shelf-life e anche in riferimento a questo aspetto la valutazione sensoriale è importante.

Entrando nello specifico, i protagonisti dell’aroma della pesca sono i cosidetti ‘lattoni’. In particolare i γ- e δ-decalattoni sono risultati i composti di impatto, quelli cioè che conferiscono l’aroma tipico di pesca. Sono esteri ciclici, ovvero la loro molecola forma un anello e, come gli esteri tipici dell’aroma della pera e della mela, derivano per degradazione enzimatica degli acidi grassi della pesca. Tali composti vengono

ampiamente utilizzati per aromatizzare al gusto di pesca sia bevande sia caramelle, yogurt e altri prodotti. I lattoni infatti sono avvertiti dal nostro naso anche a

concentrazioni bassissime, ragion per cui sono sufficenti pochi microgrammi di γ-decalattone per conferire a i cibi e bevande il tipico aroma di pesca.

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I lattoni svolgono un ruolo importante nell’aroma di pesca, ma agiscono di concerto con altri composti odorosi. Infatti l’aroma di pesca è considerato una risposta integrata del sistema olfattivo a una serie diversa di composti quali aldeidi a sei atomi di carbonio (esenale, trans-2-esenale), benzaldeide, alcoli alifatici e terpenici come il linalolo ed esteri quali per esempio cis e trans esenil-acetato, ognuno con un suo proprio profumo. Il linalolo, come anche altri monoterpeni alcolici, presenti in tracce nell’aroma della pesca, si ritrova anche nell’aroma di frutti quali albicocca o l’uva moscato. Nell’aroma della pesca si trovano anche alcuni derivati dei carotenoidi (norisoprenoidi), che sono normalmente presenti anche nella fragola e nel vino invecchiato.

Ma quali sono i profumi che questi singoli composti conferiscono, creando quello che percepiamo come aroma complessivo di pesca? Le note odorose dei lattoni sono state descritte in esperimenti di sniffing con esperti annusatori come ‘frutto tropicale’ in alcuni casi cocco, liquore e pesca. Il γ-lattone sembra sia maggiormente caratterizzato da un odore di pesca, mentre il δ-lattone da aroma di cocco. La benzaldeide è un composto interessante perché ha un odore inconfondibile di mandorla amara. È presente nei frutti freschi di pesca come anche nei frutti in scatola. Il linalolo è una sostanza che nel complesso conferisce una nota floreale, verso il coriandolo e la pesca. I composti aldeidici a sei atomi di carbonio (composti C6) si caratterizzano per avere odori erbacei vegetali. I norisoprenoidi hanno un forte potere aromatico floreale e fruttato grazie alla bassa soglia di percezione.

Aromi quali aldeidi, alcoli ed esteri a 6 atomi di carbonio, responsabili delle note odorose di verde, sono risultati più abbondanti nella buccia che nella polpa. Altri composti quali gli alcoli terpenici sono 2-3 volte più alti nella buccia che nella polpa, come pure i C13 norisoprenoidi che derivano dalla degradazione dei carotenoidi. È invece che proprio nella polpa che i lattoni profumati di pesca trovano la loro sede preferenziale. Infatti l’aroma cambia a seconda se assaggiamo la parte esterna della polpa rispetto a quella più interna vicino al picciolo, e così anche se assaggiamo la parte interna della polpa percepiremo un profumo più completo dato sia da una maggiore concentrazione dei composti a 6 atomi di carbonio quali le aldeidi esanale e trans-2-esanale, caratterizzate da odori erbacei, ma anche di C13-norisoprenoidi, benzaldeide e

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γ-lattoni responsabili di note fruttate. Quando invece degustiamo la parte superiore della polpa di una pesca avvertiamo maggiormente il profumo di pesca perché alcuni lattoni sono più concentrati in tale zona rispetto alla parte inferiore del frutto. Assaggiando la parte inferiore della polpa della pesca, avvertiremo invece profumi più vegetali in quanto in tale parte del frutto sono maggiormente presenti gli aromi, quali esanale e trans-2-esanale, responsabili di tali note.

Se i lattoni, come i γ-lattoni, sono i composti responsabili dell’odore tipico di pesca, l’eredità genetica delle cultivar si manifesta nel profilo terpenico: sono infatti composti quali monoterpeni ed esteri le note che distinguono una varietà di pesca da un’altra. In alcune cultivar il composto linalolo è presente in quantità basse (1% del totale degli aromi; Favette e Springcrest) ed è addirittura assente in altre cultivar (cv Cardinal). Mentre in altre ancora la sua quantità è maggiore: Red Top (3%), Early Spring (8%).

