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. ANTOLOGIA DI BRANI SCELTI CON TRADUZIONE ITALIANA

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. ANTOLOGIA DI BRANI SCELTI CON TRADUZIONE ITALIANA

Si presenta qui una piccola selezione di brani tratti prevalentemente dal Macaire

della Geste Francor, ma anche dalle prose castigliana e mediofrancese, poiché si

tratta delle versioni romanze più articolate della Chanson de la Reine Sebile. Essi

riguardano le scene principali analizzate nelle pagine precedenti per permetterne

una migliore comprensione degli aspetti linguistici, stilistici e contenutistici e il

confronto fra i corrispettivi passaggi nelle tre versioni consente di coglierne

facilmente analogie e differenze.

I criteri editoriali utilizzati si rifanno all’edizione Rosellini per quanto riguarda il

testo franco-italiano, coerentemente con tutti i riferimenti di versi e le citazioni

in corso d’opera, e alla raccolta di Tiemann, con minime varianti grafiche, per le

due messe in prosa, per le quali il riferimento al testo comprende il numero del

paragrafo e delle pagine corrispondenti

1

. Si è scelto di porre la traduzione a

fianco del testo per quanto riguarda le parti in versi, mentre le parti in prosa

vedono l’alternanza di testo originale e testo in italiano. I glossari di Rosellini e

Zarker Morgan

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si sono rivelati uno strumento indispensabile per la traduzione,

che non può avvalersi di grammatiche nel caso del franco-italiano, e che rimane

in molti casi il frutto di ipotesi basate sulle concordanze del testo e sul significato

del contesto. Tuttavia si è tentato di effettuarla nel modo più letterale possibile,

per permettere un riconoscimento immediato dei passaggi e dei termini, nei

limiti della comprensione e della piacevolezza di lettura.

1 Rispettivamente ROSELLINI 1986 e TIEMANN 1977.

2 ZARKER MORGAN 2009; per quanto riguarda il Macaire si è effettuato un confronto testuale con questa edizione, ma le varianti rilevate non sono state qui riportate perché ininfluenti ai fini della traduzione.

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1. MACAIRE. L’INIZIO, ALLA CORTE DI PARIGI - vv. 13501-28.

Il poema franco-italiano si apre con la presenza di Machario, connotato da subito

negativamente, alla corte di Carlo Magno. Apparentemente compagno fidato del

re, medita in realtà di disonorarlo, seducendo la regina sua moglie. Mentre

Blançiflor si sta svagando in giardino in compagnia di altre dame, Machario arriva

per

proporle

senza

ambiguità

la

sua

indecente

proposta.

Tant avoit fato li traitor losençer Con son avoit e besant e diner Qe in la cort son amà e tenu çer E con li rois vont à boir e à mençer, E un li est de lor plu ançoner: 13505

Machario de Losane se fait apeler. Or entendés del traitor losençer

Como vose li rois onir e vergogner, E por forçe avoir sa muler:

Qe una festa del baron san Riçer 13510 La çentil dame estoit en son verçer,

Cun mante dame s’estoit à deporter, Si se fasoit davanti soi violer E una cançon e dir e çanter;

E Machario entrò en el verçer, 13515 Avec lui avoi[t] manti çivaler,

E començò la dama à donoier: «Dama», fait il, «ben vos poés vanter. Sor tot dames qe se poust trover Plus bela dama hon non poust reçater,13520 E ben estoit un gran peçé morter

Quant un tel home v’oit governer. Se moi e vos s’aumes acompagner, Plus bela conpagne non se poust trover Por gran amor e strençer e baser». 13525 La dama l’olde, si le prist à guarder, E en riando si le prist à parler:

«Ai sirMachario, vu si e pro e ber…» Tanto aveva fatto il traditore lusingatore Con i suoi averi e bisanti e denaro Che alla corte è amato e gli si è affezionati E con il re vanno a bere e a mangiare, Ed è uno dei più anziani: Machario di Losanna si fa chiamare. Ora ascoltate del traditore lusingatore Come volse il re offendere e svergognare, E per forza prendere sua moglie: A una festa del nobile san Riccardo, La gentildonna era nel suo verziere, Con molte dame si stava divertendo, Facendosi suonare davanti ua viola E una canzone dire e cantare; E Machario entrò nel verziere, Con lui aveva molti cavalieri, E cominciò a corteggiare la dama: «Dama», disse, «voi potete ben vantarvi. Di tuttele dame che si possano trovare Più bella dama (di voi) nessuno può trovare, Ed è proprio un peccato mortale, Che un tale uomo vi abbia come moglie. Se voi ed io osassimo metterci insieme, Più bella coppia non si potrebbe trovare Per grande amore e passione e baci». La dama lo ascolta, lo guarda E ridendo così iniziò a parlargli:

