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CAPITOLO I L’ INDUSTRIA CONCIARIA E IL DISTRETTO INDUSTRIALE

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CAPITOLO I

L’ INDUSTRIA CONCIARIA E IL DISTRETTO INDUSTRIALE

1.1 L’industria conciaria

L’industria conciaria è il settore industriale che produce pelli e cuoio utilizzando la pelle animale grezza proveniente dalla macellazione.

Lo scopo della concia è far sì che, per mezzo di processi fisici, la pelle mantenga le peculiarità tipiche presenti quando il relativo animale era ancora in vita, quali resistenza, elasticità, impermeabilità, ecc., nonché conferire alla stessa caratteristiche aggiuntive, stabilite dall’azienda o dal mercato, in relazione alla sua destinazione in termini di prodotto1.

La lavorazione della pelle è uno dei settori produttivi più antichi del mondo. Già l'uomo preistorico si accorse che la pelle degli animali, che cacciava per alimentarsi, poteva servirgli come protezione dagli agenti atmosferici. L'attività conciaria è, dunque, antica quanto l'uomo e questo aiuta a comprendere perché ancora oggi l’essere umano ha un rapporto molto intenso con il cuoio e la pelle, utilizzati come materia prima in diversi ambiti, dall’arredamento alla moda.

Nel successivo paragrafo viene fornita una fotografia dell’industria conciaria italiana, che mostra i dati relativi a produzione, per tipologia ed uso, commercio estero e principali regioni produttrici, per l’anno 2015.

I dati sono stati ripresi dal Rapporto di Sostenibilità 2015 elaborato e pubblicato, come ogni anno a partire dal 2006, dall’UNIC (Unione Nazionale Industria Conciaria), la più importante associazione a livello mondiale degli industriali conciari, che dal 1946 opera a tutela del settore ed è la capofila di un gruppo di società impegnate in campo fieristico, scientifico, stilistico, normativo, finanziario, editoriale e della certificazione2.

1 Giannini M., Turini V., op. cit., p. 129.

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1.1.1 L’industria conciaria italiana

L’industria conciaria italiana è considerata da sempre leader mondiale per l’elevato sviluppo tecnologico e qualitativo, lo spiccato impegno ambientale e la capacità innovativa in termini di contenuti stilistici.

Essa è composta soprattutto da piccole e medie imprese. Nel 2015 si contavano 1.243 imprese che impiegavano 17.824 addetti, con una produzione pari a 124 milioni di metri quadri di pelle finita, per un valore complessivo di 5,2 miliardi di euro, rappresentante il 65% del totale europeo e il 19% di quello mondiale.

Le principali tipologie di pelle lavorate dalle concerie italiane sono quelle di origine: • bovina: tipologia di pelle adatta alla produzione di quasi tutti i tipi di pellami;

rappresenta il 79% del totale di pelle lavorata in Italia;

• ovina: tipologia di pelle molto morbida, ma poco resistente, generalmente usata nell’abbigliamento e nella pelletteria fine (guanteria);

• caprina: tipologia di pelle leggera, elastica e resistente, particolarmente impiegata nel settore calzaturiero.

Considerate insieme, le pelli di origine ovicaprina rappresentano il 20% del totale della pelle lavorata nel nostro Paese.

Le altre specie (suini, rettili, cervi, canguri, ecc.) contano per meno dell’1%.

Nella tabella che segue (Tabella 1.1) sono riportati i dati, per volume e valore, relativi alla produzione della pelle per le diverse tipologie di animale.

2015 Volume Valore (mln mq) (mln euro) Pelli bovine 87,5 3.463,80 Pelli vitelline 9,9 538,3 13,7 490,1 12 392 0,6 123,9 123,6 5.008,20 TOTALE Fonte: UNIC

Tabella 1.1 - Produzione per tipologia animale

Pelli ovine Pelli caprine Pelli di altri animali

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La maggior parte della materia prima (pelli grezze, recuperate dalla filiera alimentare, e pelli semilavorate wet blue3 e crust4) viene importata, in quanto gli allevamenti italiani di bovini

ed ovicaprini coprono meno del 10% del fabbisogno complessivo delle concerie nazionali (7% nel 2015).

Nel 2015, sono state importate 779 mila tonnellate di pelli grezze o semilavorate. L’area UE è il principale bacino di approvvigionamento per il settore, con un’incidenza del 53% dell’import complessivo. Seguono America Latina (21%), Africa/Medio Oriente (8%), Paesi Nafta dell’America centro-settentrionale (6%), Oceania (6%), area russo-balcanica e Asia (entrambe con una quota del 3%).

Il principale cliente delle concerie italiane è la filiera della moda (calzatura, pelletteria, abbigliamento), con una quota di assorbimento della produzione superiore all’80%. Nel dettaglio, la calzatura è storicamente la prima destinazione d’uso delle pelli nazionali (42% della produzione conciaria totale), seguita dalla pelletteria (25%), dall’arredamento imbottito (16%), dagli interni auto (10%) e dall’abbigliamento (5%).

La tabella che segue (Tabella 1.2) riporta i dati relativi alla produzione per settori di destinazione d’uso in termini di volume (mq) di pelle.

3Wet-blue = termine inglese utilizzato in conceria per descrivere le pelli semi-conciate al cromo e allo stato umido. 4 Crust = termine inglese utilizzato in conceria per definire cuoi a mezza concia, al cromo o sintetico-vegetale,

leggermente ingrassati, non tinti ed essiccati.

TOTALE 123,6 Fonte: UNIC Altre Volume 2015 (mln euro) 51,6 31,3 19,2 12,6 6,3 2,6

Tabella 1.2 - Produzione per settori di destinazione d'uso

Calzatura Pelletteria Arredamento Carrozzeria

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Il 77% del fatturato complessivo del settore deriva dal commercio estero. Nel 2015, l’export italiano di pelli conciate ha raggiunto 122 Paesi, per un valore complessivo pari a circa 4 miliardi di euro.

L'Unione Europea risulta essere la principale macro-area geografica cliente con il 51% dell'export complessivo, anche se dal 1995 il principale Paese di destinazione estera delle pelli italiane è di gran lunga la Cina, che, inclusa Hong Kong, incide per il 16% sul totale esportato.

La figura che segue (Figura 1.1) mostra i dati relativi alle aree geografiche interessate dalle esportazioni dei prodotti conciari italiani.

Il modello tipico di sviluppo della conceria italiana è rappresentato dai distretti industriali, considerati un’eccellenza a livello mondiale.

Il principale comprensorio conciario in termini di produzione e addetti (54% del valore della produzione) si trova in Veneto, nella provincia di Vicenza. È specializzato nella produzione di pelli bovine di ampia superficie per arredamento, interni auto, ma anche per calzatura e pelletteria. Si caratterizza per la contemporanea presenza di imprese medio-piccole e grandi gruppi industriali all’avanguardia nell’automazione e nella standardizzazione delle fasi del processo. Unione Europea 51% Estremo Oriente 26% Nafta 7% Area ex-URSS e Balcani 7% Altri 9%

Figura 1.1 - Export italiano pelli conciate per area

geaografica (valore)

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Il secondo polo conciario per importanza (28% del valore della produzione) è quello toscano, concentrato nella zona di S. Croce sull’Arno e Ponte a Egola (provincia di Pisa); è il distretto che presenta il maggior numero di concerie. È rinomato per l’elevata artigianalità e flessibilità delle produzioni e per lo stretto rapporto con l’alta moda. Le concerie locali lavorano principalmente pelli di vitello e di bovino di medie dimensioni, alcune delle quali utilizzate per la produzione di cuoio da suola, una specialità locale.

Il distretto campano, terzo nella graduatoria dimensionale (8%), è localizzato nella zona di Solofra (Avellino), con alcune importanti presenze anche nei dintorni di Napoli, ed è specializzato nella lavorazione di pelli ovicaprine destinate alla manifattura di abbigliamento, calzatura e pelletteria.

Infine, vi è il distretto lombardo, situato principalmente nell’area magentina, che si caratterizza per la produzione di pelli ovicaprine per l’alta moda, il cui valore totale nazionale è di poco superiore al 5%.

