Valutazione del potenziale
geotermico
2.1
Cenni storici e sviluppi attuali
Le teorie e le tecniche per la stima delle risorse minerarie in generale, sono sempre state di grandissimo interesse nel corso dei secoli; nell’ultimo, la sempre maggiore esperienza in questo campo (soprattutto in ambito petrolifero) ha permesso notevoli sviluppi. La valutazione del potenziale della risorsa geotermica, tuttavia, è un cam-po d’indagine recente, un settore di ricerca giovane, che negli ultimi 60 anni ha richiamato l’attenzione del mondo scientifico.
Analogamente allo sviluppo storico di altre fonti rinnovabili, anche l’interesse industriale per la geotermia ha seguito un andamento a periodi alterni. In alcuni determinati momenti storici (crisi petrolifere o economiche) il mondo industriale ed economico ha guardato con enorme interesse all’utilizzo e allo sviluppo della geoter-mia. Questo aspetto è tipico della storia delle fonti energetiche alternative a quelle fossili, da sempre soggette a momenti di crisi generalizzata e innalzamento del prezzo. La risorsa geotermica (fonte ‘rinnovabile’ la cui sostenibilità è fortemente dipen-dente dall’utilizzo che se ne fa), per la sua distribuzione geografica non uniforme sulla faccia della terra ha naturalmente suscitato quasi sempre solo l’interesse delle società o delle comunità locali (e nazionali).
Come spesso accade per i nuovi ambiti di studio, non sono stati seguiti, nel tempo, approcci comuni e unificati. Il più delle volte i diversi autori hanno basato strettamente i loro lavori sulla specifica zona geografica di interesse, trascurando i possibili confronti con altre aree.
Il risultato è che oggi non esiste una metodologia di valutazione condivisa, asso-data ed utilizzata in maniera generale da tutti i soggetti attivi in questa ricerca.
2.2
Concetti generali
Come ricordato nel fondamentale lavoro di R. Cataldi e P. Muffler [5], uno dei prob-lemi principali della valutazione del potenziale energetico della geotermia non è solo stimare la risorsa ‘di base’ in una data regione, ma anche valutare quella parte di risorsa che può essere estratta e sfruttata in ‘specifiche’ (o future) condizioni economiche.
Il problema risiede, quindi, anche nella componente di discrezionalità di chi valuta e del suo contesto in termini di economia ed economia dell’energia. Alcuni elementi per la stima del contributo energetico della geotermia di una zona, ad esempio le prospettive di sviluppo tecnologico nel medio o lungo periodo, o gli indirizzi politici e i vincoli legali e ambientali, sono molto difficili da “contabilizzare” e rischiano spesso di essere oggetto di valutazioni fin troppo soggettive.
D’altra parte, un approccio di tipo economico alla valutazione della risorsa rischia di essere troppo schematico nei confronti di un mondo tecnologico in continuo svilup-po, come è quello legato alla geotermia.
Vengono illustrate, in questo lavoro, diverse tecniche che consentono di stimare (con differente grado di precisione) la risorsa energetica ottenibile da una certa re-gione. Obiettivo delle tecniche di valutazione non è solo valutare l’energia presente nel sottosuolo, ma conoscere anche la percentuale di questa energia che può essere utilmente ed economicamente estratta e la porzione di questa che può essere impie-gata utilmente (energia elettrica, calore per processi industriali o per il riscaldamento di ambienti).
Un approccio “tradizionalmente” noto, nella valutazione del potenziale energetico è basato sul confronto delle analogie esistenti fra il campo in studio e quelli prece-dentemente esplorati. Si comparano, sostanzialmente, gli elementi simili del nuovo campo con quelli di uno in stato avanzato di sviluppo.
In generale, i diversi fattori da cui dipende direttamente la valutazione del poten-ziale geotermico di una zona, possono essere raggruppati come segue:
fattori geologici e geofisici :
• distribuzione di temperatura e calore specifico della roccia, • porosità totale ed effettiva,
• permeabilità,
• modello di circolazione del fluido, • fase del fluido geotermico,
fattori tecnologici :
• tecnologia di perforazione,
• tecniche di estrazione del fluido geotermico,
• fattori di conversione energetica in energia elettrica o calore utile, • fattore di utilizzazione dell’impianto,
• possibilità di utilizzo “in cascata” (multi-utilizzo) della risorsa, • sistemi di trattamento di gas e acque residue;
fattori economici :
• valore dell’energia (usi diretti o conversione in energia elettrica), • costi di gestione dell’impianto,
• costi capitali,
• rischio d’investimento,
• costi di trivellazione (legati alla profondità della risorsa), fattori generali :
• normative e leggi,
• politica energetica nazionale (o regionale), • accettazione sociale,
• limitazioni ambientali e implicazioni sociali.
Esiste poi un altro tipo di problema, legato alla “scala”, ovvero alla dimensione geografica dell’analisi che si effettua. Nel restringere l’analisi a una scala regionale, o locale, diventa più difficile eseguire le indagini, come indicano alcuni fattori legati a questo cambiamento di orizzonti:
• su base regionale o locale si devono fornire dati “specifici”, che devono servire come base per le decisioni riguardanti investimenti e politiche strategiche; • devono essere a disposizione i dati geologici “dettagliati” sul sottosuolo
del-la zona, tali informazioni sono di solito carenti (ad esempio del-la temperatura sotterranea, la quota piezometrica delle acque sotterranee, la porosità e la per-meabilità delle rocce, la conducibilità termica e la densità delle acque e delle rocce);
• l’energia geotermica ha carattere “dinamico”, nello spazio come nel tempo: la temperatura è variabile nelle diverse direzioni e nel tempo; si pensi poi ai cambiamenti di stato del fluido, alla presenza di gas incondensabili e di soluzioni saline, alla variazione dell’entità delle precipitazioni.
