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CAPITOLO 1. GLI STATI DI FIRENZE, SIENA E LUCCA NELLA TOSCANA DEI SECOLI XVI-XVII

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CAPITOLO 1.

GLI STATI DI FIRENZE, SIENA E LUCCA NELLA TOSCANA

DEI SECOLI XVI-XVII

1.1 Aspetti geopolitici e storici

Quando nel 1890 Federigo Catastini scrisse che nei primi venticinque anni del Cinquecento Roma “rigurgitava” di toscani, si riferiva principalmente ai cittadini e sudditi di Firenze,1 a quel tempo la colonia toscana più numerosa nell’Urbe. Con

l’identificazione proposta dallo studioso (toscani = fiorentini), venivano così esclusi gli abitanti degli altri Stati che più di tre secoli dopo sarebbero stati unificati nell’attuale Toscana, tra questi i Senesi e i Lucchesi, all’epoca autonomi nei loro governi repubblicani.

Nel primo quarto del secolo XVI, quando presero avvio a Roma le vicende costruttive delle chiese di San Giovanni Battista dei Fiorentini e di Santa Caterina da Siena dei Senesi, che precedettero di poco più di cento anni quelle della chiesa di Santa Croce e San Bonaventura dei Lucchesi, la Toscana non era ancora una realtà né politica né geografica, come oggi definita, dunque l’uso che Catastini fece del termine “toscano” risulterebbe improprio da un punto di vista storico. Infatti, solo nel 1569, con la concessione papale del titolo di granduca di Toscana a Cosimo I Medici, duca di Firenze, il termine “Toscana” entrò a pieno diritto a far parte della geografia politica dell’Italia, andando a designare i territori – con le relative popolazioni – che da quel momento in poi si sarebbero trovati sotto l’egida della dominante Firenze. Alla correttezza del dato storico fece però riscontro, sin dal Rinascimento, la tendenza di alcuni geografi a descrivere la predetta regione come una realtà unica2 o

duplice3, trascendendo in questo modo la frammentazione territoriale e politica a cui

fu soggetta fino alla piena età moderna. Il modus operandi di tali eruditi fu quello di prendere in considerazione solo gli aspetti di affinità e di continuità (paesaggio, clima etc.) piuttosto che i confini geografici e le forme di governo dei numerosi Stati che costellarono il territorio italiano, mutevoli e mutati nel corso dei secoli.

1 Catastini 1890, p. 20.

2 Tra coloro che fornirono una descrizione unitaria della Toscana vedi Biondo 1543, pp. 74-84. 3 Ad esempio, Leandro Alberti divise i “Luoghi di Toscana” in “presso la marina” e “fra terra”. Vedi

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Nel Cinquecento il frammentario panorama geopolitico dell’Italia si poneva in controtendenza rispetto a quello dell’Europa, dove si andavano consolidando le monarchie nazionali di Francia, Spagna e Inghilterra. Alla permanente presenza di numerose identità municipali risalgono in parte le divisioni, le rivalità, le discordie e le lotte che, sin dal periodo comunale, intercorsero soprattutto laddove il campanilismo guadagnò terreno in risposta a una perdita di autonomia.

La Toscana è stata definita anche “millenaria terra di città”. Proprio a questa sua caratteristica, il cosiddetto policentrismo toscano, si fa risalire la generazione di una sorta di identità al negativo: il pluralismo urbano porta a manifestazioni di litigiosità, inimicizia e aggressività in città che potevano vantare già a quell’epoca una storia millenaria.4 Infatti, nelle memorie dei centri toscani soggettati non mancano pagine

relative a ribellioni e rivolte scaturite proprio da questo perdurante senso di identità locale.5