Nella tabella seguente (Tabella 1.3) sono riportati i dati relativi al numero di addetti, al numero di imprese e al valore della produzione dei quattro distretti di cui sopra.

VENETO Addetti 8.341 Addetti 2.008 Imprese 467 Imprese 163 2.808 422 Addetti 5.784 Addetti 969 Imprese 534 Imprese 42 1.447 269 Fonte: UNIC CAMPANIA TOSCANA LOMBARDIA

(Robecchetto, turbigo - MI)

Pruduzione (mln euro)

Ovicaprine per calzatura e pelletteria Bovine per calzatura, pelletteria e imbottiti

(Solfra - AV)

Pruduzione (mln euro)

Ovicaprine per calzatura, pelletteria e abbigliamento

Pruduzione (mln euro)

Bovine per calzatura e pelletteria

Tabella 1.3 - Dati regionali (2015)

(Arzignano, Chiampo - VI)

Pruduzione (mln euro)

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1.2 Il distretto industriale

Dall’ analisi del settore conciario emerge che questo si organizza, principalmente, in distretti industriali.

Nei paragrafi seguenti vengono riportate varie trattazioni teoriche e il riconoscimento fatto ai distretti dalla normativa italiana.

Ciò ha lo scopo di dare un quadro di riferimento relativo al concetto di distretto, ferma restando la convinzione che sia difficile poter ricondurre ad un modello omnicomprensivo la grande varietà delle forme distrettuali. A suffragio di quanto detto, vi è l’analisi empirica, che mostra come i diversi distretti, per meglio rispondere alle sollecitazioni e agli stimoli provenienti dal contesto competitivo esterno, abbiano adottato divere forme di divisione del lavoro oppure un superamento dei confini locali, uscendo così dagli schemi teorici.

1.2.1 La definizione di Marshall

La prima definizione di distretto industriale si deve all’economista inglese Alfred Marshall ed è contenuta in Principles of economics (1890).

Osservando le realtà produttive delle industrie tessili del Lancashire del sud e di quelle metallurgiche nell’area di Sheffiled e Solingen, lo studioso definì il distretto industriale come “un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione, ma anche concorrenza”.

Le principali caratteristiche individuate da Marshall sono quindi: • identificazione di una realtà “socioeconomica”;

• presenza di una filiera; • concentrazione geografica;

• relazioni, allo stesso tempo, di collaborazione e di concorrenza.

Tali elementi, insieme all’ “atmosfera industriale”, sono ritenuti dall’autore le determinanti di quella parte di rendimenti crescenti ottenuti dalle industrie distrettualizzate, che non trovano spiegazione nelle economie di scala interne o nell’introduzione di innovazioni sostanziali.

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L’ “atmosfera industriale” di cui parla Marshall, da egli definita come quella situazione per cui “i misteri dell’industria non sono più tali: è come se stessero nell’aria, e i fanciulli ne apprendono molti senza accorgersene”5, indica la condivisione di linguaggi, consuetudini, cultura, conoscenze che favorisce cooperazione e partecipazione tra le diverse aziende. In sostanza, rappresenta quell’insieme di asset intangibili appartenenti ad un particolare contesto sociale, che favorisce la produttività del distretto e che costituisce un vantaggio competitivo.

Per Marshall, la competitività delle imprese del distretto dipende dalle economie esterne, le quali non sono legate alle risorse delle singole imprese, alla loro amministrazione e organizzazione come le economie interne, ma dipendono dallo sviluppo del contesto industriale complessivo.

Il concetto di economie esterne, secondo l’autore inglese, è associabile alla specializzazione e alla divisione del lavoro tre imprese, ma anche all’esistenza di un sapere locale, frutto di competenze professionali accumulate, che si riproducono e circolano grazie al delicato equilibrio di concorrenza e collaborazione contraddistinguente i rapporti fra imprese. I vantaggi legati alle economie esterne, sia in termini di minori costi di produzione e di transazione, che in termini di rapida circolazione delle informazioni e delle idee, sono conseguibili da piccoli produttori purché essi siano concentrati e il processo produttivo sia scomponibile in fasi.

La presenza di economie esterne permette così alle piccole imprese di colmare gli svantaggi legati alla dimensione ridotta e di concorrere con le più grandi imprese del mercato.

A conclusione di questa breve trattazione del distretto industriale, secondo la concezione marshalliana, è possibile affermare che l’autore non considera l’oggetto di analisi solo come una modalità di organizzare la produzione, ma anche come un ambiente in cui le relazioni fra gli attori sono peculiari e rappresentative di un aggregato sociale storicamente e geograficamente determinato.

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1.2.2 Il distretto industriale in Italia

1.2.2.1 Il contributo di Becattini

Sebbene il modello di sviluppo industriale basato sui distretti non sia un'esclusiva italiana, esso ha trovato nel nostro Paese le condizioni ideali per la sua affermazione sin dagli anni ‘70, in contemporanea con i primi segnali di crisi della grande impresa.

La crescente importanza del fenomeno ha spinto anche gli autori italiani ha trattare l’argomento. Partendo dall’idea originaria di Marshall, studi svolti negli anni ’80 -’90, hanno messo in luce il concetto di distretto industriale come unità di indagine di analisi economica.

L’economista fiorentino Giacomo Becattini, uno dei maggiori studiosi italiani della materia, dando una rilettura al pensiero economico e sociale di Marshall, definisce il distretto industriale come: “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”6.

Secondo la definizione di Becattini, i fattori caratterizzanti di un distretto industriale sono: • la comunità di persone, che condivide e fa propri valori, comportamenti ed aspettative comuni, diffuse attraverso istituzioni quali il mercato, la famiglia, la chiesa, la scuola, le amministrazioni locali e pubbliche;

• la localizzazione in un’area geograficamente delimitata, quindi il territorio, connotato da determinate caratteristiche socio-culturali, da conoscenze tacite, da reti istituzionali. Il territorio, oltre a condizionare la capacità competitiva delle imprese operanti, influenza i processi di innovazione. Infatti, come sostiene Becattini, “la vicinanza spaziale favorisce la diffusione delle informazioni, le quali sono fonte d’innovazione”7.

• la popolazione di imprese, che si presenta come una concentrazione di aziende, tipicamente di piccola-media dimensione, caratterizzate da una specializzazione

6 G. Becattini, “Il distretto industriale. Un nuovo modo di interpretare il cambiamento economico”, Rosenberg &

Sellier, Torino, 2000.

7 G. Becattini, “Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana”, Il Mulino,

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flessibile ed operanti in settori tecnologicamente poco impegnativi. Questa realizza una divisione dell’attività produttiva in fasi distinte e specializzate, riguardanti anche le fasi a monte e a valle del ciclo produttivo. Ogni azienda della “popolazione” è da considerarsi autonoma, ma facente parte del sistema-distretto, il quale, nel suo complesso, svolge l’intera funzione di produzione. Da ciò si deduce che tra le altre caratteristiche distrettuali si trova anche quella di un processo produttivo divisibile sia da un punto di vista spaziale che da uno temporale, altrimenti risulterebbe difficile per le imprese specializzarsi.

Questo paragrafo è stato intitolato “Il contributo di Becattini” perché, la rilettura che l’autore ha fatto del pensiero economico e sociale dell’economista inglese Alfred Marshall, ha il merito di aver creato, nel nostro paese, un dibattito sul distretto industriale, sia come modello di industrializzazione, che come paradigma dello sviluppo locale.

1.2.2.2 Il quadro normativo

Il distretto industriale presenta una sua connotazione giuridica. Di seguito sono ripercorse le tappe che hanno portato al riconoscimento della realtà distrettuale italiana.

La prima legge che ha disciplinato i distretti industriali è la n. 317 del 5 ottobre 1991 “Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese”, il cui art. 36 recita, al comma 1, “si definiscono distretti industriali le aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell'insieme delle imprese”8.

Nel 1993, con il Decreto attuativo della Legge 317 del 21 Aprile “Determinazione degli indirizzi e dei parametri di riferimento per l’individuazione, da parte delle regioni, dei Distretti Industriali”, sono stati dettati i parametri per l’identificazione dei distretti.

