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Capitolo 1Applicazioni dei microsistemi

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Capitolo 1

Applicazioni dei microsistemi

Questo capitolo introduttivo è diviso in due parti. La prima si occuperà di fare da panoramica al mondo dei MEMS (Micro Electro Mechanical Systems), verrà illustrata la loro importanza tramite dati che riguardano la produzione dei vari dispositivi, verranno fatti esempi riguardanti sensori, filtri a radiofrequenza e dispositivi ottici più diffusi sul mercato e saranno brevemente illustrate le loro tecniche di realizzazione.

Questa sezione di presentazione includerà uno spazio appositamente dedicato agli scavengers, dispositivi che permettono il recupero dell'energia grazie a fonti alternative, quali ad esempio le vibrazioni presenti nell'ambiente, e che potrebbero sostituire o affiancare le tradizionali batterie utilizzate per alimentare i microsensori.

La seconda parte riguarderà invece una struttura ben specifica, molto usata nel mondo dei MEMS, ovvero la membrana. Essa costituisce infatti il tema centrale di questo lavoro, basato su di una precedente tesi di laurea [1], dedicata allo studio ed alla realizzazione di membrane in ossido di silicio costituenti l'elemento base di uno scavenger vibrazionale.

Una sezione sarà quindi dedicata a due materiali tipici (ossido e nitruro di silicio), di cui sono costituite molte micromembrane, ed infine si vedranno numerosi esempi di dispositivi che ne fanno uso, e le tecniche che permettono il loro rilascio.

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1.1

I dispositivi MEMS

Il termine MEMS coniato negli U.S.A. attorno al 1989 [2] indica dispositivi elettro-meccanici, di dimensioni inferiori al millimetro, fabbricati con processi simili a quelli usati per i circuiti elettronici integrati. Questo termine è meglio conosciuto come Microsystems in Europa e come Micromachines in Giappone.

Tali dispositivi sono creati per mezzo dell'omonima tecnologia MEMS, la quale permette di integrare elementi meccanici come ingranaggi, travi o membrane ricavate nella maggior parte dei casi su o all'interno di un substrato di silicio, assieme a circuiti elettronici. È così possibile dare vita a svariati tipi di sensori (di temperatura, accelerazione, concentrazione di sostanze chimiche, intensità luminosa e di campo magnetico, solo per citarne alcuni), attuatori e micromotori, dispositivi per il recupero dell'energia (detti scavengers), eccetera.

Creare dispositivi dalle dimensioni ridotte presenta indubbi vantaggi, è infatti possibile miniaturizzare quelli già esistenti, ad esempio un giroscopio di dimensioni macroscopiche (circa 1000 cm3 di volume per un peso di diversi kg)

può essere sostituito da un microdispositivo che svolge le stesse funzioni, contenuto in un package di 0.5 cm3 per un peso complessivo di pochi grammi; è

quindi richiesta una minor quantità di materiale, inoltre è possibile la produzione in parallelo (batch fabrication), con conseguente riduzione dei costi.

Inoltre, è possibile la produzione di nuovi dispositivi funzionanti esclusivamente in scala micrometrica: un tipico esempio riguarda i biochip e l'effetto di elettro-osmosi: attraverso condutture di dimensioni micrometriche è possibile il prelievo di piccole quantità di un liquido su cui svolgere delle analisi; esso viene spostato da una sezione all'altra del biochip grazie all'azione di un campo elettrico, il quale agendo sugli ioni del liquido stesso, ne permette il trascinamento.

Di conseguenza, dal punto di vista applicativo, è possibile piazzare tali dispositivi in punti altrimenti non accessibili.

Ad esempio, gli accelerometri vengono introdotti all'interno delle fotocamere digitali allo scopo di stabilizzare l'immagine, mentre nel settore dell'ingegneria biomedica, micropompe a rilascio controllato sono ampiamente utilizzate come

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dosatori di medicinali ed inserite direttamente all'interno del corpo umano [2]. La miniaturizzazione da sola tuttavia non basta a giustificare gli investimenti richiesti da questa nuova tecnologia: un altro vantaggio che accompagna la riduzione delle dimensioni dei dispositivi è la possibilità di migliorare le loro prestazioni.

Ad esempio, alcuni dei vecchi sensori per airbag erano basati su una sfera metallica, mantenuta in posizione stabile da un campo magnetico o da una molla ad essa collegata. In seguito ad una brusca decelerazione, la sfera muovendosi metteva in collegamento elettrico due morsetti del circuito di controllo dell'airbag. Si trattava di un sistema molto semplice ed economico, tuttavia privo di garanzia poiché non era possibile accertarsi del suo corretto funzionamento all'accensione dell'autoveicolo, cosa invece resa possibile grazie ai dispositivi MEMS. Tramite un microattuatore agente sull'accelerometro è infatti possibile simulare la decelerazione e testare l'affidabilità del sistema ogni volta che si accende il motore [2].

Infine, un altro importante vantaggio consiste nella possibilità di integrare le diverse parti del sistema su di un unico chip. Questo permette di risparmiare ulteriore spazio, evitando l'utilizzo di fili elettrici, poiché il circuito elettronico viene integrato su silicio assieme ai sensori e agli attuatori, riducendo in questo modo anche i costi di assemblaggio [2].

Si calcola infatti che più del 60% del costo di un dispositivo MEMS è dovuto al packaging e ai test; a questo proposito sono state studiate tecniche di assemblaggio già a livello di wafer (wafer level packaging) [3].

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1.1.1 Mercato dei microdispositivi

Le molteplici possibilità di realizzazione hanno dato vita a diversi tipi di dispositivi MEMS, quelli attualmente presenti sul mercato sono divisibili grossomodo in sei categorie [2], riportate in tabella 1.1.

Categoria del dispositivo Esempio di applicazione

Sensori di pressione

Settore automobilistico: sensori di pressione del carburante, dei pneumatici, olio Settore ingegneria biomedica: sensori di

pressione sanguigna

Sensori d'inerzia Accelerometri, giroscopi, crash sensors per airbag, videocamere digitali ecc. Microsistemi per il controllo

dei fluidi / bioMEMS Erogatori di inchiostro per stampanti, sistemi di bio-analisi, DNA chip

MEMS ottici / MOEMS

Matrici di micro-specchi (DLP, Digital Light Processing) o di micro-grate (GLV, Grating Light Valve) per proiettori, scambiatori per

fibre ottiche ecc.

MEMS per radiofrequenza Filtri, antenne, induttori ad alto fattore Q, ecc. Altro Microfoni, periferiche IT, ecc.

Tabella 1.1 Esempi di prodotti MEMS attualmente presenti sul mercato [2].

Numerosi sono gli studi e le previsioni sullo sviluppo economico dei MEMS e tra le associazioni più conosciute che si occupano di seguire la relativa diffusione dei microdispositivi vi sono iSuppli-WTC, Nexus e Yole.

Facendo riferimento agli ultimi quattro anni (2005-2008), è possibile individuare i dispositivi più diffusi, i settori più predisposti al loro impiego e l'andamento delle vendite nel tempo.

Per quanto riguarda la diffusione, le statistiche sono concordi nell'indicare accelerometri, giroscopi, sensori di pressione, display, testine per stampanti e testine R/W per hard disk come dispositivi più diffusi.

Il mercato globale degli accelerometri e dei giroscopi ha subito un incremento del 55% tra il 2005 e il 2006 [4], è stato di quasi un miliardo di dollari nel 2007, e si prevede che raggiunga quota 1.7 miliardi nel 2013; secondo iSuppli, gli accelerometri saranno i dispositivi più venduti, superando testine per stampanti e DLP. Uno dei punti di forza per la loro espansione è il prezzo: nel 2008 il valore ogni pezzo è sceso sotto quota un dollaro, ciò ha favorito la crescita di domanda

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per vari tipi di applicazioni [5].

