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UNIVERSITA’ DI PISA

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA’ DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA

DELLE COSTRUZIONI CIVILI

TESI DI LAUREA:

“PROGETTO DI UN PONTE IN CALCESTRUZZO ARMATO

PRECOMPRESSO COSTRUITO PER CONCI”

Relatori:

Prof. Ing. PIETRO CROCE Dott. Ing. DANIELE LUCCHESI

Candidato: DAVIDE MALANCA

(2)

-SOMMARIO- 2

(3)

-SOMMARIO-

-PARTE PRIMA: LO STATO DELL’ARTE-

1.

I ponti prefabbricati in precompresso _____________________ 9

1.1. La storia e lo sviluppo dei ponti _________________________________10 1.2. Lo sviluppo tecnico della prefabbricazione _________________________18

1.2.1. Le prime pubblicazioni e norme in Italia ___________________________ 20

1.3. I sistemi di precompressione ___________________________________22

1.3.1. La precompressione interna ____________________________________ 23 1.3.2. La precompressione esterna ____________________________________ 27 1.3.3. La precompressione mista _____________________________________ 29

1.4. Concetti base e definizioni della precompressione ___________________30

1.4.1. Nocciolo centrale di inerzia ____________________________________ 33 1.4.2. Effetto della precompressione e momento utile aggiunto ______________ 34 1.4.3. Curva delle pressioni, cavo risultante e punti limite ___________________ 36

1.5. Note di funzionamento statico __________________________________39

1.5.1. La ripartizione trasversale dei carichi _____________________________ 42

1.6. Impalcati a cassone: definizioni e caratteristiche _____________________44 1.7. Sistemi di prefabbricazione _____________________________________51

1.7.1. Interazione geometria-funzionamento statico di due conci adiacenti ______ 52 1.7.2. Rapporto tra geometria e casseratura _____________________________ 53

(4)

-SOMMARIO-

4 1.7.3. Modalità di collegamento dei giunti ______________________________ 57

2.

Analisi dei metodi costruttivi ___________________________ 60

2.1. Costruzione a sbalzo ad avanzamento bilanciato per conci gettati in opera _61

2.1.1. Tecniche e attrezzature per la costruzione _________________________ 67 2.1.2. Descrizione della procedura operativa ____________________________ 70

2.2. Costruzione ad avanzamento campata per campata gettate in opera ______74

2.2.1. Tecniche e attrezzature per la costruzione _________________________ 74 2.2.2. Descrizione della procedura operativa ____________________________ 77

2.3. Costruzione per varo incrementale _______________________________79

2.3.1. Tecniche e attrezzature per la costruzione _________________________ 80 2.3.2. Descrizione della procedura operativa ____________________________ 83

2.4. Costruzione a sbalzo ad avanzamento bilanciato per conci prefabbricati __86

2.4.1. Tecniche e attrezzature per la costruzione _________________________ 86 2.4.2. Descrizione della procedura operativa ____________________________ 92

2.5. Costruzione ad avanzamento campata per campata per conci prefabbricati preassemblati ____________________________________________________93

2.5.1. Tecniche e attrezzature per la costruzione _________________________ 93 2.5.2. Descrizione della procedura operativa ____________________________ 96

2.6. Costruzione per avanzamento progressivo per conci prefabbricati _______97

2.6.1. Attrezzature per la costruzione procedura operativa __________________ 97

3.

Progetto di un ponte in calcestruzzo armato precompresso

(5)

3.1. Descrizione generale dell’opera, criteri di analisi e di verifica __________ 101 3.2. Normativa di riferimento _____________________________________ 104 3.3. Principi di progettazione ______________________________________ 105 3.3.1. Metodi di calcolo ___________________________________________ 105 3.3.2. Stati limite ________________________________________________ 105 3.3.3. Situazioni di progetto ________________________________________ 105 3.4. Codici di calcolo ____________________________________________ 107 3.4.1. CSiBridge_V15.2 ___________________________________________ 107 3.5. Materiali __________________________________________________ 108 3.6. Definizione delle azioni ______________________________________ 112

3.6.1. Azioni permanenti __________________________________________ 112 3.6.2. Azioni durante la costruzione __________________________________ 113 3.6.3. Distorsioni di progetto _______________________________________ 114 3.6.4. Effetto reologico del ritiro (shrinkage) ____________________________ 114 3.6.5. Effetto reologico della viscosità (creep) ____________________________ 117 3.6.6. Variazioni termiche _________________________________________ 119 3.6.7. Carichi mobili ______________________________________________ 120 3.6.8. Azione longitudinale di frenamento o accelerazione _________________ 122 3.6.9. Azione centrifuga ___________________________________________ 122 3.6.10. Azione della neve _______________________________________ 122 3.6.11. Azione del vento _______________________________________ 123 3.6.12. Azione sismica _________________________________________ 126

(6)

-SOMMARIO-

6

3.7. Combinazioni di carico _______________________________________ 131

3.7.1. Azioni durante la costruzione __________________________________ 131 3.7.2. Azione sismica _____________________________________________ 132 3.7.3. Azioni permanenti e variabili (traffico) ___________________________ 132

3.8. Perdite di precompressione ___________________________________ 136

3.8.1. Perdite per attrito ___________________________________________ 137 3.8.2. Perdite per rientro degli ancoraggi ______________________________ 138 3.8.3. Perdite per tesature in fase successive ____________________________ 139 3.8.4. Effetti dei fenomeni differiti nel tempo __________________________ 140

3.9. Considerazioni iniziali e predimensionamento _____________________ 141

3.9.1. Variazione parabolica di altezza ________________________________ 141 3.9.2. Sezione trasversale __________________________________________ 141 3.9.3. Divisione longitudinale e caratteristiche conci ______________________ 144 3.9.4. Predimensionamento cavi di stampella ___________________________ 147 3.9.5. Predimensionamento cavi di continuità __________________________ 154

3.10. Analisi della situazione transitoria: la costruzione della stampella _______ 155

3.10.1. La stabilità della stampella ________________________________ 155 3.10.2. “Non Linear Staged Construction” __________________________ 158 3.10.3. Analisi dei risultati e verifiche ______________________________ 163

3.11. L’influenza dei fenomeni lenti _________________________________ 178

3.11.1. Princìpi fondamentali di viscoelasticità lineare _________________ 181 3.11.2. Primo principio di viscoelasticità lineare ______________________ 184

(7)

3.11.3. Secondo principio di viscoelasticità lineare ____________________ 185 3.11.4. Cenni al metodo AAEM __________________________________ 186 3.11.5. Cambiamento di schema statico per aggiunta di vincoli posticipati __ 188

3.12. Il camber (controfreccia) _____________________________________ 193 3.13. Sollecitazioni sulla struttura ___________________________________ 195 3.14. Risposta alle azioni sismiche ___________________________________ 209

3.14.1. L’analisi modale ________________________________________ 210 3.14.2. Strategia di protezione sismica _____________________________ 212

3.15. Analisi trasversale della soletta _________________________________ 215

4.

Bibliografia __________________________________________ 225

(8)

-PARTE PRIMA: LO STATO DELL’ARTE-

8

-PARTE PRIMA: LO STATO DELL’ARTE-

(9)

1.

I ponti prefabbricati in precompresso

Ponti e viadotti rappresentano un settore molto importante delle costruzioni. La maggior parte delle pubblicazioni e dei documenti in materia di progettazione e realizzazione generalmente si concentrano sui progetti dei ponti più spettacolari, con luci estremamente grandi e condizioni di esecuzione difficili. Si tratta principalmente di strutture costruite in sito, spesso utilizzando la tecnica della prefabbricazione a piè d’opera di parti grandi ed estremamente pesanti. Tuttavia il grosso del mercato dei ponti riguarda interventi semplici su autostrade, ferrovie e corsi d’acqua, caratterizzati da luci inferiori, dalla necessità di limitare al minimo le restrizioni del traffico durante i lavori e soprattutto dall’economia. Per questi ed altri aspetti, che verranno analizzati in seguito, riveste un ruolo fondamentale la prefabbricazione industriale, anche se con questa tecnica è possibile costruire ponti relativamente grandi.