Gli indirizzi e i parametri, cinque in totale da rispettarsi congiuntamente al fine del riconoscimento di un’area come distretto industriale, stabiliti dal decreto sono i seguenti:

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“1 . Le zone da prendere a riferimento per la definizione sono una o più aree territoriali contigue caratterizzate come sistemi locali del lavoro così come individuati dall'Istat e di cui all'allegato.

2 . In tali zone devono verificarsi contestualmente le seguenti condizioni:

a) un indice di industrializzazione manifatturiera calcolato in termini di addetti, come quota percentuale di occupazione nell'industria manifatturiera locale, che sia superiore del 30 per cento dell'analogo dato nazionale. Le regioni nelle quali l'indice di industrializzazione manifatturiera a livello regionale risulta inferiore a quello nazionale possono assumere come valore di riferimento il dato regionale;

b) un indice di densità imprenditoriale della industria manifatturiera, calcolato in termini di unità locali in rapporto alla popolazione residente superiore alla media nazionale;

c) un indice di specializzazione produttiva, calcolato in termini di addetti come quota percentuale di occupazione in una determinata attività manifatturiera rispetto al totale degli addetti al settore manifatturiero, superiore del 30 per cento dell'analogo dato nazionale. L'attività manifatturiera posta a riferimento deve essere riferita alla classificazione delle attività economiche dell'Istat e corrispondere alla realtà produttiva della zona considerata nelle sue interdipendenze settoriali;

d) un livello di occupazione nell'attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 30 per cento degli occupati manifatturieri dell'area;

e) una quota di occupazione nelle piccole imprese operanti nell'attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 50 per cento degli occupati in tutte le imprese operanti nell'attività di specializzazione dell'area.

3 . Dei distretti industriali così individuati possono far parte anche i comuni limitrofi, sempre che le nuove aree rispettino i criteri di autocontenimento previsti per i sistemi locali del lavoro e le condizioni di cui al punto 2. ”9.

Al fine di superare le difficoltà legate ai 5 criteri del Decreto del 1993 e di liberare le regioni dai rigidi vincoli statistici, concedendo loro una maggiore libertà nell’individuazione delle aree produttive definibili come distretti, nel 1999 viene approvata dal Parlamento una nuova legge.

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La Legge n. 140 dell’11 maggio “Norme in materia di attività produttive” all’art. 6, comma 8, sancisce che “i commi 1, 2 e 3 dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, sono sostituiti dai seguenti:

1. Si definiscono sistemi produttivi locali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una peculiare organizzazione interna.

2. Si definiscono distretti industriali i sistemi produttivi locali di cui al comma 1, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese.

3. Ai sensi del titolo II, capo III, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alla individuazione dei sistemi produttivi locali nonché al finanziamento di progetti innovativi e di sviluppo dei sistemi produttivi locali, predisposti da soggetti pubblici o privati".10

Gli interventi normativi successivi, come il Decreto Legge n. 112, convertito in Legge n. 133 il 06 agosto 2008 e il Decreto Legge n. 5 del 10 febbraio 2009, riguardano, invece, misure di carattere fiscale, amministrativo e finanziario a favore dei distretti.

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CAPITOLO II

IL DISTRETTO DEL CUOIO E DELLA PELLE

DI SANTA CROCE SULL’ARNO

2.1 La localizzazione territoriale e il riconoscimento giuridico

Il Distretto Industriale del cuoio e della pelle di Santa Croce è situato nella Toscana centrale. Si estende in un raggio di 10 Km e comprende i comuni di: Bientina, Castelfranco di Sotto, Montopoli Val d’Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno e Santa Maria a Monte in provincia di Pisa, e Fucecchio in provincia di Firenze.

L’area è geograficamente definita come Valdarno Inferiore. Per questo, in riferimento alla suddetta area industriale, si parla indifferentemente di Comprensorio del Cuoio del Valdarno Inferiore e di Distretto Industriale di Santa Croce, anche se viene privilegiata la seconda denominazione, vista l’importanza assunta nel tempo dalla realtà santacrocese, diventata prima il punto di riferimento per tutto ciò che ha interessato nel bene e nelle difficoltà il comprensorio, e poi rettrice delle redini, in termini di immagine, della produzione conciaria italiana, al punto da essere definita la Capitale Mondiale del Cuoio e della Pelle.

Da un punto di vista giuridico, il distretto nasce nel 1995, con la delibera del Consiglio Regionale Toscano n. 36 del 3 febbraio, che ha definito le aree territoriali regionali configurabili come distretti industriali, ai sensi dell’art. 36 della legge 317/91 “Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese”.

Nella logica del legislatore regionale, i distretti sono aree territoriali in cui possono essere realizzati “specifici piani-programmi di sviluppo aventi l'obiettivo di creare le condizioni che consentano un uso ottimale e integrato delle risorse produttive esistenti o potenzialmente reperibili all'interno dell'area e la rimozione di eventuali vincoli che non ne permettano la loro piena valorizzazione.”11

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2.2 I fattori di successo del Distretto

Il Distretto di Santa Croce si caratterizza per un mix di tradizione, artigianalità, qualità, flessibilità e differenziazione produttiva, consolidato legame con la moda, che ha permesso allo stesso di assumere una posizione elitaria a livello nazionale ed internazionale.

Il Distretto conta 600 aziende, di cui 300 sono concerie, cioè aziende che acquistano il pellame, lo lavorano, sia all’interno sia esternalizzando alcune lavorazioni, e poi vendono il prodotto finito, e 300 sono terzisti, cioè aziende specializzate in alcune fasi di lavorazione, che impiegano, in media, 13 lavoratori per un totale di addetti poco superiore a 6.000. Produce circa il 98% della produzione nazionale di cuoio da suola (il 70% di quello dei Paesi Comunitari) ed il 35% della produzione italiana di pelli per calzature, pelletteria ed abbigliamento, con un fatturato, a dicembre 2016, pari a 1,5 miliardi di euro, di cui più del 70% derivante dalle esportazioni.12.

A complemento del Distretto, nel corso degli anni si sono affiancate attività collegate direttamente o indirettamente ad esso, che hanno dato origine ad un'altra importante fetta di occupazione e che riguardano: prodotti chimici, macchine per conceria, servizi, manifatture di abbigliamento, pelletteria e calzature.

Il Distretto rappresenta l’unico caso in Italia in cui la specializzazione produttiva costituisce l’intera "filiera delle pelli", ad esclusione degli estremi rappresentati della produzione delle pelli grezze, da un lato, e della distribuzione al dettaglio dei prodotti finali (calzature, pelletteria e abbigliamento in pelle) dall’altro lato.

Il fatto che nel Distretto siano presenti tutti i tipi di imprese che costituiscono la "filiera" non significa che lo stesso sia un’entità autonoma, chiusa in sé. Infatti:

• solo una piccola parte dei prodotti delle concerie è destinata alle imprese del Distretto che producono calzature ed articoli di pelletteria e di abbigliamento; le concerie hanno clienti in tutto il mondo;

• una parte rilevante dello sviluppo delle "idee moda", che determinano l’evoluzione delle caratteristiche del prodotto conciato, è svolta da soggetti esterni al Distretto; • come già accennato, il Distretto è aperto a monte nei confronti dei produttori di pelle

e, a valle, nei confronti della distribuzione dei prodotti finiti.13

12 I dati, relativi all’anno 2016, sono stati forniti dell’Associazione Conciatori. 13 Airoldi G., Zattoni A., op. cit., p. 40.

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Le elevate performance registrate negli anni da questo Distretto, anche durante l’attuale fase di grave crisi economica, che ha colpito un numero elevato di distretti esistenti nel nostro Paese, ma solo in maniera minima quello di Santa Croce, che quindi si conferma tra i più "performanti" nella cerchia dei distretti italiani, sono ascrivibili a una serie di fattori, quali:

• la tradizione plurisecolare; • le capacità imprenditoriali;

• la presenza sul territorio di tutti gli elementi della filiera della pelle; • il capitale umano;

• la ricerca e l’innovazione; • il marketing;

• le relazioni con il sistema della moda; • la filosofia consortile;

• la sostenibilità ambientale.

Tali fattori sono stati mutuati dai piani di sviluppo elaborati dall’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno, i quali costituiscono la colonna portante per lo sviluppo consolidato e prospettico del Distretto conciario.