Il settore trainante per questi sensori d'inerzia è sempre stato per tradizione quello dell'automobile, tuttavia la recente crisi economica ha avuto un impatto negativo sulla vendita delle auto, e ciò ha avuto ripercussioni anche sulle vendite di accelerometri e giroscopi [6].

Questo lieve calo (stimato attorno al 4%) è comunque compensato dalla continua crescita del mercato dell'elettronica di consumo: telefoni cellulari, videocamere, fotocamere, video-giochi e notebooks sono stati dotati di questi sensori e rappresentano attualmente (assieme al settore industriale e a quello biomedico) il settore più redditizio per i MEMS, in accordo alle previsioni descritte da Nexus nel 2005 [6].

Secondo iSuppli, il 2008 ha visto un netto calo di vendite di stampanti, e di conseguenza di testine MEMS (-15% secondo Yole), tuttavia questo ramo rimane ancora uno dei più importanti (nel 2007 il 34% del mercato era costituito da testine per stampanti); in generale il prossimo periodo e quello attuale (2009-2010) sono visti come anni abbastanza piatti anche per tutti gli altri MEMS, come riportato in figura 1.1.

Fig. 1.1 Andamento e previsioni del mercato MEMS [7].

Come si può inoltre notare da questo grafico, è prevista una ripresa economica nei prossimi anni, e su questo sono concordi tutte le varie associazioni che si occupano di analisi di mercato.

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vengono confermate anche da Yole [8], secondo cui nel 2010 il mercato sarà prevalentemente guidato da applicazioni nell'ambito delle biotecnologie, elettronica di consumo e telecomunicazioni wireless, con un tasso di crescita rispettivamente del 18%, 11% e 40%.

Di conseguenza, oltre i già citati sensori d'inierzia, in futuro aumenterà la richiesta e la produzione di MEMS per radiofrequenze (switches e varicap, oscillatori e filtri FBAR), microfoni e display nell'ambito dell'elettronica di consumo, di chip e sensori per il controllo del flusso impiegati nel settore biomedicale e nelle biotecnologie.

1.1.2 Esempi di dispositivi MEMS

In questa sezione verranno analizzati più in dettaglio alcuni dei dispositivi MEMS già in commercio, elencati nel precedente paragrafo; verrà descritto il loro funzionamento e verrà accennata la tecnologia di fabbricazione. Vi sono principalmente due tecniche impiegate per la realizzazione dei microdispositivi:

bulk micromachining e surface micromachining, naturalmente è anche possibile

utilizzare una combinazione delle due.

La prima consiste in una rimozione selettiva del substrato (composto di solito da silicio) tramite attacchi chimici con sostanze liquide quali idrossido di potassio (KOH), etilendiamina pirocatecolo (EDP) oppure Tetramethyl-ammonium

Hydroxide (TMAH). Tali attacchi vengono detti umidi o wet, mentre attacchi detti

secchi o dry vengono condotti per mezzo di plasma reattivi (RIE) oppure tramite un fascio di ioni emessi da un cannone ionico (ion beam etching).

La tecnica surface micromachining si serve invece del substrato come base per la deposizione di strati di materiale aggiuntivo, strati che vengono detti sacrificali e strutturali. Gli strati sacrificali vengono in seguito dissolti per mezzo di attacchi chimici che non rimuovano le parti strutturali, le quali compongono il dispositivo vero e proprio.

Negli esempi presentati di seguito, maggior risalto è stato dato alla tecnica

bulk, poiché essa è stata utilizzata durante le procedure di laboratorio descritte in

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a) Accelerometri

L'accelerometro è uno dei sensori più diffusi, utilizzato in svariati campi d'applicazione (uno dei principali è quello automobilistico, ma negli ultimi anni vengono integrati anche all'interno di cellulari, fotocamere e computer portatili) e si basa sul rilevamento dell'accelerazione cui è soggetta una massa inerziale ancorata al substrato tramite travi o membrane costituite solitamente da silicio oppure da ossido di silicio, quando essa viene sollecitata da una forza esterna. Tale rilevamento può essere effettuato in vari modi:

• a capacità variabile: il condensatore è formato da due piastre metalliche, una fissata al substrato, l'altra attaccata alla massa inerziale; in alternativa è possibile creare strutture con piastre interdigitate. La forza agente sul sensore determina una variazione di distanza tra le piastre ed una conseguente variazione di capacità. Le travi che sostengono la massa devono permettere che le piastre rimangano il più possibile parallele tra di loro durante il movimento. Esse sono collegate elettricamente al circuito integrato che provvede a fornire una relazione tra variazione di capacità e accelerazione.

• piezoelettrici: sfruttano la proprietà dei materiali piezoelettrici (quarzo, titanato di bario BaTiO3, zirconato titanato di piombo PZT), capaci di

polarizzarsi elettricamente in seguito ad una sollecitazione meccanica. Un possibile principio di funzionamento si basa sul rilevamento di carica elettrica prodotta da un film sottile in PZT, situato su una microtrave in ossido di silicio la quale sostiene una massa inerziale in silicio, a seguito della deformazione causata da una forza esterna agente sul sistema. Il circuito di controllo fornisce in uscita il rapporto carica su accelerazione. Sull'ossido cresciuto termicamente, viene deposto un film di PZT, grazie ad una tecnica chiamata sol-gel, la quale consiste in una prima fase di deposizione per spinning, seguita da due brevi trattamenti termici (prebacking e annealing). La forma del film (e successivamente la forma della trave e della massa inerziale), viene definita secondo processi di fotolitografia e attacco chimico wet; la carica prodotta viene trasportata al circuito integrato tramite degli elettrodi deposti per sputtering sopra lo

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strato PZT, e definiti tramite lift-off [10].

• piezoresistivi: l'effetto piezoresistivo riguarda materiali conduttori e semiconduttori e consiste in una variazione della loro resistenza elettrica a seguito di una deformazione subita ad opera di una forza esterna. I materiali piezoresistivi maggiormente usati nei sensori sono costituiti da semiconduttori opportunamente drogati. Le piezoresistenze vengono create solitamente tramite impiantazione ionica (vengono impiantati ioni di boro oppure di fosforo all'interno di silicio), oppure per diffusione termica; situate sulla micro-trave di silicio, esse vengono connesse elettricamente tra loro ed al circuito esterno. In seguito al piegamento della trave con la conseguente deformazione delle piezoresistenze, verrà registrata una variazione di resistenza in relazione dell'intensità di forza (accelerazione) che agisce sul sistema.

Vi sono diverse tecniche di realizzazione, in relazione al tipo di dispositivo: la maggiorparte degli accelerometri sono unidirezionali e bidirezionali e sono realizzati secondo la tecnica surface micromachining, compatibile con la tecnologia CMOS,la quale viene impiegata per creare il circuito integrato, mentre la tecnica bulk è più adatta per ricavare masse inerziali di dimensioni maggiori migliorando la qualità nel caso dei sensori triassiali. I sensori in tecnica bulk hanno di solito bisogno di essere assemblati secondo la tecnica wafer bonding, la quale permette la saldatura tra wafer microlavorati [9].

