CAPITOLO 4
Violenza e verità in Almanac of the Dead
Alla pubblicazione di Almanac of the Dead nel 1991 seguirono una serie di concitate reazioni da parte dei lettori e dei critici letterari. L’opinione del pubblico si divise in due posizioni nettamente contrapposte, tra coloro che accolsero il romanzo come una delle opere più importanti nella letteratura nativa americana e chi si schierò in un’energica condanna, soffermando la propria attenzione su “The angry aspect”1 del romanzo. In alcune delle recensioni più sfavorevoli apparse sulle pagine delle maggiori riviste e periodici americani, i critici puntarono il dito contro l’autrice e il suo lavoro:
[Almanac is an] unholy mess, [it] has not a single likable, or even bearable character, [it is] filled with a thoroughly distasteful collection of society’s misfits.”2 “Her premise of revolutionary insurrection is tethered to airy nothing. It is, frankly, naïve to the point of silliness. The appeal to prophecy cannot make up the common-sense deficit.”3 [It] is so vengeful, very angry, raging.”4
In seguito alla pubblicazione del romanzo Silko venne accusata di essere una persona violenta e piena di rabbia; “Almanac of the Dead è segno di una mente disturbata, l’autrice ha bisogno di uno psichiatra”5, perché soltanto una mente malata avrebbe potuto concepire determinate situazioni e decidere di raccontarle al mondo. Eppure, l’odio che trasuda e caratterizza il romanzo non
1 Linda Niemann, “Narratives of Survival”, 1992, in Ellen L. Arnold (ed.), Conversations with
Leslie Marmon Silko, Jackson, University Press of Mississippi, 2000, p. 107.
2 Alan Ryan, “An Inept ‘Almanac of the Dead’”, USA Today, 21/01/1992, p. 6.
3 Sven Birkerts, “Apocalypse Now: A Review of Almanac of the Dead”, New Republic,
04/11/1991, pp. 39-41.
4
John Skew, “People of the Monkey Wrench: A Review of Almanac of the Dead”, Time, 09/12/1991, p. 86.
5 Riportato in Laura Coltelli, Alessandro Portelli (eds.), “Da Laguna al Chiapas: conversazione con
riflette quello personale della scrittrice, ma, come vedremo, si tratta invece della rabbia e del dolore del mondo, per la crudeltà e la distruzione che secondo la scrittrice hanno caratterizzato gli ultimi cinquecento anni di usurpazioni.
L’autrice spiega di aver dovuto necessariamente sostenere il difficile compito di completare la stesura di Almanac, pur riconoscendo di avere a che fare con qualcosa di molto scomodo:
Anche quando la verità è orribile, anche quando la verità è disgustosa e ti fa vomitare, anche quando pensi che la verità ti spezzerà le ossa e ti spezzerà il cuore, la tua responsabilità di scrittore non è di cambiarla ma di farla venire fuori e di agire per conservare una qualche forma di vita e di energia positiva. Ridire questa verità brutale è il compito di chi scrive, e ti può uccidere. A quell’epoca avevo l’asma, ero in cattiva salute, perciò fare quel lavoro e dire quel genere di verità era un gran peso. Scrivevo, e pensavo: “Dio mio, mi distruggerà la carriera, gli editori non lo vorranno – eppure lo devo fare.”6
Per quanto riguarda la mia personale esperienza di Almanac, devo ammettere che è stata sicuramente la lettura più faticosa della mia vita, e questa difficoltà non è derivata dall’imponente mole del romanzo o dal complesso intreccio degli innumerevoli episodi in esso contenuti, ma dalla crudeltà di cui sono permeate le storie e la narrazione. Per una buona comprensione dell’opera mi è stato necessario tornare più volte alla lettura integrale del testo; la prima lettura infatti è stata quasi totalmente influenzata dall’inquietudine che provavo nel seguire gli sviluppi delle molteplici vicende, in uno stato d’animo d’allarme e tensione costante. Silko non risparmia al lettore le descrizioni dei fatti più crudi e violenti, e la troppa empatia che provavo nei confronti dei personaggi e dell’evoluzione delle loro storie suscitava in me sentimenti di angoscia, sofferenza, preoccupazione e rabbia che soltanto a partire dalla seconda lettura sono riuscita a controllare.
Sono molti i lettori che raccontano di aver provato sentimenti simili a quelli che hanno accompagnato la mia esperienza con il romanzo; “As much as readers were prepared to embrace Leslie Marmon Silko’s Almanac of the Dead, many were repelled by it.”7 Silko racconta la sua inquietudine una volta terminata la scrittura, consapevole dell’effetto che il romanzo avrebbe avuto sui lettori:
I've also felt real protective of people, thinking, Oh no, these dear little people that love Ceremony, what's going to happen to them when they get sucked into the maelstrom of Almanac? In Seattle a man told me he thought Almanac was affecting his sanity, and finally I just said, "I hope it won't harm you, or if you think it is, then stop.”8
In effetti, come emerge da alcune testimonianze, la lettura di Almanac ha causato numerosi “effetti collaterali”: “Many of us noticed [that] when we were reading Almanac of the Dead [...] we started having very strange dreams. Many of us had nightmares. It was for me almost like being haunted by this book whether I wanted to be or not.”9 A tal riguardo venne chiesto a Silko se anche lei avesse sofferto di incubi durante le notti di quei dieci anni serviti per comporre Almanac, e questa fu la sua emblematica risposta: “I wasn’t particularly plagued by what I call nightmares, which is waking up in a cold sweat of anxiety. […] Writing the novel was the daytime nightmare.”10
La preoccupazione di Silko nei riguardi del suo pubblico era legittima, e la scrittrice fu spesso interrogata da lettori che chiedevano soluzioni per combattere gli incubi e gli stati d’animo causati dal romanzo.
7 Janet St. Clair, “Cannibal Queers: The Problematics of Metaphor in Almanac of the Dead”, in
L.K. Barnett, J.L. Thorson (eds.), Leslie Marmon Silko: A Collection of Critical Essays, Albuquerque, University of New Mexico Press, 1999, p. 207.
8
Donna Perry, Backtalk: Women Writers Speak Out, New Brunswick, NJ, Rutgers, 1993, p. 332.
9 “Poetics and Politics: Leslie Marmon Silko”, 1992,
http://poeticsandpolitics.arizona.edu/silko/silko.html (Ultimo accesso: 05/03/2012) p. 2.