Nelle successive sezioni del presente capitolo, verrà presentata un’analisi degli elementi sopra elencati, che hanno contribuito e contribuiscono al successo del Distretto. Per quanto riguarda gli ultimi due, “filosofia consortile” e “sostenibilità ambientale”, si rimanda al capitolo successivo, in cui ne sarà offerta una trattazione più approfondita, vista l’importanza delle tematiche in oggetto per il successo competitivo del Distretto. La scelta di trattare i fattori di cui sopra in modo separato rispetto agli altri, ma congiuntamente fra loro, è dovuta al rapporto causa-effetto che lega la nascita e lo sviluppo della filosofia consortile al conseguimento della sostenibilità ambientale.

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2.2.1 La tradizione plurisecolare

Il retaggio culturale ed artistico del Distretto deriva da una lunga tradizione sviluppata nel tempo.

Segue una disamina delle principali circostanze che hanno interessato il Distretto dalla seconda metà dell’800 fino agli anni ’70 – ‘80 del secolo scorso, le quali hanno permesso lo sviluppo ed il perfezionamento dell’ “arte” della concia e della lavorazione delle pelli.

I primi dati relativi all’attività conciaria in Toscana sono contenuti in una relazione di Filippo Neri del 1768, dalla quale emerge che, a quel tempo, la produzione di pellame nel Gran Ducato di Toscana era attiva in più di 20 centri abitati. Firenze produceva un terzo delle pelli presenti sul mercato e un altro terzo era prodotto nelle città di Pisa e Arezzo.

In questo contesto, l’industria conciaria si sviluppa anche nei centri più piccoli e meno urbanizzati come Santa Croce sull’Arno.

La vicinanza del fiume Arno, fonte per la grande quantità di acqua necessaria per il processo conciario, e la presenza di una vasta area boschiva, essenziale per l'approvvigionamento di sostanze vegetali necessarie per la trasformazione della pelle in cuoio, unite alla disponibilità della forza lavoro e alla costruzione di infrastrutture colleganti il centro abitato alle principali vie della Toscana, furono le cause dello sviluppo della prima industria conciaria toscana.

Le prime attività conciarie nel distretto risalgono alla prima metà dell’800. Nel 1841 erano presenti a Santa Croce 4 stabilimenti conciari. Fra la seconda metà dell’800 e gli inizi del’900 il numero delle concerie salì a 32.

Dopo un periodo di consolidamento del settore conciario, fra il 1907 e il 1914 si registrarono le prime cessazioni di attività, dovute alla crisi monetaria internazionale, alla depressione del mercato mobiliare e all’aumento della domanda di forniture militari per la guerra in Libia.

Con l’inizio della Prima Guerra Mondiale si hanno segni di ripresa, grazie alla domanda di calzature militari. A questi, si aggiunse, inoltre, lo sviluppo di nuove tecnologie, come il bottale14, che permisero la riduzione dei tempi di lavorazione, un controllo diretto sul processo

14 Il bottale è un macchinario usato nelle varie fasi della concia; è costituito da un cilindro ruotante intorno al

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lavorativo e il massimo sfruttamento dei materiali concianti. In questo periodo, nacquero a Santa Croce 14 nuove concerie.

Intorno agli anni ’30, la crisi del prezzo delle pelli e la chiusura delle frontiere introdotta dal Regime Fascista, colpirono Santa Croce, facendo chiudere alcune delle piccole imprese presenti.

Anche durante il secondo conflitto mondiale molto concerie chiusero, mentre alcune tra quelle di maggiori dimensioni, furono militarizzate e predisposte al soddisfacimento esclusivo dei fabbisogni del Regime.

Durante il periodo della ricostruzione, fra il 1946 e il 1950, un importante ruolo per la ripresa del settore venne svolto dagli istituti di credito, soprattutto locali, come la Cassa di Risparmio di San Miniato.

A metà degli anni '50 Santa Croce contava circa 120-150 concerie, la maggior parte delle quali erano aziende a carattere artigianale.

Tra la fine degli anni ‘50 e l'inizio del decennio successivo, un gran numero di piccole industrie si riconvertì alla lavorazione con il cromo. Questo tipo di lavorazione permise un’eccezionale crescita in termini di numero e dimensioni dell'attività conciaria in senso stretto e una conseguente diffusione delle attività terziste per le concerie.

Sul finire degli anni '60, inizia a prendere forma la distrettualità. Si assiste, infatti, all’integrazione delle aree industriali dei vari comuni del comprensorio conciario e all’acquisizione di una loro specifica fisionomia: l'area intorno S. Miniato e Ponte a Egola si caratterizzò per la presenza di concerie al vegetale e la produzione del cuoio da suola, quella intorno Santa Croce per la presenza di concerie al cromo e quella tra S. Maria a Monte e Castelfranco per la presenza della maggior parte dei calzaturifici.

Gli anni '70 vedono la massima e più rapida espansione dell'attività conciaria all'interno del Distretto. Le dimensioni dell'industria crebbero sia in termini di unità locali che in numero di addetti. In questi anni inizia il processo di delocalizzazione degli insediamenti produttivi dai centri abitati alle zone industriali, dove c’era maggiore disponibilità di spazi.

Nel maggio del 1976 viene approvata la legge n. 139, in materia di inquinamento idrico. Tale legge è nota come legge Merli, dal nome del senatore toscano promotore della stessa.

Gli anni ’80 sono, quindi, segnati dalle tematiche ambientali, che hanno un impatto nel Distretto sia a livello di sviluppo del settore conciario, che occupazionale. La ripresa della crescita - in riferimento a questo periodo si parla di "crescita zero" - si registra a fine decennio, successivamente alla soluzione delle suddette problematiche.

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2.2.2 Le capacità imprenditoriali

Il termine imprenditorialità indica l’insieme dei requisiti necessari per svolgere la funzione dell’imprenditore, consistenti essenzialmente nella volontà e nella capacità di promuovere e organizzare un’impresa economica, insieme con la disponibilità ad affrontarne i rischi. Questa attitudine si manifesta nella ricerca di soluzioni originali o creative nella sfida o confronto con le altre imprese, incluso lo sviluppo o il miglioramento di prodotti o servizi, l’uso di nuove tecnologie e di nuove tecniche amministrative15.

La centralità economica della figura imprenditoriale è riconosciuta anche dal Codice Civile italiano, che qualifica l’imprenditore e non l’impresa, la quale, secondo la dottrina, è il frutto dell’attività imprenditoriale. L’articolo 2082 definisce l’imprenditore come “chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”16.

La definizione di imprenditore, a mio avviso più interessante e che maggiormente si adatta alla figura economica presente nel Distretto, è quella fornita da Schumpeter, che nell’opera “Teoria dello sviluppo economico” del 1912, definì l’imprenditore come il motore dell’innovazione e del cambiamento tecnologico, l’individuo in grado di generare crescita economica, in quanto capace di rompere le strutture e gli schemi esistenti e consolidati, avviando processi di “distruzione creatrice”.

Leggendo la definizione schumpeteriana ho subito associato la “distruzione creatrice” al processo messo in atto dagli imprenditori del Distretto, i quali attraverso la propria esperienza ed estrosità, l’attitudine a cogliere le opportunità del mercato, il sapersi adattare ai cambiamenti della società, l’instaurazione di rapporti con il settore della moda, la capacità di valorizzare i propri collaboratori hanno permesso alle concerie toscane di trasformarsi da semplici aziende artigianali, in complesse industrie creative, capaci di realizzare prodotti che, per perfezione e varietà, non hanno uguali a livello mondiale.

All’interno del Comprensorio del cuoio e della pelle si è assistito, inoltre, a un’evoluzione della figura dell’imprenditore: da “padrone”, ovvero imprenditore singolo che si occupava direttamente delle problematiche connesse con la gestione finanziaria, dell’acquisto dei materiali, della manodopera, della commercializzazione dei prodotti e di tutto ciò che

15 Gubitta P, “Imprenditorialità”, Dizionario di Economia e Finanza, www.trecanni.it, 2012. 16 Art. 2082, Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I, Codice Civile.