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2. MACAIRE. IL COINVOLGIMENTO DEL NANO NEL TRADIMENTO ORDITO DA

MACHARIO – vv. 13565-89.

Nella narrazione franco-italiana il nano è un personaggio già presente alla corte e

in intimità con i sovrani; ma il Maganzese non ha difficoltà a convincerlo a fare i

suoi interessi, su promessa di una lauta ricompensa.

U[n] nano estoit en la cort l’inperé;13565

Dal rois e da la raina estoit molto amé.

C’era un nano alla corte dell’imperatore; dal re e dalla regina era molto amato. Machario ven à lui, si l’oit aderasné:

«Nan», fait il, «en bon ora fusi né, Tanti te donarò de diner moené

Qe richi fara tuto ton parenté, 13570 Se tu fara la moia volunté ».

E cil le dist: «Ora si comandé Ço qe vos plas, e son aparilé». Dist Machario: «Ces voio que vu façé: Quando à la raina serés acosté, 13575 Vu le dirés de moia belté, E s’ela faist la moia volunté, Plu bela compagnia non seroit trové». Dist li nan: «Ora plu non parlé. Quando cun le eo serò acosté, 13580 Meio le dirò qe no m’avés conté». Dist Machario: «In bona ora fus né, Tant avoir el te sera doné Richo fara tuto to parenté». Dist li nan: «De nian vos doté». 13585 De lu se parte tuto çoiant e lé, E Machario fo à sa maçon torné, Çoiant fo e baldo et alé. Et à la cort fo li nan alé.

Machario venne da lui per parlargli «Nano», gli disse, «nascesti fortunato, tanto ti darò di denaro contante che farai ricchi tutti i tuoi parenti, se tu farai ciò che io voglio». Quello gli rispose: «Ora comandatemi ciò che vi piace , io sono pronto». Disse Machario: «Voglio che facciate ciò:

quando sarete vicino alla regina, voi le parlerete della mia bellezza, e che se lei facesse la mia volontà,

compagnia più bella non troverebbe». Disse il nano: «Non dite altro. Quando io sarò al suo fianco, le dirò meglio di come mi avete suggerito».

Disse Machario: «Nascesti fortunato,

tanta ricchezza ti sarà donata che farai ricco tutto il tuo parentado».

Disse il nano: «Non preoccupatevi di nulla» Da lui si allontana tutto allegro e lieto, e Machario tornò al suo palazzo, era contento, baldanzoso e lieto. E frattanto a corte si recò il nano.

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3. PROSA SPAGNOLA. L’ARRIVO DEL NANO ALLA CORTE DI CARLO MAGNO –

Tiemann, ll. 22-37/1-4, pp. 33-34.

In entrambe le prose si assiste al momento in cui il nano arriva a corte; questo

essere mostruoso è la causa scatenante dell’intera la vicenda, qui anticipata.

Entonçe llego un enano en un mulo mucho andador, e deçio e entro por el palacio e fue ante el rrey. El enano era tal que de mas laida catadura non saberia omne fablar. El era gordo e negro e beçudo e avia la catadura muy mala e los ojos pequennos e encouados e la cabeça muy grande e las narizes llanas e las ventanas d’ellas muy anchas e las orejas pequennas e los cabellos erizados e los braços e las manos vellosas commo osso e canos. Las piernas tuertas los pies galindos e rresquebrados. Atal era el enano commo oydes. E començo a dar grandes bozes en su lenguaje e a dezir: «Dios salue el rrey Carlos e la rreyna e todos sus privados». «Amigo, dixo el rrey, bien seades venido, mucho me plaze convusco e fazervos-he mucho bien ssy comigo quesierdes fincar, ca me semejades muy estranno omne». «Sennor, dixo el, grandes merçedes, e yo servirvos-he a toda vuestra voluntad». Entonçe se asentò ant’el rrey mas Dios lo confonda. Por el fueron despues muchos cabellos mesados e muchas palmas batidas e muchos escudos quebrados e muchos caualleros muertos e tollidos, e la rreyna fue judgada a muerte e Francia destruida grant parte, asi commo oiredes, por aquel enano traidor que Dios confonda.

