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CAPITOLO 3 IL PORTO DI LIVORNO E IL PROGETTO LIFE+ SEKRET

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CAPITOLO 3

IL PORTO DI LIVORNO E IL PROGETTO LIFE+

SEKRET

3.1: Il porto di Livorno

Il porto di Livorno sorge nella parte Nord-Occidentale della Toscana a 43°32’.6 di latitudine Nord e 10°17’.8 di longitudine Est e si affaccia sull'Alto Tirreno. L’area portuale ha una perimetrazione a mare che racchiude una superficie idrica di 160ha, mentre le aree a terra occupano una superficie di 250ha, dei quali 80 all’interno delle barriere doganali.

Le banchine hanno una lunghezza complessiva di 11.000 m lineari in cui sono presenti 90 ormeggi operativi che annualmente movimentano il passaggio di circa 5000 navi appartenenti a 200 diverse compagnie di navigazione. Sono presenti due scali ferroviari con 60 km di binari e due moli di capacità superiore a 350.000 t. Il quantitativo di merci in transito nel porto di Livorno ammonta a circa 20 milioni di tonnellate all’anno.

Figura 3.1: vista dall’alto del porto di Livorno

Gran parte del porto è stata costruita artificialmente su di un sito a bassi fondali e sono sempre stati necessari interventi di dragaggio per aumentare la profondità dei fondali e

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realizzare le varie darsene e banchine. Inoltre, l’area è soggetta al trasporto litoraneo di sedimenti del fiume Arno, pertanto per mantenere le profondità e contrastare i fenomeni di interrimento che tendono a verificarsi si rende necessario il ricorso frequente a dragaggi di manutenzione (mediamente quasi 100.000 m3 all’anno).

Nel 1999 è stata realizzata una vasca di colmata sul lato ovest della Darsena Toscana, costruendo una scogliera esterna di 700 x 700 m e delimitando cosi un’area marina di circa 500.000 m² e un volume disponibile di 1.600.000 m³ disponibili. Questa vasca di colmata è già stata completamente riempita e nel 2012 è iniziata la realizzazione della seconda vasca di colmata adiacente alla prima e di uguale volume. Dal 2014 questa seconda vasca di colmata è in fase di riempimento.

L’area portuale di Livorno è fortemente antropizzata e al suo interno vengono svolte numerosa attività industriali e commerciali legate al trasporto marittimo e allo stoccaggio di rinfuse liquide e solide, di prodotti chimici, solventi ed oli minerali, di frutta fresca, di prodotti forestali, carta e cellulosa, containers e automobili nuove. Sono presenti ed operanti aziende operanti nel settore chimico e petrolchimico e insediamenti produttivi classificati come “industrie a rischio di incidente rilevante”, che contribuiscono all’apporto di numerosi scarichi di natura sia industriale che civile. Sono inoltre presenti aree dedicate al traffico di rame e materiali non ferrosi, aree specializzate nel trattamento di rifiuti ed uno degli scali ferroviari è utilizzato per la movimentazione di sostanze pericolose. Ciò ha determinato il riconoscimento dell’area industriale e portuale di Livorno come “area critica ad elevata concentrazione di attività industriali” (L. 137/97).

Viste queste caratteristiche e la conseguente massiccia presenza di contaminanti nel sito in questione, l’area portuale di Livorno è stata inserita tra i SIN con Decreto Ministeriale 18 settembre 2001, n.468. L’esatta perimetrazione dell’area compresa nel suddetto SIN è stata specificata con il successivo Decreto del Ministero dell’Ambiente 24 febbraio 2003 (raffigurata dalla perimetrazione in blu nella figura 3.2). La perimetrazione del 2003 racchiudeva un’area molto vasta che comprendeva l’intera cinta portuale e la raffineria estendendosi anche agli specchi acquei portuali tra la foce del Canale dello Scolmatore dell’Arno e il Faro di Livorno, sino al limite con il parco marino della Meloria al largo della città di Livorno e l’intero ambito demaniale. Con il D.M. 147/2014 il Ministero dell’Ambiente

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55 ha permesso la riperimetrazione del SIN di Livorno, riducendone notevolmente l’estensione: sono state escluse dal SIN tutte le acque interne al porto ed una parte consistente delle acque marine antistanti e anche la quasi totalità delle aree a terra, eccetto le aree della raffineria ENI e della centrale ENEL (perimetrazione in verde nella figura 3.2).

Figura 3.2: Perimetrazione del SIN del porto di Livorno (in blu relativa al 2003 e in verde aggiornata al 2014)

3.1.1: Lo sviluppo futuro del porto di Livorno

Il porto di Livorno è stato inserito dalla Commissione Europea nella “Core Network della Trans

European Transport Network (TENT-T)” ed è attualmente in corso di realizzazione un

progetto finalizzato a realizzare una nuova piattaforma portuale: la Piattaforma Europa. Le caratteristiche della darsena, delle banchine e degli spazi a terra di cui la nuova piattaforma sarà dotata conferiranno al porto di Livorno un’importanza primaria e strategica all’interno del Mediterraneo occidentale, rendendolo idoneo al traffico delle navi portacontainers di ultima generazione e consentendogli di competere tra i principali porti internazionali. La configurazione della nuova Piattaforma Europa prevista nel P.R.P. del porto di Livorno è rappresentata nella Figura 3.3, nella quale sono riportate le caratteristiche tecniche generali delle opere programmate. La Piattaforma Europa comprenderà un unico grande canale, largo 300 m, (Darsena Europa) sulle cui sponde si affacciano due vasti terrapieni larghi rispettivamente 650 m e 550 m.

