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CAPITOLO 1

1.1 COMPOSIZIONE DELL’EPIDERMIDE: CENNI GENERALI

L’epidermide è costituita da uno strato basale (un unico strato di cellule batiprismatiche cubiche che poggiano sulla lamina basale). Le cellule di questo strato sono unite tra loro sulle superfici laterali e alle cellule dello strato spinoso

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soprastante mediante desmosomi, e sono ancorate alla sottostante lamina basale mediante emidesmosomi.

Queste cellule basali hanno diverse funzioni: alcune sono cellule staminali che si dividono per dare nuove cellule, altre hanno come compito principale quello di ancorare l’epidermide.

Lo strato spinoso è formato da lamine variabili di cellule poliedriche, anch’esse unite tra loro e alle cellule del sottostante strato basale mediante desmosomi. Lo strato granuloso è costituito da più lamine di cellule appiattite e disposte parallelamente alla giunzione epidermide-derma. Queste cellule contengono Desmosoma: Desmocollina e desmogleina e proteine

trasnmembrana dette caderine.

Desmosoma: strutture di adesione cellulari tra i

cheratinociti degli strati superficiali.

Emidesmosoma: strutture di adesione tra i

cheratinociti dello strato basale e la membrana basale.

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granuli lamellari che migrando verso la membrana cellulare liberano per esocitosi il contenuto lipidico che ricopre la membrana plasmatica delle cellule dello strato corneo.

Lo strato lucido si trova nelle aree in cui la pelle è particolarmente spessa e nelle regioni glabre. È costituito da più lamine di cellule dense, stipate, completamente cheratinizzate, prive di nucleo e di organuli cellulari. Lo strato corneo è lo strato più esterno dell’epidermide ed è formato da più lamine di cellule morte e completamente cheratinizzate che si distaccano continuamente (Dellmann H.,2005).

1.2 IL COMPLESSO DEL PEMFIGO

Il complesso del pemfigo è un gruppo di patologie cutanee autoimmuni infrequenti, che colpiscono cani, gatti e cavalli, con sporadici casi riportati anche nella capra. Il nome “pemfigo” deriva dal greco (significa vescicola, bolla) e fu coniato nel 1768 da Boussiere de Sauvage (King e Holubar, 1983). Con tale termine si indicano un gruppo di malattie vescicolo-bollose della cute tipicamente caratterizzate, dal punto di vista istologico, da acantolisi intraepidermica (rottura delle connessioni desmosomiali epidermiche intercellulari tra i cheratinociti e loro successiva separazione) e, dal punto di vista immunologico, dal deposito di autoanticorpi negli spazi intercellulari dell’epidermide (Amagai, 2009 ). Le due principali categorie di pemfigo negli animali, così come nell’uomo, sono:

- il pemfigo foliaceo, e la sua variante più localizzata (pemfigo eritematoso)

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Più recentemente in medicina umana si sono inquadrate altre varianti, quali il pemfigo paraneoplastico, il pemfigo ad IgA, l’erpetiforme e il superficiale. È stato anche proposto il termine “pemfigo pustolare panepidermico” per includere casi in cui si rilevano acantolisi ed un infiltrato neutrofilico e/o eosinofilico attraverso tutta l’epidermide, come si nota nelle descrizioni di alcuni casi di pemfigo vegetans e di pemfigo eritematoso. Tuttavia, questo termine non trova largo utilizzo, in quanto numerosi dei casi descritti possono essere considerati varianti di pemfigo foliaceo.