Quando l’ho finito ero preoccupata, perché era una cosa così emotivamente, empaticamente difficile. Una volta ho fatto una lettura dall’Almanac, e c’era un gruppo di donne fra il pubblico […] una s’è alzata e ha detto: “Sai che abbiamo dovuto mettere su un gruppo di supporto per lettrici dell’Almanac?” Mi è parsa un’ottima idea, e da quel momento in poi quando la gente mi chiede che deve fare per non avere incubi e spettri quando legge Almanac io gli dico: fate come a Minneapolis-Saint Paul, mettete su un gruppo di supporto. Un’altra volta parlai con una donna Navajo, e anche lei era preoccupata dei brutti sogni che faceva leggendo Almanac. Così le ho detto: “Bè, se ti crea problemi, mettilo fuori di casa, mettilo in cortile, liberatene.”11
Silko racconta poi che una giovane donna le raccontò che anni prima stava vivendo un periodo nero, “Aveva incubi terribili, terribili, e paure; ma dopo aver letto Almanac of the Dead disse che erano tutti spariti perché adesso era in grado di nominare e identificare quelle sensazioni e quelle forze. […] Così mi sono sentita un po’ più tranquilla, a sentire che Almanac fa sulle persone l’effetto che speravo.”12
Le cattive reazioni iniziali dei lettori non hanno comunque impedito alla scrittrice di dirsi soddisfatta nei confronti della propria opera; inaspettatamente, nemmeno le numerose recensioni negative ricevute da parte dei critici letterari sono riuscite ad amareggiare Silko, che al contrario curiosamente si disse gratificata e soddisfatta per essere riuscita a raggiungere uno degli obiettivi che aveva ricercato scrivendo il romanzo: “[Almanac] was designed so that you don’t have control when you confront it.”13
Quando leggi le recensioni su Time, su Newsweek, su USA Today, sono tutte scritte da maschi conservatori che hanno il potere di giudicare. Almanac a loro fa un effetto diverso, gli fa perdere il controllo del linguaggio. Una recensione dice: […] “Questo romanzo è l’opera di una squilibrata – ha bisogno di uno psichiatra per la sua ossessione con l’organo sessuale maschile…” (USA Today) E continua così, completamente fuori controllo, e persino le parole sulla pagina sono vive, trasudano odio. Io leggevo e pensavo: “Wow, questa sì che è una bella recensione,” non per quello che dice ma per come lo dice. […] Pensavo: “Il mio
11 Laura Coltelli, Alessandro Portelli (eds.), op. cit., p. 63. 12 Ivi.
lettore ideale è uno che legge questa recensione e dice: sì, devo leggere questo romanzo!”. È da queste cose che vedo che Almanac è pieno di potere, e le reazioni sono estreme, in un senso o nell’altro, niente mezze misure.14
Oltre che per l’uso eccessivo di descrizione violente, Silko è stata fortemente criticata per avere apparentemente fornito un ritratto spietato dell’uomo bianco e del mondo occidentale, dato che la maggior parte dei personaggi dalla mente perversa rappresentati da Silko è in effetti costituita da bianchi. Per di più, a partire dalla mappa che apre il romanzo e durante tutto il suo svolgimento viene ripetuta in modo costante, quasi rituale, la frase profetica “All things European will eventually disappear”, che è spesso servita da pretesto per giustificare l’apparente odio dell’autrice nei confronti del bianco e della civiltà europea.
Da una lettura superficiale del romanzo ogni lettore può essere tentato dall’idea di dividere nettamente i personaggi in quelle che sono le categorie manichee dualiste di buoni/cattivi, come si legge nella recensione di Malcolm Jones Jr.: “In her cosmology there are good people and there are white people.”15 Il rischio è quello di ridurre le innumerevoli questioni trattate nel testo a una semplicistica opposizione tra l’idea del nativo, le sue ricche tradizioni e il rapporto rispettoso con la terra e le sue creature, contrapposta alla categoria dell’uomo bianco senza passato, usurpatore, violento e distruttivo.
Approfondendo il pensiero e il lavoro della scrittrice risulta evidente quanto questa opposizione sia assolutamente incompatibile con le sue idee. Interrogata a questo riguardo, Silko stessa ha precisato: “The prophecies
14 Laura Coltelli, Alessandro Portelli (eds.), op. cit., p. 64.
15 Malcolm Jones Jr., “Reports from the Heartland: A Review of Almanac of the Dead”,
foretelling the arrival of the Europeans to the Americas also say that over this long time, all things European will eventually disappear. The prophecies do not say the European people themselves will disappear, only their customs.”16 Con l’espressione “All things European” la scrittrice si riferisce a tutti quei tratti che hanno caratterizzato gli ultimi cinquecento anni di storia, le usurpazioni e la violenza dell’azione dell’uomo bianco.
Infatti, in diverse occasioni ha avuto modo di spiegare il suo pensiero:
“I never had the idea that all evil came from Europe, or all evil came of Christianity. That’s stupid and simple.”17
“The destructive impulse [does not] reside with a single race or a single group.”18 “Almanac never says that the white culture is a cancer. […] The world is out of balance now and the forces of destruction seem to be increasing in every place, in every community.”19
La dura critica di Silko è sempre rivolta verso la “Dominant European culture […] criticized here for condoning individual ‘greed’ and ‘selfishness’ and for its dissociation of people from any responsibility to the earth. […] A specific worldview derived from Europe, as opposed to targeting the white race as a whole.”20 Del resto la cultura dei popoli nativi del sudovest americano, e in particolare quella dei Pueblo, presenta un carattere fortemente inclusivo; “Pueblo communal systems value cooperation […] above all else”21 e la collaborazione si intende che debba avvenire tra popoli e culture diverse, compresa quella europea.
16 Leslie Marmon Silko, “Fifth World: The Return of Ma ah shra true ee, the Giant Serpent”, in
Yellow Woman and a Beauty of the Spirit, New York, Simon & Schuster, 1996, p. 125.
17 “Poetics and Politics: Leslie Marmon Silko”, op. cit., p. 12.
18 Per Seyersted, “Interview with Leslie Marmon Silko”, 1978, in Ellen L. Arnold (ed.), op. cit., p.
36.
19 Laura Coltelli, “Almanac of the Dead: An Interview with Leslie Marmon Silko”, 1993, in Ellen
L. Arnold (ed.), op. cit., p. 130.
20
Channette Romero, “Envisioning a ‘Network of Tribal Coalitions’: Leslie Marmon Silko’s
Almanac of the Dead”, American Indian Quarterly, 26, 4, 2002, p. 626. (Corsivo mio).