Allora arrivò un nano su un mulo che aveva camminato parecchio, ne scese ed entrò a palazzo e si mise davanti al re. Il nano era tale che una creatura più brutta non saprebbe descriverla nessuno. Egli era grasso e nero e pigro e aveva un aspetto maligno e gli occhi piccoli e incassati e la testa molto grande e le narici piatte e molto larghe, e le orecchie piccole e i capelli irti e le braccia e le mani villose come gli orsi e i cani. Le gambe storte i piedi rattrappiti e squamati. Questo era il nano come udite. E iniziò a gridare nella sua lingua e dire: «Dio salvi re Carlo e la regina e tutti i suoi vassalli». «Amico, disse il re, siete benvenuto, mi fa molto piacere e vi tratterò così bene che desiderete rimanere con me, poichè mi sembrate un uomo molto starno». «Signore, disse, molte grazie e io vi servirò qualsiasi sia la vostra volontà». Quindi si sedette davanti al re, che Dio lo confonda. A causa sua più tardi si strapparono i capelli e batterono i palmi delle mani3 e molti scudi frantumati e molti cavalieri morti, e la regina fu giudicata a morte e la Francia distrutta per gran parte, così come ascolterete, per quel nano traditore che Dio lo confonda.

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Indicano la manifestazione di un dolore indicibile. Sono gesti che rimandano alla ritualità più antica, testimoniata fin dalla letteratura greca e latina.

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4. PROSA MEDIOFRANCESE. L’ARRIVO DEL NANO ALLA CORTE DI CARLO

MAGNO – Tiemann,ll. 2-27, p. 191.

Qui la descrizione viene resa ancora più dettagliatamente, attraverso l’uso

di numerose similitudini, e si sottolinea l’aspetto diabolico del nano.

Sy advint ung jour que l’empereur seant a son mengier arriva a sa court ung nayn petit bossu et contrefait dont l’istoire veult bien raconter la façon pour ce que tous ceulx qui leans le veirent venir s’en mervillerent. Il estoit petit comme d’un pié et demy de haulteur, sa chiere noire, sa face espoventable courte, eschine courbe et bossue, la chevelure noire et aspre comme crine de cheval rebours et herupé comme sangler qui est eschauffé et malmeu, le nez de son visage plat comme d’un singe, les yeulx noirs et petits comme d’un rat, ses oreilles courtes comme s’il n’eust nulle apparance, le menton menuet et velu comme poil d’ours, les jambes si courtes qu’il sambloit qu’il fust par despit getté sur l’arçon de la selle d’un cheval qu’il chevauchoit, adont si le poursivoient les garçons cuisiniers et d’autres offices eulx seignans de la fantosme qu’ilz cuidoient veoir leans entrer. Et comme s’il feust chose faee passa oultre et vint en sale dessendi du cheval et salua l’empereur qui emprés la royne estoit au mengier assis.

Helas quelle maleureuse survenue d’icellui nayn, comment peust Nature soy entremettre d’un tel ouvrage faire non mie faire, car c’estoit une faulture contrefaitte par ouvrage diabolique ou fanchasmatique que aventure qui ne point ne repose avoit illecq amenee a la confusion et au deshonneur de l’empereur et de la noble empereis qui moult ententivement le regardoient en eulx mervillant dont ce pouoit venir. Ex plus s’esbahirent quant ilz l’oÿrent parler et dire haultement: «Cellui Dieu qui tout fist et qui tout soustient vueille l’empereur Charlemaine garder comme le plus hault plus exelent et plus vaillant prince du monde, et la royne qui decoste lui siet comme la plus belle qui oncques passast par les mains de Nature».