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Il terrapieno più grande, posto a Sud del canale e la cui realizzazione è prevista nella prima fase del progetto Piattaforma Europa, è delimitato da due banchine contrapposte lunghe circa 1100 m e dalla banchina di testata lunga 650 m. Questo primo terrapieno è destinato principalmente al traffico di containers, riservando il lato settentrionale alle navi più grandi (ULCV, Post-Panamax) e quello meridionale alle navi più piccole (Panamax e navi feeder in generale). Il terminale sarà servito da un ramo ferroviario a servizio di ambedue le banchine. Il terrapieno posto a Nord del canale, da realizzare nella seconda fase del progetto sarà destinato allo svolgimento dei traffici delle Autostrade del mare e verrà utilizzato dalle navi ro-ro e ro-pax che potranno attraccare sia lungo la banchina delimitante il terrapieno a sud, che lungo tre pontili radicati sulla testata occidentale (non rappresentati in figura 3.3), all’interno della cosiddetta Darsena Traghetti. Gli attracchi, complessivamente in numero di dieci, oltre a essere collocati in immediata prossimità dell’imboccatura portuale, disporranno di piazzali a terra molto vasti.

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57 Le opere della Piattaforma Europa saranno completate da una darsena Fluviale posizionata lungo il lato settentrionale del piazzale nord in prossimità della foce dello Scolmatore d’Arno che costituirà il terminale dei traffici fluviali che, una volta attuati gli interventi lungo l’alveo dello Scolmatore programmati dalla Provincia di Pisa e finalizzati alla sua navigabilità, si potranno svolgere tra il porto di Livorno e le aree logistiche del Faldo e dell’Interporto Vespucci di Guasticce.

L’accesso delle navi alla Piattaforma Europa avverrà attraverso due imboccature successive, a distanza reciproca di circa 1 Km, in modo tale da assicurare un duplice effetto di diffrazione del moto ondoso con notevole riduzione delle condizioni meteomarine al loro interno. Per quanto riguarda le quote dei fondali, per il canale di accesso di larghezza pari a 250 m che si estende fino all’imboccatura interna è previsto un battente minimo di 17 m; per l’area della darsena Petroli e per l’area di evoluzione prevista nell’avamporto esterno è previsto un battente minimo di 15 m; per l’area di evoluzione del bacino interno e per gli specchi acquei prospicienti le banchine Nord ed Ovest del terrapieno sud, destinato alle grande navi portacontainers, è previsto un battente minimo di 16m; infine per gli specchi acquei relativi agli attracchi del molo nord, destinati ai traffici delle Autostrade del mare e della banchina sud del medesimo molo, destinato alle porta containers di minori dimensioni (feeder) è previsto un battente minimo di 13m.

Il costo complessivo di realizzazione della Piattaforma Europa, comprensivo di dragaggi e delle opere stradali e ferroviarie, è pari a circa 1,3 miliardi di Euro.

La realizzazione delle opere precedentemente descritte, è divisa in due fasi la prima delle quali prevede la realizzazione delle opere necessarie all’entrata in servizio del nuovo terminal per portacontainers in grado di ospitare navi di progetto di ultima generazione (ULCV). Per questa fase del progetto sono previsti 9 mesi per la progettazione definitiva, 6 mesi per la progettazione esecutiva e 4 anni per la realizzazione delle relative opere.

Oltre alla realizzazione del relativo terrapieno, in questa prima fase è prevista la realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie per garantire il collegamento stradale e ferroviario con le reti esterne al porto (SGC Firenze-Pisa-Livorno e linea ferroviaria dorsale tirrenica) e delle opere di difesa portuale necessarie per garantire l’accesso in porto alle navi di progetto e la

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protezione del nuovo bacino portuale dalla penetrazione del moto ondoso. In particolare, le nuove opere di difesa portuali prevedono la realizzazione di un imponente molo foraneo che ha origine dalla testata del molo guardiano sud della foce del canale Scolmatore d’Arno, si estende verso nord seguendo il tracciato della nuova darsena fluviale e del nuovo terrapieno Nord praticamente fino al limite del bacino del terminal traghetti, poi devia verso sud fino a delimitare l’imboccatura interna della Piattaforma Europa. Le nuove opere di difesa portuale prevedono anche la realizzazione di una diga distaccata a nord e la demolizione della Diga della Meloria che sarà sostituita da un nuovo tratto da realizzare per liberare un’ampia area di manovra nello spazio idrico in ingresso della Darsena Europa (fig3.4).

Figura 3.4: come apparirà la nuova Piattaforma Europa al termine delle opere previste dalla fase 1 (in alto) e

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3.2: Il progetto Life+ SEKRET