21 Leslie Marmon Silko, “Fifth World: The Return of Ma ah shra true ee, the Giant Serpent”, op.
Dunque Almanac consegna ad ogni essere umano, di qualsiasi cultura o etnia, l’invito di Silko a impegnarsi per stabilire un nuovo rapporto con il mondo circostante e con tutti coloro che lo abitano: “Although the text finds fault with dominant Euro-American ways of viewing the world, it encourages all Americans, including those of white European descent, to participate in ridding the earth of exploitation.”22 Questa idea si realizza nel testo attraverso il pensiero dei due fratelli gemelli che stanno organizzando un enorme movimento rivoluzionario collettivo:
All were welcome. It was only necessary to walk with the people and let go of all the greed and the selfishness in one's heart. One must be able to let go of a great many comforts and all things European; but the reward would be peace and harmony with all living things. All they had to do was return to Mother Earth.23
Il concetto di cambiamento comunitario che deve necessariamente superare le frontiere di genere, cultura di provenienza e tradizioni diverse è una delle tematiche principali del romanzo, e sarà al centro dell’analisi del capitolo successivo.
4.1 Crude manifestazioni di violenza
Come abbiamo visto, le recensioni e le critiche più negative, severe e diffamatorie nei confronti di Almanac of the Dead si sono focalizzate principalmente sui suoi aspetti violenti. Eppure, riferimenti ad essi sono presenti nella totalità di letture critiche che ho analizzato, anche nelle più benevole e elogiative: non si tratta infatti di eccessiva enfasi posta su un tema minoritario da
22 Channette Romero, op. cit., p. 626.
23 Leslie Marmon Silko, Almanac of the Dead, New York, Penguin, 1992, p. 710. Tutte le citazioni
parte di critici disgustati dal romanzo: la violenza è tra i veri protagonisti del lavoro di Silko, permeandone qualsiasi vicenda.
Nelle mie riflessioni ho cercato di sezionare questa ingombrante presenza in più sfumature, per cercare di renderla più “raggiungibile” e riuscire a rapportarmi con essa; al termine di un difficile lavoro sono riuscita meglio a dare un nome ai singoli aspetti che la compongono, ridimensionando in questo modo una tematica che mi sembrava imponente e inattaccabile.
Da una parte troviamo quindi le rappresentazioni crude e brutali rese nei minimi particolari di situazioni raccapriccianti, malate, perverse, che personalmente ho sorvolato nelle letture del romanzo successive alla prima, non reputandole fondamentali nelle mie riflessioni. Dall’altro lato invece ci sono le aspre critiche della scrittrice verso tutti quegli aspetti violenti del mondo moderno che, a mio parere, costituiscono uno dei nuclei centrali di Almanac, e che sono assolutamente degni di considerazione. Su questi ultimi aspetti si concentrerà la sezione seguente, mentre credo sia opportuno riportare di seguito un breve riassunto dei riferimenti trovati nei vari saggi critici a proposito dei tratti violenti e crudi del testo.
Daria Donnelly definisce la storia “A narrative so brutal that the reader yearns for an apocalyptic resolution: bestiality, infanticide, torture, disemboweling, and genocide mark not only past European behavior but present-day white and Hispanic degeneracy as well.”24 A proposito dell’effetto del romanzo sui lettori, Janet St. Clair commenta: “The sink of depravity and effete self-absorption the novel records stuns both intellect and imagination: the pages
24 Daria Donnelly, “Old and New Notebooks: Almanac of the Dead as Revolutionary
are crammed with atrocities almost too heinous to imagine. Its characters induce nightmares; its plot, paranoia.”25 E ancora, sempre da St. Clair: “[The] equation of carnal gratification with viciousness and [the] gynephobic sexual self-absorption emblematize the egocentric, phallocentric, and misogynistic savagery that Silko sees as endemic to Western culture.”26
Jane Olmsted si sofferma sulla frequenza di scene che implicano l’uso del termine “sangue”:
Obscene behaviors involving torture, murder, and the pornographic use of bodies crowd the pages. […] If there is one thing that links all the competing efforts within the novel, it is blood – bloodiness, bloodshed, bloodlust. It's as if the novel were covered with blood, and the "damned spot" is on everyone's hands. […] Blood is the central metaphor of the novel, its circulatory system.27
L’emblematico elenco di Rebecca Tillett mi offre l’opportunità di raggruppare in conclusione gli aspetti più cruenti e violenti presenti nel romanzo, così da rendere l’idea delle atrocità presenti in Almanac, pur senza appesantirne eccessivamente (e a mio avviso inutilmente) l’analisi:
The American societies of Almanac are inherently corrupt and depraved, the result of their links to a history devoted to destruction, oppression, exploitation, and manipulation. The corruption is exhaustively listed in appalling detail: suicide; homicide; infanticide; genocide; racism; prostitution; drug trafficking; gun running; hit men; gangsters; outlaws; political assassinations; blood and organ trafficking; pornography; snuff photography and movies; videos of torture, violent sexual assault, sex changes, female circumcisions, abortions, foetal experiments, and dissections; bestiality; paedophilia; rape; cannibalism; the trafficking of illegal immigrants; environmental abuses; and the racist heritage of genetic research. Almanac clearly represents the wholesale oppression of the homeless, poor, handicapped, terminally ill, and ethnic ‘other’ as a direct product of institutional corruption and the abuse of power: by the police, the military, the politicians, the law, and the ‘vampire capitalists’ of entrepreneurial individualism
25 Janet St. Clair, “Death of Love/Love of Death: Leslie Marmon Silko’s Almanac of the Dead”,
MELUS, 21, 2, 1996, p. 141.
26 Janet St. Clair, op. cit., 1999, p. 207.
27 Jane Olmsted, “The Uses of Blood in Leslie Marmon Silko’s Almanac of the Dead”,
and corporate enterprise. Silko's audience, primarily of Euro- American descent, was suitably un-settled.28
Durante le mie letture del romanzo, in particolare nella prima, ho notato che a partire da un certo momento avevo sviluppato una sorta di “corazza” nei confronti degli episodi brutali; credo che in un certo senso Almanac obblighi il lettore a trovare necessariamente un modo per riuscire a sopportare tutto l’orrore contenuto, almeno per arrivare fino alla conclusione del libro. Solo proteggendosi in qualche modo è possibile passare oltre i terribili racconti.