Così avvenne un giorno che mentre l’imperatore sedeva alla sua tavola arrivò a corte un nano piccolo e gobbo e deforme di cui la storia vuole bene raccontare l’aspetto perché tutti quelli che lì lo videro venire se ne meravigliarono. Egli era piccolo all’incirca di un piede e mezzo di altezza, la sua carnagione nerastra, la sua faccia spaventosamente contratta, la schiena curva e gobba, la capigliatura nera a e ispida come crini di cavallo ,ribelli e ritti come di un cinghiale che è ostile ed eccitato, il naso del suo viso piatto come quello di una scimmia, gli occhi piccoli e neri come quelli di un ratto, le sue orecchie corte che sembrava non averle, il mento minuto e villoso come la

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pelle di un orso, le gambe così corte che sembrava che fosse stato gettato per dispetto su l’arcione della sella di un cavallo che cavalcava. Perciò lo seguivano con lo sguardo gli sguatteri delle cucine e addetti agli altri servizi facendosi il segno della croce poiché credevano di aver visto entrare un fantasma. E come se fosse un essere stregonesco, passò oltre e arrivò in sala, scese da cavallo e salutò l’imperatore che era seduto a tavola di fianco alla regina.

Ahi che disgrazia fu l’arrivo di quel nano, come avesse potuto la Natura intromettersi in una tale creatura, poiché essa era di fattura contraffatta per opera diabolica o fantastica, che l’avventura che non si ferma e non riposa aveva lì condotta per la confusione e il disonore dell’imperatore e della nobile imperatrice, i quali lo guardavano molto attentamente meravigliandosi di dove potesse venire. E ancor più si sbalordirono quando lo sentirono parlare e dire ad alta voce: «Quel Dio che tutto creò e che tutto governa voglia aver cura dell’imperatore Carlo che è il più alto, il più eccellente e il più valoroso principe del mondo, e della regina che accanto a lui siede che è la più bella creatura mai fatta dalla Natura».

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5. MACAIRE. LA SCOPERTA DEL CADAVERE DI ALBARIS, IL SOSPETTO SU MACHARIO E

L’INTERVENTO DI NAMO – vv. 14382-432.

Insospettiti dal comportamento del cane che sembra quello di Albaris, il quale si

presenta a corte ogni tre giorni e cerca di aggredire solo il Maganzese, Carlo e i suoi

baroni lo hanno seguito fino al prato, dove scoprono il cadavere del cavaliere. È Namo

ancora una volta, su preghiera del re, ad esprimere un’opinione sul da farsi; ma come

ricorda al sovrano è lui a doversi dimostrare all’altezza del ruolo che occupa.

Quant l’inperer oit pris à guarder

Conoit li palafroi d’Albaris en primer, Et in apreso conoit li levrer. Çascun començe altamente à crier: 14385

«Questo è gran dalmaço, nobel enperer». K[arles] apela dux N[aimon] de Baiver: «Conselés moi, je vos voio en proier». E dist N[aimes]: «Questo no se po çeler, Qe de la justisie si fait li levrer: 14390 Colu q’el plu ait sa tot le mester.

Ora faites Macario pier, Q’el vos savera tot li voir conter. E a Paris faron li corpo aporter,

E altamente li faro enterer. 14395 De la justisie pois averon demander».

Dist l’inperer: «Vu parlés como ber. Ço qe vos plait non voio contraster». Adoncha fair Macario pier,

A soa jent ben le fait guarder. 14400 Li corpo è fraido, nul homo li voit toçer,

Erbe prendent oliose e cler, Al meio qe il poit le fi à Paris porter. Con gran honor le font enterer. Do! Cu le plure, peon e çivaler, 14405 Dame e polçele e petit baçaler.

Quando fo seveli, li rois retorna arer

Quando l’imperatore si mise ad osservare, riconobbe per primo il palafreno di Albaris,

e subito dopo riconobbe il levriero. Ciascuno comincia a gridare a gran voce:

«Questo è grave danno, nobil imperatore». Carlo chiama il duca Namo di Baviera:

«Consigliatemi, ve ne prego». E disse Namo: «Questo non si può celare,

che il levriero si sta facendo giustizia: colui ch’egli più odia conosce tutto l’affare.

Ora fate prendere Macario, che lui vi saprà raccontare tutta la verità.