Le prime segnalazioni di pemfigo volgare nel cane risalgono al 1975, con caratteristiche simili alla malattia dell’uomo (Hurvitz et al., 1975), mentre il pemfigo foliaceo canino è stato descritto nel 1977 (Halliwell et al., 1977). Dopo pochi anni segue anche la prima segnalazione di pemfigo foliaceo nel gatto (1982) (Manning et al., 2006). In medicina veterinaria sono attualmente ben definiti il pemfigo foliaceo, il pemfigo volgare e il paraneoplastico, limitatamente al cane. Le forme vegetante ed eritematosa sono controverse e non riconosciute da tutti i dermatologi veterinari (Olivry, 2006). Il pemfigo panepidermico è stato descritto in un articolo (Wurm et al., 1994), ma risulta di dubbia classificazione, mentre non si riconoscono nel cane e nel gatto il pemfigo ad IgA e l’erpetiforme. Nel gatto, oltre al pemfigo foliaceo, è stato segnalato il pemfigo eritematoso e descritto il pemfigo volgare. (Manning et al., 2006; Scott et al., 2001).

1.3 COSTITUZIONE MOLECOLARE DEL DESMOSOMA (IL BERSAGLIO)

La cute è considerato l’organo più esteso e tra i più importanti dell’organismo, grazie alla funzione di barriera protettiva nei confronti della dispersione termica, della perdita di fluidi, di danni fisici e della penetrazione di agenti microbici e di sostanze chimiche. La struttura e l’integrità funzionale della cute sono garantite

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dalla presenza di desmosomi ed emidesmosomi, strutture di ancoraggio tra cheratinociti e tra essi e la lamina basale, che permettono l’adesione intercellulare grazie a connessioni tra filamenti intermedi (cheratina e vimentina) del citoscheletro di due cellule adiacenti. Un’alterazione di una qualsiasi delle componenti proteiche dei desmosomi o degli emidesmosomi destabilizza, quindi, la struttura cutanea, portando alla formazione di vescicole. Tra le proteine che costituiscono il desmosoma vi sono:

- Desmogleine (Dsg I, Dsg III), desmocolline (Dsc I, Dsc II), E-caderine: queste sono tutte glicoproteine integrali di membrana che stabiliscono adesioni cellulari nella regione delle giunzioni;

- Desmoplachine I e II: glicoproteine associate alle placche di adesione;

- Desmocalmina e cheratocalmina: formano ponti tra proteine della placca e filamenti intermedi.

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1.4 EZIOPATOGENESI DEL PEMFIGO

Le malattie del complesso del pemfigo sono caratterizzate dalla produzione di autoanticorpi diretti contro antigeni posti nei desmosomi (Olivry et al., 2009). La concentrazione degli autoanticorpi è proporzionale all’intensità della malattia (Nishifuji et al., 2005) e questi autoanticorpi appartengono principalmente alla classe IgG4, più raramente IgA o IgM (Olivry et al., 2009).

La loro azione produce acantolisi, ovvero il distacco tra le cellule dell’epidermide con formazione di fessurazioni che si riempiono di un liquido chiaro, formando vescicole, tipiche del pemfigo volgare del cane e del gatto e di tutte le forme di pemfigo dell’uomo, o pustole, contenenti globuli bianchi, che sono invece caratteristiche di tutte le forme di pemfigo foliaceo degli animali domestici. Una volta persa la connessione con le cellule vicine, i cheratinociti assumono una

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forma tondeggiante e vengono chiamati cellule acantolitiche, e si ritrovano liberi all’interno della vescicola o della pustola.

Acantolisi soprabasale Cellule acantolitiche.

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Cellule acantolitiche

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Il distacco intercellulare può verificarsi a diversi livelli dell’epidermide, a seconda del tipo di pemfigo:

- in profondità nel pemfigo volgare con distaccamento dell’epidermide al di sopra della membrana basale

- più superficiale nel pemfigo foliaceo dove la pustola si forma in posizione intraepidermica (Amagai,2009).

Questo si verifica perché nei diversi tipi di pemfigo gli autoanticorpi prodotti sono diretti verso antigeni desmosomiali diversi, con una propria localizzazione epidermica (Amagai, 2009).