Come è stato evidenziato nei precedenti capitoli, nei porti di tutta l’Europa vi è la necessità di eseguire interventi di dragaggio per vari scopi. Spesso però i sedimenti marini derivanti dal dragaggio delle aree portuali e delle aree costiere limitrofe risultano essere contaminati, dato che essi costituiscono il ricettore naturale delle sostanze inquinanti immesse in ambiente marino e che tale apporto di sostanze nocive è particolarmente elevato nelle aree portuali di rilevanza nazionale e internazionale. Sempre più spesso i sedimenti portuali dragati risultano quindi contaminati, principalmente da metalli pesanti ed idrocarburi ma anche da altri inquinanti organici e inorganici ed è quindi fondamentale l’individuazione di nuove e migliori strategie di gestione dei sedimenti contaminati che siano sostenibili non solo da un punto di vista economico ma anche e soprattutto ambientale. Le tecniche di bonifica classiche derivate dal trattamento dei suoli contaminanti si rivelano però poco efficaci sui sedimenti marini e pertanto si sta investendo sulla ricerca di nuove tecniche da impiegare a tale scopo. Fra queste, la decontaminazione elettrocinetica è ampiamente riconosciuta come quella più adatta per la rimozione di diversi tipi di contaminanti da matrici caratterizzate da bassa conducibilità idraulica quali i sedimenti marini. Nonostante i numerosi studi teorici e le esperienze sperimentali di laboratorio condotte abbiano confermato i punti di forza della tecnica elettrocinetica, la sua applicazione pratica in scala reale per trattamenti sui sedimenti marini resta ancora inutilizzata, soprattutto in virtù della difficoltà di prevedere in che modo le prestazioni del trattamento verranno influenzate dalle specifiche caratteristiche della matrice da gestire (ad esempio la capacità tampone dovuta alla presenza di sostanza organica e carbonati) e la conseguente difficoltà di individuare i parametri operativi per ottimizzare il processo. Il tutto rende la tecnologia ancora non competitiva per le applicazioni in scala reale (Masi, 2016).

In questo contesto il programma LIFE, instituito dall'Unione europea per finanziare iniziative di salvaguardia dell'ambiente e della natura, ha finanziato la realizzazione del progetto life+

SEKRET – Sediment ElecroKinetic REmediation Treatment of heavy metal pollution removal.

Lo scopo di questo progetto è dimostrare la fattibilità del ricorso alla tecnologia di bonifica elettrocinetica per il trattamento di sedimenti di dragaggio portuale in cui sono presenti

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contaminazioni da metalli pesanti e idrocarburi con concentrazioni superiori ai livelli di guardia.

Il fulcro del progetto SEKRET è consistito nella dimostrazione diretta dei risultati conseguibili con la tecnologia EKR tramite la realizzazione di un impianto dimostrativo in scala reale realizzato in un’area preposta del Porto di Livorno in cui sono stati posti a trattamento circa 150 m³ di sedimenti appositamente dragati.

3.2.1: Struttura dell’impianto SEKRET

Figura 3.5: schema dell’impianto SEKRET (tratto da Iannelli, 2015)

L’impianto dimostrativo è costituito da una vasca realizzata in pannelli prefabbricati rinforzati e resa stagna da un rivestimento interno impermeabile ed equipaggiata per la realizzazione della tecnica EKR. L’impianto è realizzato secondo lo schema del brevetto

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61 L’impianto può essere suddiviso nelle cinque seguenti sezioni, di ciascuna delle quali verranno fornite la descrizione e i criteri di dimensionamento nei prossimi paragrafi:

1. Vasca di trattamento;

2. Sistema di energizzazione elettrica;

3. Sezione di condizionamento degli elettroliti; 4. Sezione di trattamento delle emissioni gassose; 5. Sezione di trattamento dell’elettrolita esausto.

3.2.2: Vasca di Trattamento

La vasca di trattamento costituisce il cuore dell’intero impianto di trattamento.

È realizzata con pannelli prefabbricati in cemento armato portanti e auto-stabili alti 170 cm, aventi classe di resistenza C45 e classe di esposizione XA1 (UNI EN 206-1) che li rende resistenti agli attacchi chimici dovuti all’eventuale contatto con le soluzioni elettrolitiche o con i sedimenti contaminati da trattare. I pannelli sono stati assemblati tra loro direttamente sul sito tramite giunti con guarnizione in elastomero resistente agli acidi senza necessità di eseguire getti di calcestruzzo in opera (figura 3.6).

Figura 3.6: riproduzione della vasca con pozzetti e condutture installate (sinistra); pannello perimetrale (destra)

La superficie interna della vasca è stata rivestita con teli Panama impermeabili costituiti da uno strato gommato e uno strato protettivo di geotessuto, allo scopo di migliorare la tenuta dei sedimenti e del fluido interstiziale riversati nella vasca e anche di isolare in modo più efficace il campo elettrico all’interno della vasca.

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Dei 170 cm di altezza totale dei pannelli: 10 cm sono stati interrati rispetto al piano campagna; per uno spessore di 23 cm, sul fondo della vasca, è stato disposto uno strato di sabbia compatta sul quale disporre la membrana, per evitare che questa potesse essere danneggiata da eventuali cedimenti differenziali; 2 cm corrispondono allo spessore della membrana Panama; lo strato di sedimenti da trattare riversati nella vasca è alto circa 125 cm; rispetto al bordo superiore dei pannelli resta un franco libero di circa 10 cm.

Le dimensioni esterne della vasca sono di 19,18 x 7,13 x 1,70 m mentre il volume netto di sedimenti collocati al suo interno risulta di 18,55 x 6,48 x 1,25 m per un totale di 150,25 m3.