E a Parigi faremo portare il cadavere e solennemente lo farò seppellire. Della giustizia poi avremo a domandare». Disse l’imperatore: «Voi parlate da prode. Ciò che vi piace non voglio contrastare».

Fa dunque prendere Macario, dai suoi lo fa custodire attentamente. Il corpo è putrido, nessuno lo vuol toccare,

prendono erbe oleose e chiare, al meglio possibile lo fece portare a Parigi.

Con grandi onori lo fanno seppellire. Ah! Come lo piangono, contadini e

cavalieri, dame, fanciulle e giovanotti. Quando fu seppellito, il re torna indietro

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Et avec lui dux N[aimes] de Baiver.

Tota la jent començent à crier,

Pur de justisia prendent à roier. 14410 E li rois se fait Macario amener.

«Machario»,fait il,«molto me poso merveler

Quand’eo t’oldo à tota jent acuser De la mort d’Albaris qe era pro e ber.

Droit al can te veço calonçer: 14415

Se tu a morto Albaris, qe est de ma muler?

Qe Albaris eo la dè à mener En estranço pais por mon cors vençer». Dist Macario: «Bon rois, lasez ester

Queste parole à moi aderasner. 14420 Mais no le fi ne no l’avi en penser, E qi de ço me vole calonçer Apresté sui por bataia proer». A ste parole ven N[aimes] de Baiver,

Oldi li traito si altament parler, 14425 Por li so parente no le olsa nul contraster.

N[aimes] le guarda, n’ait en lui qe irer. E dist al roi: «Or le lasez aler E prendés conseil da li ves çivaler,

De le çuçer fari à son loer. 14430

E se por paure vu ve retra arer, Nen seri degno d’eser mai enperer».

e con lui il duca Namo di Baviera. Tutta la gente comincia a gridare, Perché sia fatta giustizia iniziano a pregare. E il re si fa condurre davanti Macario. «Machario», disse, «molto mi meraviglio quando ti sento accusare da tutta la gente della morte di Albaris che era molto prode. Direttamente dal cane ti vedo contestare:

se hai ucciso Albaris, che ne è di mia moglie? Poiché ad Albaris la diedi da accompagnare in un Paese straniero per vendicarmi».

Disse Macario: «Buon re, cessate di rivolgermi queste parole. Non l’ho mai né fatto né pensato, e contro chi di questo mi vuole calunniare sono pronto a combattere in duello». A queste parole arriva Namo di Baviera, udì il traditore così parlare a gran voce, per i suoi parenti nessuno osa contrastarlo. Namo lo guarda, non c’è in lui che rabbia. E disse al re: «Ora lasciatelo andare e fatevi consigliare dai vostri cavalieri, il giudizio regolerete sul loro parere. E se per paura vi tirerete indietro, non sarete più degno d’esser imperatore».

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6. I FRAMMENTI ANTICOFRANCESI. LA FINE DELL’EXEMPLUM DI MERLINO

ADDOTTO DA NAMO PER SOSTENERE L’ACCUSA CONTRO MACHARIO –

Tiemann, vv. 1-14, pp. 321-2.

L’aneddoto raccontato da Namo su Merlino compare in questi frammenti e nelle

prose castigliana e mediofrancese, mentre è assente dal resto della tradizione

della Chanson de la Reine Sibile. I frammenti di Sheffield ne contengono solo

l’ultimissima parte, quella riguardante il comportamento dell’asino e la fedeltà

del cane, ma le analogie con le messe in prosa sono tali, a cominciare dal nome

di Merlino, da lasciar supporre con ragionevole certezza un racconto

complessivamente identico. Soprattutto è finalizzato allo stesso scopo: sulla base

della fedeltà canina testimoniata anche da autorevoli racconti degli antichi, si

può formulare il verdetto che imponga a Machario di duellare contro il levriero,

unico difensore presentatosi per vendicare Aubri.