Ho trovato una certa similitudine tra questo atteggiamento e un episodio in Almanac, in cui Silko riporta le vicende di uno tra i rapporti più sani presenti nel romanzo, quello tra Seese (una delle protagoniste) e Eric, e della loro sincera amicizia nata nonostante la condivisione dello stesso partner, David. Seese viene a conoscenza del suicidio dell’amico Eric guardando delle fotografie del corpo esanime insanguinato, che David ha scattato con estrema freddezza, in una terribile rivisitazione del concetto di “natura morta”, nella sua incessante ricerca di nuovi modi di concepire l’opera d’arte. Di fronte alle immagini Seese rimane interdetta; non viene sopraffatta dall’odio, dalla disperazione, dall’orrore, semplicemente non prova, pur venendo “aiutata” da alcol e droga:
She didn’t know if it was the shock or if somehow the champagne and dope had lasted that long but she had been able to look at the color photographs of Eric’s suicide without flicking. […] David had photographed Eric’s corpse Police
Gazette style. The black-and-white prints David had made were all high contrast:
the blood thick, black tar pooled and spattered across the bright white of the chenille bedspread. Was that why she didn’t feel anything, not after she’d realized David had photographed Eric’s body? […] Or did she feel no horror because she had already been filled with it, and no photographs of brains, bone, and blood would ever add up to Eric? (106-7)
28 Rebecca Tillett, “‘The Indian Wars Have Never Ended in the Americas’: The Politics of
Memory and History in Leslie Marmon Silko’s Almanac of the Dead”, Feminist Review, 85, 1, 2007, p.22.
A mio avviso, la miriade di scene violente presenti in Almanac provoca nel lettore una sorta di saturazione della brutalità che una persona può sopportare e, almeno per quanto mi riguarda, innesca automaticamente un meccanismo di distacco e di difesa. Forse è proprio questo procedimento che non ha permesso a quella parte di critica che ha condannato il romanzo in quanto display di violenza gratuita di approfondire il rapporto con l’opera, superando il primo stato di orrore per entrare così in contatto con le sue vere tematiche. Certamente non si tratta di un compito facile, e la difficoltà del lavoro di scoperta viene riconosciuta anche dalla stessa autrice; ma del resto, “If we believe in the power of the stories, we must believe in the bad as well as the good.”29
4.1.1 Violenza sugli esseri umani
Facendo riferimento ad Almanac of the Dead è stato usato più volte l’aggettivo apocalittico, a causa dei numerosi scenari di distruzione che ha ormai raggiunto l’eccesso, sia per quanto riguarda gli atteggiamenti degli esseri umani nei confronti dei suoi simili, sia nel rapporto di noncuranza e devastazione verso il mondo naturale.
La scrittrice ci consegna le immagini di un futuro apocalittico in cui il mondo che conosciamo oggi è deturpato dalle azioni insensate che l’uomo ha compiuto negli ultimi cinque secoli. Nessun valore e nessun aspetto delle società moderne è riuscito a sopravvivere, schiacciati dalla forza e dal peso di ciò che Silko definisce il lavoro dei “Destroyers”, ovvero di tutte le forze malvagie che
29 Annette Van Dyke, “From Big Green Fly to the Stone Serpent: Following the Dark Vision in
hanno dominato l’epoca moderna. Un esempio è il seguente passo che inquadra la situazione del Messico:
Mexico was chaos. The Mexican economy had collapsed, and fleeing government officials had stripped the National Treasury for their getaway. The army and police had not been paid for weeks. Battles had broken out between the Federal police and the local police. The citizens were fighting both the army and the federal police. Fighting between the Citizens’ army and the Mexican army had cut off the Federal District from deliveries and food supplies. Electrical power lines and water-main lines to the center of the city had been dynamited. Thousands in Mexico City were starving each day, but Mexico’s president had refused the people emergency food. The Mexican air force had opened fire on thousands of squatters rioting for food at the entrance to the city’s main dump. Hundreds of squatters, women and children, had died as army bulldozers had leveled miles and miles of shanties and burned lean-tos. Within hours of the big fire at the city dump, hundreds of thousands of rats had swarmed through Mexico City, where starving people in the streets had caught the rats and roasted them. There were rumors of bubonic plague and of cholera. (631)
In questi quadri apocalittici possiamo riconoscere i tratti che caratterizzano “The Reign of Death-Eye Dog”, i cinque secoli di storia coincidenti con l’arrivo dei coloni nel continente americano e il periodo coloniale. Silko sottolinea come in questa epoca si ritrovino caratteristiche maschili di violenza animalesca, e il conseguente disprezzo della figura femminile che rimanda a concetti di pace e fratellanza: “During the epoch of Death-Eye Dog human beings, especially the alien invaders, would become obsessed with hungers and impulses commonly seen in wild dogs. […] The epoch of Death-Eye Dog was male and therefore tended to be somewhat weak and very cruel.” (251)
In un interessante articolo concentrato sugli effetti che questa visione del mondo causa nel rapporto con gli altri esseri umani e con la terra, Bridget O’Meara commenta: “In Almanac of the Dead, ‘Reign of Death-Eye Dog’, which spans the past five centuries into the present, is marked by a ‘Destroyer’
consciousness that worships blood, objectifying and commodifying living beings and life-worlds even as it rehearses its own destruction.”30
Alla base di questi due importanti concetti troviamo il pensiero che vede essere umani di prima categoria, e altri considerati inferiori e senza valore. Su questa opposizione gioca molto Silko, come osserva Romero: “This belief in [a] moral superiority is predicated on the exclusion, death, and violent marginalization of those individuals that mainstream conceptions of nationhood consider inferior and nonexceptional – namely, the poor, disenfranchised, nonwhite, and non-Christian.”31 Ma sono proprio gli appartenenti a quest’ultima categoria i protagonisti di una profonda azione di rivolta radicale che dà speranza in Almanac, come vedremo nella profezia finale.