Gli accelerometri oggi disponibili in commercio [11] [12], sono per lo più capacitivi e sono in grado di misurare valori di accelerazione compresi tra pochi g (g indica l'unità di riferimento per l'accelerazione e corrisponde a 9,80 m/s2) e

alcune centinaia di g. Posti assieme al circuito integrato in package di dimensioni compatte (non superano i 10 mm di lunghezza e larghezza e i 5 mm in altezza), hanno una banda di frequenza utile che va da 1 kHz a circa 10 kHz, e forniscono in uscita una sensitività compresa tra 10 e 1000 mV/g, con un'accuratezza del 10% circa. La sezione di un accelerometro fabbricato in tecnologia bulk

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Fig. 1.2: accelerometro capacitivo costituito da un wafer centrale e da due wafer laterali, saldati tramite tecnica wafer bonding. La micro-trave e la massa inerziale sono state ottenute mediante

attacco chimico wet con tecnologia bulk micromachining. Si noti che grazie alle due piastre laterali fisse, è possibile stabilire il verso dell'accelerazione [13].

b) Sensori di pressione

Anche in questo caso si tratta di una tipologia di sensore diffusissima, impiegata per misusare la pressione dei fluidi (liquidi o gas), in svariati settori: medico, automobilistico, industriale, domestico. L'elemento chiave è costituito da una membrana generalmente in silicio, capace di deformarsi in seguito alla pressione esercitata da un fluido; essa viene di solito ottenuta secondo tecnologia

bulk micromachining tramite attacco chimico anisotropo back-side, fatto cioè

partire dalla parte posteriore del wafer. In questo modo è possibile controllare lo spessore della membrana e la sua conseguente capacità di deformarsi a seconda dei valori di pressione, ovvero dell'applicazione, per cui il sensore è stato progettato (ovviamente più bassi sono i valori di pressione stimati, minore sarà lo spessore della membrana e di conseguenza maggiore sarà il tempo d'attacco chimico per crearla).

È possibile rilevare il piegamento della membrana sia tramite piastre metalliche (metodo capacitivo), sia mediante l'uso di materiali piezoelettrici deposti sulla membrana stessa, tuttavia la maggior parte dei sensori oggi in commercio sfrutta l'effetto piezoresistivo, per una serie di motivi tra i quali minor peso e ingombro.

Molto usati a questo proposito, sono gli strain gauges diffusi, piezoresistenze ottenute per diffusione termica di materiale drogante (ad esempio boro) all'interno del silicio di cui è composta la membrana; una configurazione classica per queste piezoresistenze è quella detta a ponte di Wheatstone.

Queste resistenze cambiano il loro valore a seconda della deformazione della membrana, la quale avviene in seguito alla pressione causata da un fluido agente sulla sua superficie.

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Fig. 1.3 Sensori di pressione piezoresistivi attualmente in commercio [14, 15].

In figura 1.3 sono mostrati dei sensori piezoresistivi in commercio [14]; inoltre è mostrato uno schema di principio che ne illustra la struttura interna [15]: in basso è mostrata la via d'accesso per il fluido che entrerà a contatto con la membrana dotata di strain gauges; essa è piazzata all'interno di un compartimento in cui viene fatto il vuoto. Nella parte superiore si trovano i circuiti elettronici per il condizionamento del segnale e la presa per il connettore elettrico.

c) Sensori IR (termopile)

I raggi IR hanno lunghezza d'onda compresa tra 1÷1000 μm, tuttavia molti dei sensori in commercio operano entro una ristretta banda, compresa tra 1÷20 μm. Vi sono svariate applicazioni per questo tipo di dispositivi MEMS: in campo biomedico, è possibile controllare il flusso sanguigno o monitorare i trattamenti di termoterapia; nel settore dei trasporti, rendono più agevole la guida nelle ore notturne o in condizioni di scarsa visibilità o sono utili per rivelare ostacoli; in ambito industriale, sono impiegati per il controllo di perdite di gas o liquidi, ecc. [16].

Uno dei modi per rivelare l'intensità delle radiazioni ad infrarossi avviene grazie all'effetto Seebeck per mezzo di termopile, ovvero per mezzo di molteplici termocoppie connesse tra loro in serie: il calore proveniente dalle radiazioni viene in questo modo convertito in tensione elettrica. Poiché una singola termocoppia fornisce un segnale di ampiezza piuttosto piccola, la serie di termocoppie lo

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amplifica, rendendo più facile la sua misurazione.

L'effetto Seebeck, noto già nella prima metà del 1800 per coppie di metalli come antimonio e bismuto, è stato riscontrato in tempi più recenti anche nei semiconduttori, i quali si dimostrano più sensibili (coefficiente di Seebeck più elevato di uno o due ordini di grandezza rispetto a quello dei metalli), e naturalmente adatti alla microlavorazione (le termopile vengono oggi prodotte comunemente in tecnologia CMOS, con termocoppie composte da alluminio e silicio) [17]. In figura 1.4 è mostrato uno schema di principio.

Fig. 1.4 Schema di principio di una termopila: il filtro in silicio lascia passare la radiazione utile secondo una determinata banda di lunghezze d'onda, mentre il termistore compensa la quantità di

calore causata dal passaggio di corrente elettrica, non utile ai fini della misura [16].

La struttura di base è formata da una membrana, ottenuta per mezzo di attacco chimico anisotropo di un substrato di silicio in tecnologia bulk micromachining, la quale sostiene la serie di termocoppie e separa termicamente i contatti “caldi” (cioè quelli al centro della membrana, i quali verranno colpiti dalla radiazione) da quelli “freddi” (posti ai lati della struttura, nei punti in cui si ha maggior spessore del wafer e quindi maggior dissipazione di calore, misureranno una temperatura minore). Le termocoppie sono formate da strisce di alluminio e silicio di tipo p, depositate per mezzo di comuni processi litografici.

d) FBAR (Film Bulk Acoustic Resonator)

I dispositivi FBAR sono risonatori piezoelettrici, e grazie alla loro frequenza di risonanza piuttosto elevata (compresa all'incirca tra 0.1÷10 GHz), trovano

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impiego nelle comuni- cazioni a radiofrequenza come filtri passa-banda passivi o

duplexer; date le ridotte dimensioni ed il basso consumo di potenza, sono ideali

per telefoni cellulari.

Questi dispositivi si basano su uno strato di materiale piezoelettrico (tipicamente nitruro di alluminio AlN, oppure ossido di zinco ZnO, più raramente zirconato titanato di piombo PZT [18]) dello spessore di alcuni μm, depositato per

sputtering, posto tra due sottili strati di alluminio o altro materiale conduttore (gli

elettrodi sono spessi all'incirca 100 nm, e vengono depositati per evaporazione). Il circuito equivalente associato ai suddetti tre strati è costituito da un condensatore C0, che rappresenta la capacità tra i due elettrodi, posto in parallelo a

tre elementi passivi (resistenza, capacità ed induttanza) associati al materiale piezoelettrico, indicati con Rm, Cm, Lm, posti tra loro in serie (modello di

Butterworth-Van Dyke [19]). Parametri come frequenza di risonanza f0 e fattore di

qualità Q, che descrivono il comportamento del filtro, dipendono ovviamente dai componenti passivi sopra elencati, i quali a loro volta dipendono dalla dimensione e dallo spessore degli elettrodi e del piezoelettrico, nonché dal materiale usato (ad esempio è importante conoscere il valore di εr, costante dielettrica relativa del

materiale piezoelettrico).

L'elemento risonante è situato al centro di un supporto di silicio, il quale viene forato a partire dal lato posteriore con tipiche tecniche bulk micromachining, quali attacco chimico wet anisotropo oppure mediante DRIE (Deep Reactive Ion

Etching), allo scopo di permettere la libera oscillazione del piezoelettrico, la quale

avviene in direzione verticale. Uno schema semplificato è mostrato in figura 1.5. Quando un segnale a radiofrequenza è applicato ai capi del dispositivo, esso oscilla secondo la direzione verticale. La frequenza di risonanza si ottiene quando lo spessore dello strato piezoelettrico è equivalente a λ/2, dove λ è la lunghezza d'onda del segnale RF.

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Fig. 1.5 Schema di un risonatore piezoelettrico FBAR composto da ossido di zinco [20].

e) Sensori di flusso

Misurano la velocità di flusso di un fluido che scorre attraverso una conduttura di sezione nota, e sono molto utilizzati per applicazioni industriali e biomediche.