«[…] faite de grant baston quarrez Cum plus l’averai batu, plus ert adountez E meuz en ert le fes desor son dos portez. Tel manere a li asne, ceo dist l’autoritez. Sire, veez ci mon chen, c’est meuns amis privez; 5 Si m’aït icil sire qu’en croiz fu peinez Cum jeo n’ai nul ami dount soi meuz amez Quant jeo l’ai taunt batu, a pou ne l’ai tuez, E jeo l’apel a moi, a lui di: Ça venez!, Lors me coneust mes chens, s’est vers moi aclinez».10

«Seinors»,ceo dist duc Names,«par Deu de majestez, Issi irra Merlin cum vous oï ore avez». «[S]eignors»,ceo dist duc Nemes,«entendez mon pensé: Jugement vous dorreie, si vous [v]endroit a gré».

«[…]fatto con un grande bastone quadrato Quanto più l’avrò battuto, più sarà abbattuto, E meglio porterà le fascine sopra il suo dorso. Questa è l’attitudine dell’asino, così affermano. Signore,vedete il mio cane,il mio miglior amico; Mi sia testimone colui che fu crocefisso, Che non ho un amico da cui siam meglio amato

Quando l’ho battuto tanto,quasi non l’ho ucciso, E io lo chiamo a me e gli dico: Venite qui!, Allora il mio cane mi conosce e viene da me» «Signori», disse Namo,«per Dio onnipotente, Così fu lasciato andare Merlino come voi avete udito». «Signori», disse Namo, «ascoltate il mio pensiero: Un giudizio voi ne avrete, se vi sembra giusto».

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7. LA PROSA CASTIGLIANA: LA SCOPERTA DEL CADAVERE DI ALBARIS, IL

SOSPETTO SU MACHARIO E L’EXEMPLUM DI MERLINO SULLA FEDELTÀ DEI CANI

– Tiemann, ll. 35-37/1-15/21-37/1-24, pp. 51-4.

È il passaggio che corrisponde a quello precedente tratto dal Macaire. Nella

prosa castigliana si vede una maggiore estensione descrittiva, un ruolo differente

di Carlo e Namo e si ha, a differenza del testo franco-italiano, l’intervento di uno

del clan dei Maganzesi a difesa del parente.

En tal guisa se fue el enperador e sus omnes buenos con el. El caualgaron fasta en la floresta, e el galgo yua delante que fazia muy fiero senblante de los guyar e de los leuar a la floresta que nunca se detouo y fuese por el camino que sabia que yua derecho a la fuente do su sennor yazia muerto. E todos yuan en pos el, e desque llego a su sennor, descobriolo de la yerua que sobre el echara. Quando esto vio el enperador, e los que con el andauan, fueron esmarridos e el decio primero. E quando conoscio que aquel era Auberi de Mondisder, començo a llorar e a fazer el mayor duelo del mundo. «Amigos dixo el enperador esto non puede ser negado. Vedes aqui Auberi do yaz muerto a que yo mande que guardase la rreyna e la guiase, yo non sse d’ella do se fue: mas dixieronme que Macaire fuera en pos ellos, solo sin companna muy ascusamente, e yo cuydo que este lo ha muerto; mas para aquel sennor que todo el mundo fizo que esta traicion non sera tan encobierta que yo non faga descobrir. E si sse Macayre ende non puede saluar, non escapara que por ende non sea enforcado». Entonçe començaron a fazar tan grant duelo por Aubery que marauilla ca mucho lo preçiauan todos de sseso e de lealtad e de cortesia.

In tal modo andarono l’imperatore e i suoi uomini valenti con lui. Essi cavalcarono fino alla foresta, e il levriero andava davanti, con fiero portamento per il fatto di guidarli e condurli alla foresta, che mai si perse e andò per il tragitto che sapeva che portava dritto alla fonte dove il suo padrone giaceva morto. E tutti andavano dietro a lui, e quando arrivò dal suo padrone, lo scoprì dell’erba che gli aveva gettato sopra. Quando l’imperatore vide questo, e quelli che erano con lui, furono sgomenti e il re scese per primo da cavallo. E quando riconobbe che quello era Auberi de Mondisdier, cominciò a piangere e a manifestare il dolore più grande del mondo. – Amici, disse l’imperatore, ciò non può essere negato. Vedete qui Auberi dove giace morto, colui che io inviai perché facesse guardia alla regina e la guidasse, io non so lei dov’è andata: ma mi hanno detto che Macario andò dietro loro, solo senza compagnia, molto di nascosto, e io credo che lui lo ha

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ucciso; ma per quel Signore che creò tutto il mondo, questo tradimento non sarà tanto nascosto che io non venga a scoprirlo. E se Macaire alla fine non può salvarsi, non sfuggirà alla condanna per impiccagione. Quindi cominciarono a levare grandi lamenti per Auberi poiché lo apprezzavano tutti molto per le sue qualità, per la sua lealtà e cortesia.