Lo sviluppo e l’utilizzo dei ponti prefabbricati varia molto da paese a paese: in alcuni, per esempio Belgio, Canada, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito, Usa, ecc., i ponti prefabbricati sono usati di routine, in altri sono appena conosciuti o addirittura del tutto inutilizzati. Il loro sviluppo è avvenuto soprattutto ad opera dell’industria della prefabbricazione, in collaborazione con le autorità pubbliche. All’inizio i progetti si basavano su sistemi a travi con impalcato gettato in opera, ma successivamente si sono indirizzati verso strutture completamente prefabbricate, per esempio con travi a cassone. Attualmente il trend è quello di porre una maggiore attenzione all’estetica, all’impiego di elementi più grandi e pesanti, alla richiesta di soluzioni speciali e alla concessione dei progetti totalmente in appalto nei quali il prefabbricatore è responsabile dell’intera struttura. L’evoluzione di gru, di invasature e dei metodi di montaggio in generale, insieme a quella dei veicoli di trasporto, più lunghi e dotati di una capacità di carico maggiore, hanno accresciuto enormemente il potenziale della prefabbricazione, sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista economico. Inoltre, i progressi compiuti negli ultimi anni nella costruzione trasversale degli impalcati, grazie all’utilizzo di puntoni di controvento e di componenti

(10)

1 I ponti prefabbricati in precompresso

10 travi a cassone singolo di elevato risultato estetico. Rispetto ai metodi tradizionali per la costruzione dei ponti, la prefabbricazione presenta molti vantaggi, derivanti dall’approccio industriale e da un ambiente di lavoro favorevole, al riparo da egenti atmosferici avversi, tant’è che da tempo i professionisti hanno familiarità con i principi ed i metodi di controllo della qualità dei prodotti prefabbricati.

Tra i molti vantaggi i seguenti sono di particolare interesse: • Qualità e regolarità della resistenza del calcestruzzo.

• Possibilità di ottenere elementi con forme elaborate, progettati per ottenere il massimo vantaggio dai materiali e dal processo di prefabbricazione.

• Superfici di alta qualità quanto a forma, finitura e tolleranza dimensionali. • Assenza di ponteggi onerosi ed intralcianti.

• Tempi di costruzione più brevi grazie al fatto che gli elementi prefabbricati vengono realizzati in stabilimento, indipendentemente dall’esecuzione delle fondazioni e degli altri lavori preparatori in sito.

I ponti prefabbricati non sono comunque esenti da critiche:

• L’opinione che i ponti prefabbricati non abbiano un buon livello estetico. • Il numero maggiore di giunti presenti nelle realizzazioni più vecchie, che crea

disturbo all’utenza e causa problemi alla manutenzione.

• Alcune specifiche questioni tecniche come ad esempio l’efficacia della trasmissione degli sforzi tangenziali all’interfaccia tra calcestruzzo gettato in opera ed elementi prefabbricati, soprattutto in relazione alle sollecitazioni da fatica.

1.1. La storia e lo sviluppo dei ponti

Prima del XIX secolo, i due più importanti materiali utilizzati nella costruzione dei ponti erano la pietra ed il legno, adoperati anche fin dai tempi preistorici. Anche se disegni e descrizioni scritte sono l’unica prova rimasta dei ponti in legno dell’antichità, diversi ponti in pietra dell’epoca romana sono sopravvissuti fino ad oggi, come ad esempio il Pons Fabricius di Figura 1, noto

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anche come “Ponte dei Quattro Capi”, sito a Roma, realizzato in tufo travertino e mattoni da Lucio Fabricio nel 62 a.C. e caratterizzato da due arcate a sesto ribassato di luce pari a 24.5 metri poggiate su un pilone mediano con una base a forma di sperone sul lato a monte e arrotondata verso valle. O ancora a Roma il Ponte Sant’Angelo di Figura 2, noto anche come “Ponte di Castello”, realizzato in paperino rivestito da travertino, voluto dall’imperatore Adriano e costruito dall’architetto Demetriano nel 134 d.C.

Figura 1: Pons Fabricius, Roma (swan.ac.uk)

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1.1 La storia e lo sviluppo dei ponti

12 Dall’epoca romana al novecento lo schema strutturale usato per i ponti era basato sull’arco a volte semicircolari, unitamente a pilastri e muri di sostegno, elementi efficaci in compressione e quindi adatti alla costruzione in muratura. Quella semicircolare è rimasta la forma preferita fino al medioevo, quando iniziarono a venire adottate nuove configurazioni, come ad esempio il ponte rinascimentale di Figura 3 con arcate ellittiche di Santa Trinità sull’Arno a Firenze, costruito nel 1560 in pietra forte ad opera di Bartolomeo Ammannati su disegno di Michelangelo, il quale suggerì la moderna linea delle tre arcate.

La costruzione dei ponti ha subìto grandi trasformazioni a seguito degli sviluppi sociali, tecnologici e scientifici che si sono verificati in Europa durante la rivoluzione industriale. Fino ad allora i ponti erano stati progettati da maestri costruttori che utilizzavano linee guida empiriche, e realizzati con i semplici strumenti dell’epoca e con materiali tradizionali. Dai primi dell’ottocento ebbe inizio una progettazione sviluppata da ingegneri, basata sulla teoria delle strutture, e fondata su un uso di materiali più leggeri e resistenti prodotti industrialmente. Un forte impulso al cambiamento è stato fornito dalla grande ristrutturazione del sistema di trasporto europeo, dalla crescita della rete postale, e soprattutto dalla comparsa della ferrovia, elementi che hanno avuto come risultato una crescita enorme della domanda di nuovi ponti. Fattori quali l’economia, i tempi di costruzione e la resistenza assunsero importanza maggiore nella costruzione di ponti Figura 3: Ponte Santa Trinità, Firenze (it.wikipedia.org)

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ferroviari rispetto al passato, e anche se fu possibile in alcuni casi adattare metodi di costruzione e materiali tradizionali a questi nuovi requisiti richiesti, sempre più evidenti apparsero i vantaggi intrinsechi delle nuove tecniche e dei nuovi materiali. Il ferro industriale diventò rapidamente il materiale principale per la costruzione dei ponti ferroviari, primo fra tutti l’Iron Bidge di Figura 4 costruito da Abraham Darby III, imprenditore inglese pioniere dell’industria siderurgica, nel 1779 a Coalbrookdale sul fiume Severn in Inghilterra.

L’esperienza acquisita nella costruzione di ponti in legno e pietra risultò tuttavia di poco aiuto, dato che i vantaggi del ferro poterono essere pienamente sfruttati solo utilizzando sistemi strutturali radicalmente diversi. Una base razionale per la progettazione di questi nuovi sistemi fu fornita da una teoria delle strutture basata sulla scienza della meccanica, sviluppata dagli ingegneri francesi Charles Coulomb (1736-1806) e Louis Navier (1785-1836). L’applicazione pratica della teoria fu notevolmente facilitata dal metodo della grafica statica, formulata da Carl Culmann (1821-1881), tant’è che si rese possibile la progettazione e la costruzione di una grande varietà di ponti, con luce fino a 500 metri, e che dettero una profonda impressione visiva sull’ambiente di fine ottocento. Tra gli altri citiamo forse il più rappresentativo, di dimensioni audaci per l’epoca ed altamente funzionale, simbolo di eccellenza tecnica del periodo ad ancora oggi oggetto di Figura 4: Iron Bridge, Coalbrookdale, Inghilterra (de.wikipedia.org)

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1.1 La storia e lo sviluppo dei ponti

14 grande ammirazione, il Firth of Forth Bridge di Figura 5, sulla costa orientale della Scozia 14 chilometri ad ovest di Edimburgo. Costruito nel 1883 da Sir. Thomas Bouch interamente in acciaio è lungo 2.5 chilometri, la doppia linea si eleva a 46 metri sul livello del mare e consiste di due campate principali di circa 520 metri, due laterali di 200 metri, 15 di avvicinamento da 50 metri e 5 da 7 metri. Ogni campata principale è composta da due braccia a sbalzo di 207 metri che reggono una campata centrale a trave di 106 metri. L’uso degli sbalzi nella progettazione dei ponti non era una nuova idea, ma la mole del lavoro fu uno sforzo pioneristico per l’epoca, poi seguito in altre parti del mondo. Molto del lavoro fatto non aveva precedenti, incluso il calcolo dei carichi del vento e degli effetti termici e gli accorgimenti per ridurre i futuri costi di manutenzione.