Silko porta all’estremo il discorso della visione degli altri esseri umani come merce di cui disporre liberamente secondo i propri progetti nelle vicende che seguono una serie di personaggi concentrati nello studio dei metodi possibili per separare ulteriormente i diversi livelli di uomini. Uno dei personaggi più negativi del romanzo, il capitalista Trigg, vero e proprio imprenditore spregiudicato, incarna in modo esemplare “The parasitic or vampire-like relation of dead capital to living labor, as to living nature”32: gestisce la “Bio-Material Inc.”, un’impresa impegnata nel commercio di biomateriali. In realtà, la vera attività di Trigg è di attirare nel suo centro tutte quelle persone di cui nessuno sentirà la mancanza, per assassinarli e commerciare il loro sangue e i loro organi: “Biomaterials – the industry’s ‘preferred’ term for fetal-brain material, human
30
Bridget O’Meara, “The Ecological Politics of Leslie Silko’s Almanac of the Dead”, Wicazo Sa
Review, 15, 2, 2000, p. 65. (Corsivo mio.)
31 Channette Romero, op. cit., p. 632. 32 Bridget O’Meara, op. cit., p. 67.
kidneys, hearts and lungs, corneas for eye transplants, and human skin for burn victims.” (398)
Le vittime di Trigg sono “Homeless, poor, and drug-addicted clients of his plasma donor centers” che lui considera “More valuable as raw material than as whole organisms.”33 Queste categorie di persone vengono considerate scarti e rifiuti umani: “‘Surplus’ populations are commodified and sold in pieces on the global market to wealthy consumers.”34 E ciò che è ancora più terribile è che Trigg “Defines murder as social purification.”35
Trigg non è l’unico tra i personaggi a portare avanti un’azione volta alla “purificazione” della razza umana; Serlo e Beaufrey sono due aristocratici impegnati su più fronti per il raggiungimento dello stesso scopo. La loro ricchezza viene usata per commissionare alla scienza più avanzata delle “Alternative Earth units” da lanciare nello spazio per abbandonare il nostro pianeta, nei confronti del quale non nutrono il minimo interesse, considerandolo ormai troppo inquinato e affollato per poter essere migliorato.
I due finanziano inoltre un progetto volto alla costruzione di un utero artificiale da utilizzare per la gestazione di esseri umani superiori e in grado di eliminare totalmente la figura femminile, colpevole della trasmissione di malattie agli uomini e ai figli: “Women were often not reliable or responsible enough to give the ‘superfetuses’ their best chance at developing.” (547)
Nelle descrizioni delle attività di questi personaggi Silko fa un riferimento costante all’eugenetica, impegnata nella scoperta e nella messa in pratica dei
33
Michelle Jarman, “Exploring the World of the Different in Leslie Marmon Silko’s Almanac of
the Dead”, MELUS, 31, 3, 2006, p. 151.
34 Bridget O’Meara, op. cit., p. 67. (Corsivo mio.) 35 Michelle Jarman, op. cit., p. 151.
metodi volti al perfezionamento della specie umana: “Silko draws direct parallels with both the ‘eugenics research’ of Nazi Germany, and the ‘logic’ behind the Nazi racial project, that can neither be dismissed nor ignored.”36 Il ritratto che la scrittrice rende delle teorie eugenetiche e della loro tentata realizzazione è duro e spietato, e ne emerge un’aspra condanna dovuta alla convinzione che queste idee diano nuovo impulso alle teorie di razze, nazioni e culture migliori di altre.
Many of Silko’s powerful and wealthy characters draw upon the elitism of eugenic thinking to justify their treatment of indigenous, poor, homeless, or otherwise vulnerable people. […] Eugenic thinking fluidly adapts across cultures and personal subjectivities to rationalize new borders and enhanced brutality. […] Through myriad depictions of violence, destruction, and dehumanization, Silko stresses that anyone who adopts a doctrine of human purity participates in a eugenic project, which always contains a form of erasure – of histories, bodies, or cultures – at its core.37
Silko pone spesso la sua attenzione su determinate situazioni in cui l’uomo cerca di opporsi e sottrarsi alle condizioni naturali del mondo e della sua esistenza. La sfida alla morte torna più volte nel romanzo e tocca il suo punto più alto con la vicenda di Menardo, che rifiuta le sue origini messicane per adottare i valori più bassi del mondo bianco. Gli viene regalata una maglia antiproiettile della più avanzata tecnologia, talmente fine da essere indossata sotto qualsiasi indumento e la scrittrice ci accompagna nel graduale aumento dell’ossessione che Menardo nutre nei confronti della veste, arrivando ad indossarla anche di notte, studiandone ogni millimetro prima di addormentarsi la sera.
Poco a poco Menardo si allontana da tutti i rapporti, per concentrarsi unicamente in quello con la maglia antiproiettile. Per impressionare gli amici al golf club, decide di organizzare un finto scontro a fuoco, nel quale il suo
36
Rebecca Tillett, “Reality Consumed by Realty: The Ecological Costs of ‘Development’ in Leslie Marmon Silko’s Almanac of the Dead”, European Journal of American Culture, 24, 2, 2005, p. 158.
confidente/tassista viene incaricato di sparargli al petto, così da provare a tutti l’infallibilità della veste; “What an exhibition they would see! Here was a man to be reckoned with – a man invincible with the magic of high technology.” (503) Dopo i tre colpi, Menardo cade a terra, in un lago di sangue. “A freak accident! How tragic! Microscopic imperfections in the fabric’s quilting; a bare millimeter’s difference and the bullet would safely have been stopped.” (509)
L’ossessione e la fiducia che Menardo mostra per il progresso tecnologico sono assolute; “The triumph of modern science – man-made fiber, rayon, nylon, and now the deceptively thin and soft fibers of ‘wonder fabric’ that stopped all bullets and knife blades” (497): la maglia antiproiettile è qui l’emblema dell’illusorio trionfo del “Man-made over the natural”38, che Silko ricorda essere destinato a fallire e soccombere davanti alla forza naturale del mondo.