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riguardava l’assunzione del rischio di impresa, a imprenditore vero e proprio, che ha portato alla creazione di società di persone e di capitale, che caratterizzano l’attuale contesto del Distretto, dove l’80% delle imprese ha assunto la forma giuridica di società di capitale, di cui la maggior parte sono S.r.l, ma vi è anche una buona presenza di S.p.A, forma giuridica che nel Distretto registra la più alta concentrazione a livello provinciale.

La diffusione delle società di capitale non ha però modificato la provenienza del capitale sociale, che per il 90% è ancora nelle mani di imprenditori locali, a conferma del legame, connotativo del Distretto Industriale, fra la comunità e il tessuto industriale.

2.2.3 La filiera della pelle

All’inizio del presente paragrafo è stata presentata una delle caratteristiche del Distretto di Santa Croce, cioè il fatto che la propria specializzazione produttiva costituisce l’intera "filiera delle pelli". Visto che ciò rappresenta una peculiarità del Distretto a livello nazionale, ne viene fornito un approfondimento.

Con il termine “filiera” si intende l’insieme delle aziende che concorrono alla catena di fornitura di un prodotto finito, cioè che svolgono la sequenza delle lavorazioni necessarie a trasformare le materie prime in prodotto finito.

All’interno del Distretto, parte delle suddette lavorazioni viene svolta da aziende “terze”, cioè da piccole realtà aziendali di natura artigianale alle quali sono affidate una o più fasi del processo produttivo conciario.

Si hanno, quindi, rapporti di subfornitura, in cui l’azienda svolge esclusivamente una o più fasi di lavorazione del prodotto realizzato dall’azienda committente, da distinguersi dai rapporti di fornitura, in cui l’azienda realizza, in assoluta autonomia, l’oggetto richiesto dal committente, con la possibilità di una condivisione della fase progettuale.

Se la lavorazione è effettuata con materie prime o altro materiale fornito dall’impresa committente, il rapporto di subfornitura è chiamato anche “a façon” o conto terzi17.

Il decentramento produttivo presente nel Distretto non è dettato, nella maggioranza dei casi, dall’esigenza di ridurre i costi fissi, quanto dalla ricerca di qualità ed artigianalità. Infatti, il contributo delle lavorazioni conto terzi alla realizzazione del prodotto finale è di notevole

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importanza, soprattutto nelle fasi di rifinitura, quando viene conferito alla pelle l’aspetto richiesto dal cliente finale, ovvero il settore della moda.

I terzisti del Distretto si sono dimostrati, negli anni, capaci di conferire al prodotto finito particolari attributi sia in termini di originalità, che di valore, grazie alle proprie iniziative ed ai contributi innovativi.

La qualità non viene ricercata solo nei rapporti di subfornitura, ma anche in quelli di fornitura. Qualunque sia la tipologia di relazione instaurata con i fornitori esterni, sia essa di fornitura o di subfornitura, le aziende ricercano sempre più l’instaurazione di rapporti di

comakership, ovvero di rapporti collaborativi, di carattere strategico, quindi in una prospettiva

temporale medio-lunga, nei quali viene richiesto ai fornitori di garantire la qualità del fornito, cioè la rispondenza dello stesso a determinati criteri qualitativi stabiliti con il committente. La qualità viene assicurata attraverso l’adozione di un sistema di gestione e la successiva certificazione della stessa, attraverso un sistema di autocertificazione oppure mediante il rilascio della stessa da parte di un ente accreditato.

La logica collaborativa è sempre più applicata anche nella fase di progettazione del prodotto; si assiste, infatti, ad un coinvolgimento dei fornitori più critici nella fase di definizione di un nuovo prodotto, con vantaggi in termini sia di tempistiche di sviluppo che di metodologie di lavoro.

Lo sviluppo di rapporti di partnership con i fornitori, in particolar modo quelli di componenti strategici, rappresenta un nodo cruciale per le aziende di tipo conciario, che devono essere in grado di rispondere, in tempi brevi, alle tendenze della moda.

I principali fornitori delle concerie del Distretto sono:

• fornitori di materie prime: l’approvvigionamento di pelli grezze o di semilavorati rappresenta un aspetto importante per le aziende conciarie, in quanto la qualità dei prodotti finiti è strettamente dipendente da quella della materia prima acquistata. La maggior parte del pellame allo stato grezzo o semilavorato, recentemente meno richiesto a causa del minor controllo esercitabile sulla qualità, proviene da Europa Occidentale e Orientale, Africa, America Latina, Medio Oriente e Australia. Il ricorso all’importazione della materia prima è dovuto all’incapacità del nostro Paese di soddisfare il fabbisogno di pellame delle concerie italiane, sia a livello quantitativo che qualitativo. I prezzi delle pelli grezze, che hanno un’incidenza compresa fra il 40

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e il 60% sul fatturato delle concerie, dipendono da una serie di fattori, come l’andamento della domanda di carne, l’andamento generale dell’economia, le tendenze della moda;

• fornitori di macchinari ed attrezzature: questi fornitori, oltre ad occuparsi della vendita di macchinari, si stanno sempre più specializzando nell’erogazione di servizi allo scopo di migliorare l’efficienza dei macchinari stessi e di incrementare la loro messa in sicurezza sia a livello produttivo che sul versante dell’inquinamento. Nel Distretto sono presenti aziende produttrici di macchinari che esportano in tutto il mondo e che hanno sviluppato con i conciatori locali un rapporto di collaborazione, rendendo così possibile il continuo miglioramento della progettazione e della realizzazione dei prodotti conciari18;

• fornitori di prodotti chimici: l’elevata influenza dei prodotti chimici sull’efficienza del ciclo della concia, sull’impatto ambientale e sulla qualità tecnica ed estetica del prodotto finito, rende tali fornitori essenziali per le concerie. La collaborazione, all’interno della filiera produttiva, tra concerie e fornitori di sostanze chimiche, unita ad un’intensa attività di ricerca e sperimentazione, ha permesso lo sviluppo di sostanze più efficaci in termini di prestazioni e di sostenibilità, che consentono di ottenere prodotti rispondenti alle tendenze della moda.

• fornitori di servizi alle imprese: oltre alle istituzioni nazionali (UNIC) e locali (Associazione Conciatori), i fornitori di servizi per le imprese conciarie sono professionisti, quali commercialisti, ingegneri, tecnici di varia estrazione, consulenti del lavoro, avvocati ecc., e gli istituti di credito. Solo nel Comune di Santa Croce sull’Arno sono presenti ventinove sportelli bancari di istituti di credito diversi, un numero rilevantissimo rispetto ai circa 15.000 abitanti.

2.2.4 Il capitale umano

Il capitale umano viene definito come l’insieme delle competenze professionali, date dalle conoscenze (sapere), dall’abilità/capacità (saper fare) e dagli aspetti comportamentali (saper

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essere), che un soggetto esercita nello svolgimento della propria attività, operanti all’interno dell’organizzazione aziendale.

Nonostante la limitata incidenza del costo del personale sul totale dei costi di una conceria (circa il 10%) rispetto alle altre voci di costo, come quelle legate all’acquisto delle pelli e alla depurazione delle acque, il ruolo svolto dal capitale umano all’interno del processo di lavorazione conciario assume un’importanza determinante per la riuscita qualitativa del prodotto. Infatti, la pelle, essendo un prodotto naturale di accentuata delicatezza strutturale, richiede la presenza della componente umana durante il suo processo di lavorazione, soprattutto nelle fasi più critiche, come quelle finali in cui vengono conferite al prodotto le qualità richieste dalle tendenze della moda. La professionalità richiesta in queste lavorazioni non può essere sostituita dall’automazione, ma anche quando questa risulti applicabile, l’intervento dell’uomo è comunque necessario per svolgere le attività legate al controllo del funzionamento delle macchine e delle attrezzature tecnologicamente avanzate impiegate, al fine di evitare errori di fabbricazione, causa di danni economici elevati in considerazione della natura e del costo della materia prima.

All’interno del Distretto conciario l’importanza del capitale umano si collega ad alcuni dei fattori competitivi dello stesso, ovvero qualità ed innovatività dei prodotti, flessibilità di gestione dei cicli produttivi, contenuti tempi di consegna. Ciò comporta una limitata presenza di figure operative comuni, alle quali sono affidati i lavori di natura più pesante, ed una massiccia presenza di personale con elevati livelli di specializzazione, ovvero in possesso di una serie di qualità professionali, garantite da un’adeguata formazione professionale e dall’esperienza.