Nel corso del Medioevo l’aumento demografico e la crescita economica del territorio comportarono la profonda trasformazione degli spazi abitativi e la comparsa di nuove forme di insediamento e nuovi ordinamenti politici. La maglia insediativa della Toscana mostrò un progressivo popolamento accentrato in nuclei suburbani che andarono a gravitare attorno alle principali città, mete quest’ultime di costanti flussi migratori. Già alla metà del secolo X Firenze, Siena e Lucca, assieme ad Arezzo, Pisa e Pistoia, avevano assunto un ruolo di primo piano rispetto agli altri centri urbani, borghi e castelli limitrofi. Il primato delle sei città summenzionate perdurò anche nella successiva età moderna, nella quale, lacerate da scontri interni ed esterni, saranno protagoniste di accese rivalità. La Toscana non aveva ancora né un’unità né un’identità compiuta. La frammentazione politica che caratterizzò le vicende storiche della maggior parte delle città toscane tra i secoli XIV-XVI, continuò a perdurare a causa dei numerosi conflitti che scaturirono tra le famiglie reggenti i governi cittadini, ognuna delle quali intenzionata a portare avanti parallelamente agli interessi pubblici quelli privati.6

4 Le riforme di Pietro Leopoldo 2000, p. 9.

5 Le divisioni politiche, che dall’inizio del secolo XIII passeranno alla storia come lotte tra guelfi e

ghibellini, sfoceranno nel corso del tempo in scontri tra nobili e popolani e tra le stesse famiglie maggiorenti, per il predominio del potere nelle città.

6 Questa frammentazione politica fu avvertita all’esterno come un segno di fragilità e fu il motivo che

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Il contesto storico in cui si originarono le vicende che portarono alla fondazione delle chiese dei Fiorentini e dei Senesi corrisponde agli anni del pontificato di Leone X, la cui elezione fu accolta con giubilo non solo da parte dei suoi connazionali ma anche dal resto della cristianità. Nel colto, raffinato e devoto figlio di Lorenzo il Magnifico era infatti vista la possibilità di ripristinare un clima di pace dopo la lunga stagione di guerre che aveva colpito l’Italia a partire dalla fine del Quattrocento, da quando le potenze straniere avevano iniziato a nutrire mire di conquista sul nostro Paese7.

Nella Roma leonina, caratterizzata da una rifioritura della religione, delle lettere e delle arti, si concluse la parabola del famoso mercator romanam curiam sequens Agostino

Chigi, la cui ascesa era iniziata durante il pontificato di Alessandro VI Borgia (1492-1503). La piena acquisizione del potere spirituale da parte di Giovanni Medici e di quello temporale da parte di Agostino Chigi crearono condizioni favorevoli, affinché le loro comunità di appartenenza potessero dar vita al progetto di possedere un proprio luogo di culto.

Appennini, al fine di estendere il proprio dominio anche al centro-nord Italia. Il processo di espansione del conte di Virtù, che intendeva unificare l’Italia sotto un grande Stato nazionale, lo portò a conquistare vasti territori in Veneto, Emilia, Umbria e Toscana. Le città di Pisa e Siena caddero sotto la morsa del duca. Riuscì a resistere soltanto Firenze con le truppe guidate da Giovanni Acuto. Nel giro però di pochi anni, a causa della morte del suo fautore (1402), il progetto di conquista visconteo si avviò repentinamente verso la fine.