L’interno della vasca è stato equipaggiato con un sistema di pozzetti microforati verticali disposti secondo una griglia a maglia quadrata di 1 m di lato, su 14 linee composte da 6 pozzetti ciascuna. Ciascun pozzetto è costituito da un tubo di 90 mm di diametro fessurato a spirale, alle cui estremità sono saldati i raccordi per la circolazione dell’elettrolita in ingresso e in uscita e sull’estremità superiore del pozzetto è realizzato un tappo nel quale viene ancorato l’elettrodo. Nei pozzetti sono stati inseriti gli elettrodi secondo file alternate di anodi e

catodi (figura 3.7). Figura 3.7: dettaglio elettrodi

I pozzetti di una stessa fila sono collegati fra di loro da tubature idrauliche per la circolazione degli elettroliti e all’esterno della vasca ciascuna fila di tubature è collettata a due condotte che corrono parallele al lato lungo della vasca permettendo di distribuire l’una i flussi in ingresso alle singole linee di pozzetti e l’altra di collettarne i flussi in uscita (figura 3.8).

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63 Le file anodiche e catodiche sono collegate secondo due circuiti idraulici indipendenti, in modo da potere agire differentemente sul catolita e sull’anolita circolanti e avere un maggior grado di controllo sul condizionamento del pH nel bacino di trattamento.

Sia l’anolita che il catolita vengono fatti circolare secondo due circuiti analoghi che hanno origine dai due serbatoi in cui sono contenuti i rispettivi elettroliti, vengono mandati impiegando delle pompe nella condotta di distribuzione e fatti circolare su tutte le file anodiche/catodiche e poi in uscita dalla vasca vengono collettati e tornano ai serbatoi. La vasca infine è stata dotata di una copertura a serra per impedire l’interazione dei sedimenti in trattamento con gli agenti atmosferici e l’ambiente all’interno della copertura è mantenuto in costante depressione da un aspiratore (figura 3.9).

Figura 3.9: sequenza delle fasi di realizzazione della vasca di trattamento dell’impianto SEKRET.

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I flussi gassosi aspirati dalla serra non vengono rilasciati direttamente in atmosfera perché potrebbero contenere concentrazioni elevate di cloro gassoso liberatosi dai sedimenti in trattamento, soprattutto nella fase iniziale del processo, per cui sono prima convogliati ad uno scrubber per il trattamento delle emissioni gassose dell’impianto.

3.2.3: Sistema di energizzazione

Nella vasca sono collocati 84 elettrodi, di cui 42 anodi e 42 catodi, ciascuno lungo 90 cm e largo 6 cm, piegato ad L in senso longitudinale (Fig. 3.7). All’estremità di ciascun elettrodo è saldato un tondino portacorrente per permettere la connessione elettrica. Gli elettrodi al catodo sono costituiti da una porzione di tubo di acciaio inox di 25 mm di diametro, mentre quelli all’anodo sono realizzati con una rete in titanio nobilitato rivestita di ossidi metallici: questa differenza di materiali è dettata dalla necessità di dotare l’elettrodo dell’anodo di una maggiore resistenza all’attacco acido che caratterizza l’ambiente in cui si trova immerso.

L’energizzazione del sistema necessaria ad indurre il campo elettrico che funge da forza motrice del processo EKR è ottenuta con allacciamento alla rete elettrica trifase a 380V a corrente alternata e potenza massima di 50kW.

La relazione che lega l’intensità del campo elettrico E alla densità di corrente elettrica J e alla resistività r nella vasca di trattamento è:

𝐸 = 𝐽 ∗ 𝜌 (1)

Dalla relazione (1) si vede che il campo elettrico, la cui intensità è proporzionale all’efficacia dei meccanismi di estrazione elettrocinetica dei contaminanti, è direttamente proporzionale al prodotto tra la densità di corrente elettrica e la resistività: sarebbe quindi conveniente massimizzare tale prodotto.

La densità di corrente elettrica tuttavia deve essere limitata al valore massimo di 5 A/m2

perché valori superiori causerebbero il surriscaldamento degli elettroliti. Poiché le condizioni di resistività nella matrice solida trattata cambiano, oltre che nel tempo, anche da punto a punto in uno stesso istante, il sistema di energizzazione è allora concepito per mantenere

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65 sempre la densità di corrente al valore di 5 A/m2 tramite un sistema di controllo che regola

automaticamente e in modo indipendente su ogni singola coppia di elettrodi la differenza di potenziale applicata agli elettrodi e la potenza elettrica assorbita dalla rete mediante regolatori di potenza a stato solido. I dispositivi sono gestiti tramite un PC, attraverso interfaccia Modbus su bus RS-485. Il software installato sul PC comunica con i dispositivi regolatori di potenza ed imposta la tensione in uscita in modo da mantenere il valore di densità di corrente di 5 A/m2, con il limite massimo di 30V imposto per ragioni di sicurezza

(Masi e Iannelli, 2015).

Imponendo i limiti massimi precedentemente descritti sulla densità di corrente e sulla differenza di potenziale e adottando come valori di resistività dei sedimenti i due valori minimi e massimi che si prevede di raggiungere durante il trattamento in virtù delle simulazioni e dei test sperimentali condotti prima della realizzazione dell’impianto (Scarpellini 2015), si ottengono i due scenari limite riassunti nella seguente tabella:

Scenario Resistività minima Resistività massima Resistività sedimento (Wm) 0.5 5 Numero di elettrodi 84 84 Densità di corrente (A/m2) 5 5

Corrente per coppia elettrodi (A) 12.5 12.5 Corrente totale (A) 526.5 526.5 Potenza specifica (W/m3) 12.5 125

Potenza totale (kW) 1.9 18.75 Tensione massima (W) 2.7 26.5

Tabella 3.1: caratteristiche dell’impianto di energizzazione nei due scenari limite (fonte: Masi e Iannelli, 2015)

Si osserva che la massima potenza che sarà necessario assorbire dalla rete elettrica (18,75kW) in corrispondenza dello scenario di massima resistività è notevolmente inferiore a quella massima disponibile (50kW), quindi sarà effettivamente possibile mantenere la densità di corrente elettrica pari al valore massimo compatibile col corretto funzionamento dell’impianto (5 A/m2) per tutta la durata del trattamento.