A seconda della tecnica di valutazione che si decide di applicare, i risultati ottenuti devono essere generalmente riconducibili a quelli elencati di seguito (da Bodvarsson e Witherspoon, [7]); per quanto alcuni di essi siano enormemente difficili da ottenere e frutto, di solito, di stime soggettive basate sull’esperienza:
• energia disponibile nel serbatoio, • energia disponibile a boccapozzo,
• portata, pressione e temperatura del fluido estratto, • composizione chimica del fluido e salinità,
• numero di pozzi da realizzare, • distanze fra i pozzi di produzione,
• intervallo di tempo dopo il quale si avranno diminuzioni di portata (o in gen-erale di produttività) di ciascun pozzo (e numero di eventuali pozzi compen-sativi),
• influenza della reiniezione sulla produzione,
• collocazione dei pozzi di reiniezione e loro modalità di funzionamento.
2.3
Valutazione della risorsa energetica e fasi di un
pro-getto geotermico
Nel complesso delle attività ad essa connesse, la valutazione del potenziale geotermico si serve di diverse metodologie (concettualmente anche molto differenti) in funzione della fase temporale (od operativa) del progetto geotermico in cui si effettua.
Un progetto di esplorazione e ricerca geotermica (o finalizzato alla perlustrazione di un’area geografica con fini minerari) è caratterizzato da varie fasi. In ognuna di queste si dispone di una quantità di dati e informazioni sempre crescente quanto più ci si avvicina alle fasi conclusive. Durante lo sviluppo di un progetto finalizzato all’estrazione e allo sfruttamento della risorsa geotermica si deve poter comunque valutare, con un certo livello di confidenza, il potenziale energetico in gioco. Nelle prime fasi non si dispone quasi mai di dati dettagliati e completi sulla geologia e l’idrologia della zona (ad esempio presenza e morfologia degli acquiferi, chimismo
delle acque, presenza e dimensioni dell’eventuale serbatoio, temperatura e quote piezometriche, caratteristiche chimico-fisiche delle rocce e del fluido). Solo in un momento successivo vengono effettuate prospezioni geofisiche e, in alcuni casi, le perforazioni che permettono di entrare in possesso dei dati reali dell’area considerata, e in caso di feed-back positivo, rendere il pozzo produttivo o realizzarne un altro (o altri) in una posizione più favorevole.
Un processo di indagine in questo senso si snoda secondo alcune essenziali fasi decisionali: se dai dati a disposizione continua ad essere considerato favorevole lo sfruttamento della risorsa, si decide di andare avanti e produrre dati sempre più dettagliati1
. Oppure ci si ferma se si sono ottenuti dati in base ai quali la risorsa e il suo possibile processo di sfruttamento vengono ritenuti non interessanti o non favorevoli tecnologicamente ed economicamente.
Questa premessa è essenziale per comprendere l’impostazione di questo lavoro, la valutazione è frutto dell’applicazione successiva dei metodi illustrati sopra, i risultati ottenuti sono sempre più dettagliati e realistici procedendo dal meno dettagliato (primo ordine) alla simulazione numerica.
L’analisi può essere schematizzata secondo tre livelli diversi:
Metodi del primo ordine Utilizzabili con successo quando i dati in possesso non sono tali da poter conoscere completamente le caratteristiche geologiche della zona, nè poter permettere di elaborare una strategia di sviluppo di un progetto di produzione (cfr. 2.4, pag. 28);
Valutazione statistica Metodi relativi a una fase in cui sono più numerosi i dati e più dettagliati i riferimenti alla zona; in questa fase si è in grado di stabilire una distribuzione probabilistica per alcune delle grandezze in gioco (temperatura del serbatoio, profondità, fattore di recupero) (cfr. 2.6, pag. 40);
Simulazione numerica I dati a disposizione sono tali da rendere possibile un’elab-orazione spaziale e temporale a maglie anche molto fitte, il dettaglio è il massi-mo ottenibile, le informazioni in ingresso spesso derivano da dati di perforazioni di prova fatte sulla zona, completate in base a considerazioni geologiche. Un progetto di sfruttamento è avviabile con un certo successo dopo questo tipo di elaborazione dei dati (cfr. 3, pag. 47).
Viene proposto di condurre lo studio di valutazione del potenziale della zona di Massa Marittima (cfr. 4, pag. 61) con un approccio schematizzato scondo questo ordine logico. Si parte, cioè, da dati di carattere generico e si cerca poi di ottenere come risultato finale la simulazione numerica attraverso l’utilizzo di un codice agli elementi finiti.
1
Si parla di dati non solo sulla risorsa, ma anche di dati strettamente geologici, riguardanti l’estrazione, il tipo di sfruttamento industriale, ecc.
2.4
Metodi del primo ordine
I principali metodi del primo ordine presenti in letteratura sono i seguenti: 1. Metodo del flusso termico superficiale (surface heat flux);
2. Metodi volumetrici (volume methods) o metodi dello stored heat; 3. Metodo della frattura piana (planar fracture method);
4. Metodo del budget termico magmatico.
Questa classificazione è ripresa da Cataldi e Muffler (1978) [5], il cui lavoro iden-tifica e illustra i metodi fino ad allora utilizzati. Nella stessa sede vengono riportati e argomentati due concetti molto importanti per le analisi di questo tipo (del “pri-mo ordine”). Si afferma, infatti, che «metodi diversi possono essere adeguati per problemi diversi, a seconda della situazione geologica»; ogni metodo è spesso affetto, inoltre, in misura diversa l’uno dall’altro, da assunzioni e ipotesi in parte soggettive. Per l’applicazione di ciascun metodo è richiesto il possesso di specifici «fattori fisici e condizioni geologiche, la cui conoscenza è quasi sempre scarsa durante la valutazione a priori di una data area prima di stabilire un progetto di produzione» [5].