7 Con la discesa di Carlo VIII (1494) la penisola italiana conobbe una lunga fase di dominazione

straniera. La spedizione del re di Francia, che diede avvio alle cosiddette guerre d’Italia, una serie di otto conflitti, puntò dapprima sul Ducato di Milano per proseguire poi alla volta di Firenze, a quel tempo retta da Piero de’ Medici. Il figlio di Cosimo il Vecchio, temendo di essere travolto dalla potenza francese, sottoscrisse con Carlo VIII un trattato di non belligeranza, consistente nella cessione di Pisa, Sarzana e Livorno e di alcune piazzeforti e nell’esborso di un ingente contributo in denaro. Il malcontento che suscitò nei Fiorentini tale iniziativa determinò la cacciata da Firenze di Piero e il tentativo – fallimentare – di Pier Capponi di contrastare la potenza francese, la quale riuscì comunque a imporre allo Stato fiorentino il rispetto del trattato. Carlo VIII si diresse alla volta di Roma e poi nel Regno di Napoli, dove si autoproclamò re. Soltanto l’anno successivo, il re di Francia fece ritorno in patria dopo che Milano, Venezia, Roma, la Spagna e l’Austria, coalizzatisi in una lega, lo affrontarono all’altezza di Fornovo. La salita al trono di Francia di Luigi XII d’Orleans (1498) gettò nuovamente sull’Italia l’ombra della minaccia straniera. Il nuovo re di discendenza angioino-viscontea reclamò, e ottenne temporaneamente, il controllo del Ducato di Milano e, grazie a una trattativa con gli Aragonesi, del Regno di Napoli. Gli spagnoli non rispettarono però gli accordi e nella battaglia di Garigliano sconfissero i Francesi (1503), riuscendo in questo modo a ottenere il controllo totale del Regno napoletano. Nel 1512 Luigi XII perse anche Milano che ritornò agli Sforza, per poi riprenderla nel 1521 a seguito del trattato di Noyon (1516), che avrebbe dovuto porre fine alla guerra, favorito da Leone X e stipulato dai monarchi Francesco I di Francia e Carlo V di Spagna. L’Italia fu così spartita: a nord i Francesi, a sud gli Spagnoli. Ma fu proprio dal 1521 che iniziò su territorio italiano il grande scontro fra le due potenze straniere, che ebbe come conseguenza una serie di cambiamenti politici e culturali che perdurarono sino alla metà del Cinquecento.

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I primi anni del secolo XVI videro Firenze instabile politicamente e territorialmente, Siena salda nel regime oligarchico-signorile dei Petrucci e, infine, Lucca pacifica nel suo governo repubblicano.

Entro il primo quarto del Cinquecento, Firenze poté festeggiare per ben due volte l’elezione papale di cardinali medicei: Giovanni e Giulio, rispettivamente Leone X e Clemente VII (1523-1534)8. Soltanto un anno prima dell’elezione di Giovanni, i

Medici erano riusciti a riappropriarsi del potere, perso dal 1494. Dopo il “tradimento” di Piero, a Firenze fu approvata una nuova costituzione ispirata dal domenicano Girolamo Savonarola. Quattro anni dopo la morte del frate (1498), l’elezione a gonfaloniere a vita di Pietro Soderini sembrò consolidare quella partecipazione “democratica” al governo della città da molti auspicata. Ma nel 1512 con la marcia su Firenze delle truppe pontificie e spagnole, alleate ai Medici e ai loro sostenitori interni, la reggenza di Soderini giunse a termine. Così la Repubblica dovette arrendersi e accettare la restaurazione degli antichi signori, il cui potere andò via via aumentando. A seguito del conflitto scoppiato nel 1527 tra Carlo V e Clemente VII, che portò al Sacco di Roma, i Medici furono nuovamente scacciati da Firenze, dove poterono far ritorno solo tre anni dopo, grazie alla riconciliazione avvenuta tra l’imperatore e il pontefice9. Nel 1532 con la nomina a duca di

Alessandro Medici, favorita anche da Carlo V, di fatto si superarono definitivamente rivendicazioni repubblicane per approdare a una forma di governo oligarchico, diretta espressione dei Medici.

Agli inizi del secolo XVI, il dominio fiorentino presentava una dimensione intermedia fra quelle provinciali e regionali odierne, avendo inglobato circa la metà del territorio toscano. Infatti, sin dal Trecento, Firenze era riuscita a occupare, a seguito di annessioni coercitive, acquisti e accordi, le terre della Valdinievole, Arezzo (1384), Pistoia (1399-1401), la Repubblica di Pisa (1406), Cortona (1411), il piccolo

8 Durante i loro pontificati, Leone X e Clemente VII presero attivamente parte alle vicende storiche

più significative sia peninsulari sia fiorentine. Infatti, i pontefici diressero da Roma anche le sorti politiche di Firenze e del loro casato. Ad esempio, per volere di Clemente VII, la Balìa fiorentina, formata dagli esponenti delle famiglie filomedicee, promulgò nel 1532 una nuova costituzione che diede vita a una monarchia ereditaria.