Si fa comunque presente che oltre all’alimentazione energetica degli elettrodi, l’allacciamento alla rete elettrica deve anche essere in grado di alimentare gli altri dispositivi presenti nell’impianto (pompe, aspiratore, scrubber, etc.)

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3.2.4: Sezione di condizionamento degli elettroliti

Come è stato già più volte affermato, il pH presente nei sedimenti in trattamento gioca un ruolo chiave nell’efficacia del trattamento di decontaminazione elettrocinetica perché da esso dipende fortemente la quantità di contaminanti che si portano in soluzione in forma ionica nel fluido interstiziale e, quindi, che diventano mobilizzabili ed estraibili dai sedimenti. È quindi fondamentale potere intervenire sul pH come parametro operativo modificabile per indurre nel bacino di trattamento le condizioni che ottimizzano l’efficienza del processo. Le esigenze di condizionamento del pH nei due elettroliti sono però differenti dato che, per effetto delle reazioni di elettrolisi, all’anodo si formano ioni H+ che danno luogo a un fronte

acido in avanzamento mentre al catodo si formano ioni OH- e un conseguente fronte basico.

Pertanto i reagenti da introdurre nel sistema per controllare in modo opportuno i valori del pH nella vasca sono di diverso tipo nei pozzetti anodici e catodici e ciò spiega la necessità di adottare per essi due circuiti di ricircolo indipendenti, ciascuno dei quali dotato di un serbatoio a pelo libero per la disconnessione idraulica e di una coppia di pompe di ricircolo. Entrambi i circuiti sono inoltre dotati di due gruppi di sonde posizionate sia in ingresso che in uscita della vasca, che monitorano in continuo i valori di pH, potenziale redox, temperatura e conducibilità degli elettroliti. Le rilevazioni effettuate dalle sonde sono collegate, tramite un sistema di controllo PID a set-points regolabili, ad un software di monitoraggio che provvede automaticamente a condizionare il pH dei due elettroliti per mantenerli nel range di efficienza ottimale per l’efficienza del processo:

1. nel catolita, per impedire l’alcalinizzazione dei sedimenti in prossimità dei catodi a causa del quantitativo di ioni OH- generati nelle reazioni di elettrolisi e mantenere il

valore di pH<3,5 , viene dosato acido nitrico HNO3 al 68%;

2. nell’anolita, per evitare l’eccessiva acidificazione in prossimità degli anodi dovuta alla produzione di ioni H+, il sistema di controllo viene regolato per dosare idrossido

di sodio NaOH al 37% quando il pH raggiunge il valore di controllo impostato a 1,5. Il limite superiore di pH imposto sul catolita serve a garantire l’efficienza del processo perché, per valori di pH≥4 , i metalli nel fluido interstiziale tendono a precipitare diventando così meno mobili ed estraibili dai sedimenti. Il limite inferiore di pH impostato sull’anolita è invece

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67 dettato dalla necessità di impedire che la conduttività dell’elettrolita aumenti troppo: questa eventualità comporterebbe che, a parità di densità di corrente elettrica, si ridurrebbe l’intensità del campo elettrico agente sui sedimenti e, conseguentemente, diminuirebbe l’effetto di estrazione elettrocinetica dei contaminanti.

Le sostanze chimiche introdotte negli elettroliti a tale scopo devono comunque essere tali da non comportare il rilascio di residui tossici di reazione nel suolo. Inoltre l’impiego dei reagenti chimici per il condizionamento del pH e delle attrezzature necessarie al loro dosaggio controllato non deve costituire una voce di costo troppo elevata sull’economia generale dell’impianto, per mantenere il computo del costo del trattamento per metro cubo di sedimento a valori competitivi.

Un parametro fondamentale nella progettazione del settore di condizionamento degli elettroliti è consistito nel calcolo dei quantitativi di acido e base che sarebbero stati necessari per mantenere il pH ai livelli voluti e contrastare le variazioni indotte dall’elettrolisi.

In primo luogo è stato calcolato il quantitativo di ioni idrogeno e ioni idrossido giornalmente prodotti per effetto dell’elettrolisi delle molecole d’acqua, che dipende esclusivamente dall’intensità di corrente. Le reazioni di elettrolisi che avvengono agli elettrodi sono:

Anodo: 2H2O → O2 + 4H+ + 4e- ;

Catodo: 2H2O + 2e- → H2 + 2OH-

Stechiometricamente, per ogni mole di elettroni che trasferisce corrente viene generata una mole di ioni idrogeno all’anodo e una mole di ioni idrossido al catodo. Quindi il numero di moli di H+ e OH- prodotte giornalmente è uguale al numero di moli di elettroni che

trasferiscono corrente elettrica nella vasca in 24 ore.