La formazione degli aromi in un frutto è un processo dinamico, durante il quale la concentrazione dei composti volatili cambia sia qualitativamente sia quantitativamente. In particolare, con la maturazione del frutto avviene un notevole cambiamento all’aroma della pesca: durante la maturazione si osserva una graduale perdita di organizzazione strutturale a livello delle cellule, che permette ai numerosi enzimi di agire su diversi substrati (lipidi, amminoacidi, zuccheri), dando origine a molecole volatili caratterizzate da significative proprietà olfattive-sensoriali. L’aroma che percepiamo quando mangiamo una pesca acerba è dato da composti a 6 atomi di carbonio, che sono responsabili di quelle note verdi (erba tagliata, foglie, frutti non completamente maturi), mentre quando assaggiamo una pesca al giusto grado di maturazione sono composti come i lattoni, la benzaldeide e il linalolo che vanno a creare quella sensazione di prelibatezza che proviamo nella degustazione di una pesca. Allo stesso tempo una pesca sovramatura contiene una minore concentrazione di aromi rispetto a un frutto raccolto al giusto grado di maturazione.

Gli aromi rappresentano così una sorta di marcatori ad alta definizione, che descrivono la pesca lungo tutta la filiera, dal campo alla tavola del consumatore, consentendo di verificarne e ottimizzare la qualità, oltre a identificare anomalie correlabili a fenomeni e processi degradativi. È proprio per questa sua proprietà informativa che il profilo

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aromatico, inteso come composti aromatici presenti in determinati rapporti, concentrazioni e con determinati poteri olfattivi, rappresenta una sorta di carta d’identità o impronta digitale che ci consente di riconoscere una cv di pesca con elevata precisione.

1.10Polifenoli nel frutto di pesco

La via dell’acido scichimico è comunemente denominata la via degli aminoacidi aromatici, anche se non tutti gli aminoacidi aromatici vengono sintetizzati soltanto tramite questo processo. La via dell’acido scichimico è presente nei batteri, nei funghi e nelle piante, ma è assente negli animali monogastrici per i quali è necessario introdurre tramite la dieta gli aminoacidi aromatici essenziali quali la fenilalanina e triptofano. Nelle piante gli aminoacidi aromatici sintetizzati non sono utilizzati solo per la sintesi proteica ma anche come substrati per una grande quantità di metaboliti secondari. La funzione dei derivati della via dell’acido scichimico è molteplice e va dalla protezione dagli agenti atmosferici, come le radiazioni UV, ai composti chimici di difesa contro erbivori e patogeni. Comunque il maggiore impiego riguarda la sintesi della lignina. In generale la via prende il nome da un intermedio metabolico che si forma per unione del fosfoenolpiruvato (PEP) e dell’eritroso-4-fosfato (E4P). Si può considerare la biosintesi degli aminoacidi aromatici suddividendola in due parti:

1. la via dell’acido scichimico, che partendo dall’E4P e dal PEP porta all’acido corismico;

2. la trasformazione dell’acido corismico nei tre aminoacidi aromatici Phe, Tyr e Trp.

La figura 12 illustra i sette passaggi fondamentali di questa via.

La prima reazione riguarda la condensazione di una molecola dell’intermedio della glicolisi PEP con un intermedio della via dei pentosi fosfati E4P per formare il composto eterociclico 3-idrossi-D-arabino-eptulosonico-7-fosfato (DAHP), che possiamo considerare derivato del 2-deossi-D-glucosio-6-fosfato. Questo primo

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passaggio è catalizzato dalla DAHP sintasi.

Il secondo passaggio consiste nella trasformazione dell’eterociclo contenente ossigeno del DAHP, nel cicloesano variamente sostituito rappresentato dall’acido 3-deidrochinico. Questa reazione è resa possibile dall’intervento della 3-deidrochinato sintasi, un enzima per la cui attività sono richiesti NAD+ e un catione divalente.