Tuttavia non furono solo successi per il materiale ferro. Resistenza, leggerezza e velocità di costruzione furono compensati da alti costi di manutenzione e da un alto rapporto carichi mobili/carichi permanenti, fattore quest’ultimo responsabile del costoso rinforzo di molti ponti ferroviari del XIX secolo che non risultarono più in grado di portare treni di peso e velocità maggiori. Questi svantaggi contribuirono a portare la costruzione di ponti verso l’uso di un nuovo materiale, il calcestruzzo, che rispetto al ferro era considerato esente da manutenzione ed inoltre, avente un peso maggiore aveva un rapporto carichi mobili/carichi permanenti più basso. I primi ponti in calcestruzzo normale erano essenzialmente archi, costruiti in Francia e Spagna nel 1860, identici alle strutture in muratura, giacché con il solito comportamento strutturale.

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La scoperta del calcestruzzo armato può attribuirsi a diversi personaggi, ma fu il giardiniere francese Joseph Monier (1823-1906), che brevettò un vaso di calcestruzzo rinforzato con filo di ferro, nel 1867 a riconoscere il vasto potenziale del calcestruzzo armato come materiale da costruzione. Egli, seguendo un brevetto aggiuntivo assegnatogli nel 1873, costruì il primo ponte in calcestruzzo armato del mondo a Chazelet in Francia nel 1875, ma la nuova tecnologia si diffuse presto in altri paesi europei. La prima base teorica per il calcolo della resistenza delle sezioni in calcestruzzo armato è stata sviluppata in Germania nel 1880 da M. Koenen (1849-1924), che trascura la resistenza a trazione del calcestruzzo e calcola le tensioni nell’acciaio e nel calcestruzzo dovute alla flessione individuando l’asse neutro della sezione. Lo sviluppo della sua teoria si basava su test di laboratorio, grazie ai quali stabilì che la capacità di carico di un arco in calcestruzzo armato era circa 3 volte quella di arco in calcestruzzo normale delle stesse dimensioni. Questo risultato incoraggiò la costruzione di archi estremamente sottili e ribassati, come possiamo notare dalle Figure 6 e 7 in cui riportiamo due opere dell’ingegnere francese Francois Hennebique (1842-1931), rispettivamente un ponte pedonale sul fiume Ourthe a Liegi, in Belgio, costruito nel 1904 e avente una campata di 55 metri, e il ponte Risorgimento a Roma, costruito nel 1911 e avente una campata di 100 metri.

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1.1 La storia e lo sviluppo dei ponti

16 Lo sviluppo dei ponti prefabbricati in calcestruzzo ha una storia lunga, i primi progetti risalgono agli inizi stessi della prefabbricazione e dell’uso del precompresso. L’idea fondamentale del calcestruzzo precompresso di provocare preventivamente delle tensioni di compressione nelle zone soggette a trazione per effetto delle sollecitazioni esterne risale alla fine dell’ottocento, quando era ancora valido il brevetto di Monier sul cemento armato. Nel 1888 l’ingegnere tedesco C.W. Doehring espose chiaramente i principi della precompressione e depositò un brevetto per la precompressione di elementi in calcestruzzo con barre di acciaio dolce tesate ed ancorate alle estremità filettate con dei dadi. Tuttavia la mediocre qualità del calcestruzzo e delle armature portò al fallimento del tentativo. Il merito di aver messo a punto la tecnica della precompressione è dovuto all’ingegnere francese Eugène Freyssinet (1879-1962) che nel 1928 ebbe i primi risultati favorevoli grazie all’impiego di materiali di alta qualità. Il suo brevetto proponeva come armatura un acciaio ad alta resistenza teso fino in prossimità del limite elastico ed ancorato mediante appositi dispositivi. L’idea di aver educato un materiale a comportarsi nel modo più appropriato per sopportare le sollecitazioni di esercizio gli fece ritenere di essere di fronte ad un nuovo materiale. Ad oggi la combinazione di acciaio ad elevata resistenza, atto a contrastare le sollecitazioni di trazione, e di calcestruzzo ad alte prestazioni, che fornisce maggiore resistenza alla compressione, rende questo materiale composito unico ed adattabile a molte situazioni. Figura 7: Ponte Risorgimento, Roma (structurae.net)

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L’aumento dei costi del lavoro negli anni sessanta porta tuttavia ad una semplificazione e razionalizzazione nella tecnologia di costruzione dei ponti. Archi ed altri sistemi che richiedevano l’uso di ponteggi complicati, manodopera e casseforme, sono diventati meno competitivi e sono stati usati solo in casi eccezionali, a favore di un sistema che prevede l’accostamento di travi prefabbricate e che rende così possibile un montaggio rapido ed economico. Questo metodo è stato utilizzato per molte opere soprattutto in Italia, come il viadotto di Pietrasecca nel comune di Carsoli, L’Aquila, sulla A24, che si sviluppa in rettilineo e in curva per circa due chilometri, mostrato in Figura 8, ma il gran numero dei giunti e degli appoggi necessari ne riducevano la durabilità ed il confort.

Il vero boom dei ponti prefabbricati si è verificato negli anni ’50 e ’60 in seguito al notevole aumento del traffico stradale ed alla costruzione di nuove autostrade, che hanno reso necessarie soluzioni veloci ed economiche per sottopassi e cavalcavia, in grado di creare il minor disturbo possibile al traffico in esercizio. D’altro lato, l’introduzione delle tecniche di precompressione su piste lunghe negli stabilimenti di prefabbricazione ha contribuito in modo sostanziale allo sviluppo di elementi prefabbricati più grandi e snelli. Ripercorrendo gli oltre cinquanta anni di storia della costruzione di ponti prefabbricati in calcestruzzo, si può notare una crescita costante sia del numero di ponti prefabbricati sia delle dimensioni e del peso degli elementi prefabbricati utilizzati. Lo sviluppo non è stato però uguale in tutti i paesi, infatti in alcuni come Italia, Belgio,

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1.1 La storia e lo sviluppo dei ponti

18 Spagna, Regno Unito e Usa sono ampiamente utilizzati e coprono oltre il 50% del mercato, in altri come Canada, Francia e Germania sono soltanto accettati come una buona alternativa ai ponti gettati in sito e la loro quota di mercato varia tra il 5 ed il 20%. Infine ci sono paesi nei quali i ponti prefabbricati sono utilizzati solo di rado o addirittura mai, spesso perché poco conosciuti e circondati da pregiudizi, sia a livello tecnico sia a livello estetico. In particolare vi sono pochi prefabbricatori nei paesi scandinavi benché le condizioni climatiche incoraggerebbero per logica un atteggiamento opposto.

1.2. Lo sviluppo tecnico della prefabbricazione

I sistemi e gli elementi per ponti prefabbricati sono stati sviluppati, e principalmente lo sono ancora, dai prefabbricatori stessi, i quali hanno i propri profili di ponte e sezione. I sistemi di base però, salvo qualche eccezione, sono molto simili. In alcuni paesi, come per esempio il Regno Unito, all’inizio c’è stata un’influenza molto forte da parte del governo, che ha incoraggiato l’utilizzo del calcestruzzo precompresso per far fronte alla carenza di acciaio, tant’è che questo stimolo tecnico-governativo è stato utilizzato per far progredire progettazione, esecuzione e pianificazione dei prototipi. In un primo periodo le soluzioni erano pensate per ponti piuttosto piccoli, e si potevano dividere principalmente in due categorie di opere:

• I sistemi a conci prefabbricati coniugati, per mezzo dei quali il ponte veniva composto da una serie di travi rettangolari posizionate fianco a fianco e trasformate dopo il montaggio in impalcato attraverso un post-tensionamento trasversale.

• Sistemi composti da piccole travi a T rovescia affiancate, nei quali veniva riempito con calcestruzzo gettato in opera lo spazio tra e sopra le travi stesse dopo il montaggio.

E’ difficile stabilire il luogo di inizio della prassi prefabbricazione, ma è molto probabile che ciò sia avvenuto in Inghilterra. Travi da ponte prefabbricate precompresse furono gettate prima del 1948, quell’anno segnò inoltre l’ingresso sul mercato dei primi produttori che pubblicizzavano e

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producevano gamme di travi da ponte prefabbricate, e negli Stati Uniti risale al 1950 la costruzione del primo ponte prefabbricato, costruito nel Tennessee.