Prima di procedere con la trattazione del tema della formazione professionale, di seguito sono proposte alcune considerazioni sulle figure operative comuni.

Come detto in precedenza, a queste sono affidate le lavorazioni di natura più pesante, che nel tempo si sono ridotte grazie alla meccanizzazione di alcune fasi del processo conciario; la parte che continua ad esistere, nella maggioranza dei casi, è affidata a personale di origine extracomunitaria. La presenza di stranieri all’interno delle concerie del Distretto è dovuta a ragioni di carattere socio-culturale. A partire dagli anni ’90, l’aumento del livello di cultura e di scolarizzazione ha portato gli italiani a non voler più lavorare nelle concerie, ritenute insalubri e maleodoranti, preferendo altre tipologie occupazionali. Nello stesso periodo è iniziato un flusso migratorio all’interno dell’area del Distretto, che ha permesso di rispondere alla domanda di manodopera non specializzata delle concerie.

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Al 1° gennaio 2016, gli stranieri residenti a Santa Croce sull'Arno sono 3.345, provenienti soprattutto da Albania (32,4%), Senegal (30,1%) e Marocco (11,1%), rappresentano il 22,9% della popolazione residente (14.601 abitanti)19 ed il 20% del totale dei lavoratori delle concerie. Non si deve pensare che questi lavoratori stranieri si trovino a lavorare in una “situazione di sfruttamento che spesso varca i limiti della legalità”20. Infatti, all’interno del Distretto vi è

una particolare attenzione per i temi della sicurezza e della tutela del lavoro.

In riferimento alla situazione dei lavoratori stranieri, il presidente dell’Associazione Conciatori di Santa Croce Franco Donati, in un’intervista rilasciata al TG RAI Toscana nel novembre 2014, ha ricordato l’impegno dell’associazione di categoria nei confronti di questa classe di lavoratori, la quale “attraverso il codice etico, tutela i lavoratori anche attraverso denuncia ed espulsione immediata di eventuali imprenditori che li dovessero impiegare in modo illegale”.

2.2.4.1 La sicurezza sul lavoro

Come enunciato in precedenza, nel Distretto vi è una particolare attenzione per il tema della sicurezza sul lavoro. Ciò è dovuto ai rischi per la salute umana, in termini di integrità fisica e malattie professionali, che l’impiego di prodotti chimici e macchinari, all’interno delle varie fasi di lavorazione della pelle, potrebbe comportare.

Considerando le diverse fasi lavorative in cui si articola il ciclo tecnologico della concia, i rischi per la salute umana possono essere raggruppati in quattro comparti:

1. magazzino pelli e prodotti chimici (concia al cromo ed al vegetale)

Nel magazzino sono conservate le materie prime che saranno impiegate in conceria, ovvero le pelli e il complesso delle sostanze e prodotti chimici necessari al ciclo tecnologico.

I rischi della fase d’immagazzinamento derivano da:

▪ contatto con la carica biotica presente come contaminante delle pelli (malattie infettive con particolare riguardo alle malattie cutanee e talvolta malattie generali quali tetano leptospirosi e carbonchio);

19 www.tuttitalia.it

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▪ esposizione ad agenti antiparassitari con possibilità di flogosi cutanee e delle mucose respiratorie di tipo aggressivo diretto e/o immunoallergico;

▪ infortuni nell’uso di mezzi di sollevamento e trasporto; ▪ movimentazione manuale dei carichi.

Insieme alla conservazione delle pelli nel comparto magazzino avvengono, talvolta, alcune lavorazioni preliminari quali:

- cernita delle pelli;

- sagomatura con asportazione con coltelli delle parti superflue (coda, parte finale della zampa ce);

- gropponatura che consiste nel sezionare la parte dorsale della pelle bovina (groppone), che sarà utilizzato per il notevole spessore nella produzione di cuoio da suola.

I rischi presenti in tali lavorazioni, oltre alla movimentazione manuale dei carichi, sono specificamente gli infortuni nell’uso d’arnesi e strumenti da taglio.

2. riviera (concia al cromo)

La “riviera” è caratterizzata dalle operazioni che, partendo dalla pelle grezza, sono necessarie per la preparazione della stessa alla concia (rinverdimento, scarnatura, depilazione, calcinazione, scarnatura, spaccatura, decalcinazione, macerazione, sgrassaggio)21.

I rischi generali del comparto riviera derivano da: ▪ Infortuni dovuti a:

- stoccaggio, trasporto e manipolazione di sostanze chimiche aggressive (caustiche o acide);

- urti o schiacciamenti da movimentazione con muletti e ragni (trattori);

- uso di Macchine (bottali, aspi, lavatrici, scarnatrici , spaccatrici in trippa e in Blu, rasatrici);

- attrezzi manuali;

- scivolamento e caduta;

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▪ inquinamento da agenti areodispersi mucolesivi (gas ammoniacali, solfidrici, polveri di cromo;

▪ manipolazione di sostanze irritanti (tannini sintetici) o nocive (bisolfiti e sali di cromo in polvere);

▪ stoccaggio e manipolazione di coloranti chimici; ▪ movimentazione manuale dei carichi;

▪ rumore proveniente dalla rotazione dei bottali e dalle macchine. 3. lavorazioni meccaniche intermedie

I rischi generali di questo comparto derivano da: ▪ Infortuni da:

- macchine (messe al vento, sottovuoti, palissoni, bottali a follonare, smerigliatrici);

- attrezzi manuali;

- scivolamento e caduta;

- urti o schiacciamenti da movimentazione con transpallet, muletti; ▪ Inquinamento da agenti areodispersi mucolesivi;

▪ Movimentazione manuale dei carichi;

▪ Rumore proveniente dalla lavorazione delle macchine. 4. rifinitura

La rifinitura rappresenta l’area di maggiore sviluppo tecnologico nei cicli conciari, infatti è in questo comparto che le pelli conciate subiscono una serie di procedimenti chimico-fisici, che ne definiscono le qualità merceologiche, e si sviluppano tecniche d’avanguardia soggette a rapida evoluzione.

In questo comparto si possono individuare due aree di lavoro separabili:

• Rifinitura chimica, in cui le pelli conciate sono ricoperte da un variegato numero di sostanze chimiche che si ancorano alla pelle sotto forma di films. Tali sostanze assicurano peculiari caratteristiche merceologiche, quali la brillantezza, la morbidezza, l’elasticità, l’impermeabilità, la resistenza all’usura.

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I rischi connessi a questa lavorazione sono: ▪ Infortuni dovuti a:

- macchine per la verniciatura;

- urti o schiacciamenti da movimentazione con transpallet, muletti; ▪ Manipolazione e uso di prodotti chimici;

▪ Inquinamento da agenti areodispersi mucolesivi; ▪ Movimentazione manuale dei carichi;

▪ Rumore proveniente dalla lavorazione delle macchine.

• Rifinitura meccanica, i rischi generali connessi a questo tipo di lavorazione sono: • Infortuni da:

- macchine (lucidatrici a rullo,satinatrici, palmellatrici, impregnatrici a rullo convergente, impregnatrici a rullo divergente, stiratrici in continuo “rotopress”, stampatrici, piedaggiatrici);

- attrezzi manuali;

- urti o schiacciamenti da movimentazione con transpallet, muletti; ▪ Inquinamento da agenti areodispersi mucolesivi;

▪ Movimentazione manuale dei carichi;

▪ Rumore proveniente dalla lavorazione delle macchine.22

La normativa di riferimento in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro è il Testo Unico, emanato con il D. Lgs. n. 81/2008, che ha accorpato ed armonizzato tutte le precedenti norme sul tema (D.P.R n. 547/1955 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”, D.P.R. n. 303/1956 “Norme generali per l'igiene del lavoro”, D. Lgs n. 626/1994 “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE,

22 Regione Toscana, Azienda U S L 11 “Dipartimento di prevenzione” - U. F. Prevenzione Igiene e Sicurezza

Luoghi di Lavoro, Zona Valdarno Inferiore, “Comparto produttivo cuoio: Profili di rischio e soluzioni”, Contratto di Ricerca ISPESL n.97/96 “I profili di rischio nei comparti produttivi delle piccole e medie industrie e pubblici servizi: Cuoio, 2009, da www.inail.it

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90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE, 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”), allo scopo di creare un documento che risultasse intellegibile per tutti i soggetti interessati. Nel Testo Unico viene sottolineata l’importanza degli interventi addestrativi e formativi, dei dispositivi di sicurezza da applicare ai macchinari, delle competenze e responsabilità dei soggetti aziendali preposti al sistema di gestione della sicurezza.