9 Clemente VII accettò il controllo spagnolo dell’Italia, Carlo V s’impegnò ad aiutare militarmente i

Medici a rientrare a Firenze, alla quale conferì il privilegio di mantenersi indipendente dal potere imperiale.

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castello di Livorno (1421), le testate delle valli adriatiche romagnole (la cosiddetta Romagna fiorentina o toscana), il Casentino (1441) e Volterra (1472).

Firenze, a quel tempo la città toscana più solida economicamente e più popolosa, ebbe la possibilità di accrescere ulteriormente il proprio territorio, il quale fu destinato ad assumere nel corso dei secoli successivi dimensioni regionali, grazie alle annessioni della Repubblica di Siena (1557), del Principato di Piombino e l’isola d’Elba e dello Stato dei Presidi (1815), della Repubblica di Lucca (1847) e, infine, del Principato di Massa (1871) (fig. 1). Quindi, come si è visto, già sul finire del periodo medievale la Repubblica di Firenze si presentava per estensione come lo Stato più vasto della Toscana, seguito da quello senese, posto al di sotto del suo confine meridionale.

A partire dal tardo Quattrocento e per i primi vent’anni del Cinquecento, Siena visse un periodo di prosperità, anche per i legami che alcuni banchieri senesi trasferitisi a Roma ebbero con la Corte papale (Spannocchi e Chigi). In questa situazione di ricchezza, la città continuava però a essere divisa al suo interno, a causa dei conflitti tra le varie fazioni cittadine. Pandolfo Petrucci, legato ai Medici e ai Francesi, seppe astutamente diventare il signore di Siena. La politica da lui adottata, che coniugava le tradizionali istituzioni governative con un nuovo sistema basato sul coinvolgimento delle famiglie di tutti i Monti10, portò a un periodo di relativa tranquillità che terminò

con la sua morte (1512). I discendenti di Pandolfo – il primogenito Borghese ( 1512-1515), i nipoti Raffaele (1515-1522) e Francesco (1522-1523), e l’ultimogenito Fabio (1523-1525) – portarono avanti il sistema signorile fino al 1525, quando la fazione antimedicea e antifrancese interna alla città riuscì a scacciare l’allora signore di Siena e a ristabilire un governo repubblicano. Fu proprio in quei primi decenni del Cinquecento che strinsero legami d’amicizia Leone X e i senesi Agostino Chigi il Magnifico e Andrea Bellanti11, tutti e tre coinvolti nella nascita delle loro chiese

nazionali a Roma.

10 Tipico del Quattrocento senese fu il consolidamento del sistema politico basati sui Monti (“mucchi”

o gruppi), per far convivere i quali si creò un sistema di spartizione o rotazione delle cariche di governo. Si trattava di gruppi politici i cui componenti erano accomunati dalla stessa estrazione sociale e ricchezza. I Monti senesi furono il Monte dei Gentiluomini o Grandi, dei Nove, dei Dodici, dei Riformatori e del Popolo.

11 Va rilevato che i Bellanti, espressione della nobiltà senese, cercarono di ostacolare l’egemonia di

Pandolfo Petrucci e di suo figlio Borghese, favorendo l’ascesa di Raffaele ai danni del cugino e intessendo stretti rapporti con Giovanni Medici laddove i Petrucci li ebbero con Giulio II.