Successivamente, sono arrivati i ponti a travata con travi prefabbricate e impalcato gettato in opera. All’inizio l’altezza delle travi era piuttosto piccola, 50 centimetri nel caso di alcune opere italiane fino ad arrivare gradualmente ai 2.20 metri, stessa cosa come già detto per luci, il cui valore massimo è aumentato dai 35 metri degli anni ’60 fino ai 100 e oltre dei tempi recenti. La precompressione di travi grandi avveniva spesso attraverso una combinazione di trefoli dritti e deviati, per far fronte alle sollecitazioni di trazione sulla parte superiore delle testate durante la fabbricazione e la movimentazione. In alcuni casi i trefoli deviati erano costituiti da cavi post-tesi, che venivano presollecitati o nell’area di stoccaggio o in opera dopo il getto e l’indurimento dell’impalcato. Le travi da ponte avevano per lo più sezione a I o a T rovescia, di solito con ringrossi di testata, e venivano posizionate ad una certa distanza, benché esistano soluzioni con grandi ali inferiori e travi accostate per aumentarne la resistenza all’urto laterale. La soletta dell’impalcato veniva gettata su predalles in calcestruzzo a perdere poste tra una trave e l’altra. Venivano usati anche altri tipi di travi, per esempio in Francia e in Italia, con sezione a V o trapezoidale.

Gli sviluppi più recenti puntano alla prefabbricazione completa dell’intero impalcato del ponte, che prevede diversi sistemi:

• Ponti con trave a cassone, singolo e pluricellulare.

• Ponti composti, con impalcato prefabbricato formato da elementi trasversali di lunghezza pari alla larghezza totale del ponte che poggiano su travi di acciaio.

• Ponti a conci, con conci piuttosto piccoli prefabbricati in stabilimento.

Tra il 1975 e il 1985 il modo di considerare la progettazione dei ponti cambia enormemente; da un periodo in cui ci si preoccupava soprattutto per l’economia della nuova costruzione si è passati ad apprezzare l’importanza del comportamento del ponte in termini di durabilità. L’aumento

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1.2 Lo sviluppo tecnico della prefabbricazione

20 dell’impiego di sali antigelo sulle strade dal 1955 in poi ed i loro effetti dannosi sulle strutture autostradali, di qualsiasi materiale esse siano realizzate, sono noti. Erano quindi molto apprezzati gli elementi da ponte prefabbricati in stabilimento che beneficiavano sia di condizioni protette dagli agenti atmosferici durante la lavorazione sia di sistemi di assicurazione della qualità, che gli conferivano una maggiore durabilità rispetto alle strutture gettate in opera.

Oggi si trae ispirazione dalle richieste del mercato di migliorare l’estetica dei ponti prefabbricati, di risparmiare tempo e costi, di gestire il processo di progettazione e montaggio. La prima sfida per i produttori è stata di rendere i propri prodotti adatti a ponti ad asse curvo senza ricorrere a piante poligonali. Il secondo problema da superare era produrre elementi con altezza variabile, che si adattassero meglio ai requisiti strutturali ed estetici. Inizialmente i ponti prefabbricati venivano sempre progettati come strutture semplicemente appoggiate, anche in caso di campate multiple, ma a causa dei problemi causati al traffico e alla manutenzione dei giunti, i ponti a campate multiple vengono attualmente progettati come strutture continue. Le opzioni a disposizione sono due: la continuità parziale, dove solo la soletta viene resa continua mentre le travi sono semplicemente appoggiate, o la continuità totale, sia per le travi sia per la soletta di impalcato.

1.2.1.Le prime pubblicazioni e norme in Italia

1918→Gustavo Colonnetti (1886-1968), professore al Politecnico di Torino, sviluppa la “teoria degli stati di coazione artificiale”, basilare per tutti gli studi successivi, in cui si distinse come promotore e divulgatore scientifico.

1947→Carlo Cestelli Guidi (1906-1995), ingegnere romano che nel 1949 è stato Presidente dell'Associazione Nazionale Italiana del Cemento Armato Precompresso (ANICAP), pubblica il primo testo didattico dedicato al calcestruzzo armato precompresso.

1947→Colonnetti propone la prima legge nazionale, per cui i progetti delle opere realizzate in calcestruzzo precompresso avrebbero dovuto essere controllati da una apposita commissione del

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Centro Nazionale delle Ricerche, di cui nel 1945 era stato nominato presidente e dove aveva fondato il centro studi sugli stati di coazione elastica.

1955→Viene emanato il primo testo di legge completo, redatto da una speciale commissione del consiglio superiore dei lavori pubblici, e nominato “Norme tecniche per l’impiego delle strutture in cemento armato e precompresso”.

1960→Viene emanata la circolare numero 494, aggiornamento della precedente norma.

Il ponte di Vallesella sul fiume Piave in Figura 9, realizzato dall’impresa veneziana Sacaim nel 1950, rappresenta il primo ponte in calcestruzzo armato precompresso costruito in Italia. L’opera, che porta la firma dell’ingegnere Carlo Pradella (1905-1982), è caratterizzata da un impalcato a travi post-tese con sistema di precompressione Freyssinet. Le due travi di campata poggiano su mensole a sbalzo di 4.7 metri dall’asse della pila, realizzate queste ultime con tralicci in calcestruzzo armato superano i 70 metri di altezza.

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1.2 Lo sviluppo tecnico della prefabbricazione

22 Con lo stesso sistema, sempre nel 1950, viene realizzato anche il primo ponte con travi a cassone in precompresso, un’opera di servizio con piano inclinato per l’impianto idroelettrico del Mucone a Cosenza, da parte dell’ingegnere padovano Silvano Zorzi (1921-1994).

1.3. I sistemi di precompressione

Essendo il calcestruzzo dotato di buona resistenza a compressione e scarsa e aleatoria a trazione, la soluzione logica è stata quella di affidare la trazione all’armatura metallica e la compressione al calcestruzzo. In tal modo si ottengono strutture in grado di resistere a sollecitazioni assiali e flettenti con un comportamento a rottura sufficientemente duttile. Nelle fasi di esercizio della struttura tuttavia la presenza delle trazioni nel calcestruzzo produce la formazione di fessure che parzializzano la sezione reagente e rendono l’elemento strutturale più deformabile. Per limitare l’apertura delle fessure e per evitare la corrosione delle armature, le tensioni devono essere contenute entro valori non troppo grandi, per cui non è possibile sfruttare le elevate caratteristiche di resistenza che presentano alcuni tipi di acciaio. Da queste considerazioni di base nasce l’idea della precompressione, di realizzare cioè opportuni stati di tensione nelle sezioni in

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assenza di forze esterne agenti, mediante l’applicazione di deformazioni impresse alle armature che generano uno stato di coazione.

L’evoluzione del calcestruzzo armato precompresso ha portato nel corso degli anni alla definizione di tre differenti sistemi di applicazione della precompressione:

• La precompressione interna. • La precompressione esterna. • La precompressione mista.

1.3.1.La precompressione interna

(Internal prestressing, précontrainte intérieure) Consiste nell’applicazione della precompressione con cavi o barre interni alla sezione, ossia annegati nel getto di calcestruzzo, attualmente risulta essere la tecnica più utilizzata. Tale tecnologia, inventata da Freyssinet, può essere realizzata con due opposte modalità in funzione del fatto che l’armatura attiva venga messa in tensione prima o dopo l’indurimento del getto. Abbiamo quindi:

Pre-tensione (pre-tensioning, pré-tension) detta anche a cavi aderenti (bonded, par

adhérence). I cavi di acciaio vengono disposti nella configurazione geometrica di progetto, vincolati ad uno o due blocchi di estremità solidali con il terreno e capaci di resistere alle alte forze orizzontali in gioco, quindi tesati con uno o due martinetti idraulici. Applicata la pretensione di progetto la si mantiene il tempo necessario ad effettuare il getto di calcestruzzo e a farlo maturare

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1.3 I sistemi di precompressione

24 sufficientemente. Raggiunte così le opportune caratteristiche di resistenza i fili

vengono tagliati in corrispondenza delle sezioni terminali dell’elemento. Questi, non più bloccati, tenderanno ad accorciarsi imprimendo al calcestruzzo uno stato di coazione di compressione tramite l’aderenza tra i due materiali. Tale metodo, tra i primi ad essere utilizzato, è attualmente impiegato soprattutto per la produzione in stabilimento di elementi prefabbricati quali travi e pannelli, su piste che possono avere una lunghezza anche di 100-200 metri. Usualmente le armature presentano un tracciato rettilineo, tuttavia è possibile realizzare un andamento poligonale disponendo degli opportuni deviatori sul banco. Un’altra operazione possibile è quella di inguainare i cavi per un centro tratto all’estremità della struttura al fine di evitare in tali zone tensioni di trazione.