Si premette che tra i precedenti il metodo più usato e favorito dalla letteratura è lo stored heat (cfr. 2.4.2, pag. 29). È applicabile, in teoria, a qualsiasi ambiente geo-logico (mentre l’applicazione degli altri metodi è ristretta a specifiche situazioni). Pur non essendo necessariamente il più rigoroso, permette la compensazione degli errori inevitabilmente introdotti dalle approssimazioni geologico-fisiche e dalle assunzioni soggettive. Rispetto agli altri è quello ritenuto più affidabile economicamente. Catal-di e Muffler raccomandano Catal-di utilizzarlo, appunto, come base comune Catal-di paragone fra aree geografiche differenti. È un metodo con caratteristiche simili a quelli utilizzati per le stime delle risorse petrolifere e minerarie di diverso tipo.
Si precisa fin da ora il fatto che i metodi del primo ordine danno come risultato il valore dell’energia contenuta nel sottosuolo della regione considerata e non quello dell’energia ottenibile a bocca pozzo, tranne il planar fracture method (cfr. 2.4.3, pag. 31). Per ottenere una stima del valore dell’energia effettivamente estraibile è necessario introdurre un fattre riduttivo detto fattore di recupero, Rg, rapporto tra
la quantità di energia estraibile alle attuali condizioni tecinche ed economiche e la risorsa totale presente nella regione (cfr. 2.5, pag. 34).
2.4.1 Metodo del flusso termico superficiale (surface heat flux)
Si basa sul calcolo del flusso termico trasferito per conduzione dal suolo (q) e dalle manifestazioni superficiali (sorgenti, fumarole) all’atmosfera ed alle acque superficiali, in un’area di estensione superficiale A.
Il risultato è la potenza W , detta potenza termica naturale (natural heat power), somma di due termini, uno conduttivo W1 e uno relativo agli effluenti W2:
W = W1+ W2 (2.1)
W1= Aq (2.2)
W2= GCw(Tw−T0) (2.3)
in cui G è la portata massica, Cw il calore specifico, Tw la temperatura dell’effluente
e T0 la temperatura dell’ambiente.
Calcolata così la potenza si può risalire all’energia disponibile nell’area A, in un tempo geologico fissato t (per esempio migliaia o decine di migliaia di anni), il tempo di riferimento può essere stimato in base ad analogie con altre aree di sfruttamento (Cataldi e Muffler, [5]), si ottiene:
H = W t = (W1+ W2)t (2.4)
Una limitazione di questo metodo è il fatto di non tener conto, nel calcolo dell’energia disponibile H, delle ricariche del serbatoio.
Il metodo fornisce un potenziale minimo dell’area geotermica, l’energia termica realmente presente è di solito maggiore, soprattutto in zone di debole scarica naturale del serbatoio.
2.4.2 Metodo volumetrico (volume methods) o metodo dello stored
heat
Questo metodo si basa sul calcolo dell’energia immagazzinata in un certo volume di roccia. Simile ai metodi usati nell’industria mineraria e petrolifera, è applicabile a ogni tipo di campo geotermico (a differenza degli altri, soddisfacenti solo per parti-colari configurazioni). È il più semplice concettualmente e permette di compensare l’inevitabile introduzione di errori (stime di fattori geologici e di sfruttamento) at-traverso il fattore di recupero2
. Neanche questo metodo tiene conto delle ricariche del serbatoio, nella valutazione complessiva della risorsa.
Il metodo si basa sulla suddivisione della parte superiore della crosta in una serie di “volumi” (contenenti al loro interno sia roccia sia fluido geotermico), di solito corrispondenti a unità idrogeologiche, a cui segue una stima della loro temperatura media. La stima avviene secondo due approcci:
1. Si calcola l’energia termica H contenuta nel volume di roccia considerato V , stimando un valore per il calore specifico volumetrico Cv, secondo la consueta
2
espressione (in cui il pedice i si riferisce al volume i-esimo considerato): Hi= CviVi(Ti−T0) (2.5)
2. Si stabilisce un valore per la porosità totale φt, definita come la porzione di
volume di controllo occupata dal fluido rispetto al volume totale. Si calcolano quindi l’energia contenuta nella fase solida Hir e l’energia contenuta nel fluido
che occupa i pori della roccia Hiw. L’espressione seguente descrive quanto
detto:
Hi = Hir+ Hiw = (2.6)
= (1 − φti)CriρiVi(Ti−T0) + φtiCwρwVi(Ti−T0) (2.7)
Cri e Cw sono, rispettivamente, i calori specifici (massici) della roccia e del
fluido3
, mentre ρi e ρw sono le densità della roccia e dell’acqua.
Il calcolo di Hi non differisce fra i due approcci per più del 5%, se la porosità
considerata è meno del 20% e il fluido è acqua. La seconda maniera, tuttavia, per-mette di osservare che, in quasi tutti i serbatoi, il 90% circa dell’energia geotermica è contenuto nella roccia, mentre il restante 10% nel fluido circolante (Cataldi e Muffler, [5]).
Questo metodo è in ogni caso quello che più si presta all’implementazione del metodo degli elementi finiti (FEM), dividendo opportunamente (secondo criteri gui-dati dalla conoscenza della configurazione geologica) la regione considerata in più zone e lungo la verticale in complessi più o meno omogenei.