Esistono svariati metodi per effettuare questo tipo di misura; i sensori MEMS si basano principalmente su due aspetti: il primo riguarda la forza associata al movimento del fluido lungo la conduttura, il secondo riguarda la sua capacità di trasportare calore per convezione [21]. Di conseguenza, sfruttando il primo aspetto, è possibile misurare la velocità del fuido inserendo nella conduttura degli “ostacoli” (ad esempio travi o membrane), e misurare il loro piegamento tramite delle piezoresistenze. Più utilizzati sono tuttavia i sensori termici, i quali risultano più sensibili, soprattutto per fluidi gassosi [22].

I sensori di flusso termici (calorimetrici) sono basati su due sensori di temperatura (termoresistenze o termopile) equidistanti rispetto ad un elemento riscaldatore; questi tre elementi vengono posti in fila lungo la conduttura, situati su una membrana ottenuta tramite microlavorazione bulk del silicio, la quale provvede ad isolarli termicamente rispetto all'ambiente circostante. Il riscaldatore si trova al centro, tra i due sensori di temperatura. In assenza di flusso entrambi misurano la stessa temperatura, mentre in presenza di flusso si ha uno sbilanciamento dovuto alla convezione (il fluido scorrendo sottrae calore alla zona corrispondente al primo sensore di temperatura che incontra e lo trasporta verso il secondo sensore). In questo modo è possibile non solo rilevare la velocità del flusso, ma anche il verso in cui scorre il fluido. La velocità è infatti correlata alla velocità di sbilanciamento termico, mentre il verso è determinato dal primo dei

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due sensori che rileva una diminuzione di calore. In figura 1.6 sono mostrati due schemi si sensori di flusso attualmente in commercio [23], [24].

Fig 1.6 Due schemi di sensori di flusso attualmente in commercio presentati da [23] in alto e da [24]. Il riscaldatore, i sensori di temperatura ed i contatti elettrici sono protetti da un sottile strato di nitruro di silicio, efficace contro agenti chimici che potrebbero rovinare il dispositivo.

f) MEMS ottici per telecomunicazioni

I MEMS ottici (detti anche MOEMS, Micro Opto Electro Mechanical

Systems), svolgono un importante ruolo nelle applicazioni ottiche, in particolar

modo nel settore delle telecomunicazioni che si basano su fibra.

Varie tipologie di micro-specchi, il cui movimento è permesso da attuatori comandati elettrostaticamente, vengono impiegate per deviare i fasci luminosi da una fibra all'altra; ciò è utile per distribuire un segnale da una a più fibre, per monitorare una rete costituita da varie fibre, prelevando una piccola percentuale di segnale luminoso da ciascuna fibra e analizzandolo, per deviare il fascio in caso di rottura o malfunzionamento di una di esse [25]. Questo tipo di commutatori è molto più efficiente rispetto ai commutatori O-E-O (Ottico-Elettro-Ottici), poiché la conversione da segnale ottico ad elettrico e viceversa si traduce in perdita di banda utile e comporta un notevole dispendio di potenza; tuttavia anche i commutatori a micro-specchi comportano degli svantaggi, ad esempio per reti costituite da fibre in numero pari ad n, il numero di specchi aumenta come n2 per

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e come 2n in matrici di specchi abilitati ad inclinarsi secondo più posizioni (tridimensionali). Per questo è necessario utilizzare più blocchi composti da pochi specchi in cascata [26].

Questi dispositivi sono realizzati in prevalenza secondo tecniche di surface

micromachining, tuttavia anche la tecnologia bulk è comunemente impiegata per

creare alloggiamenti utili al posizionamento delle fibre e delle lenti focalizzatrici, tramite scavi ottenuti attaccando il substrato di silicio con agenti chimici quali KOH o TMAH. Un esempio è costituito dai banchi ottici usati nei commutatori O-E-O, ovvero piattaforme per l'allineamento e l'intergrazione di vari dispositivi ottici quali fibre, lenti sferiche, diodi e fotodiodi, come mostrato in figura 1.7.

Fig. 1.7 Schema di un banco ottico per la conversione del segnale luminoso in segnale elettrico e viceversa. Per un accurato allineamento tra i vari dispositivi ottici sono necessari degli scavi

all'interno del substrato in silicio ottenuti per mezzo di tecniche bulk micromachining [27].

1.1.3 Dispositivi per il recupero dell'energia

Una sezione a parte è dedicata a particolari dispositivi MEMS detti energy

scavengers, progettati allo scopo di recuperare e convertire energia solare,

elettromagnetica, termica o meccanica proveniente dall'ambiente circostante in energia elettrica, fornendo alimentazione ad altri dispositivi (ad esempio sensori), i quali necessitano normalmente di un'alimentazione a batterie.

Un esempio tipico è rappresentato dai sensori di pressione inseriti all'interno dei pneumatici delle automobili [28], i quali non possono essere collegati tramite fili elettrici ed hanno quindi bisogno di essere alimentati con batterie. Tuttavia esse non possono svolgere al meglio il loro compito per via dell'elevato gradiente di temperatura all'interno delle gomme, inoltre la loro durata di vita è limitata e

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per sostituirle occorre smontare il pneumatico. Attualmente i sistemi di alimentazione alternativi quali gli energy scavengers, risultano ancora troppo costosi da produrre rispetto alle tradizionali batterie; un altro ostacolo da superare riguarda la quantità di energia fornita, ancora troppo scarsa per questo tipo di applicazioni. Nonostante le difficoltà ad entrare nel mercato, il settore degli

scavengers MEMS continua ad avere grosse potenzialità, specialmente

nell'ambito di reti di sensori wireless, e in generale per tutte quelle applicazioni (ad esempio biomediche) in cui l'alimentazione dei dispositivi per mezzo di batterie non risulta essere la miglior soluzione in termini di praticità.

Di seguito verranno presentate alcune delle tipologie di scavenger più conosciute, le quali si basano sul recupero dell'energia meccanica presente nell'ambiente sotto forma di vibrazioni. Rispetto alle altre fonti di energia citate, le vibrazioni costituiscono una fonte più versatile e di immediata e continua disponibilità, aspetto che le rende particolarmente degne d'attenzione [29].

a) Scavengers piezoelettrici

Sono principalmente basati su una massa inerziale libera di oscillare e sorretta da una micro-trave, entrambe ricavate tramite attacco anisotropo di un substrato di silicio. Sulla trave si trova uno strato di materiale piezoelettrico (tipicamente AlN, oppure PZT), deposto tramite tecnica sol-gel oppure tramite sputtering, situato tra due elettrodi composti da platino, oro o alluminio, deposti anch'essi per

sputtering. Il wafer centrale, dal quale sono state ricavate le strutture sospese,

viene saldato ad altri due wafer laterali, tramite tecnica wafer bonding, allo scopo di proteggere la struttura oscillante. La presenza di vibrazioni nell'ambiente circostante provoca l'oscillazione della massa inerziale e il conseguente piegamento della trave e del materiale piezoelettrico, il quale genera potenza elettrica.

Uno schema di uno scavenger piezoelettrico proposto da [30], capace di generare una potenza di alcune decine di μW ad una frequenza di risonanza di circa 1 kHz, è mostrato in figura 1.8.

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Fig. 1.8 Schema di uno scavenger piezoelettrico [30]. Il wafer centrale utilizzato per ricavare le strutture sospese è protetto da due wafer saldati mediante l'uso di un polimero chiamato

benzocyclobutene (BCB).

b) Scavengers elettrostatici

Si basano sul moto relativo tra le piastre di un condensatore composto da un elettrodo fisso e da un elettrodo mobile, quest'ultimo fissato ad una massa inerziale capace di oscillare in seguito a vibrazioni. L'energia si ottiene durante il periodo in cui le piastre si allontanano per effetto del moto vibratorio, come verrà illustrato di seguito.

Prima di procedere al recupero dell'energia, il condensatore deve essere caricato in modo che la sua capacità raggiunga il massimo valore (ovvero in modo che si abbia la distanza minima tra le piastre, il cui valore è fissato dalla tensione di pull-in), in questo modo il lavoro compiuto dalla forza meccanica per allontanare tra loro le piastre consente di recuperare una maggior quantità di energia.