Post-tensione (post-tensioning, post-tension) detta anche a cavi non aderenti

(unbonded, sans adhérence). La prima tecnologia di questo tipo ad affermarsi è quella delle barre, utilizzata dall’ingegnere tedesco Ulrich Finsterwalder (1897-1988) per la costruzione a sbalzo, che alla fine degli anni ’40 in collaborazione con la ditta norvegiese Dywidag-Systems International AS, mise a punto le famose barre ø26. Questa tecnologia si effettua prevalentemente in cantiere o direttamente in opera, di elevata affidabilità, è tuttora molto usata soprattutto come sistema di precompressione temporanea dei conci prefabbricati durante le fasi costruttive. Di rapida installazione, risultano particolarmente utili per serrare tra loro i conci

(25)

in

modo da permettere la presa delle giunture, divenendo spesso parte integrante del sistema di precompressione finale.

L’altra importante tecnologia è quella dei cavi, formati da più trefoli, vengono indicati dal numero dei trefoli e dal diametro nominale di questi, che generalmente è 12.9/15.2 mm, caratterizzati dalle sigle 0.5”/0.6” o T13/T15. Tali cavi sono alloggiati entro speciali guaine (ducts) corrugate, metalliche o plastiche, istallate durante le operazioni di casseratura e la realizzazione della gabbia metallica e sostenute mediante appoggi e legature in modo che non subiscano spostamenti durante il getto. Devono essere stagne per impedire l’ingresso nella guaina di liquame di cemento o altro che possa ostruirne il condotto, inoltre nei punti più elevati vengono disposti sfiati mentre in quelli più bassi del tracciato possono disporsi degli scarichi. L’installazione dei cavi all’interno delle guaine può avvenire tramite spinta, tiro o utilizzando semplicemente guaine con trefoli

Figura 13: Barre Dywidag (dywidagsystem.com).

Figura 14: Guaine corrugate Dywidag (diwidagsystem.com)

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1.3 I sistemi di precompressione

26 preassemblati. A getto avvenuto ed al raggiungimento delle minime

caratteristiche meccaniche da parte del calcestruzzo viene effettuata una prima tesatura a circa il 30% del tiro finale, anche di solo una parte dei cavi totali, con l’obiettivo di prevenire eventuali fessurazioni legate al gradiente termico e al ritiro. La precompressione finale viene invece applicata il più tardi possibile, in modo che il calcestruzzo abbia avuto tempo sufficiente a raggiungere un elevato grado di indurimento. Le operazioni di tesatura vengono quindi effettuate a posteriori tramite martinetti idraulici o oleodinamici, sfruttando il contrasto con le piastre di ancoraggio in testata. Raggiunta la tensione di progetto viene iniettata nelle guaine della malta cementizia, o altri prodotti idonei a riempire i vuoti tra guaina e cavo, per mezzo di un sistema a pressione controllata, ponendo particolare attenzione alla quantità iniettata nel tentativo di minimizzare i pericolosi vuoti. La malta ha quindi la duplice funzione di proteggere la armature dalla corrosione, infatti insieme alla guaina rappresenta lo strato protettivo più esterno dei cavi, e eve quindi essere messa in opera con il minor numero possibile di giunti di accoppiamento cercando di ottenere la massima continuità, e di rendere il cavo aderente al calcestruzzo, tant’è che da questo momento le deformazioni dei due materiali posti allo stesso livello risulteranno uguali, almeno fino a quando la sezione sarà interamente reagente.

Figura 13: Ancoraggio Dywidag (dywidagsystem.com)

Figura 14: Martinetto idraulico Dywidag (dywidagsystem.com)

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1.3.2.La precompressione esterna

(External prestressing, précontrainte extérieure) Viene generalmente usata in ponti a conci prefabbricati, non sfrutta l’aderenza acciaio-calcestruzzo ma trasmette un sistema di forze puntuali, quindi non continuo come il tipo precedente. Dal punto di vista costruttivo e progettuale questa tecnologia si basa sul posizionamento e la realizzazione di deviatori e testate, elementi strutturali, interni per esempio ad un cassone, necessari alla trasmissione delle forze di precompressione. Può essere applicata sostanzialmente con le due seguenti modalità:

Cavi aderenti all’interno delle guaine, del tutto simile dal punto di vista

tecnologico alla precompressione interna a cavi post-tesi esaminata al punto precedente.

Cavi non aderenti nelle guaine, che vengono iniettate con una speciale sostanza

(cera, grasso…) che ha la funzione di minimizzare la presenza d’aria, e quindi proteggere i cavi dalla corrosione, ed inoltre permette di effettuare una eventuale ritesatura.

I cavi scorrono in questo caso esternamente al calcestruzzo protetti ancora da guaine, che tuttavia risultano soggette ad un deterioramento differente rispetto a quelle ivi annegate ma che d’altra parte offrono il vantaggio di poter essere ispezionate e monitorate, permettendo inoltre di risolvere situazioni di getto spesso difficoltose se in presenza di spessori esigui e alta densità di armature, diminuendo così sensibilmente il peso del cassone, ed in particolare lo spessore delle anime. Al contempo i cavi esterni non presentano riserve di resistenza dovute all’aderenza ed il loro posizionamento all’interno del cassone diminuisce il braccio della risultante, determinando la necessità di una quantità maggiore di precompressione.

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1.3 I sistemi di precompressione

28 Nelle figure seguenti possiamo osservare un tipico layout di disposizione dei cavi esterni in Figura 18, i deviatori interni dei conci a cassone delle rampe di accesso dell’autostrada 431 a Ein Ha’kor in Israele in Figura 19, ed infine in Figura 20 i cavi correnti del nuovo London Bridge, ponte di 283 metri su tre campate che rimpiazza il John Rennie’s granite bridge.

Figura 18: Layout tipico disposizione cavi esterni (en.vsl.cz)

Figura 19: Deviatori rampe di accesso all'autostrada 431, Israele (structuremag.org)

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1.3.3.La precompressione mista

(Mixed prestressing, précontrainte mixte) Può essere considerata una vera e propria tecnica costruttiva più che una tecnologia. Nasce dalla fusione dei sistemi di precompressione interna ed esterna, nel tentativo di sfruttarne in maniera complementare solo i vantaggi. Le due diverse famiglie di cavi collaborano efficacemente ma sono appositamente dimensionate e progettate per l’assorbimento di carichi di tipo differente: i cavi interni alla soletta e alla controsoletta nei confronti dei pesi propri, dei carichi permanenti e di parte degli accidentali; i cavi esterni applicati su piani paralleli alle anime solo nei confronti dei carichi accidentali. Un esempio significativo di questa tecnica è rappresentato dal viadotto di Chévire costruito nel 1990 a Nantes, in Francia, in cui possiamo notare nelle Figure 19 e 20 una fase costruttiva e la vista di un concio prima dell’assemblaggio. Figura 20: Fase costruttiva del viadotto di Chévire, Francia

(structurae.info)

Figura 21: Vista di un concio del viadotto di Chévire, Francia (structurae.info)

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1.4 Concetti base e definizioni della precompressione

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1.4. Concetti base e definizioni della precompressione