Nonostante la semplicità del metodo e la possibilità di ottenerne stime utili prima di una campagna di perforazioni, è da tener presente che i dati provenienti da qualsiasi pozzo realizzato in precedenza nella zona sono necessari per delineare la distribuzione di temperatura e stimare le dimensioni del serbatoio.
Si ricorda che la temperatura del volume di controllo può sempre essere stimata ricorrendo all’utilizzo di geotermometri chimici.
Nei serbatoi geotermici, schematizzabili come mezzi porosi, sottoposti a flussi di acque sotterranee, non tutti i pori sono interconnessi fra loro. Anche se nelle trattazioni in letteratura il più delle volte viene utilizzato il valore della porosità totale, si ricorda che la porosità effettiva φe è solo una frazione di quella totale φti
(cfr. 1.1.1, pag. 7). Solo i pori interconnessi fra loro danno luogo a circolazione di fluido.
Nei calcoli suddetti va pertanto utilizzata la φe anzichè di la φt, e si deve tener
3
Si ricorda che, trattandosi di rocce, la differenza tra il valore del calore specifico a volume costante e quello a pressione costante è assolutamente trascurabile
presente quale sia il modello di trasporto del calore (attraverso acqua o vapore, o una loro miscela) dal serbatoio alla superficie assunto come riferimento.
I modelli presi in considerazione sono, di solito, i due seguenti:
• vaporizzazione interganulare (intergranular vaporization, boiling in place); • flusso idrico interganulare (intergranular flow of water, sweep process), sebbene
il fatto che questo modello dia come uscita vapore o acqua dipenda dalla temperatura del serbatoio e dalle caratteristiche del pozzo.
In Bodvarsson, 1989, [7], Geothermal reservoir engineering - Part I, è sottolineato il fatto che è la permeabilità il principale fattore controllante della variazione del fattore di recupero, anche se non è considerata nel metodo volumetrico. Accade spesso che la capacità produttiva di un campo sia compromessa o limitata per un calo di pressione del flusso estratto, piuttosto che dal contenuto energetico del campo. Una certa “debolezza” del metodo sta forse nella stima del fattore di recupero, ovvero il rapporto fra la quantità di risorsa estraibile e la risorsa totale4
. Questo dipende dal tipo di produzione da effettuare e varia con la temperatura, la porosità effettiva e la profondità.
Il metodo in sè non tiene conto delle integrazioni termiche e delle ricariche idrauliche, a cui il serbatoio è soggetto durante il tempo di sfruttamento indus-triale considerato. Queste, tuttavia, possono essere approssimate come percentuali dell’energia estratta dal sistema.
2.4.3 Metodo della frattura piana (planar fracture method)
Questo metodo si basa su un modello teorico, che consiste sostanzialmente in un sistema di strati di roccia impermeabile fratturata. Le ipotesi alla base dl modello sono:
• le fratture che attraversano la roccia sono “piane” e parallele, • il calore viene trasferito dalla roccia al fluido solo per conduzione,
• il metodo è estendibile a sistemi con più fratture, a condizione che la distanza fra le stesse sia grande abbastanza da evitare “interferenze” di tipo termico. Il calcolo del calore teoricamente estraibile per unità di superficie fratturata è possibile tramite il cosiddetto “end temperature ratio”
rt=
Tm−Tr
To−Tr
(2.8)
4
in cui Tr è la temperatura del fluido “di ricarica” entrante nella frattura, To è la
temperatura della roccia e anche la temperatura iniziale di estrazione del fluido, che dopo un certo tempo to si porta a una temperatura {temperatura finale di estrazione
del fluidoTm(cfr. fig. 2.1). Questo metodo permette di calcolare l’energia geotermica
Tr Tr T0 T0 T0 Tm< T0 Tm< T0 d
Figura 2.1: Diagramma schematico illustrativo del planar fracture method, d è la distanza
minima fra le fratture per la quale è trascurabile l’interazione termica fra le stesse.
estraibile a partire solo dalle temperature descritte sopra e dal periodo di tempo di produzione stimato.
Come ricordato precedentemente, questo metodo dà come output direttamente l’energia disponibile a boccapozzo, anzichè quella immagazzinata nel sottosuolo, [5]. Il metodo presenta alcuni limiti applicativi, se ne schematizzano di seguito alcuni: • data la schematicità del modello adottato, questo metodo può essere utilizzato con succeso solo in campi caratterizzati da fratturazioni semplici e simili al modello o in zone circoscritte di una zona di produzione, magari in prossimità delle perforazioni;
• i campi geotermici hanno, però, configurazioni geometriche e fratturazioni com-plesse e molto variabili, tridimensionali e con caratteristiche geofisiche diverse
da zona a zona, quindi non schematizzabili completamente con il modello descritto.
2.4.4 Metodo del budget termico magmatico (magmatic heat
bud-get)
Si tratta in realtà di un “gruppo” di metodi simili. L’assunzione di base è che il magma fluisca periodicamente verso la crosta superficiale, la frazione di questo magma che giace nella crosta origina intrusioni e fonti di calore per i sistemi geotermici.
La sua prima applicazione (Noguchi, 1970, [8]), riferita al territorio giapponese, prevedeva la schematizzazione di intrusioni magmatiche di forma cilindrica (5 km di raggio e di altezza, localizzate a 10 km di profondità). Si supponeva un calo di temperatura da circa 1200◦C a 900 ◦C e si stimavano le perdite attraverso eruzioni,
sostanze volatili e vapore. Conoscendo il numero di intrusioni sul territorio nazionale e considerando un periodo di “raffreddamento” di circa 60000 anni, veniva stimata la risorsa presente nel sottosuolo del Giappone.