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La mancanza di unità interna, a causa della quale Siena assunse nel tempo mutevoli forme di governo che ne indebolirono il sistema, portò alla successiva perdita di autonomia politica. Infatti, i conflitti intestini e la posizione strategica della città suscitarono nei Francesi e negli Spagnoli interessi espansionistici che sfociarono nella guerra di Siena. Tuttavia il forte legame di integrazione, definito anche dialettico e di crescita12, che la città seppe costruire nel tempo con la sua popolazione non venne

meno neanche negli anni in cui le truppe di Carlo V e di Cosimo I invasero il territorio senese che fu brutalmente saccheggiato nel 1553. Gli oppressori riuscirono ad arrivare fino alle mura l’anno successivo. La cittadinanza, appoggiata dai Francesi e dai fuoriusciti fiorentini, reagì all’assedio, ma alla fine dovette arrendersi (1555). La resa non impedì tuttavia ad alcuni repubblicani di raggiungere Montalcino, dove resistettero – inutilmente – ancora per qualche anno. Dal momento in cui passò sotto il dominio di Cosimo I, che nel 1557 entrò trionfante in città, Siena seguì le vicende del Granducato di Toscana, dapprima mediceo e poi lorenese.Per decreto ducale la città divenne uno Stato Nuovo che poté mantenere vigente l’ultimo Statuto repubblicano (1544-1545), 13 preservandosi così autonomo da Firenze

amministrativamente, politicamente e territorialmente fino al 1786, quando la riforma istituzionale attuata dal granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena sancì la nascita delle Comunità di Siena e di Grosseto.

Già all’inizio del Cinquecento la Repubblica di Siena, avendo indirizzato le sue mire espansionistiche verso la Maremma, il Monte Amiata e la Val di Chiana, era giunta a inglobare quasi interamente la Toscana centro-meridionale, della quale Siena rappresentava, sin dal secolo XIV, l’unico centro urbano di vaste dimensioni e il principale riferimento economico e produttivo. Dopo la caduta della città per mano delle truppe mediceo-imperiali (1555) e a seguito della ridefinizione geopolitica degli Stati italiani con la pace di Cateau-Cambrésis (1559), Siena e i suoi territori – ad eccezione della zona circostante l’Argentario che divenne avamposto della Corona spagnola (lo Stato dei Presidi) – entrarono a far parte come sub-infeudato dello Stato fiorentino.

12 Ascheri 1994, pp. 94-95.

13 Sin dal Quattrocento i Fiorentini furono soliti riconoscere gli statuti costituzionali delle città e delle

comunità assoggettate. In questo modo i nuovi domini dello Stato continuavano a regolamentarsi autonomamente in campo amministrativo, civile, fiscale, penale etc.

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In quell’arco di tempo circoscritto tra la congiura dei Pazzi (1478) e la conclusione della guerra di Siena, caratterizzato dalla mancanza di equilibrio e di pace, la città di Lucca mantenne un ruolo da spettatrice, in conformità con l’atteggiamento neutrale che aveva assunto sin dagli anni Trenta del Quattrocento. Infatti, la sconfitta che i Fiorentini inflissero nella battaglia di San Romano (1432) ai Senesi, con i quali si erano alleati Paolo Guinigi, tiranno di Lucca dal 1400 al 1430, gli Aragonesi e gli Ubaldini della Carda, al fine di osteggiare la potenza fiorentina, ebbe per Lucca un duplice risultato: la perdita di molti territori e la riacquisizione della libertà. La città tornò a essere Repubblica, dopo la deposizione, a seguito di una congiura, di Paolo Guinigi e l’assedio da parte dei Fiorentini; ottenne la pace solo nel 1438, ma dovette cedere vasti territori a Firenze14, agli Estensi (la Garfagnana) e ai Genovesi

(Pietrasanta). Dopo la ricostituzione della precedente forma di governo, che sopravvisse sino alla fine del Settecento, i Lucchesi adottarono un atteggiamento cauto e previdente: la Repubblica di Lucca, per scongiurare il pericolo di cadere sotto il dominio straniero, mantenne nel tempo una politica pacifica e popolare, non lasciandosi coinvolgere in operazioni belliche né promuovendole a sua volta. Grazie alla prudenza e all’ingegno dei suoi cittadini,15 la città riuscì a conservarsi libera.