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Nell’uomo e raramente nel cane, l’antigene bersaglio nel pemfigo foliaceo è la desmogleina I (Dsg I), una glicoproteina trasmembranaria, di 148 kD di peso molecolare (Amagai et al.,1991). Recentemente, nel pemfigo foliaceo del cane, è stato suggerito che il principale antigene bersaglio possa essere la desmocollina I (Dsc I) (Bizicova et al., 2012), e che solo nel 10% dei cani si tratti della Dsg I (Olivry et al.,2002). Entrambe queste proteine, appartenenti al gruppo delle caderine, si localizzano per lo più a livello di strati superficiali (soprabasali) dell’epidermide (Bizicova et al.,2012) e per questo motivo le lesioni del pemfigo foliaceo si ritrovano nello strato spinoso e subcorneale. L’antigene bersaglio degli anticorpi del pemfigo volgare, nel cane e nell’uomo, è la desmogleina III (Dsg III), glicoproteina desmosomiale di peso molecolare di 130 kD, localizzata a livello di strato basale e soprabasale dell’epidermide, e nelle mucose. In questo caso, la formazione di fissurazioni avviene nella profondità dell’epitelio, tra lo strato basale appunto e il soprabasale. In altre forme di pemfigo ci sono anche altre molecole che da sole o in associazione alla

Esame istologico a confronto di pemfigo volgare e foliaceo, dove si evidenzia la differente localizzazione della spaccatura, profonda nel volgare, più superficiale nel foliaceo.

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Dsg I o alla Dsg III possono essere bersaglio di anticorpi, ad esempio le plachine in corso di pemfigo paraneoplastico nel cane e nell’uomo (Olivry et al., 2009; De Bruin et al., 1999). Nel gatto, si sono osservati anticorpi IgG depositati negli spazi intercellulari, ma gli antigeni bersaglio non sono ancora stati caratterizzati (Olivry, 2006).

Nella tabella sono descritti i principali antigeni bersaglio degli autoanticorpi costituenti il desmosoma e la correlazione con la tipologia di pemfigo nel cane.

ANTIGENE BERSAGLIO PATOLOGIA NEL CANE

Desmogleina I Raro pemfigo foliaceo

Raro pemfigo volgare mucocutaneo Un caso di pemfigo vegetans

Desmogleina II Nessuna

Desmogleina III Pemfigo volgare Desmogleina IV Nessuna

Desmocollina I, II, III Pemfigo foliaceo Plakofilline Nessuna

Desmoplachine I e II Pemfigo paraneoplastico Envoplachine Pemfigo paraneoplastico Periplachine Pemfigo paraneoplastico

Il danno al desmosoma che porta all’acantolisi avviene non solo a causa dell’azione diretta dell’autoanticorpo (Olivry et al., 2002), creando un impedimento sterico che rompe le strutture di adesione, ma anche grazie all’intervento di enzimi proteolitici (UPA: urokinase- type plasminogen- activator), attivati dal legame stesso antigene-anticorpo (Xue et al., 1998), capace anche di potenziare, ma non di attivare, l’azione del complemento (Lessey et al.,2008). In corso di pemfigo foliaceo degli animali domestici si

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osserva anche la presenza di neutrofili (Yabuzoe et al., 2008) e di eosinofili (Vaughan et al., 2010) all’interno delle pustole, anche se non è ancora chiaro il loro ruolo patogenetico, poiché questi non sono presenti nella malattia umana. Dal punto di vista clinico, il pemfigo foliaceo mostra una localizzazione delle lesioni principalmente cutanea, con caratteristica acantolisi negli strati superficiali dell’epidermide, mentre il pemfigo volgare presenta un coinvolgimento mucosale con acantolisi nello strato soprabasale.