Ovviamente l'energia spesa per caricare il condensatore deve essere solo una frazione dell'energia che verrà recuperata per mezzo delle vibrazioni.

Sono possibili due modalità di recupero. La prima consiste nel mantenere la carica costante impedendo alla stessa di scorrere all'esterno mentre le vibrazioni allontanano tra loro le piastre del condensatore.

Ciò si traduce in un aumento della tensione, in virtù della relazione Q=V⋅C , poiché ad un allontanamento delle piastre segue una diminuzione di capacità e quindi un aumento di energia, a seguito della relazione:

E=1 2⋅V

2

C .

Un grosso difetto di questo modello è dato dal pericolo che la tensione V superi i limiti imposti dal breakdown della attuale tecnologia CMOS.

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La seconda modalità consiste invece nel mantenere la tensione costante ai capi del condensatore durante l'allontanamento delle piastre, ciò si traduce nella diminuzione della carica del condensatore, sempre per la relazione Q=V⋅C . La carica che esce può essere immagazzinata in una batteria ricaricabile, la stessa che è usata per mantenere costante la tensione ai capi del condensatore. La corrente che fluisce dal condensatore ha un valore di alcune decine di μA [31].

Una soluzione che sfrutta la seconda modalità è stata presentata tra gli altri anche da [32]; un sistema molto usato per caricare il condensatore avviene in questo caso grazie all'uso di un elettrete, un materiale dielettrico polarizzato in modo tale da creare un campo elettrico quasi permanente, e viene fissato al wafer superiore della struttura, come mostrato in figura 1.9.

Essa è composta da tre wafer, il primo in pirex (un materiale adatto a ridurre l'effetto di capacità parassite), sul quale viene deposto per sputtering l'elettrodo fisso di alluminio, il secondo è in silicio e all'interno di esso viene ricavata la massa inerziale libera di oscillare, tramite un attacco anisotropo in KOH; il terzo

wafer è ancora composto da silicio e contiene l'elettrete. I tre wafer sono saldati

tra loro mediante il polimero BCB.

Fig. 1.9 Scavenger elettrostatico a tensione costante [32].

c) Scavenger elettromagnetici

Sono basati sulla legge di induzione elettromagnetica, scoperta da Faraday nel 1831. È quindi necessaria la presenza di una spira metallica connessa ad un carico, ed immersa in un campo magnetico variabile nel tempo, al fine di ottenere energia elettrica. Il campo magnetico è generato da un magnete permanente, fissato ad una struttura capace di oscillare, tipicamente costituita da una membrana o da una trave, mentre la spira è fissata generalmente al substrato ed è

(19)

fissa rispetto al magnete, il quale svolge anche il ruolo di massa inerziale. Il movimento relativo tra i due elementi (spira e magnete), che avviene grazie alle vibrazioni, induce nella spira una forza elettro-motrice in grado di alimentare il carico. La quantità di energia prodotta dipende dall'intensità del campo magnetico, dalla velocità del moto relativo tra magnete e spira, e dal numero di avvolgimenti di cui è composta la spira stessa [33].

Un esempio di scavenger elettromagnetico che utilizza una membrana è mostrato in figura 1.10; all'interno di un substrato di silicio viene ricavato l'alloggiamento per il magnete, sorretto da una membrana composta da una sostanza polimerica (kapton polyimide), alla quale viene incollato. Una spira di alluminio di forma quadrata dotata di alcune decine di avvolgimenti giacenti sul piano è posta sulla parte superiore del substrato, disposta in modo da circondare il perimetro dello scavo. Minimizzare le dimensioni in questo tipo di dispositivi è un'operazione critica, poiché l'intensità di campo magnetico generato dal magnete permanente (e di conseguenza la quantità di energia che è possibile recuperare), dipende anche dalle sue dimensioni. Il modello presentato da [34] è capace di produrre alcune decine di μW di potenza, utilizzando magneti dalle dimensioni di 7x7x4 mm3.

(20)

1.2

Tecnologie ed applicazioni delle membrane sospese

Molti degli esempi riportati mostrano l'importanza delle membrane ed il loro ruolo fondamentale per il funzionamento dei vari microdispositivi. Poiché le nostre prove di laboratorio sono state eseguite su membrane in ossido di silicio, questa seconda parte del capitolo costituisce un approfondimento relativo a materiali che possono essere usati (in particolare vedremo ossido e nitruro di silicio, SiO2e Si3N4) e alle tecniche di realizzazione di membrane in dielettrico

con relativi esempi.

1.2.1 Materiali

Tra i vari materiali impiegati per la fabbricazione delle membrane, molto importanti sono l'ossido di silicio (SiO2) e il nitruro di silicio (Si3N4). Vediamo

come vengono ottenuti e alcune delle loro proprietà fisiche.

a) Ossido di silicio

I due modi principali che permettono di ricavare l'ossido sono ossidazione termica del silicio oppure deposizione da fase vapore [35].

L'ossidazione termica avviene all'interno di un'apposito forno, entro il quale vengono fatti fluire dei gas, in particolare ossigeno O2 oppure vapor d'acqua H2O,

in modo da ottenere reazioni secche o umide (dry o steam rispettivamente): 1) SiO2 SiO2 Ossidazione dry;

2) Si2 H2O SiO22 H2 Ossidazione steam.

I wafer di silicio, posti all'interno del forno ad una temperatura di 1000 °C circa, reagendo con le sostanze gassose, favoriscono la crescita di uno strato superficiale di ossido il quale, per ogni μm di spessore formato, richiede 0.46 μm circa di silicio.

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gas fatti fluire nella camera di reazione a pressioni comprese tra pochi mbar e la pressione atmosferica, e a temperature variabili a seconda del tipo di reazione.

L'ossido di silicio può essere ottenuto a basse temperature (300÷450 °C), facendo reagire silano SiH4 e ossigeno O2; a medie temperature (650÷750 °C) e a

bassa pressione, per decomposizione di tetraetil ortosilicato Si(OC2H5)4; infine,

per temperature oltre 900 °C e per basse pressioni, vengono fatti reagire diclorosilano SiH2Cl2 ed ossido nitroso N2O.

Le proprietà del materiale dipendono ovviamente dai vari processi e da eventuali altri agenti chimici impiegati; in tabella 1.2 ne vengono elencate alcune, i valori sono puramente indicativi.

Proprietà Valore e condizioni

Densità 2200 kg/m³, crescita termica secca o umida 2160 kg/m³, LPVCD [38]

Modulo di Young 74.8+/-3.3 GPa, PECVD [37] 70 GPa, crescita termica umida 57 GPa, crescita termica secca [39] Carico di rottura 110 MPa (tensile strength), 690-1380 MPa

(compressive strength), crescita termica [39] Stress residuo -155+/-17 MPa, PECVD [37]

Tabella 1.2 Alcune proprietà fisiche dell'ossido di silicio.

b) Nitruro di silicio

Anche per il nitruro di silicio esistono diverse possibili reazioni in tecnica CVD. A basse pressioni (circa 1 Torr) e per temperature comprese tra 700 °C e 800 °C esso viene ottenuto per reazione tra diclorosilano ed ammoniaca NH3, e la

velocità di deposizione è di circa 10 nm/min [36]: 3 SiH2Cl24 NH3 Si3N46 H26 HCl

Un'altra fra le possibili reazioni avviene in ambito PECVD (Plasma Enhanced

Chemical Vapour Deposition), una speciale tecnica CVD che utilizza un campo

elettrico a RF agente all'interno della camera (uno schema della quale è rappresentato in figura 1.11), il quale trasforma il gas reagente in un plasma, molto più reattivo del vapore neutro anche a basse temperature, consentendo quindi velocità di deposizione maggiori. I reagenti sono silano ed ammoniaca, è possibilie anche l'aggiunta di azoto N2 per ridurre la presenza di idrogeno e

(22)

migliorare l'uniformità di deposizione [36]:

SiH4 NH3 SixNyHzH2

Naturalmente, date le molteplici possibilità di ricavare il nitruro di silicio, anche per questo materiale le proprietà fisiche possono variare notevolmente da processo a processo. In tabella 1.3 se ne riportano alcuni valori.