Correzioni e rivisitazioni del metodo sono state riproposte nel corso degli ultimi 40 anni, con applicazioni a varie regioni del mondo interessate da campi geotermici. Il metodo, per le sue particolarità, può essere utilizzato con successo solo in zone vulcaniche (con intrusioni di entità facilmente schematizzabile) per fornire solo una stima di massima della risorsa presente.
2.4.5 Varianti dei metodi del primo ordine
Il metodo del primo ordine ritenuto, come già detto, più affidabile anche economica-mente e applicabile in maniera generale è quello volumetrico (stored heat). Venne uti-lizzato, ad esempio, dall’USGS (United States Geologiacl Survey) per la famosa Cir-colare 790, 1970, [9], ovvero la prima valutazione del potenziale geotermico dell’intero territorio degli Stati Uniti.
Il modello volumetrico giunge a risultati (produzione e previsione energetica) che sono abbastanza coerenti quando è noto il volume del serbatoio ed è limitata la variazione della permeabilità e la sua distribuzione spaziale. Sorgono numerosi problemi quando si devono stimare sia le proprietà idrologiche del serbatoio che il suo volume. Si pensi al fatto che il comportamento di molti serbatoi è controllato dalla porosità delle fratturazioni (caratterizzate da alte permeabilità, ma poco contenuto in fluidi), che dipende dal loro stato di stress interno e dal chimismo del fluido, variando in tempi relativamente brevi se paragonati alle scale geologiche.
In Bodvarsson e Witherspoon, [7] 1989, sono illustrati brevemente i seguenti metodi, derivanti per lo più dall’esperienza delle estrazione petrolifera: decline curve
analysis, metodo P/z, modelli Lumped-parameters, modelli a parametri distribuiti, natural-state modeling.
2.5
Il fattore di recupero
Parlando di fattore di recupero, di una risorsa mineraria in generale, si intende la quantità di risorsa estraibile e sfruttabile con la tecnologia disponibile ed in condizioni economiche favorevoli Vex, rispetto alla quantità di risorsa presente nel giacimento
Vtot
Rg = Vex/Vtot (2.9)
Appare evidente come tale fattore di recupero sia, in generale, funzione della risorsa in questione, della profondità e delle caratteristiche del giacimento e delle tecniche di estrazione5.
La necessità di far ricorso al fattore di recupero emerge anche da un altro aspetto: il calcolo dell’energia “estraibile” da un volume di roccia dovrebbe essere considerato come il risultato di una relazione fra fattori geologici e fisici
HR= f (Hi, φe, Ti, Pi, Twh, Pwh, Mp) (2.10)
I primi quattro termini sono già stati illustrati nella sezione 2.4: Hi è l’energia
termica contenuta nel serbatoio, Ti e Pi sono invece la temperatura e la pressione
medie del serbatoio; φe, la porosità effettiva, è descritta nella sezione 1.1. Gli ultimi
tre termini sono:
Twh e Pwh, rispettivamente la temperatura e la pressione a bocca pozzo,
Mp, che è una funzione dipendente dal modello di produzione adottato.
Appare evidente come l’utilizzo di una relazione del genere renda necessario dis-porre di un numero molto grande di dati, molti dei quali ottenibili solo da una esplorazione dell’area, ad esempio attraverso pozzi. Questa necessità si traduce spes-so in una impossibilità di realizzare un’analisi completa “a priori” del campo. È per questo che si fa ricorso al fattore di recupero Rg, che esprime la frazione di energia
geotermica estraibile HR come percentuale del valore Hi di energia contenuta nel
volume (costituito in generale da roccia e fluido geotermico) Vi del campo in studio:
HR= Rg·Hi (2.11)
5
Si tenga resente che, in letteratura, sono state formulate diverse definizioni per il fattore di recupero. Ad esempio, è stato anche definito come il rapporto, in percentuale, fra la massa di fluido estratta in superficie e la massa di fluido originariamente presente. Per altre definizioni differenti si faccia in ogni caso riferimento a [5], alla sez. “Recoverability of hydrothermal convection systems”.
Rg dipende da:
caratteristiche del serbatoio: temperatura, fase del fluido geotermico, porosità totale ed effettiva (cfr. 2.4.2), permeabilità (cfr. 1.1.1), tipologia di serbatoio (a convezione idrotermale, geopressurizzato, prevalentemente conduttivo, magmatico); tecniche di estrazione e sfruttamento della risorsa: profondità, metodi di estrazione, tecniche e temperatura di reiniezione, numero e topologia dei pozzi, modello di produzione (cfr. 2.4), differenza di temperatura tra serbatoio e bocca pozzo (well-head).
Appare chiaro che nella valutazione di Rgsi debba avere come orizzonte temporale
un tempo tipico delle applicazioni industriali (10 ÷ 100 anni) anzichè un tempo caratteristico dei fenomeni geologici (> 103
anni).
Il valore del fattore di recupero della risorsa geotermica può variare, in generale, tra il 25 % (alcuni sistemi idrotermali convettivi) e valori molto più bassi (essendo quasi nullo in sistemi di rocce non fratturate.
2.5.1 Modelli teorici per il fattore di recupero
Si illustrano brevemente alcuni modelli teorici usati nella stima di Rg presenti in
letteratura6
.
Flusso idrico intergranulare (intergranular flow of water)
Modello utilizzato per serbatoi di spessore considerevole (parecchie centinaia di metri), elaborato da Bodvarsson e Natheson. Si riferisce a un serbatoio ideale con grandi superfici di contatto fra roccia e fluido, che permettono uno scambio termi-co quasi termi-completo (modello ideale), il fattore di recupero viene termi-considerato quasi indipendente dal salto di temperatura.