Le differenze tra il pemfigo volgare e il pemfigo foliaceo del cane nel modello di distribuzione delle lesioni e nella profondità dell’acantolisi potrebbero correlarsi, analogamente a quanto avviene nell’uomo, ad una distribuzione ed espressione diversa delle Dsg. Diversi studi in medicina veterinaria hanno analizzato la distribuzione della Dsg1 e Dsg2 in cani normali, sia su sezioni congelate attraverso tecniche di immunofluorescenza ed immunoblotting (Aoki, 2003), sia su sezioni fissate in formalina ed incluse in paraffina attraverso metodi immunoistochimici (Miragliotta, 2005). Nello studio giapponese, l’espressione della Dsg1 nella cute di cane è risultata intensa nell’area del muso, delle orecchie, dei cuscinetti digitali, mentre appare debole nell’addome, con una reazione più intensa negli strati esterni dell’epidermide rispetto a quelli più profondi. Secondo gli autori dello studio i risultati suggerirebbero che le differenze nella distribuzione anatomica della Dsg1 potrebbero riflettere le differenze nella distribuzione clinica delle lesioni del cane. Nello studio degli autori italiani, invece, non è stata riscontrata una diversa espressione delle proteine nelle diverse aree cutanee osservate. Tuttavia, uno studio effettuato da Steeves et al. nel 2002 ha dimostrato la presenza di un’alterata distribuzione immunoistochimica della Dsg 1 in biopsie cutanee provenienti da cani con pemfigo foliaceo. Nell’uomo, in campioni provenienti da individui sani, la Dsg 1 presenta un modello di distribuzione omogeneo e finemente stipato alla

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periferia dei cheratinociti. Analogamente all’uomo, gli autori dello studio (Steeves et al., 2002) hanno dimostrato la presenza, nei casi di pemfigo foliaceo nel cane, di una alterazione del modello di distribuzione della Dsg 1 negli strati superficiali dell’epidermide, con la comparsa di un modello di reazione addensato e/o citoplasmatico. Inoltre tale modello appare specifico del pemfigo foliaceo, mentre non è presente nella piodermite superficiale, utilizzata come esempio controllo delle dermatiti non autoimmuni. Tuttavia, anche in questo studio, il caratteristico pattern aberrante e multifocale della Dsg 1 è stato osservato soltanto nel 62% dei casi esaminati. Le ragioni per spiegare tale risultato potrebbero essere correlate allo stadio clinico della malattia, ai livelli degli autoanticorpi circolanti o alla possibilità di interferenze con le terapie immunosoppressive.

1.5 GLI ANTIGENI COINVOLTI NEL PEMFIGO DEL CANE

Sulla base delle osservazioni in medicina umana, inizialmente di sospettava che nel pemfigo foliaceo e nel volgare del cane la perdita delle adesioni intercheratinocitarie con acantolisi fosse dovuta ad una reazione tra gli autoanticorpi e specifiche proteine trans-membrana desmosomiali, in particolare Dsg 1 e Dsg 3. Nel 1993, gli studi effettuati da Suter et al. avevano dimostrato attraverso tecniche di western blotting, utilizzando sieri di 2 cani con pemfigo foliaceo, la presenza di una proteina reattiva nell’epitelio labiale del cane e si pensava che questa proteina rappresentasse la Dsg 1. In seguito, un altro studio di Iwasaki del 1997 aveva dimostrato la presenza di un’altra proteina di peso molecolare maggiore negli estratti dei cheratinociti in coltura, che veniva riconosciuta da 8 sieri di 16 cani con pemfigo foliaceo. Anche entrambe queste forme sono state riconosciute come Dsg 1 di cane, probabilmente a diversa glicosilazione (Olivry, 2006). Da allora gli studi si sono concentrati nel tentativo di dimostrare che l’antigene bersaglio fosse Dsg 1. Nel

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2000, Mueller et al. hanno clonato e sequenziato il gene della Dsg 1 del cane ed hanno dimostrato che il gene codifica per una proteina di 1055 aminoacidi che presenta una stretta analogia con la Dsg 1 dell’uomo, in particolare per quanto riguarda le sequenze aminoterminali EC1 ed EC2. Successivamente sono state prodotte proteine ricombinanti che esprimevano i domini extracellulari della Dsg 1 del cane (Nishifuji, 2003). Secondo gli autori, la Dsg 1 ricombinante del cane mostrava non soltanto la sequenza aminoacidica, ma anche la conformazione tipica della porzione extracellulare della Dsg 1 originale e quindi l’utilizzo di questa molecola potrebbe aver contribuito a chiarire la patogenesi del pemfigo foliaceo ed il ruolo del coinvolgimento di Dsg 1 nello sviluppo delle lesioni.