Nella teoria statica del cemento armato si è esclusa ogni possibilità del calcestruzzo di resistere a sforzi di trazione, quindi si è considerata la sezione parzializzata, cioè in una fase di lavoro che segue la fessurazione, facendo affidamento solo su una parte della sezione effettiva, che tuttavia potrebbe essere totalmente utilizzata qualora la si mettesse in condizioni di reagire per intero. Ciò può essere ottenuto creando un preventivo stato di presollecitazione, che sovrapposto a quello che viene successivamente indotto dai carichi di esercizio, consenta l’eliminazione in ogni punto delle tensioni di trazione, o più in generale impedisca la parzializzazione della sezione. Consideriamo ad esempio un elemento di trave in calcestruzzo semplicemente inflesso, la trazione che si induce nelle fibre inferiori provoca delle fessurazioni certamente inaccettabili data l’assunta incapacità del conglomerato di resistere a trazione (Figura 22a). Se invece i momenti agiscono su un elemento di trave che sia stato preventivamente compresso, o pressoinflesso, si può ottenere un diagramma del tipo di quello di Figura 22b, che sarà senz’altro tollerabile in quanto le tensioni finali al lembo inferiore sono ancora di compressione. La maggiore o minore

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eccentricità dello sforzo normale può consentire di ottenere una maggiore o minore riserva di compressione, ovvero, a parità di caratteristica flettente esterna, di utilizzare sforzi di entità più piccola o più grande. In tal modo la sezione acquisisce nuove caratteristiche meccaniche che ne migliorano il comportamento a rottura, tant’è che Cestelli Guidi (1987) ne interpreta il comportamento come una sorta di resistenza aggiuntiva a trazione apparente. Paragonando infatti i cerchi di Mohr disegnati in Figura 23 e relativi allo stesso punto, nel quale in un caso è presente la sola tensione tangenziale (zona inerte di una trave in calcestruzzo armato) e nell’altro anche una tensione normale di compressione (sezione presollecitata) si può notare come il secondo risulti traslato verso destra in modo da incrementarne il coefficiente di sicurezza.

Naturalmente nel caso in cui la presollecitazione induca nella sezione solamente tensioni di compressione, il calcolo allo stato limite di esercizio diventerebbe molto semplice in quanto i metodi da adottare sono quelli classici della scienza delle costruzioni; vale in particolare la sovrapposizione degli effetti, grazie a cui gli effetti della precompressione e dei carichi esterni si sommano per ottenere lo stato di sollecitazione finale. Poiché nella progettazione occorre effettuare le verifiche in ogni fase della vita della struttura, dalla precompressione alla messa in servizio, poter valutare singolarmente ogni contributo agli sforzi interni facilita tali operazioni. Bisogna tuttavia osservare che mentre la sovrapposizione degli effetti è del tutto lecita, viene meno il principio di proporzionalità, per il quale mentre in assenza di precompressione a tensione doppia corrisponde deformazione doppia, nel caso sia presente la precompressione ciò non è più vero.

Figura 23: Cerchi di Mohr per una sezione precompressa (MD)

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1.4 Concetti base e definizioni della precompressione

32 Dalle brevi considerazioni precedenti si deducono facilmente i numerosi vantaggi che si hanno nell’applicazione della tecnica di precompressione del calcestruzzo armato:

• Disponendo i cavi nella posizione opportuna si riescono ad annullare, o quanto meno a ridurre notevolmente, gli effetti dei carichi esterni.

• Annullamento o riduzione delle tensioni di trazione nel calcestruzzo. Questo fa si che tutto il materiale reagisca permettendo così sensibili riduzioni di sezione a parità di carichi esterni rispetto a travi in calcestruzzo armato ordinario. Per queste ultime infatti la parte di calcestruzzo teso non viene in genere considerata, la quale di conseguenza rappresenta un elemento passivo, che produce cioè solamente sollecitazioni a causa del peso proprio.

• Gli sforzi di compressione vengono anch’essi notevolmente ridotti per la presenza di maggiore area resistente a compressione.

• Sensibile riduzione delle tensioni principali di trazione dovute al taglio, come è possibile dedurre anche dall’osservazione dei cerchi di Mohr di Figura 23.

• Sensibile riduzione degli effetti del ritiro (si tenga presente che tuttavia il ritiro tende a diminuire lo stato di precompressione contribuendone a ridurne il benefico effetto).

• Maggiore affidabilità delle operazioni di collaudo. Un elemento in precompresso nelle varie fasi di costruzione è sottoposto di fatto a severi collaudi che garantiscono l’opportuna resistenza anche a livelli di tensione che normalmente non vengono mai più raggiunti in fase di esercizio, ma tuttavia presenti nelle fasi intermedie (ad esempio nella fase di applicazione delle forze di precompressione). Ai vantaggi si affiancano però almeno due significativi svantaggi:

• Tali strutture devono essere realizzate con materiali più resistenti e dunque più costosi.

• La tecnica della precompressione richiede un alto livello di specializzazione delle imprese costruttrici e delle maestranze. Si pensi alle operazioni di messa in trazione dei cavi, operazione che richiede l’uso dei martinetti idraulici, o alle operazioni di ancoraggio degli stessi, che richiedono particolari tecnologie.

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1.4.1.Nocciolo centrale di inerzia

L’analisi dello stato tensionale di una struttura precompressa passa necessariamente attraverso la valutazione delle caratteristiche geometriche della sezione analizzata, ed in particolar modo risulta molto importante la conoscenza del nocciolo centrale di inerzia, ovvero il luogo dei centri di pressione tali per cui l’asse neutro non taglia mai la sezione che quindi si trova in uno stato di totale compressione. Nel caso di pressoflessione retta si è in genere interessati ai punti di frontiera del nocciolo per i quali l’asse neutro è ortogonale all’asse di sollecitazione ed è tangente alla sezione rispettivamente al lembo inferiore e superiore. Le ordinate di tali punti, detti punti di nocciolo inferiore ci e superiore cs, vengono calcolate tramite le seguenti relazioni:

dove rappresenta il raggio giratore di inerzia rispetto all’asse x. Possiamo osservare in Figura 24 una rappresentazione qualitativa del nocciolo centrale di inerzia per una sezione rettangolare e il diagramma delle tensioni corrispondente ad una forza applicata esternamente 1), notiamo la parzializzazione della sezione con la nascita di trazioni in rosso, sul contorno 2) ed internamente 3) al nocciolo centrale di inerzia.

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1.4 Concetti base e definizioni della precompressione

34

1.4.2.Effetto della precompressione e momento utile aggiunto

In una generica trave isostatica non soggetta ad azioni esterne, precompressa con un cavo parabolico post-teso e considerando trascurabile l’attrito che nasce tra cavo e guaina, tale cavo esercita sul calcestruzzo due forse concentrate in corrispondenza delle piastre di ancoraggio alle testate della trave in aggiunta ad una distribuzione di pressioni radiali che nasce per effetto della sua curvatura e dello sforzo di trazione in esso presente. Nel caso di travi a cavi pre-tesi lo sforzo di precompressione è trasmesso tramite le tensioni di aderenza tra calcestruzzo e guaina. Possiamo affermare quindi che in ogni sezione di una struttura isostatica l’effetto della precompressione può essere considerato come quello di una forza concentrata tangente ai cavi, con uno sforzo pari a quello presente nel cavo in corrispondenza della sezione.

Consideriamo la sezione di mezzeria di una trave semplicemente appoggiata con il tracciato del cavo post-teso passante per l’estremo inferiore di nocciolo, come indicato in Figura 25. Ripensando alla pratica costruttiva di una trave in precompresso, sappiamo che il getto viene

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effettuato entro casseforme, pertanto nella fase iniziale il peso proprio è portato dagli elementi di sostegno delle casseforme stesse. Con l’applicazione della precompressione si inducono delle sollecitazioni flessionali di segno opposto a quelle indotte dal peso proprio, pertanto le deformazioni che ne derivano producono delle curvature positive che comportano spostamenti verso l’alto. Tali spostamenti producono il sollevamento della trave dalla cassaforma, si verifica cioè il cosiddetto “disarmo automatico”, per cui il peso proprio della trave non grava più sulla cassaforma ma è trasferito dalla struttura direttamente agli appoggi di estremità, con la conseguenza che il peso proprio è portato dalla struttura stessa. Ciò avviene contemporaneamente all’applicazione della precompressione e pertanto il peso proprio da luogo ad un diagramma di momento che agisce in concomitanza con l’effetto della precompressione. Da questo comportamento nasce una tensione di compressione all’estradosso, non utile ma dannosa, che incrementa sfavorevolmente le tensioni di compressione indotte dai carichi variabili. Per evitare questa situazione è possibile applicare la precompressione ad una distanza dall’estremo di nocciolo pari al rapporto tra il momento del peso proprio e la forza di precompressione Mpp/P, come indicato in Figura 25d. In tal caso infatti la presenza contemporanea dello sforzo di precompressione e del momento del peso proprio dà luogo ad una risultante che passa per l’estremo di nocciolo e quindi dà luogo ad un diagramma delle tensioni triangolare. Dunque lo spostamento del cavo di precompressione porta due vantaggi molto importanti:

• Il momento dovuto al peso proprio, o meglio quello dovuto a tutti i carichi permanenti presenti al momento della precompressione, può essere equilibrato mediante il semplice spostamento del cavo; questo effetto favorevole è chiamato “momento utile aggiunto”.