L’applicazione della suddetta normativa e l’impegno delle aziende conciarie italiane in termini di risorse umane, strumentali ed economiche finalizzate alla prevenzione dei rischi nell’ambiente di lavoro ha portato all’ottenimento di risultati positivi per quanto riguarda il rapporto di gravità, che esprime l’incidenza del fenomeno infortunistico sulla popolazione lavorativa, e la durata media degli infortuni, esprimente indirettamente l’entità degli eventi accorsi.

I grafici che seguono (Figura 2.1 e Figura 2.2) mostrano i trend dei due suddetti indici nel periodo 2006-2014.

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Figura 2.2

Da segnalare l’inversione di tendenza dell’incidenza degli infortuni accaduti ai lavoratori stranieri, passata dal 44% nel 2014 al 37,9% nel 2015, anche grazie alle iniziative di formazione sul tema della sicurezza.

Passando dalla situazione nazionale a quella del Distretto, è possibile vedere come il tema della gestione della sicurezza del lavoro sia stato affrontato in modo positivo dalle aziende del comprensorio già a partire dagli anni ’60, grazie anche al significativo contributo offerto dai professionisti del luogo (tecnici, ingegneri, ecc.) che, indirizzandosi verso l’offerta di attività di consulenza sul tema, hanno aiutato gli imprenditori a soddisfare gli adempimenti richiesti dalla normativa.

Il rispetto delle norme previste dal D.P.R. n. 547/1955 è stato possibile, oltre che grazie ai servizi consulentistici offerti dai professionisti locali, attraverso i rapporti collaborativi instaurati, dall’Associazione Conciatori, con gli organismi territoriali di controllo in tema di sicurezza sul lavoro, quale l’ASL 11 Empoli, e per mezzo del contributo dei fornitori delle macchine e delle attrezzature per conceria, i quali, essendo responsabili per la sicurezza dei loro prodotti, hanno realizzato soluzioni tecnologiche da applicare a macchinari, vecchi e nuovi, rendendoli adeguati alla normativa. Anche in questo caso si tratta di fornitori locali. Nel tempo si è sviluppata, all’interno del Distretto, una notevole quantità di imprese che forniscono al comprensorio tutto il necessario per la fabbricazione della pelle e del cuoio, ovvero imprese che realizzano macchine da concia, impianti elettrici, soluzioni per la movimentazione e per l’immagazzinaggio delle pelli, il tutto nel rispetto delle norme sulla sicurezza.

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Per quanto riguarda la sensibilizzazione e la formazione del personale in materia di prevenzione dei rischi correlati alla specifica mansione svolta ed all’ambiente di lavoro, un ruolo importante è stato e continua ad essere svolto dall’Associazione Conciatori, che in collaborazione con UNIC, si occupa dell’organizzazione di corsi di formazione e fornisce varie linee guida in tema di sicurezza, da quelle riguardanti la prevenzione degli incendi a quelle per l’uso in sicurezza di macchinari applicati in specifiche fasi del processo conciario.

In particolare, all’interno dell’Associazione Conciatori è stato creato un comitato tecnico, al quale partecipano rappresentanti delle aziende conciarie, dei terzisti, delle aziende costruttrici di macchine, funzionari dell’AUSL addetti ai controlli e consulenti sulla sicurezza delle aziende, al fine di testare la sicurezza di nuovi macchinari o impianti, definire i protocolli di comportamento per chi lavora alle macchine, suggerire modifiche ed accorgimenti per garantire la maggiore sicurezza possibile nello svolgimento dell’attività produttiva e predisporre la cartellonistica nelle varie lingue delle etnie presenti in azienda in modo che tutti gli operatori possano comprendere la normativa sulla sicurezza.

2.2.4.2 La formazione professionale e il ruolo di Po.Te.Co.

La formazione delle maestranze è un’attività di assoluta rilevanza per il settore conciario, in quanto garantisce le professionalità e le competenze necessarie alla lavorazione della pelle, permettendo all’azienda di mantenere un adeguato livello di competitività all’interno del mercato.

Per formazione professionale si intende il percorso di formazione che un soggetto deve intraprendere al fine di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per svolgere un'attività lavorativa qualificata.

Nonostante il fatto che la formazione professionale sia un obiettivo programmatico previsto dalla Costituzione italiana (art. 117 Cost.), il Codice Civile non prevede per il datore di lavoro alcun obbligo di formare il personale legato da un rapporto di lavoro subordinato, né per consentire allo stesso di svolgere la mansione per la quale è stato assunto, né per adeguare ed aggiornare le proprie conoscenze, accertate in fase di assunzione23.

Viene però previsto l’obbligo di formazione in materia di prevenzione degli infortuni ed igiene del lavoro, in osservanza del dovere dell’imprenditore di adottare le misure necessarie a

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tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, prescritta dall’art. 2087 "Tutela delle condizioni dei lavoratori" del Codice Civile.

La normativa relativa a questo tema è, come già affermato, il Testo Unico, nel quale la formazione è definita come “processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi”.

Un’attività di formazione obbligatoria è anche prevista dalla legge per l’apprendistato. Per questa forma contrattuale, la legge istitutiva (Legge 25/1955) e le successive modifiche ed integrazioni, prevede per il giovane, di età compresa tra i 15 e i 29 anni, oltre all’insegnamento di natura pratica sul posto di lavoro, la frequenza di corsi obbligatori di formazione da computare nell’orario di lavoro.

Come ricordato all’inizio del presente paragrafo, le iniziative formative, oltre a consentire l’adempimento degli obblighi normativi, permettono alle concerie di conseguire e/o mantenere il proprio vantaggio competitivo, sempre più dipendente dalla qualità delle risorse umane operanti all’interno dell’organizzazione.

Nel 2015, secondo il Rapporto di Sostenibilità 2016 dell’UNIC, nell’ambito dell’industria conciaria italiana sono state erogate mediamente 14 ore di formazione per addetto (+40% rispetto al 2014). I temi hanno riguardato salute e sicurezza sul lavoro per il 37,6% del monte ore, il resto delle stesse ha avuto quale oggetto temi connessi alla sostenibilità (ambiente, responsabilità sociale, sicurezza di prodotto, ecc.) e l’implementazione di sistemi di gestione e controllo.

L’attività di formazione professionale all’interno del Distretto conciario di Santa Croce è svolta attraverso il Polo Tecnologico Conciario (Po.Te.Co).

Po.Te.Co. Scrl è una società mista pubblico-privata a maggioranza privata, senza scopo di lucro, nella cui compagine sociale si trovano i comuni del Distretto e le associazioni di categoria delle aziende conciarie, di quelle calzaturiere e dei terzisti, in rappresentanza dell’intera filiera della moda, ovvero Comune di Santa Croce sull´Arno, Comune di Montopoli Val d´Arno, Comune di Castelfranco di Sotto, Comune di San Miniato, Comune di Santa Maria a Monte, Comune di Fucecchio, Provincia di Pisa, Associazione Conciatori di Santa Croce sull´Arno, Consorzio Conciatori di Ponte a Egola, ASSA (Associazione Lavorazioni Conto Terzi), Consorzio Calzaturieri della Provincia di Pisa.

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La peculiarità che caratterizza e contraddistingue Po.Te.Co dagli altri poli tecnologici toscani, a maggioranza pubblica, è il fatto che i costi di gestione sono completamente a carico della parte privata del capitale sociale; ciò comporta ripercussioni positive a livello di

governance e di qualità dei servizi offerti.