La vicenda di Menardo e della sua veste antiproiettile mi ha riportato alla mente una storia per certi versi analoga, ricordata anche da Silko nel testo, riguardante la Ghost Dance, un movimento religioso diffusosi nell’Ovest americano durante la seconda metà del diciannovesimo secolo attorno alla figura di Wovoka, un profeta appartenente al gruppo Paiute. Wovoka affermava di aver ricevuto un messaggio dal mondo degli spiriti, che prevedeva la rinascita dei valori e della cultura amerindiana, guidata dagli antenati che sarebbero tornati in vita se chiamati attraverso la Ghost Dance. Il movimento si diffuse rapidamente tra le popolazioni native, provocando un’ondata di speranza e euforia, attirando però anche l’attenzione e il timore del governo americano, che passò a proibire
qualsiasi tipo di incontro e di aggregazione indiana, interpretando il movimento e la danza come minacce di imminenti insurrezioni.39
L’incomprensione e il malinteso hanno svolto un ruolo centrale nell’atteggiamento del bianco verso la Ghost Dance: ad esempio, si era sparsa la credenza che i canti e i movimenti della danza degli spiriti avrebbero reso invulnerabili gli indumenti indossati durante il ballo, e questa idea venne tradotta dall’uomo bianco come se si trattasse di un nuovo materiale, indistruttibile, a prova di proiettile. Silko analizza la reazione degli antropologi, che racchiude la differenza tra il sentire dei nativi americani e la loro concezione del mondo e della morte, rispetto a quella occidentale:
The anthropologists, who feverishly sought magic objects to postpone their own deaths, had misunderstood the power of the ghost shirts. Bullets of lead belong to the everyday world; ghost shirts belong to the realm of spirits and dreams. The ghost shirts gave the dancers spiritual protection while the white men dreamed of shirts that repelled bullets because they feared death.” (722)
Il rapporto con la morte è uno dei punti che distanziano di più la cultura nativa americana e quella bianca occidentale. Leslie Silko riesce a rendere bene questa contrapposizione, sottolineando come il bianco si sforzi in un rifiuto costante di non cedere alla morte, cercando di combatterla e di allontanarla. Come abbiamo avuto modo di notare nell’episodio di Almanac in cui Seese rimaneva interdetta davanti alle fotografie raffiguranti il corpo di Eric, tra i vari tentativi del bianco di gestire la morte troviamo anche la sua spettacolarizzazione, la sua esposizione più cruda, atta a suscitare orrore oppure da osservare con scientifico distacco, come appunto un “originale” modello di natura morta.
Al contrario, la cultura nativa accetta la morte vedendola come un passaggio necessario e fondamentale nella vita, che rimanda alla figura di quel cerchio in cui vita e morte si ricongiungono sempre. La scrittrice afferma: “Death and decay are not so negative. […] Down here in the Sonoran desert, death means life for some other creature; decay means food for some other creature. How selfish of us humans to always interpret death and decay as negative; we always assume it is us dead and decaying.”40 In Almanac Silko rinnova questo concetto, rendendolo con una scrittura inconfondibile:
The old people used to request that their remains be left out in the hills for the scavengers to eat. That way they started “living” again within a matter of hours, surging through the blood veins of a big coyote as she raced across the desert to suckle her pups. […] [He] didn’t mind being coyote shit because the rain carried the shit to the desert roots and seeds, and all kinds of beings and life. Fed back to the earth, [he] believed he would bound and leap in the legs of the mule deer and soar in the wings of the hawk. (608-9)
4.1.2 Brutalità verso l’ambiente naturale
“The Reign of Death-Eye Dog” presenta, come abbiamo avuto modo di notare, tratti maschili animaleschi e violenti, contrapposti all’idea del femminile dispensatore di vita, equilibrio e armonia. In Almanac of the Dead Silko tratteggia costantemente il parallelismo tra il modo in cui la terra e la donna vengono trattate in questa epoca: “The earth is repeatedly referred to as the Mother by various characters. […] Throughout the novel the word ‘rape’ is applied uniformly to land and women, and to the land as woman. [It is argued] that the white man’s gaping emptiness results from his having violated the mother earth.”41
40 Laura Coltelli, op. cit., p. 129. 41 Janet St. Clair, op. cit., 1996, p. 150.
Silko mette in stretta correlazione la violenza degli uomini nei confronti degli altri esseri umani con l’aggressività e il maltrattamento verso la terra; del resto, come afferma in Almanac, “Once the earth had been blasted open and brutally exploited, it was only logical the earth’s offspring, all the earth’s beings, would similarly be destroyed.” (718) La scrittrice approfondisce questo concetto in un’ interessante intervista, in cui sostiene che gli atti violenti nei confronti della terra e degli altri esseri umani sono diverse manifestazioni di una stessa rottura. La connessione tra la condizione dell’uomo e della terra è lampante;
Sexual violence and violence to the earth come from the same hideous urge, the same part of human existence. […] I believe that the reason sexuality comes out in this light is that Almanac of the Dead is talking about the last five hundred years. The sex, the rape, the mutilation, you know it’s there. You need to see it side by side with what’s been done with cultures and populations and geography to understand that. The two are very closely related. The two are intertwined. You can’t stop people from going nuts and raping eighty year old women and doing gruesome things until you stop doing gruesome things around the people who do these things. […] How can you stop having serial killings and the incredible violence? As long as people are still tearing mountains to pieces, that urge to tear things apart, stab and tear and destroy, of course, it’s going to come out in people.42
Per Silko la causa di questa spaccatura e della sofferenza che si manifesta in azioni disturbate e brutali è la “Disconnected view of the land, [which] stands in sharp contrast to the nonwhite characters, who are taught to pay close attention to and interact with the land in order to survive. This connection to the land provides spiritual sustenance.”43 Secondo l’autrice quindi gli episodi di violenza sono riconducibili a un’unica origine:
[People] had come with a deep sense that something had been lost. They all had given the loss different names: the stock market crash, lost lottery tickets, worthless junk bonds or lost loved ones; but [she] knew the loss was their connection with the earth. They all feared illness and physical change; since life
42 “Poetics and Politics: Leslie Marmon Silko”, op. cit., p. 10. 43 Channette Romero, op. cit., p. 625.
led to death, consciousness terrified them, and they had sought to control death by becoming killers themselves. (718)
Il distacco nel rapporto con la terra è la ragione alla base di diversi comportamenti irrispettosi e aggressivi dell’uomo. La scrittrice rimprovera al bianco l’atteggiamento di superiorità gerarchica che mostra nel rapportarsi con alcune categorie di esseri umani, esattamente come nei confronti della terra; ciò causa non solo forte noncuranza, ma soprattutto una visione a breve termine delle conseguenze delle loro azioni. Entrambi gli aspetti sono evidenti in Almanac nelle vicende che seguono il progetto di Leah, che sfrutta le conoscenze del marito mafioso per assicurarsi il buon esito del suo progetto: creare una “Little Venice” nel mezzo del deserto attorno a Tucson, in un complesso residenziale per facoltosi, circondato da fontane e canali con vere ninfee e gondole.