• L’armatura di precompressione si trova più vicina all’intradosso e quindi ha un braccio di leva maggiore nelle verifiche allo stato limite ultimo.

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1.4 Concetti base e definizioni della precompressione

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1.4.3.Curva delle pressioni, cavo risultante e punti limite

In generale, in assenza del momento di peso proprio e del momento del carico variabile, la sollecitazione è dovuta al solo effetto della precompressione che in ogni sezione è rappresentata dalla forza concentrata tangente al tracciato del cavo e avente modulo pari allo sforzo presente nel cavo stesso in corrispondenza della sezione considerata. Sapendo che la “curva delle pressioni” rappresenta il luogo delle successive risultanti possiamo affermare che il tracciato del cavo, in strutture isostatiche, coincide con la curva delle pressioni in assenza di altre azioni esterne. Considerando adesso l’intervento del peso proprio, in ogni sezione lo sforzo di precompressione si compone con il momento di peso proprio e da luogo ad uno spostamento della risultante della quantità Mpp/P. La nuova curva delle pressioni è quindi rappresentata della linea a di Figura 26, che ricordiamo debba essere interna al nocciolo per rispettare la condizione di sezione interamente reagente. L’intervento del carico variabile fa nascere un ulteriore momento nelle varie sezioni che produce un ulteriore spostamento della curva delle pressioni, linea b relativa a un carico variabile uniformemente distribuito, pari a Mvar/P, e anche in questo caso per avere una sezione interamente compressa è necessario che la nuova curva passi all’interno del nocciolo.

Tuttavia l’armatura di precompressione può essere costituita da uno o più cavi soggetti ognuno eventualmente a sforzi diversi, definiamo allora “cavo risultante” il luogo geometrico della risultante degli sforzi dei cavi di precompressione lungo la struttura. L’andamento del cavo risultante può presentare delle discontinuità per la presenza di cavi ancorati non tutti alle estremità della trave, come il caso dei cavi post-tesi ancorati all’estradosso o di armature pre-tese

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inguainate alle estremità. Inoltre si definiscono “punti limite” le posizioni estreme che il centro di pressione, vale a dire il punto di passaggio della curva delle pressioni nella sezione considerata, può assumere rispettando i limiti delle tensioni massime di trazione e di compressione in esercizio ai bordi della sezione. Nel caso in cui la sezione debba risultare sempre compressa a prescindere dalle limitazioni relative al massimo valore della compressione i punti limite coincidono con gli estremi di nocciolo.

Con le stesse condizioni di sollecitazione precedenti è possibile individuare entro quali limiti deve passare il cavo risultante. Facendo ancora riferimento ad una sezione generica soggetta allo sforzo di precompressione P e ad un momento flettente di esercizio compreso tra un valore minimo Mmin e un valore massimo Mmax, affinché il centro di pressione si trovi compreso fra i due punti limite occorre che il cavo risultante, per momenti positivi, sia situato non inferiormente al punto Fi distante Mmin/P dal limite inferiore Li, e non superiormente al punto Fs distante Mmax/P dal limite superiore Ls, come mostrato in Figura 27.

Con ragionamenti analoghi si possono determinare tali punti in presenza di momenti negativi. L’individuazione dei punti Fs e Fi può essere fatta per tutte le sezioni della struttura facendo riferimento allo sforzo di precompressione presente e ai momenti massimo e minimo agenti nella sezione. Le curve passanti per i punti Fs e Fi rispettivamente individuano una zona detta “fuso del cavo risultante” e il tracciato del cavo risultante dovrà essere situato all’interno del fuso per soddisfare le limitazioni delle tensioni normali in esercizio. In Figura 28 si riportata un esempio di tracciato qualitativo del fuso del cavo risultante relativo ad una trave semplicemente appoggiata.

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1.4 Concetti base e definizioni della precompressione

38 Un cenno risulta necessario per quello che riguarda le strutture iperstatiche, datate cioè dotate di vincoli sovrabbondanti, che generalmente possono essere presenti fin dal momento dell’applicazione della precompressione o che possono essere realizzati successivamente. Nel primo caso per rispettare le condizioni di vincolo e di congruenza interna nascono delle reazioni iperstatiche che danno luogo a sollecitazioni iperstatiche di precompressione, mentre nel secondo caso la struttura è precompressa in condizioni di isostaticità, successivamente vengono introdotti ulteriori vincoli esterni e in tal modo non ci sono iperstatiche di precompressione iniziali ma i carichi esterni agiscono su una struttura iperstatica. Le strutture iperstatiche presentano alcuni vantaggi rispetto a quelle isostatiche, come una maggiore monoliticità, minori sollecitazioni sotto carichi di esercizio, maggiore riserva di sicurezza a rottura in quanto capaci di dar luogo ad una ridistribuzione delle sollecitazioni, minore deformabilità, ma per contro risultano sensibili ai cedimenti vincolari, alle variazioni termiche ed in genere a tutte le deformazioni impresse.

Il tracciato del cavo per travi continue è strettamente legato al diagramma di momento dovuto ai carichi, infatti ad esso deve opporsi il momento dovuto alla precompressione, considerando la precompressione come una forza esterna nel caso di cavo non iniettato. Dividendo quindi il diagramma di momento dovuto ai carichi per lo sforzo di precompressione si ottiene un possibile

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tracciato del cavo, che chiameremo cavo concordante, e che ricordiamo essere quello il cui tracciato coincide con la curva delle pressioni dovuta alla sola precompressione. Ovviamente in tutte le strutture isostatiche il cavo è concordante, mentre nelle strutture iperstatiche il cavo risulta concordante quando le reazioni vincolari dovute alla precompressione sono nulle. Per quanto possa apparire interessante realizzare una struttura iperstatica senza reazioni vincolari dovute alla precompressione, ciò raramente è conveniente in quanto porta ad avere delle eccentricità del cavo che non consentono di sfruttare appieno le possibilità di resistenza della sezione. Nel caso di una trave su tre appoggi ad esempio, se si attribuisce la massima eccentricità possibile al cavo in corrispondenza dell’appoggio intermedio, nella sezione di campata l’eccentricità risulta soltanto pari al 56% dell’eccentricità sull’appoggio. Ne risulta pertanto un momento resistente con un braccio della coppia interna ridotto rispetto a quello che potrebbe avere la sezione. E’ pertanto più conveniente, pur partendo da un tracciato di cavo concordante, attribuire la massime eccentricità possibili al tracciato reale.

1.5. Note di funzionamento statico

Nel caso generale di un impalcato da ponte costituito da travi precompresse affiancate come quello di Figura 29, gli elementi strutturali componenti che possiamo individuare sono:

• Travi prefabbricate in calcestruzzo armato precompresso di varia forma • Soletta in calcestruzzo armato gettato in opera

• Traversi di testata in calcestruzzo armato gettato in opera • Traversi di campata in calcestruzzo armato gettato in opera

Lo schema statico più frequentemente utilizzato prevede travi semplicemente appoggiate alle estremità, e nel caso di viadotti a più campate i singoli impalcati risultano quindi separati da un giunto. Il comportamento statico dell’impalcato, nei confronti delle azioni nei singoli elementi strutturali, risulta determinato dal rapporto fra le singole rigidezze elastiche.