Nel 2006, tuttavia, Olivry dimostrò che la Dsg 1 rappresentava probabilmente soltanto un antigene minore del pemfigo foliaceo del cane, in quanto su 83 casi soltanto 5 (6%) sieri di cani con pemfigo foliaceo erano in grado di riconoscere la Dsg 1. Quindi allo stato attuale e contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente, la Dsg 1 rappresenta l’antigene bersaglio soltanto in una minoranza di casi con pemfigo foliaceo nel cane. Di conseguenza, l’attenzione si è spostata sullo studio del ruolo di altre proteine desmosomiali, in particolare le desmocolline Dsc 1 e Dsc 2. Queste proteine sono coinvolte nell’uomo nella patogenesi di una dermatosi pustolosa sub corneale di pemfigo a IgA, in cui l’antigene bersaglio è la Dsc 1, che condivide con il pemfigo foliaceo alcune caratteristiche patologiche. Inoltre, studi recenti in medicina umana hanno messo in evidenza come anche il pemfigo foliaceo nell’uomo possa essere ritenuto una malattia eterogenea da un punto di vista immunologico, poiché sono stati identificati ulteriori auto antigeni, quali Dsc 1 e proteine di adesione non desmosomiali, quali E-caderina, anche se la rilevanza funzionale degli autoanticorpi nei confronti di queste ultime rimane ancora da chiarire. Quindi,

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in uno studio di Aoki-Ota del 2004, la Dsc 1 è stata clonata e sieri provenienti da cani con pemfigo foliaceo sono stati posti a contatto con essa. Le indagini di immunoprecipitazione ed immunoblotting hanno dimostrato che nessuno dei 6 sieri indagati mostrava affinità per la Dsc 1 ricombinante. Sebbene il numero di casi esaminati fosse relativamente basso, secondo gli autori dello studio sembrava poco verosimile che la Dsc 1 fosse coinvolta nella patogenesi del pemfigo foliaceo. Tuttavia, sebbene non sia ancora definito con chiarezza l’antigene bersaglio, è possibile dedurre che esso sia localizzato nella porzione extracellulare del desmosoma, come dimostrato da uno studio di Yabuzoe et al. nel 2009, in cui, mediante tecniche di immunomicroscopia elettronica pre e post inclusione è stato possibile evidenziare la presenza di un legame tra IgG e le porzioni extracellulari del desmosoma.

1.6 RUOLO DEGLI ANTICORPI NEL PEMFIGO FOLIACEO DEL CANE

Se l’antigene bersaglio, come già detto, rimane attualmente sconosciuto, la presenza e il ruolo degli autoanticorpi sono invece riconosciuti, tanto che la dimostrazione della loro presenza mediante tecniche dirette o indirette è ormai inserita nei test diagnostici per la diagnosi di pemfigo. In effetti, mediante l’immunofluorescenza diretta, è possibile dimostrare la presenza di autoanticorpi anticheratinocitari depositati in vivo sulla cute di animali con pemfigo foliaceo, sotto forma di depositi intercellulari, in circa il 66-80% dei campioni di cute di cane (Olivry, 2006). Gli autoanticorpi sulla superficie delle cellule cheratinocitarie appartengono alle sottoclassi IgG2 e/o IgG4 . In rari casi,

sono stati identificati depositi intercellulari di tipo IgA o IgM e complemento attivato (frazione C3). I risultati negativi ai test di immunofluorescenza diretta

effettuati su campioni di cute sono stati attribuiti alla terapia corticosteroidea già in atto prima del prelievo dei campioni. Poiché però depositi intercellulari epidermici di IgG sono stati ritrovati anche in campioni di cute ottenuti da cani