Fig. 1.11 Camera PECVD [36]

Proprietà Valore e condizioni

Densità 2500 kg/m³, PECVD

Modulo di Young 160 GPa, PECVD

Carico di rottura 2.4 GPa, PECVD

Stress residuo 600 MPa (compressive), PECVD

Tabella 1.3 Alcune proprietà fisiche del nitruro di silicio [40].

1.2.2 Stato dell'arte delle membrane in dielettrico

In letteratura sono presenti numerosi esempi di applicazione per le membrane costituite da ossido e/o nitruro di silicio. È possibile raggruppare questi esempi a seconda della tipologia di applicazione, dando la precedenza ai dispositivi più diffusi.

A tale proposito, va considerato che negli ultimi anni grande interesse è stato rivolto ai sensori di flusso, biosensori e bolometri i quali rappresentano la maggior parte degli esempi riportati di seguito. Va inoltre precisato che sono stati esaminati esclusivamente esempi di dispositivi ricavati su substrato di silicio mediante tecnica bulk micromachining.

(23)

riscaldatori posti direttamente sulla membrana, si nota che essa è costituita da strati alterni sovrapposti di ossido e nitruro, il cui spessore viene regolato in modo da ridurre la deformazione causata dai diversi stress: in questo modo anche in condizioni di temperature operative di alcune centinaia di gradi, una membrana costituita da strati multipli si deforma molto meno rispetto ad una membrana costituita da un singolo strato.

Un esempio relativo ad una membrana a triplo strato ossido-nitruro-ossido, facente parte di un biosensore descritto in seguito [51] è riassunto dalla tabella 1.4: vengono riportati i diversi valori dello stress in relazione allo spessore degli strati di dielettrico dai quali è composta.

Tipo di

dielettrico Spessore del film ( μm) Stress (GPa) Young (GPa)Modulo di

LPCVD SiO2 0.8 -0.27 73

LPCVD Si3N4 0.4 1.2 323

LPCVD SiO2 0.8 -0.27 73

Tabella 1.4 Composizione e proprietà fisiche di una membrana a triplo strato dielettrico per biosensore [51].

a) Sensori di gas

Esistono diversi metodi tramite i quali è possibile rivelare il passaggio di un gas. Alcuni di questi dispositivi si basano sullo sbilanciamento termico rilevato da sensori di calore posti in prossimità di un riscaldatore (sensori calorimetrici), mentre una tecnica alternativa consiste nel misurare le variazioni di conducibilità elettrica di uno strato di materiale sensibile le quali si presentano quando una sostanza gassosa si deposita su di esso. Quest'ultimo può essere costituito da SnO2, WO3, In2O3, oppure da TiO2, Nb2O3, Ga2O3, o ancora da ZrO2, a seconda

delle temperature a cui si opera e del tipo di gas che si vuole rivelare [45].

Il compito della membrana è come detto quello di sostenere gli elementi termici isolandoli rispetto all'ambiente circostante; sia l'ossido che il nitruro hanno infatti una bassa conducibilità termica rispetto al silicio (1÷1.5 Wm-1K-1 per

l'ossido e 2÷30 Wm-1K-1 per il nitruro [41]), in questo modo non viene disperso il

calore fornito dal riscaldatore, inoltre viene garantita la differenza di temperatura tra giunzioni calde e fredde delle varie termocoppie [42].

(24)

Esistono varie tecniche per realizzare questi dispositivi, tuttavia la base di partenza comune consiste nel depositare uno o più strati di nitruro sul wafer di silicio o sull'ossido cresciuto termicamente su di esso. La membrana si ricava tramite attacco chimico wet del silicio; lo strato di ossido o di nitruro ha anche la proprietà di fermare l'attacco (si parla anche di etch stop).

Tra i numerosi esempi troviamo un sensore per gas tossici proposto da [43], basato su un substrato di silicio di tipo p, di spessore 500 μm, sul quale è stato depositato con tecnica LPCVD uno strato di nitruro di silicio di spessore 2 μm (tale operazione viene fatta su entrambe le facce del wafer). Dopo la deposizione e definizione dei materiali costituenti gli elementi termici, i passi conclusivi consistono nell'attacco di una zona di nitruro sul lato posteriore, per procedere con l'attacco wet al silicio mediante KOH fino al raggiungimento dello strato di nitruro deposto sulla faccia superiore, il quale ferma l'attacco. Si ricava in questo modo una membrana di dimensioni 2.7x2.7 mm2.

Sono state studiate due tipologie di riscaldatore, una a spirale e una a “C”, mostrate in figura 1.12: le membrane sottostanti sono evidenziate dal riquadro disegnato al centro.

Fig. 1.12 Sensori di gas con riscaldatore a “C” e a spirale, proposti da [43].

Il sensore proposto da [42] è anch'esso costituito da un riscaldatore a spirale in polisilicio, circondato da termocoppie. Il processo con cui è stato fabbricato è compatibile con la tecnologia CMOS, è quindi possibile integrare il circuito di condizionamento del segnale sul medesimo chip con relativa facilità.

Si parte da un substrato di silicio di spessore 300 μm, dotato di una zona centrale di diffusione termica (thermal spreader), sottostante il riscaldatore, pesantemente drogata con boro, la quale ha lo scopo di diffondere il calore in

(25)

maniera più uniforme nella zona delle giunzioni calde delle termocoppie. Il drogaggio inoltre impedisce che il silicio venga aggredito dalla soluzione d'attacco anisotropo nella fase finale del processo.

In seguito viene deposto un triplo strato dielettrico (SiO2-Si3N4-SiO2

rispettivamente di spessore 100-300-50 nm), su entrambe le facce del wafer. Dopo la deposizione del riscaldatore e delle termocoppie costituite da alluminio e da polisilicio drogato n+, segue la passivazione con uno strato protettivo di ossido e

nitruro di silicio, ed infine, l'attacco anisotropo wet che parte dal lato posteriore del wafer, per rilasciare la membrana, con dimensioni finali di 1.5x1.5 mm2. In

figura 1.13 è mostrato il sensore visto dall'alto.

Fig. 1.13 Sensore di gas progettato da [42].

Matrici formate da quattro sensori di gas indipendenti tra loro, capaci di rilevare diversi tipi di gas, sono state progettate da [44], per un totale di oltre 400 sensori per wafer; i sensori si basano questa volta sulla variazione della conducibilità elettrica di uno strato sensibile costituito da SnO2 o da una miscela

di SnO2 e oro, quando il gas si deposita su di esso. Uno degli obbiettivi di questa

ricerca è stata l'ottimizzazione del processo di fabbricazione a livello wafer-level, in modo da migliorarne la riproducibilità. Anche in questo caso la membrana ha il compito di sostenere e isolare termicamente gli elementi del sensore, che sono costituiti dallo strato sensibile, dagli elettrodi ai suoi capi e da un riscaldatore a doppia spirale che provvede a controllare la temperatura nella zona dello strato sensibile in cui scorre la corrente elettrica.

La membrana è costituita da un sottile film in nitruro di silicio LPCVD, dello spessore di 200 nm che viene deposto su entrambe le facce di un wafer di silicio

(26)

di tipo n; in seguito, tramite attacco RIE, una finestra di nitruro verrà rimossa sul lato posteriore consentendo l'attacco al silicio tramite KOH a temperatura di 80 °C, per il rilascio della membrana sospesa. In questo modo sono stati ottenuti ottimi risultati in termini di resa, il 97% delle membrane si è infatti rivelato intatto al termine del processo.

Uno schema raffigurante una delle oltre 100 matrici ottenute, è rappresentato in figura 1.14.