[Entrando a Parigi tutto il popolo lo piange, il re si prende cura del levriero, ma anche quello non

fa che disperarsi. Intanto viene convocato il consiglio dei baroni per decidere cosa fare di Macaire: il primo a prendere la parola è un Maganzese che considera il cane una prova assolutamente inattendibile. Prende allora la parola Namo per dimostrargli il contrario].

Quando los rricos omes oyeron asi fablar a Galalon, non osaron y al dezir porque era de muy alto linage e muy poderoso. Mas el duque don Aymes se erguyo entonçe e dio bozes e dixo: «Varones oydme lo que uos quiero dezir. Galalon ssabera muy bien un buen consejo dar, mas por otro consejo auemos aqui menester de auer de guisa que non cayamos en verguenna de rrey: vos bien sabee que quando el rrey echo su muger de su tierra que la dio a Auberi de Mondisder que la guiase, onde aquel que lo mato ha fecha grant onta al rrey e grant yerro. E quando el mouio de aqui con la rreyna leuo consigo este galgo porque lo amaua mucho. Mucho leal es el amor del can, esto oy prouar: ninguno non puede falsar lo que ende dixo Merlin ante es grant verdat lo que ende profetizo onde aueno asy que Çesar el enperador de Rroma lo tenia en presion. E este fue aquel que fizo las carreras por el Monte Paues; un dia fizo venir ante ssy a Merlin por lo prouar de ssu seso e dixole: - Merlin, yo te mando commo amas tu cuerpo que tu trayas ante mi a mi corte tu joglar e tu sieruo e tu amigo e tu enemigo. – Sennor, dixo Merlin, yo vos los traere delante sy los yo puedo fallar. – Sennores, dixo el duque don Aymes, verdat fu eque el enperador tiro de presion a Merlin e el fuese a su casa e tomo su muger e su fijo e su asno e ssu can. E troxolos a la corte ante el enperador e dixole: - Sennor vedes aqui lo que me demandastes. Catad esta es mi muger que tanto es fermosa e de que me viene mi alegria e mi solaz e a quien digo todas mis poridades; mas pero si me viene alguna enfermedat ya por ella non sere confortado, e si acaesçiese asi que yo ouiese muertos dos omnes porque deuiese ser enforcado, e ninguno lo sopiese fuera ella solamente, si con ella ouiese alguna sanna e la feriese mal: luego me descobriria. E por esto digo que este es mi enemigo, ca tal manera ha la muger, asi diz la otoridat. Sennor vedes aqui mi fijo: este es toda mi vida e mi alegria e mi salut; quando el ninno es pequenno tanto lo ama el padre e tanto se paga de lo que diz que non ha cosa de que tanto se paque, nin de que tal alegria aya, e por ende le faz quanto el quier. Mas despues, que es ya

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grande, non da por el padre nada. E ante querria que fuese muerto que biuo, en tal que le fincase todo su auer, tal costunbre ha el ninno. Sennor vedes aqui mi asno, que es todo dessouado: çertas que aqueste es mi sieruo ca tomo el palo e la vara e dole grandes feridas e quanto le mas do tanto es mas obediente, desi hecho la carga en çima d’el e lieuala por ende mejor, tal costunbre ha el asno, esta es la verdat. Sennores vedes aqui mi can, este es mi amigo que non he otro que me tanto ame, ca ssi lo fiero mucho aunque lo dexe por muerto, tanto que lo llamo luego se viene para mi muy ledo e afalagame e esle ende bien; tal manera es la del can».