Il Polo Tecnologico si occupa di promuovere la specializzazione del personale tecnico sia a livello di scuola media superiore che universitaria e di intraprendere attività di formazione professionale e di ricerca applicata.

In particolare, i campi di intervento di Po.Te.Co. riguardano:

• la sostenibilità ambientale, dove confluiscono strumenti e progetti specifici finalizzati alla ricerca ed applicazione di soluzioni per il monitoraggio ambientale e l'ecocompatibilità del comparto,

• il mercato, con progetti che riguardano l’innovazione di prodotto e la comunicazione esterna;

• la Conceria Sperimentale, la Manovia Sperimentale (avviata nell’aprile 2017) ed il laboratorio, il cui obiettivo è di incrementare la competitività del settore in una prospettiva di sviluppo sostenibile, agendo sui processi critici per la qualità ambientale e l’efficienza dei suoi fattori produttivi e partecipando a programmi di ricerca e sviluppo per l’introduzione di elementi di innovazione di prodotto, di processo e di tipo organizzativo.

• la formazione delle risorse umane24.

Nell’ottica dell’oggetto del presente paragrafo, viene sviluppato il tema della formazione, mentre per la trattazione degli altri campi di intervento del Polo Tecnologico si rimanda al paragrafo successivo.

All’interno di Po.Te.Co, agenzia formativa accreditata presso la Regione Toscana e certificata ISO 9001.2008, la formazione è intesa come valorizzazione del patrimonio di competenze imprenditoriali, manageriali e tecnico-specialistiche. Le attività formative promosse riguardano:

• formazione finanziata: attività finanziate dal Fondo Sociale Europeo finalizzate alla formazione o all’aggiornamento di specifiche figure professionali;

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• formazione a catalogo: attività a pagamento privato;

• formazione per le aziende: corsi per l’aggiornamento e la specializzazione del personale aziendale operante nei diversi settori di destinazione d’uso della pelle (conceria, calzatura, pelletteria, ecc.) con contenuti, durata e modalità di svolgimento realizzati in funzione delle specifiche esigenze aziendali;

• formazione personalizzata: corsi idonei per specifiche esigenze individuali, definendo un percorso condiviso dagli obiettivi didattici, fino all’organizzazione di lezioni private25.

Queste attività sono rivolte sia ad occupati, in un’ottica di formazione continua e di aggiornamento delle conoscenze possedute, che a disoccupati. Per quanto riguarda i primi, le iniziative formative riguardano specifiche figure professionali, che svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo produttivo della conceria, ma anche personale amministrativo ed operatori commerciali. Vengono inoltre svolte attività formative riguardanti la conoscenza della lingua inglese e di altre lingue (spagnolo, cinese, ecc.), in ragione delle specifiche necessità.

Le attività rivolte ai disoccupati concernono l’avviamento al lavoro dei giovani in possesso di titoli di studio superiori alla scuola media, con corsi per aggiunteria CAD/CAM, addetti alle pelli grezze, alla gestione del magazzino, per tecnici della gestione delle fasi di produzione, per tecnici import–export, ecc. Tutti i questi corsi sono collegati a concrete esperienze di stage, che consentono di mettere in pratica le nozioni acquisite26.

Oltre che attraverso stage in aziende del Distretto, la messa in pratica delle conoscenze acquisite è resa possibile attraverso la Conceria Sperimentale e la Manovia Sperimentale presenti all’interno del Polo Tecnologico, ovvero una conceria ed una manovia modello, dotate di macchine ed attrezzature moderne, in cui vengono svolte le lezioni teorico-pratiche e le esercitazioni inerenti i temi tratti durante il corso di formazione.

Si realizza così una tipologia di formazione che prevede un’alternanza scuola-lavoro, capace di conferire ai giovani le competenze necessarie ad inserirsi nel mondo del lavoro e che conduce al superamento del gap formativo tra mondo del lavoro e mondo accademico in termini di competenze e preparazione.

25 Giannini M., Turini V., op. cit., p. 160. 26 Giannini M., Turini V., op. cit., p. 161.

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L’attività formativa viene, inoltre, svolta attraverso rapporti di collaborazione che il Polo ha creato con diverse istituzioni didattiche, di vari livelli.

Per quanto attiene la scuola media superiore è attivo un indirizzo chimico-conciario presso l’Istituto Tecnico Cattaneo di San Miniato, mentre a livello universitario sono attive due Lauree Applicative in chimica-conciaria ed ingegneria chimica-conciaria presso l’Università di Pisa.

Come ricordato dal Presidente dell’Associazione Conciatori di Santa Croce Franco Donati nell’ambito dell’assemblea annuale del 24 maggio 2016, attraverso Po.Te.Co è stato creato, all’interno del Distretto, “un sistema di formazione unico nel suo genere nel panorama manifatturiero nazionale”, che prevede corsi di formazione a livello di scuola superiore, universitario e professionale, organizzati non nella sola ottica di settore, ma in quella dell’intera filiera della pelle.

Oltre all’attività svolta da Po.Te.Co, all’interno del Distretto sono state attivate altre iniziative formative, quali:

“Botteghe di mestiere": si tratta di un progetto, attivato per l’anno 2013, rientrante nel programma AMVA (Apprendistato e Mestieri a Vocazione Artigianale), promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e gestito da Italia Lavoro. Tale progetto, rivolto a giovani tra i 18 e i 29 anni non compiuti in cerca di occupazione, consisteva in un percorso di formazione on the job, caratterizzato da un apprendimento pratico direttamente sul campo, al fine di far apprendere ai partecipanti un mestiere legato alla tradizione artigianale tipica del "Made in Italy", spendibile nel mercato del lavoro locale27. Il progetto, attivato sull’intero territorio nazionale, ha coinvolto i terzisti del settore conciario;

• “Amici per la Pelle”: consiste in un progetto didattico nato nel 2010 da un'idea del Gruppo Giovani conciatori allo scopo di far conoscere alle nuove generazioni del comprensorio del cuoio il patrimonio di risorse connesso alla locale industria della pelle. Ogni anno, nell'ambito di "Amici per la Pelle", gli studenti delle classi seconde medie del distretto santacrocese, in particolare delle scuole di Santa Croce, Castelfranco di Sotto, Ponte a Egola e Fucecchio, vengono portati a scoprire meccanismi, segreti e curiosità del mondo della concia, attraverso visite presso

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concerie, aziende ed impianti del territorio che provvedono alle diverse fasi dell'industria conciaria. Nell’anno scolastico 2015-2016 gli studenti del Distretto coinvolti nel progetto sono stati oltre 550; nel corso dei sei anni di attività Amici per la Pelle ha coinvolto oltre 2.000 studenti. I giovani protagonisti del progetto sono chiamati ad impiegare la propria manualità e ad utilizzare la fantasia per la realizzazione, sulla base di un tema assegnato, di un’opera in pelle, premiata nel corso della fiera Lineapelle di Milano nel mese di febbraio. Il progetto è stato esportato dall’UNIC anche negli altri distretti italiani.28

2.2.5 La ricerca e l’innovazione

Come enunciato nel precedente paragrafo, i campi di intervento del Polo Tecnologico Conciario sono molteplici. Dopo la trattazione del ruolo svolto dallo stesso in materia di formazione professionale, segue quella relativa alle attività che Po.Te.Co compie nel campo della ricerca e dell’innovazione.

L’attività di ricerca, svolta in collaborazione con l’Università di Pisa e con altri centri di innovazione, riguarda diversi aspetti legati alla filiera della pelle:

• ricerca di processo, legata ad aspetti di miglioramento del processo di lavorazione del pellame, in termini di costi, tempi e sicurezza per gli operatori;

• ricerca di prodotto, improntata al miglioramento delle caratteristiche del prodotto, all’innovazione e alla rispondenza verso le esigenze del mercato;

• ricerca ambientale, legata al miglioramento di tutti gli aspetti ambientali del processo, in termini di scarichi idrici, di emissioni in atmosfera e di recupero degli scarti di lavorazione;

• trasferimento tecnologico, come punto di contatto di tutti gli attori della filiera, dalla conceria, all’azienda contoterzista, all’azienda manifatturiera, all’utilizzatore finale29.

28 Fonte: Associazione Conciatori. 29 Giannini M., Turini V., op. cit., p. 161.

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