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1.5 Note di funzionamento statico

40 Nel caso di impalcati realizzati con i traversi di campata gli elementi principali, nel comportamento bidimensionale, sono le travi e i traversi stessi. In questo caso la soletta, nel senso trasversale, è considerata come trave continua su più appoggi sottoposta ai carichi uniformemente distribuiti e come piastra, con vincoli sul contorno, sottoposta alle azioni dei carichi isolati. Nel caso di impalcati realizzati senza i traversi di campata è la soletta che, oltre al comportamento locale suddetto, partecipa assieme alla trave a realizzare la struttura bidimensionale. Le azioni in essa presenti risultano pertanto dovute a due contributi: uno globale e uno locale. I traversi di campata sono a volte imposti da normative specifiche, come nel caso di impalcati ferroviari, altre volte la decisione di introdurli deriva da considerazioni progettuali ed economiche. La loro esecuzione può essere difficoltosa, come nel caso di impalcati con travi a cassone, ed in ogni caso risulta onerosa. In compenso la loro presenza riduce notevolmente l’impegno statico della soletta che può essere realizzata con spessori minori e con minori quantità di armatura. I traversi di testata sono invece sempre presenti e la loro realizzazione non presenta particolari difficoltà perché si opera direttamente sulla spalla o sul pulvino.

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Per definire la ripartizione dei carichi sulle travi possono essere utilizzati metodi generali, come ad esempio il metodo degli elementi finiti o lo schema a graticcio, oppure metodi più semplici specificatamente dedicati ad impalcati con geometria regolare, come ad esempio il metodo Courbon, che consiste nel considerare un graticcio costituito da n travi (che rappresentano le travi principali longitudinali), di cui si può trascurare la rigidezza torsionale (ipotesi sufficientemente valida per tutti i ponti con nervature ad anima sottile), e nel supporre la presenza di un traverso infinitamente rigido flessionalmente sotto una qualunque posizione del carico. L’apparente grossolanità dell’ipotesi trova giustificazione nel buon accordo con i dati sperimentali e ciò si può spiegare in parte con la presenza della soletta che agisce trasversalmente come una serie di traversi accostati, se pur di rigidezza limitata. Oppure il metodo Engesser che rimuove l’ipotesi del numero infinito di traversi, ferme restando le altre, o ancora il metodo Massonet, utilizzato frequentemente, che consiste nell’assimilare l’impalcato ad una piastra equivalente, quindi ad una struttura continua anziché discreta. Tale metodo non fa nessuna ipotesi sulle rigidezze flessionali e torsionali delle travi e dei traversi e quindi è utile nel caso di ponti molto larghi rispetto alla luce, oppure quando si hanno nervature dotate di una certa rigidezza torsionale, tutti casi in cui non è lecito applicare il metodo Courbon. In estrema sintesi il metodo si basa sull’uso di due parametri significativi del comportamento bidimensionale e che mettono in risalto le caratteristiche geometriche e statiche che determinano questo comportamento: il parametro di irrigidimento, che misura la collaborazione delle travi a sopportare i carichi eccentrici, e il parametro di torsione.

In alcuni casi si preferisce ridurre il numero dei giunti nella soletta collegando strutturalmente più impalcati fra loro in corrispondenza dell’appoggio sulle pile. Tale collegamento può essere di due tipi:

Collegamento della sola soletta. In questo caso la rotazione della trave

sull’appoggio risulta praticamente ancora libera ed indipendente dalla trave contigua. Il tratto di soletta tra due travi contigue deve essere in grado di assorbire la rotazione relativa fra le testate delle travi. Nei confronti delle azioni verticali l’analisi statica può limitarsi al singolo impalcato, ma nei confronti delle

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1.5 Note di funzionamento statico

42 azioni orizzontali e delle distorsioni invece è necessario tener conto del

collegamento realizzato fra i diversi impalcati.

Collegamento della soletta e delle travi. In questo caso il collegamento fra

due impalcati è ottenuto con un getto armato in grado di garantire la continuità strutturale. Allo schema statico della singola campata dotata di un comportamento bidimensionale è necessario sovrapporre quello della trave continua su più appoggi. In questo caso assumono un’importanza rilevante azioni come la viscosità, le variazioni termiche e la resistenza di attrito agli appoggi. Soprattutto la viscosità deve essere analizzata con estrema attenzione in quanto siamo in presenza di calcestruzzi con caratteristiche ed età molto diverse: calcestruzzo precompresso con resistenze elevate per le travi e calcestruzzo solitamente non precompresso e di minore resistenza per la soletta e per il getto di continuità.

1.5.1.La ripartizione trasversale dei carichi

Fondamentale per il progettista è capire come si comporta l’impalcato di fronte ai carichi agenti su di esso, cioè di fronte agli schemi di carico mobile distribuito e concentrato previsti dalla normativa, e questo comportamento influenza il dimensionamento e l’economia del ponte. Tali schemi, che saranno esaminati in dettaglio nel caso di studio, puntano a ricreare la condizione peggiore di carico per il ponte, e questo implica una loro distribuzione eccentrica rispetto al baricentro della sezione trasversale dell’impalcato, quindi fondamentale risulta la sua capacità di ricentraggio del carico, ovvero la sua rigidezza torsionale.

Figura 30: Carico eccentrico (MD)

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Nel caso generale di carico concentrato avente eccentricità “e” rispetto all’impalcato bitrave di Figura 30 possiamo riferirci alle due condizioni fondamentali nelle quali è lecito scomporre quella effettiva per poi sovrapporre gli effetti, cioè quella simmetrica a) e antisimmetrica b). La prima non presenta particolarità e sollecita la sezione nel suo insieme a flessione, mentre la seconda determina torsione e flessione differenziale nelle pareti. Fissando l’attenzione sulla capacità che offrono i collegamenti trasversali interni di garantire l’unicità dell’angolo di cui ruotano i vari elementi, cioè la capacità che ha la sezione di mantenere la forma, o ancora, in altre parole, di essere torsiorigida, possiamo valutare i due casi limite:

• i collegamenti interni non offrono vincolo, si schematizza la situazione disponendo lungo gli spigoli cerniere capaci di trasmettere forze di taglio ma non momenti, il carico non viene portato come torsione ma come flessione differenziale delle lastre che va a sommarsi a quella provocata dal carico simmetrico, la sezione perde la forma;

• la sezione è rigida, mantiene la forma e il carico viene portato come torsione pura (Bredt), situazione ottenibile grazie all’utilizzo di diaframmi.

Nei casi reali, anche prescindendo dall’uso dei diaframmi, le piastre avranno comunque una certa rigidezza flessionale fuori dal loro piano, per cui ci si verrà a trovare in una situazione intermedia tra le due viste. Molto performante da questo punto di vista risulta la sezione scatolare o a cassone, torsiorigida, dove il carico eccentrico provoca una distribuzione di tensione negli elementi alla Bredt, come detto sopra, che quindi andranno opportunamente dimensionati. In questo tipo di sezione si ha un risparmio di materiale per quanto riguarda il momento flettente longitudinale, ma questo non significa necessariamente più economia che infatti dipende, oltre dalle quantità di materiale, dai metodi di costruzione.

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1.6 Impalcati a cassone: definizioni e caratteristiche

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1.6. Impalcati a cassone: definizioni e caratteristiche

Il termine cassone descrive la tipologia di sezione degli impalcati costituiti da piastre piane a prevalente sviluppo longitudinale, collegate tra loro in modo da formare una sezione chiusa in direzione trasversale. La sezione scatolare semplice ha costituito la base per lo sviluppo della moderna sezione a cassone dotata di mensole laterali. La forma della sezione ha avuto una sua linea evolutiva da rettangolare, meno prestante ed oggi scarsamente utilizzata anche se più economica, a sezione trapezoidale, di efficienza superiore e aspetto estetico più gradevole. Dal punto di vista storico la letteratura scientifica definisce come prima sezione scatolare quella introdotta dall’ingegnere britannico Robert Stephenson (1803-1859) nella costruzione del ponte Britannia sullo stretto del Menai in Galles, realizzata in ferro.

L’invenzione della sezione a cassone nella sua accezione attuale può essere attribuita all’ingegnere svizzero Robert Maillart (1872-1940) che nel 1901 realizza la sua prima opera d’arte in calcestruzzo armato, il ponte Zouz in Figura 34, un arco a 3 cerniere con impalcato costituito da solette e pareti laterali unite tra loro in maniera da formare una sezione scatolare monolitica.

Figura 17: Ponte Britannia, Galles (en.wikipedia.org)

Figura 33: Sezione scatolare del ponte Britannia, Galles (en.wikipedia.org)

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