Sapendo che: la densità di corrente elettrica nella vasca di trattamento è pari a J=5 A/m2; che

la sezione trasversale della vasca ha dimensioni w=6.48 m (larghezza) ed h=1.25 m (altezza strato sedimenti) e che sono presenti un numero di file di elettrodi n=14, l’intensità di corrente complessiva nella vasca risulta:

I = J * w * h * (n – 1) = 5 * 6.48 * 1.25 * (14 - 1) = 526.5 A = 526.5 C/s (2)

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C/d = I * 86400 s/d = 4.5 * 107 (3)

Tramite la costante di Faraday si ottiene il corrispondente numero di moli di elettroni giornaliere: 𝑚𝑜𝑙 𝑑 𝑒 − = 𝑚𝑜𝑙 𝑑 𝐻 + = 𝑚𝑜𝑙 𝑑 𝑂𝐻 − = 𝐶 𝑑∗ 1 𝐹= 472 𝑚𝑜𝑙 𝑑 (4)

Nota la quantità di idrogenioni e ossidrilioni prodotti giornalmente, è possibile calcolare la quantità di reagenti da dosare ogni giorno nel sistema per contrastare gli effetti acidificanti/alcalinizzanti che essi producono, una volta note le caratteristiche degli stessi reagenti immessi negli elettroliti (tabella 3.2):

anodo catodo

Reagente NaOH HNO3

densità r 1.328 kg/l 1.322 kg/l Molarità 10 M 10.9 M Peso Molecolare 40 g/mol 63 g/mol concentrazione S 37% 68%

Tabella 3.2: caratteristiche dei reagenti di condizionamento utilizzati negli elettroliti

Il quantitativo giornaliero di reagenti necessari risulta essere: 𝐻𝑁𝑂3 =𝑚𝑜𝑙 𝑂𝐻 −∗𝑃𝑀 𝐻𝑁𝑂3 1000∗𝜌∗𝑆 = 33.1 𝑙/𝑑 (5) 𝑁𝑎𝑂𝐻 =𝑚𝑜𝑙 𝐻+∗𝑃𝑀𝑁𝑎𝑂𝐻 1000∗𝜌∗𝑆 = 38.4 𝑙/𝑑 (6)

Da questi calcoli deriva la stima del quantitativo di reagenti che sarà necessaria per l’intera durata del processo di trattamento (18 mesi): circa 18 m3 di acido nitrico e 21 m3 di idrossido

di sodio.

Una possibile strategia per ridurre questo quantitativo potrebbe essere quella di miscelare un certo quantitativo di catolita e anolita prima di metterli in ricircolo in modo da ottenere per questa via un parziale condizionamento del pH.

Oltre al quantitativo giornaliero di reagenti da dosare che, come si è visto, dipende soltanto dalla densità di energia elettrica nel sistema, un altro parametro da definire riguarda la portata con cui effettuare il ricircolo degli elettroliti. In questo caso, la scelta è influenzata dal fatto che durante il ricircolo, le soluzioni elettrolitiche distribuite su ciascuna linea di

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69 elettrodi devono attraversare 6 pozzetti prima di uscire dalla vasca e, nel fluire da un pozzetto all’altro, esse si arricchiscono rispettivamente di ioni H+ nell’anolita ed OH- nel catolita, generando un significativo gradiente di pH nel circuito.

In funzione del pH delle soluzioni elettrolitiche in entrata nelle file di elettrodi e della portata di ricircolo, è possibile calcolare quale sarà il pH delle soluzioni in uscita dalla vasca. E allora, volendo ottenere che:

1. il pH in uscita non sia superiore a 3 per consentire l’acidificazione efficace dei sedimenti;

2. la differenza di pH nei pozzetti sia minimizzata.

Dall’esame delle curve riportate in figura 3.10 che mostrano, in funzione della portata di ricircolo e della densità di corrente applicata, i valori di pH da immettere in entrata nei circuiti elettrolitici per avere in uscita un pH pari a 3, si è scelto di dimensionare la massima portata delle pompe di ricircolo in 10 l/s.

Figura 3.10: pH dell’anolita (a sinistra) e del catolita (a destra) in ingresso ad una linea in funzione della portata

complessiva di ricircolo. (Tratto da: Masi e Iannelli, 2015)

3.2.5: Sezione di trattamento dell’effluente gassoso

I sedimenti trattati, essendo di origine marina, sono ricchi di cloruri (in un bacino di trattamento elettrocinetico un ulteriore apporto di cloruri potrebbe essere dovuto alla scelta di impiegare HCl come agente per il condizionamento del pH del circuito catolitico). In presenza di cloruri, in corrispondenza dell’anodo l’esistenza del campo elettrico può

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comportare lo sviluppo di una reazione antagonista a quella dell’elettrolisi dell’acqua, che ha come effetto la generazione di cloro gassoso all’anodo:

2H2O → O2 + 4H+ + 4e- E0=1,23 V ;

2Cl- → Cl2 + 2e- E0=1,36 V. (7)

in cui E0 è il potenziale standard di riduzione. La produzione di cloro gassoso all’anodo per

effetto della reazione (7) si verifica quando il potenziale della reazione di riduzione dei cloruri eguaglia o supera quello della reazione di elettrolisi dell’acqua, il che si verifica all’aumentare della concentrazione di cloruri e al ridursi del pH.

Lo svilupparsi di questo tipo di reazioni ha due effetti negativi: a parità di corrente applicata, vengono prodotti meno ioni H+ e quindi si riduce l’efficacia di acidificazione della matrice solida necessaria al desorbimento dei contaminanti; si sviluppa la presenza di cloro gassoso libero nel serbatoio dell’anolita e nella serra di trattamento.