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con dermatosi diverse dal pemfigo foliaceo, viene ampiamente ridotta la specificità del test di immunofluorescenza diretta per la diagnosi del pemfigo foliaceo del cane. Lo stesso principio della immunofluorescenza viene utilizzato nelle tecniche di immunoistochimica, per la evidenziazione del deposito di autoanticorpi negli spazi intercellulari di sezioni di cute di cane con sospetto pemfigo foliaceo. Rispetto alla tecnica di immunofluorescenza, il metodo della immunoperossidasi è più sensibile e presenta una qualità morfologica migliore. Tuttavia, in uno studio effettuato da Moore nel 1987, anche la tecnica di immunoperossidasi si è dimostrata essere non specifica al 100%, poiché depositi intercellulari di immunoglobuline sono stati osservati anche in casi di malattie cutanee non autoimmuni, quali piodermite, demodicosi, rogna sarcoptica e dermatomicosi. Uno studio più recente di Pèrez et al. (2002), in cui diversi tipi di anticorpi monoclonali e policlonali sono stati messi a confronto, conclude, tuttavia, che alcuni anticorpi monoclonali risultano avere una buona sensibilità ed ottima specificità. La tecnica di immunofluorescenza indiretta è stata utilizzata per identificare la presenza di autoanticorpi circolanti nei casi di pemfigo foliaceo, a partire dal siero degli animali colpiti. Per molti anni, questa tecnica è stata considerata inaffidabile per la diagnosi di pemfigo foliaceo negli animali, poiché autoanticorpi IgG circolanti venivano raramente reperiti nei sieri di cani, gatti o cavalli e con titoli generalmente molto bassi. Uno studio di Iwasaki del 1997 ha dimostrato che i risultati dell’immunofluorescenza indiretta variano in dipendenza del substrato utilizzato per la ricerca degli anticorpi. Ancora, in uno studio del 2004, Honda et al. hanno ripreso ed ulteriormente sviluppato i risultati precedenti, confrontando diverse tecniche di immunofluorescenza indiretta utilizzando substrati diversi. I risultati dello studio hanno dimostrato che, rispetto all’epitelio di labbro del cane, i migliori risultati in termini di specificità vengono ottenuti utilizzando una linea cellulare

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cheratinocitaria di cane, la MCA-B1, che non mostra reazioni aspecifiche nei confronti di sieri di cani colpiti da malattie non autoimmuni.

Recentemente, Olivry et al., nel 2009, utilizzando la cute di topo neonato come substrato, hanno dimostrato la presenza di anticorpi in sieri di cani con pemfigo foliaceo, in 36 su 44 casi (82%). L’analisi delle sottoclassi ha evidenziato che questi anticorpi appartenevano alle classi IgG1 (68%) e IgG4 (80%). Inoltre i livelli

di anticorpi anticheratinocitari IgG4 diminuiscono in maniera proporzionale con il

miglioramento della sintomatologia clinica, mentre i livelli di IgG1 rimangono

costanti. È importante considerare che, al di là della loro funzione in quanto elementi diagnostici, lo studio dimostra che gli anticorpi rivestono sicuramente un ruolo patogenenetico determinante nello sviluppo delle lesioni. Infatti, l’inoculazione intradermica di IgG isolate nel siero di cani con pemfigo foliaceo a livello della cute di topi neonati è in grado di determinare la formazione di vescicole acantolitiche nello strato granuloso. Inoltre, poiché la gravità dei segni clinici sembra correlarsi al titolo anticorpale, la titolazione degli anticorpi sierici può essere utilizzata per monitorare il decorso della malattia (Nishifuji, 2005). Infine, è di recente pubblicazione uno studio di Bizikova et al. del 2010 in cui è stata analizzata attraverso tecniche di immunofluorescenza, l’espressione di diverse proteine di adesione desmosomiali (desmogleina 1, desmogleina 3, desmocollina 1, desmocollina 3, desmoplachina 1-2, pacoglobina e placofillina 1), e non desmosomiali (E-caderina, claudina 1, zona occludens 1 e occludina) in diversi substrati (cuscinetto digitale, cute rivestita di pelo della faccia interna del padiglione auricolare ed epitelio della mucosa buccale). Lo studio dimostra una grande eterogeneicità immunologica degli autoanticorpi Ig nei cani con pemfigo foliaceo. Secondo quest’ultimo articolo, l’attenzione nel ricercare l’antigene bersaglio del pemfigo foliaceo del cane andrebbe spostata dalle desmogleine alle desmocolline ed in particolare alla 1.