Al pari di Firenze, Pisa e Siena, anche Lucca aveva perseguito durante il periodo comunale una politica di espansione a scapito dei territori limitrofi. La città era riuscita a conquistare la Versilia, la Garfagnana, la Lunigiana e la Valdinievole. Se si escludono brevi periodi16 si può dire che Lucca sia stata la sola città toscana a

mantenere inalterate per più tempo sia la forma di governo repubblicano sia la condizione di indipendenza. Infatti, dalla fine degli anni Trenta del Quattrocento restarono pressoché invariati i confini del “piccolo Stato”: un territorio dalle modeste dimensioni governato da una sola città,17 seppur fiorente grazie agli importanti traffici

commerciali intrattenuti dalle comunità di mercanti lucchesi già presenti in tutta Europa. Del resto ancora nel Settecento la Carta geografica dello Stato della Serenissima

14 «La pace con i fiorentini fu da allora, per necessità una costante della politica lucchese […]. Lucca

[…] riuscì a mantenere una linea cauta, appropriata ad una città ricca ma militarmente debole e circondata da potenti nemici. […] riuscì a mantenere un profilo basso, a presentarsi unita verso l’esterno e a conservare indenne il suo regime repubblicano, seppure al prezzo di permettere al ceto di governo di trasformarsi in una oligarchia sostanzialmente chiusa.»: La storia della Toscana 2004, p. 173.

15 Alberti 1596, p. 71.

16 Tra questi si ricordano gli anni compresi tra il 1342 e il 1369, durante i quali Lucca fu assoggettata a

Pisa.

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Repubblica di Lucca dell’agostiniano Giuseppe Maria Serantoni riporta la descrizione di un territorio che non ha subìto sostanziali modifiche rispetto ai tre secoli precedenti.18

La cartografia storica si dimostra un valido supporto per ripercorrere le trasformazioni che subì il territorio toscano nel corso dei secoli. La prima rilevazione “scientifica” della Toscana, eseguita applicando le regole trigonometriche e utilizzando strumenti di misurazione geometrica, è considerata la Chorographia Tusciae di Girolamo Bellarmati (1536) (fig. 2). Al fine di rappresentare quanto più fedelmente possibile gli aspetti fisici e antropomorfi del territorio toscano, l’architetto militare senese, nonché ingegnere, matematico e cosmografo, diede alle stampe una grande carta della Toscana in cui sono dettagliatamente rappresentate e – in certi casi – denominate, le isole dell’arcipelago, le lagune, i laghi, le reti fluviali, i sistemi montuosi, le zone boschive e quelle paludose. L’opera di Bellarmati, fondata su misurazioni esatte, divenne in seguito il prototipo di altre rappresentazioni cartografiche sia murali, quali L’Etruria di Egnazio Danti (fig. 3), sia incise. Tra queste ultime si ricordano la Diligente et emendata descrittione del bellissimo Stato di Firenze19

di Stefano Buonsignori (1584), La Toscana divisa nelle sue Province, Città, Terre e Castelli […] di Antonio Giachi (1771), la Carta geografica del Granducato di Toscana di Ferdinando Morozzi (1784) e la Carta geometrica della Toscana ricavata dal vero nella proporzione di 1 a 200.000 di Giovanni Inghirami (1831). Lo stesso Bellarmati rappresentò cartograficamente la Toscana nel 1569 (fig. 4).

Dal confronto tra le carte geografiche prodotte a partire dalla metà del secolo XVI e quelle risalenti al secolo XIX risulta che la Toscana sia stata, tra le regioni italiane non insulari, una di quelle che ha mantenuto pressoché identici i propri confini.