Per scongiurare il rischio di immettere in atmosfera concentrazioni di cloro gassoso pericolose, è stato implementato un sistema di aspirazione dell’aria presente nel serbatoio dell’anolita e nella vasca di trattamento (dimensionato per garantire 10 ricambi/ora) e questi flussi di aria sono stati convogliati ad una torre di abbattimento finale, lo scrubber (figura 3.11).

All’interno dello scrubber viene fatto ricircolare, tramite una pompa, un liquido assorbitore. Il flusso di gas aspirato passa con flusso ascendente all’interno dello scrubber, dove interagisce con il liquido assorbitore e, nelle reazioni chimiche che avvengono, il cloro libero presente nel gas forma dei prodotti di reazione che rimangono all’interno dello scrubber, mentre il flusso gassoso da cui il cloro è ormai stato rimosso ne fuoriesce.

Nel caso in esame, il liquido assorbitore all’interno dello scrubber è una soluzione di NaOH. Dall’interazione tra liquido e gas si formano NaCl, NaOCl e H2O, rimuovendo il cloro libero dal

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Figura 3.11: sistema di aspirazione delle emissioni, scubber e sonda di rilevazione cloro

Il dimensionamento del sistema di controllo delle emissioni gassose prevede innanzitutto di dimensionare il volume dello scrubber. Ciò viene fatto ragionando essenzialmente sul tempo di contatto che deve essere garantito tra il flusso d’aria da trattare e lo scrubber:

tempo di contatto=volume scrubber/portata di aria aspirata

Tenendo conto che il volume di aria contenuto nella serra che copre la vasca di trattamento viene aspirato dieci volte all’ora e che è opportuno garantire un tempo di contatto di almeno 4 s, si ottiene il seguente dimensionamento dello scrubber:

volume aria nella vasca 183.3 m3

portata aria aspirata 1833 m3/h

tempo di contatto 4 s

Volume scrubber 2.04 m3

Altezza scrubber 1.5 m Diametro scrubber 1.3 m

Resta da determinare la quantità di idrossido di sodio NaOH necessaria nello scrubber per trattare il cloro gassoso.

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Nell’ipotesi ampiamente prudenziale che la corrente elettrica promuova esclusivamente la reazione di elettrolisi del cloro, si può stimare una produzione massima di circa 17 kg/d di Cl2

corrispondenti a 242 mol/d di cloro gas prodotto.

La reazione che avviene tra idrossido di sodio e cloro gas segue la reazione di trasformazione:

2𝑁𝑎𝑂𝐻 + 𝐶𝑙2 → 𝑁𝑎𝑂𝐶𝑙 + 𝑁𝑎𝐶𝑙 + 𝐻2𝑂

Per cui, impiegando l’equazione (6) precedentemente introdotta si calcola un fabbisogno massimo di 39 l/d di NaOH al 37%.

3.2.6: Sezione di trattamento degli elettroliti esausti

Il trattamento degli elettroliti esausti si è resa necessaria per la gestione degli elettroliti che, dopo un certo tempo di funzionamento dell’impianto, si sono arricchiti di ioni metallici in soluzione (in concentrazione non particolarmente elevata a dire il vero, vista la bassa concentrazione di partenza con cui i metalli pesanti erano presenti anche nel sedimento) e di un elevatissimo contenuto salino che ne ha notevolmente aumentato la conducibilità. L’incremento di salinità mina l’efficienza del processo di estrazione dei contaminanti perché provoca l’aumento di conducibilità e la conseguente riduzione del campo elettrico, a parità di densità di corrente elettrica impiegata.

La salinità presente negli elettroliti è fortemente influenzata dal tipo di reagenti impiegati per condizionare il pH. In questo senso l’utilizzo di acido nitrico al catolita e di idrossido di sodio all’anolita, pur dimostrandosi efficaci nel mantenere tutti i composti estratti in forma solubile, hanno comportato la presenza negli elettroliti di elevati quantitativi rispettivamente di nitrati e sodio disciolti. Progressivamente la conducibilità negli elettroliti è quindi aumentata rendendone necessario il trattamento.

Nell’impianto SEKRET il problema della gestione degli elettroliti esausti è stato affrontato trasferendo periodicamente entrambi gli elettroliti in un serbatoio di processo, sostituendoli con analogo volume di liquido elettrolitico “pulito” per non interrompere il processo elettrocinetico e implementando un trattamento fuori linea delle soluzioni. La composizione chimica della miscela dei due elettroliti raccolta nel serbatoio dopo le prime fasi di esercizio

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73 dell’impianto è risultata essere quella riportata in tabella 3.3 (nel valore del ferro riportato in tabella non si tiene conto del ferro contenuto nella dispersione collodiale che è stata filtrata prima di eseguire le analisi, per cui il quantitativo di ferro effettivamente presente nel campione è superiore di almeno un ordine di grandezza):

Parametro Media Dev.st Unità

Conducibilità 47.8 0.8 mS/cm pH 1.58 0.51 - Alluminio 12.1 4.1 mg/L Calcio 1495 93 mg/L Cadmio 0.017 0.003 mg/L Cromo totale 0.4 0.25 mg/L Ferro 18.3 1.7 mg/L Magnesio 562.5 47.9 mg/L Manganese 3.38 0.05 mg/L Nichel 0.24 0.01 mg/L Piombo 0.3 0.05 mg/L Potassio 328 33 mg/L Rame 0.18 0.04 mg/L Silicio 12.6 1.7 mg/L Sodio 7512 386 mg/L Zinco 1.38 0.19 mg/L Zolfo 497.8 36.1 mg/L Ammonio 211.3 21.3 mg/L Solfati 952 149 mg/L Nitrati 4621 809 mg/L Nitriti <0.5 - mg/L Cloruri 4835 202 mg/L Bicarbonati <10 - mg/L

Tabella 3.3: caratteristiche dell’elettrolita esausto.