L’acqua ha un ruolo fondamentale: “People wanted to have water around them in the desert. People felt more confident and carefree when they could see water spewing out around them.” (374) Per Leah, trovare un quantitativo tale di acqua nel deserto non rappresenta un problema, disponendo di un enorme quantitativo di denaro, creando pozzi dal terreno. La scrittrice utilizza l’acqua per veicolare la sua critica contro la natura concepita solo come merce: “Silko addresses the overwhelming significance of water in the Southwest, whose scarcity and demand have combined to ensure that it has become not just one of the most sough-after commodities, but also a highly profitable industry.”44
Il personaggio di Leah esemplifica l’avidità del bianco interessato unicamente al proprio profitto, a discapito del sacrificio richiesto agli elementi naturali. “Individuals like Leah and multinational corporations […] pursue their
profits regardless of the costs; and […] simultaneously avoid and deny their own responsibilities to either culture or nature.”45 Secondo Leah, la realizzazione del progetto “Venice, Arizona” porterà denaro e successo in un territorio al momento sprecato: “Leah saw Mediterranean villas and canals where only cactus and scraggly greasewood grew from gray volcanic gravel.” (378)
Del resto agli occhi di Leah il deserto attorno a Tucson è cosa morta; “They [were] in the real estate business to make profits, not to save wildlife or save the desert. It was too late for the desert around Tucson anyway. Look at it. Pollution was already killing foothill paloverde trees all across the valley.” (375) Leah nega la sua responsabilità nella distruzione di un ambiente naturale, esattamente come il giudice corrotto che la autorizza a iniziare i lavori: “He had seen the evidence, the exhibits by hydrologists, in the water rights lawsuit. [He] didn’t care; he would probably not live to see it: Tucson and Phoenix abandoned by hundreds of thousands after all the ground-water had been consumed.” (651)
Leah mette i suoi sforzi nella creazione di un ambiente nuovo e migliore con cui sostituire il vecchio, ormai rovinato, esattamente come nel progetto di Serlo che, come abbiamo visto precedentemente, finanzia lo sviluppo di “Alternative Earth units, [which] would be loaded with the last of the earth’s uncontaminated soil, water, and oxygen and would be launched […] into high orbits around the earth.” (542) Attraverso questi personaggi la scrittrice punta il dito contro
The indifference that science demonstrates towards the land, and the lack of interest that science shows for creating a sustainable future for humanity on earth. […] The irony is the sheer amount of energy and cash that Serlo, [and Leah] are prepared to expend upon creating ‘alternatives’ rather than merely abandoning
the propensity, evident in the work of many scientists, toward shortsighted and short-term solutions.46
Per le critiche in esso contenute nei confronti di quei comportamenti basati su un rapporto immorale con la terra, e per la proposta di una collaborazione tra i popoli per un miglioramento delle condizioni del nostro pianeta, Almanac of the Dead è stato considerato un’opera coinvolta nel movimento definito Environmental Justice, “Doing global decolonial environmental justice cultural criticism many years before the field was named.”47
Nell’Ottobre 1991, alcuni delegati del First National People of Color Environmental Leadership si riunirono a Washington e stilarono il loro manifesto, “To begin to build a national and international movement of all peoples of color to fight the destruction and taking of our lands and communities, do hereby re-establish our spiritual interdependence to the sacredness of our Mother Earth.”48 I diciassette principi che compongono il manifesto sembrano quasi fare esplicito riferimento alle vicende contenute in Almanac, come ad esempio:
1. Environmental Justice affirms the sacredness of Mother Earth, ecological unity and the interdependence of all species, and the right to be free from ecological destruction. […]
3. Environmental Justice mandates the right to ethical, balanced and responsible uses of land and renewable resources in the interest of a sustainable planet for humans and other living things.
4. Environmental Justice calls for universal protection from nuclear testing, extraction, production and disposal of toxic/hazardous wastes and poisons and nuclear testing that threaten the fundamental right to clean air, land, water, and food.49
46 Ibidem, pp. 160-1.
47 T.V. Reed, “Toxic Colonialism, Environmental Justice, and Native Resistance in Silko’s
Almanac of the Dead”, MELUS, 34, 2, 2009, p. 25.
48 “Principles of Environmental Justice”, http://www.ejnet.org/ej/principles.html (Ultimo accesso:
03/07/2013)
Questo ultimo punto ci introduce all’analisi di un’ulteriore critica di Silko contenuta nelle sezioni ambientate nei pressi di Laguna, dove l’autrice denuncia le scorie nucleari lasciate dai bianchi a cielo aperto, trasportate dai corsi d’acqua e penetrate nel suolo. A partire dagli anni Quaranta, il governo federale scelse i territori del sudovest americano per condurre i test sulla bomba atomica, continuando poi con le armi nucleari, ai quali si aggiunse l’estrazione dell’uranio in tutta la regione dei Four Corners.50
In queste decisioni sembra quasi di rivedere il pensiero di Leah a proposito di quelle terre che lei definisce sprecate; “What is effectively ‘ecocide’ occurs in carefully located Southwestern areas, where land that is defined as ‘spoilt’ […] can ultimately be opened up to even greater exploitation.”51 Il conseguente inquinamento radioattivo è ormai una realtà nelle terre del sudovest americano. Silko sceglie proprio un paesaggio rovinato e violentato dalle scorie come scenario per una delle vicende più significative del romanzo che racchiude tutta la forza di Almanac, ma di questa storia ci occuperemo nella sezione sulla profezia contenuta nel testo.
In Almanac of the Dead Silko non si limita soltanto a puntare il dito contro le atrocità del mondo e i comportamenti violenti, ma arriva a immaginare uno scenario in cui questa realtà ha portato a un’azione pratica per cambiare lo status
50
“The vast majority of significant nuclear testing in the United States has occurred upon, or directly adjacent to, reserved Native lands. The atomic bombs used at Hiroshima and Nagasaki were developed and tested upon lands seized from the Mescalero Apache, and which are adjacent to their contemporary reservation at White Sands, New Mexico; and the Nevada test site, that continues to threaten both Las Vegas and the Yosemite National Park with radioactive contamination, is based upon lands illegally seizes from the Western Shoshone and the Southern Paiute. Additionally, radioactive waste from the Los Alamos National Laboratory is stored adjacent to San Ildefonso Pueblo; the proposed site for America’s sole high-level nuclear waste repository is Yucca Mountain, a region sacred to the Western Shoshone and Southern Paiute; and the mining and preparation of uranium ore continues on Diné, Hopi, Pueblo, and Ute lands throughout the Southwest.” Rebecca Tillett, op. cit., 2005, p. 161.