Il processo che ha portato alla formazione territoriale dell’attuale regione risale a un passato remoto. Infatti, gli odierni confini della Toscana, che delimitano un’area

18 Nella carta di Serantoni del 1744, conservata presso l’Archivio di Stato di Lucca, il dominio lucchese

è ripartito territorialmente nelle sette Bande delle Sei Miglia – il contado – (Banda di Camigliano, di Capannori, di Colle, del Monte San Quirico, del Ponte e Moriano, del Ponte San Pietro e di Santa Maria del Giudice) e nelle dieci Vicarie (Vicaria del Bagno, del Borgo, di Camaiore, di Castiglione, di Coreglia, di Gallicano, di Minucciano, di Montignoso, di Pescaglia e di Villabasilica).

19 Rispetto alla carta di Bellarmati, in quella di Buonsignori si riscontrano maggiori precisioni tanto

nella rappresentazione della fascia costiera e dell’idrografia quanto nel posizionamento dei centri urbani. Inoltre vi è un’aggiunta dei toponimi, alcuni dei quali – concernenti la Val di Magra – sono inseriti in una tabella che correla la carta stessa.

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pressoché triangolare di circa 23.000 km², iniziarono ad assumere questa particolare forma geometrica e ad avere questa estensione durante la dominazione longobarda della Marca di Tuscia, il penultimo coronimo storico della Toscana20. Con i

Longobardi vi fu uno spostamento e un restringimento verso nord dei contorni regionali che avevano assunto con le dominazioni precedenti – etrusca e romana – la forma di un trapezio irregolare21, delimitato a nord dalla valle dell’Arno, a sud dalla

valle del Tevere (comprendente gli odierni Lazio settentrionale e Umbria), a est dagli Appennini e a ovest dal mare.

Grazie alla conformazione del paesaggio, caratterizzato da importanti presenze oro-idrografiche, quali la catena appenninica settentrionale (nord-est), il mar Tirreno – tradizionalmente chiamato Tosco – (ovest – sud-ovest) e il fiume Magra, tre dei confini geografici toscani vennero individuati proprio in quelle frontiere naturali, che non furono però ostacoli invalicabili. Infatti, già gli Etruschi si spinsero oltre il versante adriatico degli Appennini22 e oltre la linea di costa, insediandosi in buona

parte delle isole dell’attuale Arcipelago toscano. Invece il confine meridionale di questa macroregione “pantirrenica”, come viene definita la Toscana,23 si dimostrò nel

tempo più labile e, di conseguenza, meno corrispondente a quello attuale, dato che subì variazioni e spostamenti maggiori rispetto agli altri. Con la conquista delle città-Stato etrusche da parte dei Romani, iniziata a seguito della caduta di Veio, Capena, Sutri e Nepi, il limite meridionale della cosiddetta Etruria propria24, posto sino a quel

momento nella riva destra del Tevere, subì un inevitabile ridimensionamento. Con la “regionalizzazione” dell’impero romano da parte di Augusto, l’Etruria ricadde amministrativamente nella Tuscia. Dalla vasta regio septima augustea – Etruria –

20 Le altre denominazioni che assunse la Toscana nelle diverse epoche storiche furono le seguenti:

Comara, Giancula o Gianigena, Razena, d’Umbria, Pelagia, Tirrenia, Tirsena ed Etruria. Per un approfondimento sulla nascita e la diffusione temporale di tali “coronimi” vedi Alberti 1596, pp. 44-46.

21 La storia della Toscana 2004, pp. 5-7.

22 Le due zone toscane comprese tra il Corno delle Scale e il Monte Falterona e tra il Monte Fumaiolo

e l’Alpe della Luna, confinanti rispettivamente con l’Emilia Romagna e le Marche, sono un retaggio di quelle espansioni transappenniniche.

23 La storia della Toscana 2004, pp. 5-7.

24 L’Etruria propria, considerata la culla della civiltà etrusca, fu, assieme all’Etruria padana e a quella campana, uno dei tre distretti in cui gli Etruschi divisero il loro dominio territoriale. Ogni distretto era

ripartito al suo interno in numerose città-Stato, autonome le une dalle altre sia politicamente sia amministrativamente. Sotto la dominazione etrusca, nell’Etruria propria fiorirono – tra le altre – le città di Arezzo, Cerveteri, Chiusi, Cortona, Fiesole, Orvieto, Perugia, Pisa, Populonia, Roselle, Tarquinia e Volterra.