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Nelle piante il terzo e il quarto passaggio della via dell’acido scichimico sono catalizzati da un enzima bifunzionale costituito da un singolo polipeptide in cui vengono svolte le attività sia della 3-deidrochinato deidratasi, che trasforma l’acido 3-deidrochinico in acido 3-deidroscichimico, che della scichimato deidrogenasi che converte l’acido 3- deidroscichimico in acido scichimico. Il quinto enzima coinvolto nella via biosintetica è la 5-enolpiruvilscichimato 3-fosfato sintasi (EPSP sintasi) che causa la formazione reversibile del composto da cui prende il nome e di fosfato inorganico, a partire dallo

scichimato 3-fosfato e dal PEP. L’ultimo passaggio nella via dell’acido scichimico riguarda la formazione dell’acido

corismico tramite l’eliminazione del fosfato dall’EPSP operata dall’enzima corismato sintasi. Il termine “corismico” deriva dal greco e significa “forca” o biforcazione. In effetti esiste un bivio metabolico che divide il pool di acido corismico in due vie: una verso la sintesi di Phe e tyr e l’altra verso quella del Trp. Il primo enzima che agisce nella via di produzione della Phe e della Tyr è la corismato mutasi, che trasforma l’acido corismico in acido prefenico.

Figura 13: Via biosintetica dall’acido corismico agli aminoacidi aromatici fenilalanina e tirosina

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L’acido prefenico viene quindi transaminato dalla prefenato amminotransferasi, per formare acido arogenico. A questo punto non si è ancora formato l’anello aromatico e occorrono una decarbossilazione e la perdita di una molecola d’acqua, operata dalla arogenato deidratasi, per formare la Phe e una decarbossilazione ed una riduzione, operate dalla arogenato deidrogenasi, per formare la Tyr. L’attività della arogenato deidratasi è competitivamente inibita dalla Phe ed è stimolata dalla Tyr, mentre l’arogenato deidrogenasi sembra essere inibita dalla Tyr. La via di biosintesi del Trp è più complessa in quanto prevede la formazione dell’anello indolico (Figura 14). Il primo enzima coinvolto è l’antranilato sintasi, che utilizza un donatore di amminogruppi (di solito glutammina) per trasformare l’acido corismico nell’acido aromatico acido antranilico.

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Figura 14: Via biosintetica che dall’acido corismico porta al triptofano

La antranilato fosforibosil transferasi catalizza il trasferimento di un frammento fosforibosilico del fosforibosilfosfato sull’antranilato. Nel passaggio seguente, che è essenzialmente irreversibile, la fosforibosil antranilato isomerasi porta al riarrangiamento della struttura furanica del ribosio e trasforma il fosforibosil antranilato nel composto 1-(O-carbossifenilammino)-1-deossiribulosio-5-fosfato (CdRP). Questa molecola è il substrato della reazione successsiva che, tramite l’azione della indol-3-glicerofosfato sintasi, porta alla formazione dell’anello indolico della molecola denominata indol-3-glicerofosfato. Il complesso della triptofano sintasi catalizza gli ultimi due passaggi nella via che porta al Trp. La triptofano sintasi α catalizza la

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conversione dell’indol-3-glicerofosfato in indolo, mentre la subunità ß porta alla definitiva formazione dell’aminoacido a partire dall’indolo e dalla serina.

1.10.1 La biosintesi dei fenoli semplici

Il termine fenolico viene comunemente utilizzato per descrivere tutti quei composti organici che possiedono uno o più gruppi sostituenti ossidrilici (OH) legati ad un anello aromatico. Una caratteristica importante di questi composti è la loro acidità, dovuta alla facilità di rottura del legame tra l’ossigeno e l’idrogeno che forma il corrispondente ione negativo detto fenossido. Le proprietà più importanti dei fenoli comprendono:

- la capacità dello ione fenossido di delocalizzare la carica negativa e di formare anioni emichinonici in cui la carica risulta sul carbonio anziché sull’ossigeno;

- la possibilità dello ione di perdere un altro elettrone e di formare il radicale corrispondente;

- l’abilità dei fenoli di formare ponti idrogeno con altre molecole.

La Phe prodotta durante le reazioni appena descritte viene utilizzata, oltre che per la sintesi di proteine, anche attraverso la sua deaminazione, per la produzione di acido trans-cinnammico. Tale reazione è catalizzata dall’enzima fenilalanina ammonio liasi (PAL). In alcuni casi, soprattutto in alcune graminacee, l’enzima può agire anche utilizzando la Tyr come substrato, in questo caso si forma acido trans-p-cumarico e l’enzima viene definito tirosina ammonio liasi (TAL) (Figura 15). L’acido cinnammico va incontro a diverse sostituzioni dell’anello aromatico, che tramite idrossilazioni e metilazioni portano alla sintesi dei cosiddetti acidi cinnammici p-idrossilati. Numerosi composti derivano dall’acido cinnammico: alcoli, esteri e ammidi cinnamiliche, cumarine, ma anche molecole più complesse come flavonoidi e xantoni, come anche molecole molto più semplici come acidi benzoici e fenoli semplici.