Nell’ambito delle applicazioni di questo modello era stato individuato il valore del 25% che viene riportato da alcuni autori come il massimo ottenibile per Rg.
Si può supporre, infatti, che tramite un processo di “sweep”, in media, possa esere asportato il 50% del calore contenuto nel mezzo poroso ideale considerato nel modello. Questa percentuale fu poi ulteriormente ridotta della metà, da Natheson e Muffler (1975), considerando il fatto che solo il 50% del serbatoio sia sufficientemente poroso e permeabile per l’estrazione di fluido caldo.
Flusso idrico planare (planar flow of water)
Si considera un volume impermeabile di roccia in cui sia presente una frattura piana attraverso la quale scorre il fluido verso il pozzo (Bodvarsson, 1974). Il risultato
6
ottenibile secondo questo metodo è un valore teorico specifico della risorsa, funzione della temperatura iniziale della roccia (T0) e del cosiddetto “end temperature ratio”
rt =
Tm−Tr To−Tr
(2.12) (già visto nella sezione 2.4.3 a pag. 31). Questo modello permette di giungere al fattore di recupero noti r, lo spessore della roccia attraverso cui avviene il trasporto di calore (d/2) e il tempo t0.
Dalle curve teoriche di Bodvarsson (1974) si ricava Rg in funzione del tempo e
della temperatura, i cui valori, sono certamente superiori a quelli ottenibili sul campo in condizioni reali (v. Figura 2.2).
Figura 2.2: Andamenti del fattore di recupero, per diversi tempi di riferimento (25, 50 e
100 anni), riferiti a 40 ◦C, in funzione della temperatura iniziale della roccia
(T0) e del tempo (t0); la distanza minima fra fratture adiacenti è assunta pari
Vaporizzazione intergranulare (intergranular vaporization)
Il fattore di recupero di un campo “caricato” con acqua e sottoposto a vaporizzazione intergranulare è stato studiato da Bodvarsson e Natheson; si propongono alcuni grafici di Rg in funzione della temperatura (Figure 2.3 e 2.4). Anche in questo caso
va sottolineato che i valori reali sono di molto minori rispetto a quelli trovati secondo questo modello. In particolare, in riferimento alle curve di Figura 2.3, Cataldi e Muffler concordano con Bodvarsson (1974) nel sostenere che questi valori di del fattore di recupero debbano essere ridotti di un certo valore (anche grande, tuttavia incerto, compreso tra 2/3 e 3/4) per essere fedeli ai valori reali.
Figura 2.3: Andamenti del fattore di recupero teorico, riferiti a 40 ◦C, in funzione della
temperatura e della porosità del serbatoio (Cataldi e Muffler, [5].
Figura 2.4: Andamenti del fattore di recupero teorico, riferiti a 15 ◦C, in funzione della
temperatura e della porosità del serbatoio (Cataldi e Muffler, [5], da Natheson, 1975). Pressione limite di abbandono 2,5 bar (Natheson, 1975).
val-ore di pressione minima di abbandono del pozzo, ossia un limite inferival-ore per la recoverability. I 2,5 bar di Figura 2.4 sono un limite individuato tenendo conto principalmente della tecnologia di sfruttamento dei campi a vapore toscani all’epoca della pubblicazione.
Vaporizzazione (boiling) in campo geotermico ad acqua dominante In questo modello si considerano campi a vapore dominante, “ricaricati” inizialmente con una miscela di acqua e vapore, in cui il vapore è la fase volumetricamente preponderante.
Natheson (1975) propose di utilizzare i grafici di Figura 2.4, per lo studio di questo modello, a patto di considerare la φ che vi appare come percentuale volumetrica di acqua nel volume totale del serbatoio, anzichè come porosità.
2.5.2 Recoverability
Esistono anche altre teorie che si occupano della variazione di Rg in funzione delle
altre grandezze, oltre a quelle citate. In particolare, è interessante mettere in eviden-za quali sono gli altri fenomeni che diminuiscono il contenuto energetico del fluido geotermico nella sua risalita o estrazione verso la superficie.
Una prima divisione concettuale per affrontare il problema esiste ad esempio fra i campi ad acqua dominante e i campi a vapore dominante. È importante sottolin-eare che mentre, come già visto, nei campi a vapore Rg è funzione della porosità,
della profondità e della temparatura, nei campi ad acqua può considerarsi, invece, indipendente dalla temperatura.
Fondamentale, per stabilire la “recuperabilità” di una certa risorsa, è anche com-prendere quale sia la porosità effettiva, che dà una certa misura della frazione di pori interconnessi e quindi delle vie che ha l’acqua per fluire attraverso la roccia, accu-mularsi nel serbatoio e pervenire in superficie, come noto essa è sempre una piccola frazione della porosità totale.
Per i campi ad acqua dominante, seguendo un’ipotesi conservativa ed estendendo il concetto di intergranular flow, si può assumere lineare la dipendenza del fattore di recupero dalla porosità effettiva.
Dai risultati di Bodvarsson e Natheson, riportati da Cataldi e Muffler (1978) si ottiene la retta rappresentata nel grafico di figura 2.5, che nella sua parte superiore risulta tuttavia non calibrata. Il grafico non considera le perdite energetiche che il fluido subisce nella risalita verso la superficie, illustrate nel seguito del paragrafo (e di cui si può tener conto in prima approssimazione sottraendo 5 ◦C alla temperatura
del serbatoio per ogni km risalito dal fluido).