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rimaneva escluso l’odierno Casentino che rientrava nella regio sexta detta Umbria25.

Dato che la settima regione dell’impero comprendeva buona parte dell’attuale Umbria, nel secolo III d.C. Diocleziano decise di accorparla al versante sinistro dell’alta e media valle del Tevere, cambiandole il nome in Tuscia et Umbria. In questo modo il coronimo Etruria, in uso dal secolo III a.C., scomparve dalla geografia amministrativa dell’Italia per comparire di nuovo nel primo decennio dell’Ottocento, quando Napoleone ribattezzò il Granducato di Toscana Regno di Etruria (1801-1807).

Come è noto, con l’Unità d’Italia si definirono – in alcuni casi arbitrariamente – i confini amministrativi regionali. Tali definizioni territoriali si consolidarono nel secondo dopoguerra, con l’entrata in vigore della Costituzione italiana (1 gennaio 1948) che previde la ripartizione della Repubblica anche in regioni (art. 114), e vennero portati a termine negli anni Settanta del Novecento, quando in linea con le disposizioni costituzionali furono emanati gli statuti regionali26.

Fin dall’Ottocento, precisamente tra l’età postnapoleonica e quella risorgimentale, si era diffusa, a seguito dell’affermazione di un nuovo senso di nazionalità e di individualità storica27, l’idea che gli Stati preunitari potessero diventare vere e proprie

unità regionali, appartenenti a una sola Nazione.

Gli storici contemporanei hanno ormai pienamente dimostrato come le radici di quel processo che si delineò compiutamente tra i secoli XIX-XX affondino in un periodo precedente. Si deve alla politica riformatrice, pacifica e illuminata di Pietro Leopoldo l’aver gettato le basi per la nascita della Toscana moderna. Infatti, tra le numerose riforme promosse dal granduca, tra il 1767 e il 1790, ve ne furono alcune che divennero parte integrante dello Statuto regionale novecentesco.28

25 La sesta regione augustea comprendeva gli attuali territori umbri posti alla sinistra del Tevere e le

attuali Marche settentrionali e occidentali.

26 Al 26 novembre 1970 risale l’entrata in vigore del primo Statuto ordinario della Toscana, sostituito

da quello vigente dell’11 febbraio 2005.

27 Chabot-Saitta-Sestan 2008, pp. 17-19.

28 Si tratta, nello specifico, dei principi dell’autonomia locale e della non violenza, quest’ultimo inserito

nel nuovo Codice criminale, emanato il 30 novembre 1786, che prevedeva tra l’altro l’abolizione della pena di morte e della tortura. A ricordo della promulgazione del Codice criminale di Pietro Leopoldo, nel 2000 il Consiglio della Toscana ha elevato il 30 novembre a festa regionale. Per un approfondimento delle riforme leopoldine vedi Le riforme di Pietro Leopoldo 2000.

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Dunque, solo con Pietro Leopoldo la Toscana, che aveva visto nei secoli precedenti il prevalere di un forte senso di identità municipale, inizò ad acquisire le caratteristiche di una vera e propria regione, tra le più avanzate in Europa.

La definizione di chiese nazionali, riferita a San Giovanni Battista dei Fiorentini, a Santa Caterina da Siena dei Senesi e Santa Croce e a San Bonaventura dei Lucchesi, in uso nella presente trattazione, rimanda al tumultuoso periodo storico dei secoli XVI-XVII, nei quali permaneva ancora quel senso di appartenenza alle singole comunità cittadine che giustifica la terminologia utilizzata per quegli stessi luoghi di culto che oggi il Vicariato di Roma annovera tra le chiese regionali.

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