quo del mondo. La scrittrice crea un gruppo di attivisti chiamato “Green Vengeance”, “an extremist group that declares its members to be ‘eco-warriors’, devoted to upholding environmental justice through direct action against the environmental abuses of federal government and corporate industry.”52
Attraverso questo gruppo Silko trasforma in azione la risposta al malessere causato dalle tendenze nocive dell’epoca di Death-Eye Dog: alcuni esponenti decidono di ricoprirsi di dinamite, e fanno saltare in aria la Glen Canyon Dam, una diga realmente esistente in Arizona posta lungo il corso del fiume Colorado, distruggendola, in quanto “Icon of capitalism’s triumph over nature.”53 In Almanac veniamo a sapere che alcuni dei protagonisti di questa azione sono malati di AIDS, “Who have chosen to make their deaths count where their lives have not. […] In Almanac it is these (soon to be) dead that have the power to bring environmental justice a step closer.”54
Quando la loro azione viene etichettata come atto di terrorismo, Silko coglie l’occasione per darci una nuova versione di quelli che sono i veri atti di terrorismo di cui siamo vittime ogni giorno:
Poisoning our water with radioactive wastes, poisoning our air with military weapons’ wastes – those are acts of terrorism! Acts of terrorism committed by governments against their citizens all over the world. Capital punishment is terrorism practiced by the government against its citizens. United States of America, what has happened to you? What have you done to the Bill of Rights? All along we Native Americans tried to warn the rest of you; if the U.S. government kills us and robs us, what makes the rest of you think the U.S. government won’t rob and kill you too? Look around you. Police roadblocks. Police searches without warrants. Politicians and their banker pals empty the U.S. Treasury while police lock up the homeless and poor who beg for food. (734)
52 Ibidem, p. 166.
53 Bridget O’Meara, op. cit., p. 70.
4.2 Sofferenza gratuita o invito all’azione?
Durante la mia prima lettura del romanzo mi sono spesso chiesta che cosa avesse provocato in Silko il pensiero e l’immaginazione di una realtà così abominevole come quella descritta nel romanzo, ma soprattutto se ci fosse, e quale fosse, il motivo alla base della scelta dell’autrice di metterla per iscritto e di consegnare al mondo un’opera così intrisa di violenza. Più volte ho provato un sentimento di avversione nei confronti della scrittrice per la sua decisione di inserire tutto l’orrore presente nei ritratti di una durezza al limite del (mio) sopportabile, chiedendomi se fossero stati davvero necessari.
Sicuramente non sono l’unica lettrice ad avere avuto questi pensieri, e nemmeno la sola ad essere stata costretta da Almanac a una lunghissima serie di riflessioni sulle motivazioni di Silko, e soprattutto di considerazioni su quello che la scrittrice ha descritto. Dopo una prima fase di rifiuto, in cui cercavo di ricordare a me stessa che si trattava di un’opera letteraria, ha cominciato ad insinuarsi il dubbio sul fatto che forse la realtà raffigurata in Almanac non fosse poi così lontana da quella in cui viviamo: è solo in questa fase che è iniziato il vero processo di conoscenza e riflessione provocato dal romanzo.
Ho trovato molto interessante il seguente passo, che racchiude e definisce perfettamente le mie considerazioni a riguardo:
Despite the depravity of its characters, Almanac is not a gratuitous display of perversion and decadence; on the contrary, the novel elicits moral judgment from its readers. The very fact that we know that these characters are horrific reinforces our own sense of right while it marks how far we have deviated from that sense as a society. […] Almanac of the Dead is a moral statement as much as anything else, and it calls us to judge the society that we all have made through greed and ecological apathy. Silko bares all, pulls no punches, and leaves us exhausted from the sheer force of our own moral outrage. That anger is a function of her stripping away the veneer of ambiguity that covers the moral fabric of America and showing us the ugly acts underneath. Almanac is the antithesis of
morality by obfuscation; instead, it offers us a clear choice between creation and destruction.55
Nel contatto con Almanac il lettore non può rimane spettatore, ma è attivamente invitato a schierarsi e prendere posizione, proprio secondo la volontà di Silko, che afferma: “I wanted the reader to know the stories of the different characters from the inside, through the eyes of these characters. I wanted the reader to feel what the characters felt so the reader cannot distance himself from the history the almanac recounts.”56
Che lo voglia o meno, una volta avvicinatosi a Almanac of the Dead, il lettore non può evitare di iniziare una serie di riflessioni che hanno come punto di partenza le storie contenute nel romanzo; infatti, “The text also tries to […] encourage individuals to change their perspectives quickly once they have had certain dreams, listened to particular spiritual leaders, or perhaps read the novel itself.”57 Il lettore si ritrova quindi al centro del potenziale sviluppo dell’azione, sul punto di mettere in atto le riflessioni condotte durante la lettura. Quasi si fosse messa d’accordo, a proposito delle storie Silko scrive: “The words of the stories filled rooms with an immense energy that aroused the living with fierce passion and determination for justice.” (520)
Per rispondere all’interrogativo iniziale –perché la scelta di rappresentare un mondo così putrido – ci viene in aiuto la stessa Silko quando afferma che Almanac of the Dead è come “An ogre Katchina to scare bad kids. It’s like, read this and be horrified, and then don’t let it be this scenario – let [the fulfillment of
55 Gregory Salyer, Leslie Marmon Silko, New York, Twayne Publishers, 1997, p. 99. 56 Laura Coltelli, op. cit., p. 126.
the prophecy] be the other scenario.”58 Forse il mondo contenuto nel romanzo è come le storie di infanzia popolate da mostri e streghe: fin da piccoli siamo spinti a riconoscere il male e a dargli un nome, e solo in questo modo si potrà poi cercare di combatterlo e apportare dei miglioramenti.
“Almanac […] is a ceremonial enactment. Silko’s Almanac is the almanac the characters in the narrative seek to restore. Almanac enacts an exorcism that requires that all evil spirits be fully evoked and dramatized before we can collectively banish them.”59 Una volta entrato in contatto con il romanzo, al lettore sono lasciate la scelta e la libertà di come (re)agire: Almanac of the Dead è lo spunto da cui far partire le proprie riflessioni e, forse, anche delle vere e proprie azioni di cambiamento.
58 Linda Niemann, op. cit., p. 111. 59 T.V. Reed, op. cit., p. 34.