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1.7 I NEUTROFILI NEL PEMFIGO FOLIACEO DEL CANE

Anche se il pemfigo foliaceo del cane condivide con quello dell’uomo numerose caratteristiche, le lesioni istopatologiche nel cane si distinguono per una marcata componente infiammatoria, tanto che appare corretto classificare il pemfigo foliaceo dell’uomo nelle dermatiti vescicolose e quello del cane in quelle pustolose. Studi di microscopia elettronica nel pemfigo foliaceo del cane hanno mostrato che i neutrofili aderiscono preferibilmente alla membrana plasmatica dei cheratinociti e prendono contatto con i desmosomi, svolgendo dunque un ruolo nella dissociazione dei cheratinociti stessi, in aggiunta alle interazioni antigene-autoanticorpo.

Oltre al significato di un infiltrato neutrofilico, si è valutata anche la presenza di eosinofili in cani con pemfigo foliaceo, tenendo presente come, in alcune

malattie autoimmuni dell’uomo, gli eosinofili abbiano un ruolo definito nello sviluppo delle lesioni cutanee. Nel pemfigo foliaceo del cane, gli eosinofili sono

Pustola in pemfigo foliaceo:neutrofili all’interno dello strato granuloso.

Cheratinociti acantolitici all’interno della pustola.

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presenti in vario grado nei tessuti affetti. Uno studio ha valutato

restrospettivamente 40 cani affetti da pemfigo foliaceo, esaminando gli aspetti clinici, istologici e l’esito finale nei casi con e senza infiltrato eosinofilico. Su 40 cani, 25 (63%) presentavano un infiltrato eosinofilico all’interno di

pustole/croste, dell’infundibolo follicolare o del derma. Non vi erano differenze statisticamente significative di distribuzione clinica, aspetto delle lesioni

cutanee, risposta al trattamento o esito della malattia nei cani con o senza infiltrato eosinofilico.

Tuttavia, i cani con malattia concomitante avevano più probabilità di presentare un infiltrato eosinofilico, così come i cani che sviluppavano effettiavversi alla terapia immunosoppressiva. 15 dei 40 cani (38%) dello studio avevano

un’anamnesi di malattia allergica e una proporzione significativamente elevata di questi soggetti presentava un infiltrato eosinofilico. Questo risultato giustifica, concludono gli autori, ulteriori studi per indagare il ruolo degli eosinofili nella patogenesi, terapia e prognosi del pemfigo foliaceo nel cane (Vaughan D. et al., 2010).

1.8 FATTORI PREDISPONENTI E SCATENANTI

Nel cane si ritiene che vi sia una predisposizione genetica che determina una maggiore prevalenza delle malattie del complesso del pemfigo in alcune razze e che la luce ultravioletta (UV), alcuni microrganismi e farmaci possano essere fattori scatenanti in soggetti predisposti (Scott et al., 2001; Olivry, 2006; Iwasaki et al., 1997). Infatti, l’acantolisi è stata indotta in un cane affetto da pemfigo eritematoso esponendo aree di cute non lesionata all’azione delle radiazioni UV. Questo suggerisce che possano scatenare lesioni tipiche in un soggetto già predisposto o già affetto (Iwasaki et al., 1997). Lo stesso gruppo di ricercatori ha anche osservato un peggioramento nella stagione estiva ed un miglioramento