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Figura 15: Formazione degli acidi trans-p-cumarico e trans-cinnammico a partire rispettivamente dalla

Tirosina e dalla Fenilalanina (Maffei, 1998)

1.10.2 La biosintesi dei fenoli complessi: i flavonoidi

I flavonoidi, prodotti naturali ampiamente distribuiti nelle piante, sono formati da due anelli aromatici tenuti insieme da un ponte a tre atomi di carbonio. Sono composti polifenolici, principalmente idrosolubili, di solito presenti nella pianta come glucosidi, che hanno come precursori per la sintesi il malonil-CoA ed il p-cumaril-CoA. Il loro nome deriva da flavus (giallo) riferendosi al ruolo che giocano come pigmenti vegetali. I flavonoidi infatti, sono essenziali per la riproduzione delle piante in quanto sono in grado di attrarre gli insetti impollinatori e propagatori di semi. Tuttavia la colorazione che donano ai tessuti vegetali varia in funzione del pH. I pigmenti blu si formano per chelazione con certi ioni metallici (ad esempio Fe(III) o Al(III) ) mentre un gruppo specifico di flavonoidi, le antocianine, è responsabile per i colori rosso, blu e violetto. Oltre alle loro importanti funzioni legate alle strategie riproduttive, i flavonoidi sono particolarmente utili all’uomo sia per i loro impieghi in medicina sia per i loro effetti sull’ecosistema agricolo (esercitano un effetto sulle associazioni simbiontiche sia micorriziche che azoto-fissatrici che agiscono direttamente sulla nutrizione fosforica e

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azotata della pianta). I flavonoidi assorbono fortemente la radiazione ultravioletta e il loro accumulo nell’epidermide delle foglie ne suggerisce una funzione specifica di protezione del danno che questo tipo di radiazioni causano al DNA delle cellule. I flavonoidi giocano un ruolo essenziale anche nello sviluppo del polline, in quanto in grado di generare un gradiente di concentrazione nel pistillo capace di guidare il tubetto pollinico verso l’ovario. Esistono sei classi principali di flavonoidi: i calconi, i flavanoni, i flavoni, i flavonoli, le antocianidine e gli isoflavoni. Il primo step della biosintesi dei flavonoidi consiste nella conversione dell’acetil-CoA in malonil-CoA, reazione catalizzata dall’enzima acetil-CoA carbossilasi. Tre molecole di malonil-CoA vengono condensate con una molecola di 4-cumaril-CoA tramite la calcone sintasi (CHS) (Figura 16). Per quanto riguarda il meccanismo di ciclizzazione non si è ancora stabilito se si tratti di una reazione spontanea o se sia catalizzata da una ciclasi specifica; la reazione comunque prevede una serie di riduzioni dei gruppi chetonici ad alcoli secondari. La chiusura dell’anello eterociclico centrale prevede una serie di reazioni tra cui la più conosciuta è catalizzata dall’ enzima calcone isomerasi (CHI), la quale promuove in particolare l’isomerizzazione del composto colorato in giallo 4,2’,4’,6’-tetraidrossicalcone nel composto incolore naringenina (flavanone). La naringenina formatasi viene convertita in diidrossicanferolo (DHK) grazie alla flavanone 3-idrossilasi (F3H). Il DHK funge da substrato per la sintesi dei flavonoli e delle antocianidine. La riduzione del DHK, operata dalla flavonol sintasi (FLS) porta alla sintesi del flavonolo canferolo, mentre le ossidrilazioni catalizzate dalla flavonoide 3’- idrossilasi (F3’H) e dalla flavonoide 3’-5’- idrossilasi (F3’5’H) portano rispettivamente alla diidroquercitina (che verrà trasformata dalla FLS nel flavonolo quercetina) e alla diidromiricetina, che tramite la catalisi della FLS porta ad un altro flavonolo, la miricetina. Occorrono almeno tre altri enzimi per trasformare i diidroflavonoli incolori in antocianidine ed antocianine colorate.

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Figura 16: Via di biosintesi dei flavonoidi

Il primo enzima, la diidroflavonol 4-reduttasi (DFR), catalizza la riduzione deidiidroflavonoli in leucoantocianidine; ulteriori processi di ossidazione sono

Figura

Figura 1: composizione percentuale della produzione interna al mercato italiano
Figura 3: cultivar di pesche a polpa gialla diffuse in Italia .
Fig 4 cultivar di nettarine a polpa gialla diffuse in Italia
Fig 6: principali cultivar di percoche diffuse a livello nazionale
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