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0 0,1 0,2 Fa tt o re di rec up er o ( R g )
Porosità effettiva (Φe)
Relazione fra il fattore di recupero (Rg) e la porosità effettiva (Φe) in serbatoi ideali ad acqua dominante che producono secondo il modello dell'intergranular flow
Figura 2.5: Possibile dipendenza di Rg da φe in serbatoi ad acqua dominante secondo il
modello dell’intergranular flow.
in cui il fluido, risalendo verso la superficie, perde parte della sua entalpia. Le ragioni sono principalmente le seguenti:
• perdita di energia cinetica (di solito di entità trascurabile), • perdita di energia potenziale,
• perdita di energia termica per conduzione, • perdita per attrito.
Le ultime tre sono direttamente proporzionali al tratto percorso. Di solito si tiene conto di queste perdite (a parte quella di energia cinetica) sottraendo 5 ◦C
dalla temperatura del serbatoio per ogni km di profondità, prima di applicare il fattore di recupero. La temperatura corretta Twh può essere ottenuta come:
Twh= T − z · 0, 005 (2.13)
esprimendo la quota z in metri.
Cataldi propone un’ulteriore riduzione di Rg attraverso un fattore di profondità
(“depth factor”) FD, basandosi sulla considerazione che la profondità del serbatoio
Tale fattore viene fatto variare linearmente da 1, alla superficie, fino a 0, a 3 km di profondità (cfr. 2.6). Dall’epressione
Rg = Rg·FD (2.14)
si ottiene un reserve recovery factor (Rg·FD), che di fatto “penalizza” i serbatoi
più profondi. 0 0,5 1 0 3 De p th fac to r (F d ) Profondità [km]
Figura 2.6: Andamento del depth factor, Fd, in funzione della profondità (da Cataldi et
al., [6]).
2.6
Valutazione statistica della risorsa geotermica
Lo scopo di questo tipo di analisi è quello di tenere conto in qualche modo dell’in-certezza legata al dato o sulla misura del dato nei risultati. Le grandezze che si stanno trattando vengono espresse dai loro valori medi e dalla relativa deviazione standard.
Questo approccio è stato trattato da Natheson (1978) (cit. in [3]).
2.6.1 Il metodo Monte Carlo
Per la valutazione statistica si impiega il metodo Monte Carlo, che trova numerose applicazioni in diversi campi scientifici. In sintesi, si tratta di cercare la soluzione di problemi non risolvibili analiticamente o secondo metodi numerici. Tale soluzione viene rappresentata come parametro di una certa popolazione di dati, i valori di questo parametro vengono stimati esaminando un campione della popolazione ot-tenuto tramite un generatore casuale di dati.
I passaggi fondamentali del metodo Monte Carlo per la ricerca del valore di Ψ, soluzione di un certo problema, sono i seguenti:
• si interpreta il valore incognito Ψ come il valore medio della distribuzione di probabilità associata ad una certa variabile x casuale;
• si costruisce il campione di N valori della x; • si calcola la media dei valori del campione;
• il valore ottenuto da questa media è il valore di Ψ da riproporre in ingresso al sistema di calcolo così ottenuto.
Il risultato approssimerà tanto di più la soluzione cercata quanto più alto è il numero N di valori casuali generati.
2.6.2 Applicazione alla ricerca geotermica
L’applicazione del metodo Monte Carlo alla valutazione della risorsa geotermica si realizza assegnando, ai fattori più importanti, una distribuzione statistica che com-prenda ed interpreti l’incertezza (errori, conseguenze di assunzioni ed ipotesi, ecc.) legata ai dati. L’analisi condurrà ad ottenere una distribuzione statistica del valore dell’energia contenuta nel serbatoio, in base alle incertezze dei dati di partenza.
Le grandezze di cui si ipotizza una distribuzione probabilistica sono quelle ne-cessarie per i metodi del primo ordine, in particolare per il metodo volumetrico. Si può assegnare una distribuzione di probabilità ai valori delle caratteristiche fisiche del serbatoio (porosità totale ed effettiva, pressione, temperatura, capacità termiche della roccia o del fluido, volume), al fattore di recupero o alle esigenze tecnologiche dell’impianto di utilizzazione a valle (rendimenti termodinamici).
Scelta della distribuzione probabilistica L’ipotesi alla base del metodo è che le variabili che si decide di rappresentare come distribuzione di probabilità siano fra loro indipendenti.
La distribuzione statistica da assegnare alle variabili in ingresso al problema può essere del tipo rettangolare, triangolare o gaussiana (sono le tipologie più utilizzate). Dal punto di vista teorico, la distribuzione gaussiana è quella più corretta, ma essendo a supporto non compatto introduce delle complicazioni nei calcoli. In questo campo (e nel presente studio in particolare) si utilizza la distribuzione triangolare. Si fa notare che sarebbe inutile un approccio più accurato alla valutazione degli errori e delle ipotesi in ingresso, data la scarsità di dati sui quali si basa il calcolo e le poche informazioni su cui si stabilisce la costruzione della distribuzione triangolare. Si necessita, infatti, solo dei valori massimo e minimo e del valore ritenuto più probabile.
Temperatura T1 T2 T3 Densit à di pr obabilit à T T+ΔT
Figura 2.7: Esempio di distribuzione triangolare di temperatura. Siano T1, T2e T3,
rispet-tivamente, la temperatura minima, quella più probabile e quella minima di un serbatoio geotermico. L’area della banda verticale (in grgio) è la probabilità che la temperatura del serbatoio sia compresa tra il valore T e il valore T + ∆T, dove ∆T è un numero molto piccolo. L’area totale del triangolo è la probabilità che si verifichino tutti gli eventi ed è ovviamente unitaria.