Analisi eseguite con ICP-OES in 4 repliche

Il trattamento degli elettroliti consiste nei seguenti interventi in successione:

1. correzione del pH con idrossido di sodio per portare il pH a circa 5 e far sedimentare il precipitato ferroso che si forma;

2. aggiunta di metabisolfito di sodio (Na2S2O5) per eliminare ogni residuo di cloro

attivo e ridurlo a cloruro;

3. rimozione dei precipitati ottenuta spurgando il serbatoio di trattamento elettroliti e filtrando l’effluente con un filtro a sabbia seguito da due filtri a cartuccia da 20mm e 5mm;

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4. correzione del pH con HNO3 per riportarlo a 2-3 ed evitare eventuali precipitazioni

ulteriori di sali;

5. trattamento ad osmosi inversa;

6. smaltimento del concentrato con un sistema di vaschette ad evaporazione solare. Per la correzione preliminare del pH, si è stimato che è necessario impiegare circa 2,5 litri di NaOH (10M) per metro cubo di soluzione da trattare. Questa operazione fa precipitare un certo quantitativo di ferro trivalente colloidale di colore rosso-bruno.

La successiva aggiunta di metabisolfito, quantificata in 3 g di Na2S2O5 per ogni grammo di

cloro presente nel liquido, serve ad eliminare l’eventuale cloro libero che risulterebbe dannoso per la membrana del processo a osmosi inversa. Per lo stesso motivo, la successiva nuova correzione di pH con cui lo si riporta a valori acidi di 2-3 dosando HNO3 serve proprio

per impedire malfunzionamenti della membrana dell’osmosi inversa dovuta al riformarsi di particolato solido. Gli interventi da 1) a 4) fungono in effetti da pre-trattamenti degli elettroliti per eseguirne poi la depurazione mediante osmosi inversa.

L’osmosi inversa è un processo di separazione dei sali disciolti presenti nell’acqua mediante l’utilizzo di membrane semipermeabili (figura 3.12). Le membrane permettono il passaggio dell’acqua, ma trattengono gli

elementi minerali disciolti. Il trattmen-to di osmosi inversa consiste nel forza-re l’acqua attraverso una membrana semi-permeabile per separare i composti disciolti dal solvente in cui si trovano, mediante la applicazione di un’elevatissima differenza di pressione

fra le due parti della membrana. Figura 3.12: schema di osmosi inversa

L’individuazione dei parametri operativi ottimali per l’unità di osmosi inversa da installare nell’impianto SEKRET è stata ottenuta integrando i risultati osservati conducendo una campagna di test in laboratorio sugli elettroliti prelevati dall’impianto (i test sono stati condotti presso il DESTEC dell’Università di Pisa), con quelli delle simulazioni del processo ottenute impiegando il software ROSA 9.1 (Dow Water & Process Solutions). Le simulazioni

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75 sono state effettuate variando le concentrazioni disciolte nella soluzione da trattare ma mantenendo le stesse proporzioni fra le diverse specie chimiche

In base a tali indagini è stato scelto di installare sull’impianto un impianto nautico di osmosi inversa prodotto dall’azienda Osmosea s.n.c (mod. Osmosea EVO), dotato della membrana SW30-2540 e in grado di lavorare fino ad una pressione di 60 bar e portata del concentrato pari a 10,8 m3/d. Questo tipo di membrana sembra possedere caratteristiche ideali per quanto riguarda la reiezione dei sali, consentendo il trattamento dell’elettrolita all’interno del range di conduttività di interesse (50-90 mS/cm). La portata del permeato, in questo range di conduttività, risulta essere tra 0,3 e 2,5 m3/d.

Considerando le variazioni di conduttività dell’elettrolita osservate nelle condizioni operative dell’impianto SEKRET (densità di corrente e dosaggio di acido nitrico), si è stimato che per contenere l’incremento di conduttività si debbano sostituire circa 1 m3/settimana di anolita

e 0,5 m3/settimana di catolita. Questa stima è stata basata sulle osservazioni sperimentali.

Dopo il trattamento con osmosi inversa gli elettroliti risultano efficacemente trattati e l’unico passaggio residuo da affrontare riguarda lo smaltimento del concentrato liquido trattenuto dalla membrana di osmosi inversa: si tratta di un liquido ad elevata concentrazione salina (conduttività elettrica > 80mS/cm). Per lo smaltimento del concentrato residuo è stato allestito un semplice sistema evaporativo solare.

Sono stati impiegati 65 vassoi di plastica disposti direttamente sullo strato di sedimenti in trattamento all’interno della serra nei quali viene versato il concentrato solido da smaltire. Ciascun vassoio ha un volume disponibile di circa 23L e, quindi, nel complesso i vassoi possono contenere circa 1,5 m3 di concentrato.

L’evaporazione del concentrato è favorito dalle alte temperature presenti all’interno della serra e dal fatto che i vassoi di evaporazione sono realizzati in plastica nera, il che aumenta il quantitativo di calore ceduto al liquido per irraggiamento. Al termine dell’evaporazione i volumi liquidi risultano completamente smaltiti e l’unico rifiuto residuo sono i sali umidi.

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