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durante i mesi invernali della gravità delle lesioni in 10/12 cani affetti da pemfigo foliaceo (Iwasaki et al., 1997). Nell’uomo si pensa che una forma di pemfigo foliaceo chiamata “fogo selvagem”, endemico in alcune zone del Brasile, sia causato da un agente patogeno trasmesso da un insetto pungitore in soggetti geneticamente predisposti, che stimola la produzione di anticorpi anti-desmosomiali (Aoki et al.,2004). In maniera simile, sono stati osservati in cani con leishmaniosi diversi casi di pemfigo foliaceo (Ginel et al., 1993) senza che sia stata chiarita l’associazione tra le due malattie; un’ipotesi è che la stimolazione anticorpale policlonale indotta da Leishmania esiti nella produzione di anticorpi anti-desmosomiali responsabili del pemfigo. Nel cane sono stati riportati diversi casi di pemfigo foliaceo conseguenti alla somministrazione di farmaci (Noli et al., 1995; White et al., 2001). Si ritiene che un farmaco o un suo metabolita si leghino alla membrana cellulare e ne alterino l’antigenicità di superficie, scatenando una risposta anticorpale di natura autoimmunitaria. In medicina umana, dove questo fenomeno è ben descritto, si distinguono le forme pemfigo “indotte” da farmaci da quelle “scatenate o innescate” dai farmaci. La malattia indotta da farmaco comunemente va incontro a remissione dopo la sospensione del farmaco stesso, mentre in quella scatenata dal farmaco si ipotizza che esso provochi una malattia già latente nel paziente e che persista anche dopo la sua sospensione (Wolf et al., 1991). Alcune forme esantematiche simili al pemfigo foliaceo sono state riportate in 4 cani in uno studio, mentre un’altra reazione cutanea simile al pemfigo foliaceo è stato l’argomento di un case report in cui era implicata la polimixina-B, ed è inoltre stata sospettata in 5 gatti. Nel primo di questi gatti, la diagnosi è stata confermata reintroducendo il farmaco implicato (cimetidina), ed in un altro lavoro, sia l’itraconazolo che il solfuro sono risultati coinvolti e le lesioni sono scomparse spontaneamente dopo sospensione della terapia. Recentemente, un report ha documentato 22 casi di pemfigo foliaceo

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dopo applicazione di un prodotto ectoparassiticida contenente amitraz e metaflumizone (Promeris Duo, Fort Dodge) (Oberkirchner et al., 2011). In un terzo dei casi, le lesioni pustolari sono limitate all’area attorno al punto di applicazione, ma nei restanti due terzi dei casi le lesioni appaiono in siti distanti. In 5 casi, le eruzioni cutanee si sono sviluppate dopo la prima applicazione, mentre in altri sono state necessarie più di 10 applicazioni. Nella maggioranza dei casi, anche se non in tutti, è stata necessaria una terapia immunosoppressiva ed in alcuni soggetti anche una terapia di mantenimento a lungo termine per prevenire recidive. Questo ha portato gli autori a dedurre che la malattia fosse innescata dal farmaco, più che indotta. I casi con lesioni diffuse piuttosto che localizzate hanno avuto anche un’elevata incidenza di segni sistemici, quali febbre, anoressia, letargia e zoppia. Gli studi immunologici hanno rilevato depositi di IgG intracellulari in due terzi dei casi, anticorpi anticheratinociti circolanti in 6 casi e immunocolorazione assente o ridotta a Dsg1 in numerosi casi, caratteristica spesso rilevata nelle forme spontanee di pemfigo foliaceo. Questi studi sottolineano l’esistenza di pemfigo associata alla somministrazione di un farmaco, rendendo quindi imperativa una anamnesi accurata dei farmaci assunti in tutti i casi di pemfigo.

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