Fig. 1.14 Schema di una matrice 2x2 di sensori di gas [44].

Altri autori [45] sottolineano l'importanza della forma geometrica della membrana per incrementare l'isolamento termico; è infatti importante impedire che il calore creato dal riscaldatore interagisca con altri dispositivi (si parla in questo caso di cross-talk termico), oltre al motivo già citato che riguarda la riduzione della potenza dissipata del riscaldatore.

Il sensore proposto si basa su di uno strato sensibile in BaSnO3, deposto sopra

elettrodi in platino, il tutto sorretto da una membrana sospesa in ossido di silicio, di area 400x400 μm² provvista di quattro travi, ciascuna delle quali larga 60 μm. Lo strato sottostante è composto da nitruro e sostiene il riscaldatore in platino, sepolto all'interno dello stesso strato di ossido dal quale, tramite attacco RIE verrà definita la membrana sospesa.

Il substrato è costituito da silicio p, di spessore 300 μm, sul quale viene cresciuto termicamente ossido, spesso 500 nm. Il silicio verrà in seguito attaccato dal retro con KOH a 70 °C. Il risultato, prima della deposizione dello strato sensibile sopra gli elettrodi, è visibile in figura 1.15.

(27)

Fig. 1.15 Membrana sospesa in ossido di silicio ancorata al substrato tramite quattro travi [45].

Altre geometrie sono state studiate da [46]; si parla in questo caso di un dispositivo, ancora basato sul meccanismo dell'adsorbimento, formato da quattro piccole membrane di forma tonda, con diametro variabile tra 60 e 120 μm, ancorate al substrato tramite due o quattro travi, a seconda del modello.

Fig. 1.16 Sensore di gas formato da quattro membrane circolari indipendenti, progettato da [46].

Ogni membrana è formata da uno strato di nitruro LPCVD deposto in mezzo a due strati di ossido di silicio, dei quali il primo cresciuto termicamente sopra il

wafer, il secondo deposto con tecnica LTO (Low Thermal Oxide); queste strutture

sospese, la cui geometria viene definita per mezzo di un attacco RIE, vengono liberate tramite attacco anisotropo front-side al silicio sottostante per mezzo di una soluzione a base di TMAH.

(28)

Il risultato finale è visibile in figura 1.16; secondo simulazioni fatte, il calore rimane distribuito in maniera uniforme su tutta la superficie della membrana circolare.

b) Biosensori

I ruoli ricoperti dalla membrana per questo tipo di dispositivi sono molteplici, a seconda dell'applicazione; in molti casi essa svolge la funzione di sostegno, di contenimento o filtraggio per la coltura biologica, in altri casi, come nell'ultimo esempio, la sua funzione è riconducibile a quella già esposta per i dispositivi dotati di elementi termici.

Tra i vari esempi troviamo il rivelatore di concentrazione FPW (Flexural Plate

Wave) di immunoglobulina [47], basato sulla variazione di frequenza di

vibrazione di un materiale piezoelettrico supportato da una membrana in ossido e nitruro di silicio, in seguito alla deposizione di materiale organico su di uno strato posto sulla parte posteriore della membrana, lasciata scoperta dall'attacco anisotropo al substrato di silicio.

La membrana è composta da uno strato di ossido di silicio spesso 500 nm, cresciuto termicamente sul wafer di silicio, e da uno strato di nitruro spesso 150 nm deposto sull'ossido secondo tecnica LPCVD. Il suo compito è quello di isolante elettrico e di strato etch-stop durante l'attacco anisotropo al silicio.

La membrana sostiene anche lo strato piezoelettrico in ZnO, posto tra due strati metallici composti da cromo e oro: il primo costituisce il piano di massa elettrica, dal secondo si ricavano i due gruppi di trasduttori interdigitati che hanno la funzione rispettivamente di produrre e raccogliere le onde ultrasoniche che eccitano lo strato piezoelettrico (vedere la figura 1.17).

La struttura viene rilasciata tramite attacco wet con KOH; uno strato contenente il materiale biologico (immunoglobulina) viene poi deposto sulla parte posteriore del dispositivo, causando la variazione della frequenza di risonanza del piezoelettrico.

Questi sensori sono capaci di rivelare variazioni di massa dell'ordine di 10-8 mg

[48]; in particolare la frequenza di risonanza di questo sensore, centrata a circa 21 MHz, varia di 1 Hz per ogni variazione di concentrazione pari a 0.1885 ng/cm³.

(29)

Fig. 1.17 Dispositivo FPW [47]. Sono visibili i due gruppi di trasduttori interdigitati deposti sopra lo strato piezoelettrico, lo strato di massa elettrica e la membrana isolante.

Un altro esempio è rappresentato da un dispositivo utilizzato per testare la reazione di una coltura di epatociti trattati con medicinali [49].

Per simulare l'ambiente in vivo, la coltura viene posta tra una membrana di Si3N4 spessa 1.5 μm e dotata di fori, la quale costituisce il supporto superiore della

coltura stessa, e tra uno strato di polietilene (PET), spesso 100 μm, che costituisce il supporto inferiore.

Questi due strati vengono cosparsi con uno strato di galattosio, il quale, rispetto al gel di collagene (utilizzato come sostanza alternativa), sostiene meglio gli epatociti ma non impedisce il loro passaggio attraverso i fori della membrana, favorendo maggiormente la loro naturale attività di metabolismo e permettendogli di venire meglio a contatto con le sostanze medicinali.

Il dispositivo è fabbricato a partire da un wafer di silicio, la cui superficie viene pulita con una soluzione di acido solforico e acqua ossigenata (nota come attacco

piranha); tramite LPCVD vengono deposti gli strati di ossido e nitruro di silicio

(100 nm e 3 μm rispettivamente); dopo la deposizione e lo sviluppo del resist vengono ricavati i fori nel dielettrico tramite attacco dry; lo stesso resist viene impiegato sul retro del wafer per attaccare selettivamente ossido e nitruro e lasciare scoperto il silicio, il quale viene poi attaccato con TMAH a 90 °C per circa 7-8 ore, finché la membrana non viene rilasciata.

Il diametro e la distanza reciproca dei fori variano da membrana a membrana, allo scopo di regolare l'interazione tra epatociti e sostanze medicinali; in figura 1.18 è mostrata una membrana con fori dal diametro di 20 μm, distanziati tra loro

(30)

di altrettanto.

Fig. 1.18 Particolari della membrana forata fotografati al SEM [49].

Le membrane impiegate nella ricerca biomedica allo scopo di filtrare le sostanze biologiche, possono essere dotate anche di fori con diametro variabile da poche decine al centinaio di nm [50].

Questi nanopori vengono ottenuti grazie all'azione combinata di attacchi sia secchi che umidi agli strati di ossido e nitruro di silicio che compongono la membrana (etched ion track technique), spessi 305 e 110 nm rispettivamente. Il silicio sottostante viene attaccato con TMAH 25% a 90 °C per circa 7 ore, finché una membrana di dielettrico di area 200x200 μm² viene rilasciata.

A questo punto la membrana viene sottoposta all'azione di un fascio di ioni bromo, seguita da un trattamento con HF 4%; ciò consente di ricavare nanopori solamente nello strato di ossido, il quale viene utilizzato come maschera durante il successivo attacco RIE per trasferire la configurazione dei nanopori dall'ossido al nitruro. Il risultato di questo trattamento è mostrato in figura 1.19: in alto è visibile lo strato di nitruro.

(31)

Un dispositivo per immobilizzare proteine [51, 52] è mostrato in figura 1.20; esse vengono immobilizzate grazie ad un sottile strato polimerico (PNIPAAm), deposto su microelettrodi d'oro, i quali sono inseriti in prossimità di un riscaldatore a serpentina in platino. Il polimero può cambiare stato in maniera reversibile, passando dall'essere idrofilico a idrofobico, ogni volta che l'elettrodo si trovi ad una temperatura inferiore o superiore rispetto ad una certa temperatura di soglia (intorno ai 30 °C), in prossimità della quale le proteine riescono facilmente a legarsi al polimero stesso.