Si è detto prima che si vuole applicare la tecnica statistica Monte Carlo al metodo volumetrico (stored heat), tuttavia la distribuzione da assegnare, eventualmente, al fattore di recupero risulta essere frutto di valutazioni basate sull’esperienza. Il metodo Parini-Riedel (cfr. sez. 2.7, pag. 42) permette di superare questa arbitrarietà nella assegnazione di un parametro così importante per la valutazione della risorsa, implementando nel sistema le eventuali dipendenze di Rg dagli altri parametri.
2.7
Metodo Parini-Riedel
È un metodo che permette di abbinare un approccio probabilistico alla classica va-lutazione “volumetrica” della risorsa disponibile (M. Parini, K. Riedel, 2000, [10]). Si tratta, nella sostanza, di inserire nel calcolo la dipendenza del fattore di recupero Rg rispetto alle variazioni delle grandezze termodinamiche e idrauliche del
serba-toio7
(del volume di controllo interessato dalla presenza del serbatoio). I metodi volumetrici (illustrati in precedenza, cfr. 2.4.2, pag. 29) considerano il fattore di re-cupero come una variabile indipendente, risultato, di solito, di una stima arbitraria
7
basata sull’esperienza di altri campi geotermici: la caratteristica principale del meto-do di Parini e Riedel è appunto quella di considerare Rg come variabile dipendente.
La trattazione probabilistica, attraverso il metodo Monte Carlo, viene usata per sta-bilire la distribuzione di probabilità della produzione di una certa potenza elettrica dal vapore di un certo serbatoio.
Il calcolo dell’ammontare della risorsa, secondo l’approccio volumetrico, essendo il fattore di recupero dipendente dai parametri del serbatoio, dipende direttamente dai parametri di serbatoio e risente del loro stesso livello di incertezza.
Il metodo Parini-Riedel è particolarmente adatto per le fasi iniziali di un progetto di indagine geotermica, quando sono stati perforati soltanto pochissimi pozzi nella zona da studiare. Allo stadio iniziale sono disponibili solo pochi e poco precisi dati da inserire come input nella simulazione numerica, da questo risulterebbe una certa “debolezza” generale dei risultati. Questi problemi vengono poi superati nelle fasi successive a quelle ‘esplorative’ di un progetto geotermico.
2.7.1 Fasi del metodo
• Essendo un metodo basato sull’accoppiamento dei metodi volumetrici con l’anal-isi probabilistica, la prima fase è stabilire le distribuzioni di probabilità per i parametri “chiave” del serbatoio.
• Definire i «criteri di abbandono del campo», in termini di pressione minima ed entalpia richiesta a bocca pozzo per una produzione accettabile.
• Costruire un modello molto semplificato del serbatoio su cui effettuare una simulazione numerica. Stabilire la dipendenza del fattore di recupero dalle caratteristiche termodinamiche ed idrauliche del serbatoio e modellare anche lo sfruttamento del sistema geotermico sulla base di ampi range per le variabili indipendenti del sistema;
• Realizzare un numero molto elevato di simulazioni numeriche inserendo volta per volta come input i valori delle grandezze ottenibili applicando il metodo Monte Carlo.
L’approccio proposto dal metodo (in M. Parini, K. Riedel, 2000, [10]), insieme alla simulazione Monte Carlo, consente di trattare come variabili indipendenti le seguenti grandezze:
- area del serbatoio,
- quote “top” e “bottom” del serbatoio, - porosità,
- temperatura,
- spaziatura fra le fratture,
- profondità di estrazione (extraction depth, si traduce così?) - tipologia di sfruttamento del campo,
- fattore di recupero.
2.7.2 Parametri chiave (key parameters) del serbatoio
I parametri-chiave, considerati nel lavoro citato [10], e dei cui valori si danno le distribuzioni di probabilità nel modello per la simulazione numerica, sono i seguenti: estensione superficiale del campo: si può usare come valore minimo quello
‘at-tuale’, e come massimo quello che si può stimare da studi e prospezioni; spessore del serbatoio: quote “top” e “bottom”;
temperatura del serbatoio: può dipendere fortemente dalle dimensioni del serba-toio (in campi di grandi dimensioni) e dal fatto di dover stimare la temperature di zone non ancora esplorate con pozzi;
porosità: stimata sullo spessore del serbatoio;
permeabilità: quella locale varia sensibilmente, in generale, rispetto a quella media da utilizzare nella simulazione;
spaziatura media fra le fratture: è il principale parametro che indica la natura (che può essere duale) della permeabilità del serbatoio (cfr. 1.1.2, pag. 9); pressione iniziale del fluido geotermico;
presenza di gas non condensabili (NCG);
condizioni al contorno (dell’acquifero): serbatoio “chiuso” oppure comunicante con un acquifero;
strategia di sfruttamento del campo: distribuzione in superficie e profondità dei pozzi (di produzione e reiniezione);
Per serbatoi che differiscono geometricamente di molto dal modello geometrico proposto, in [10], è possibile definire opportuni fattori di forma e applicarvi ulteriori funzioni di forma.
2.7.3 Criteri di utilizzo della risorsa
Condizioni di abbandono del campo
Va definito, in questo modello, un limite basato su criteri tecnici o economici per stabilire se sia opportuno proseguire lo sfruttamento del campo considerato.
Viene proposto, in [10], di simulare il pozzo in modo tale da ottenere la minima portata (a fondo pozzo) che garantisca le richieste condizioni di “deliverability”8
, come funzione dell’entalpia allo scarico, del contenuto di gas non consensabili e della profondità della zona di ricarica.
8
Nel lavoro citato si impone, ad esempio, una portata di 10 kg/s di vapore a una pressione di 10 bar a bocca pozzo e di 8 bar al separatore.