Fig. 1.20 Dispositivo per immobilizzare proteine [51, 52].

Per garantire un rapido cambio di stato del polimero (ciò si traduce in un'escursione termica degli elettrodi di circa 25 °C/s), il sistema comprendente riscaldatore, sensori di temperatura e l'array degli elettrodi, deve essere posto su una membrana in dielettrico di area 2x3 mm2, ricavata a partire da un substrato di

silicio, la quale assicura isolamento termico ed elettrico, massa termica e stress estremamente ridotti.

Essa è composta da un triplo strato di dielettrico (ossido-nitruro-ossido, con spessori di 0.8, 0.4 e 0.8 μm rispettivamente), deposto per fase vapore LPCVD su di un wafer di silicio spesso 560 μm, lappato in precedenza su entrambi i lati. Viene rilasciata per mezzo di attacco wet con KOH al 26% alla temperatura di 85 °C.

Dopo la deposizione degli elementi termici sopra la membrana, un altro polimero (PDMS) viene impiegato per la fabbricazione del condotto all'interno del quale viene fatto scorrere il liquido contenente le proteine da immobilizzare.

(32)

c) Dispositivi vari

In questa ultima sezione vengono riportati alcuni esempi di dispositivi di varia natura, ad esempio si vedrà come le strutture sospese possano essere impiegate per filtri o per trasduttori acustici

Un primo esempio riguarda un induttore ad alto fattore Q [53], che è stato ottenuto grazie alla tecnologia detta CMOS-MEMS, ovvero grazie a passi di

post-processing effettuati in seguito ad una variante della tecnologia CMOS conosciuta

come 0.35 μm CMOS.

Fig. 1.21 Induttore sospeso ad alto fattore Q [53].

Dopo la crescita dell'ossido, la deposizione e definizione della spira metallica circolare che costituisce il corpo dell'induttore e dopo la passivazione, i passi di

post-processing consistono in un attacco RIE per aprire le finestre nell'ossido

lasciando scoperto il silicio, il quale viene attaccato con TMAH a 70 °C, al fine di rilasciare la struttura sospesa. Essa è mostrata in figura 1.21.

Un altro esempio è costituito da un microbolometro [54].

I microbolometri sono sensori di radiazioni IR, il cui principio di funzionamento si basa sulla misura dell'aumento di temperatura provocato dai raggi IR stessi, quando vengono assorbiti da una superficie sensibile, termicamente isolata rispetto al resto del dispositivo. Come per i sensori di flusso, anche in questo caso l'isolamento termico è affidato alla membrana.

(33)

essi si basano sulla variazione di resistenza dovuta alla variazione di temperatura causata dalla presenza di radiazione IR.

Il modello raffigurato in figura 1.22, utilizza uno strato sensibile formato da una miscela di germanio, fluoro e idrogeno, il quale, rispetto a metalli come platino e nickel, utilizzati allo stesso scopo, ha anche un elevato TCR,

Temperature Coefficient of Resistance, pari a 0.051 K-1, definito come:

TCR=;

R⋅

R

T ,

dove R è la resistenza dello strato stesso.

Fig. 1.22 Microbolometro [54]. (a) il dispositivo visto dal retro, attraverso la membrana, ospita due strutture di diverse dimensioni per l'assorbimento delle radiazioni. (b) vista dello strato

superficiale.

Il dispositivo è ricavato a partire da un substrato di silicio di tipo p, sul quale viene cresciuto termicamente uno strato di ossido spesso 1 μm; in seguito uno strato di nitruro di silicio viene depositato sull'ossido via LPCVD, la membrana viene quindi rilasciata tramite attacco wet anisotropo. Segue deposizione e-beam e definizione di alluminio per i contatti elettrici e la deposizione dello strato sensibile via LPCVD.

Una membrana circolare di 2 mm di diametro in nitruro di silicio è l'elemento base anche per trasduttori acustici come microfoni o micro altoparlanti per cellulari [55].

Rispetto ad una membrana rettangolare essa ha la proprietà di essere più sensibile e di assicurare una distribuzione più uniforme dello stress causato dalla pressione delle onde acustiche sulla sua superficie.

Il dispositivo è basato su un substrato di silicio sul quale viene cresciuto termicamente l'ossido di spessore 1 μm. In esso viene aperta una finestra dal

(34)

bordo esterno quadrato e dal bordo interno circolare, per consentire il drogaggio del silicio con boro: in questo modo si ottiene una regione ad anello di silicio pesantemente drogato, la quale ha la funzione di fermare lateralmente l'azione del TMAH durante il rilascio della membrana.

A questo punto l'ossido termico viene rimosso, e vengono depositati via LPCVD due strati di dielettrico, il primo costituito da ossido di silicio, il quale ha il compito di proteggere l'anello di silicio drogato dalle elevate temperature, impedendo la diffusione del boro nelle zone limitrofe, il secondo strato è in nitruro e costituisce la membrana vera e propria.

Fig. 1.23 Membrane circolari per trasduttori acustici [55] (a) dopo il drogaggio con boro e prima dell'attacco anisotropo

(b), (c) dopo l'attacco con TMAH.

La membrana viene rilasciata come detto con TMAH 20% a 90 °C per 12 ore. In seguito vengono deposti per evaporazione gli elettrodi in alluminio e, tramite

sputtering, lo strato di piezoelettrico ZnO. La membrana è raffigurata in figura

1.23.

Come ultimo esempio, si riporta un dispositivo FBAR di tipo air-gap, ovvero la parte risonante ed il substrato sono separati da uno strato d'aria, in questo caso ottenuto per mezzo di attacco isotropo tramite gas XeF2, il quale erode il silicio

sottostante la membrana [56].

Il substrato è reso molto sottile (circa 50 μm) grazie ad un primo trattamento con CMP (Chemical Mechanical Polishing), seguito da attacco con KOH al 20%.

(35)

Ciò presenta svariati vantaggi: innanzitutto maggior leggerezza e flessibilità, inoltre le caratteristiche richieste per un filtro RF FBAR come bassa perdita d'inserzione, alto fattore Q, e alto coefficiente d'accoppiamento elettromeccanico migliorano con l'assottiglia-mento del substrato, mentre si riducono le correnti di perdita nel semiconduttore poiché lo spessore del silicio è notevolmente ridotto.

Sul silicio vengono deposti via tecnica LPCVD gli strati di dielettrico, Si3N4

-SiO2-Si3N4 costituenti la membrana, per uno spessore complessivo di 1 μm: in

questo modo si ha una miglior compensazione dello stress residuo e si riescono a contenere meglio le onde acustiche generate dal piezoelettrico.

Nel dielettrico vengono aperte due finestre per mezzo di attacco RIE, e attraverso di esse viene condotto l'attacco isotropo con XeF2per il rilascio della

membrana.

Fig. 1.24 Vista dall'alto di un array di dispositivi FBAR (a); nel riquadro (b) è visibile un singolo dispositivo, al centro il piezoelettrico e lateralmente vi sono le due finestre aperte nel dielettrico.

Il materiale piezoelettrico costituito da AlN e gli elettrodi in molibdeno, vengono deposti sopra il dielettrico per sputtering.

Il dispositivo, capace di vibrare con una frequenza di risonanza di circa 2.5 GHz, è mostrato in figura 1.24.

Figura

Tabella 1.1 Esempi di prodotti MEMS attualmente presenti sul mercato [2].
Fig. 1.1 Andamento e previsioni del mercato MEMS [7].
Fig. 1.2: accelerometro capacitivo costituito da un wafer centrale e da due wafer laterali, saldati  tramite tecnica wafer bonding
Fig. 1.3 Sensori di pressione piezoresistivi attualmente in commercio [14, 15].
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