Quando i gentiluomini udirono così parlare Ganelone non osarono rispondergli perché era di lignaggio illustre e molto potente. Ma il duca Aymes si levò infine e parlò dicendo: «Baroni ascoltate ciò che ho da dirvi. Ganelone saprebbe dare molto bene un buon consiglio, ma di un altro consiglio abbiamo necessità in questo momento, in maniera di non incappare nella vergogna del re. Voi sapete bene che quando il re bandì sua moglie dal regno, la affidò ad Auberi de Mondisder perchè la guidasse; per cui chi l’ha ucciso ha fatto un grande oltraggio al re e un grave sgarro. Quando egli partì da qui con la regina, portò con sè questo levriero perchè lo amava molto; molto leale è l’amore del cane, questo posso provare, nessuno può contestare quello che disse Merlino, anzi, è una gran verità quella che profetizzò, questo avvenne quando Cesare l’imperatore di Roma lo teneva in prigione. Fu quello che corse attraverso il Monte Pavero (¿?) . Un giorno si fece portare davanti Merlin per mettere alla prova la sua intelligenza gli disse: - Merlino io ti chiedo, se ami la tua vita, che tu porti davanti a me e alla mia corte il tuo giullare, il tuo servo, il tuo amico e il tuo nemico. – Sire, disse Merlin, io ve li porterei davanti se posso trovarli.» - Signori, disse il duca Aymes, in verità l’imperatore tirò fuori di prigione Merlin che andò a casa sua e prese sua moglie e suo figlio e il suo asino e il suo cane. E li portò a corte davanti all’imperatore dicendogli:

- Sire, vedi qui ciò che mi hai domandato. Vedi , questa è mia moglie che è tanto bella e dalla quale viene la mia allegria e il mio sollazzo e alla quale dico tutti i miei segreti; però se mi capita qualche malattia da lei non sarò riconfortato e se accadesse che io avessi ucciso due uomini e dovessi perciò essere impiccato, e non lo sapesse nessuno al di fuori di lei, se con lei ci fosse qualche litigio e la colpissi: subito mi farebbe scoprire. E per questo dico che è il mio nemico, che in questo modo la donna agisce, così dice l’autorità. Sire, vedete qui mio figlio: è tutta la mia vita, la mia allegria e la mia salute; quando il bambino è piccolo, tanto lo ama il padre e tanto si compiace di quello che dice che non c’è cosa che lo appaghi di più e non ha maggior fonte di gioia e quindi gli conncede quanto lui

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vuole. Ma dopo, quando è già grande, non dà nulla per il padre; e vorrebbe che morisse il prima possibile in modo tale che gli lascierà in eredità tutti i suoi averi; così si comporta il bambino. Sire, vedete qui il mio asino che è scheletrico, di sicuro questo è il mio servo poiché prendo il bastone e la vanga e gli dò grandi colpi e quanto più gliene dò tanto più è obbediente e così quando carico la soma sul suo dorso la porta meglio; così si comporta l’asino, questa è la verità. Sire, vedete qui il mio cane, questo è il mio amico che non ne ho un altro che mi ami altrettanto. Poichè se lo colpisco fino al punto di lasciarlo quasi tramortito, se dopo lo chiamo viene da me tutto contento e mi fa le feste e tutto finisce bene; così si comporta il cane.

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8. LA PROSA MEDIOFRANCESE. LA SCOPERTA DEL CADAVERE DI ALBARIS, IL

SOSPETTO SU MACHARIO, L’EXEMPLUM DI MERLINO SULLA FEDELTà DEI CANI

E LA DIFESA DELL’IMPUTATO– Tiemann, ll. 16-37/1-16/4-37/1-9, pp. 218-22.

È il brano mediofrancese corrispondente ai due precedenti. Si notino i numerosi

dettagli forniti nelle descrizione di scene e personaggi, e il ruolo dell’imperatore

e dei parenti Maganzesi nella vicenda. Come la prosa spagnola anche questa

versione riporta l’aneddoto di Merlino.

[…] Il se mist devant aux champs regardant se on le sieuvoit et finablement tant chemina et eulx aprés, qu’il vint sur la fontaine se mist sur le corps de son maistre et le nettoya de sa langue au mieulx qu’il peust, en balant et soy jouant de sa queue a ceulx qui aprochier n’osoient pour le vent qui mauvaise flaireur leur aportoit du corps qui ja estoit infect et puant. L’enpereur traversa d’autre part en gaignant le vent et congnust clerement que c’estoit Aubbry, sy devez savoir c’onques plus golan roy ne fut, il le regreta longuement lors et assez le ploura sur le lieu mesmes, disant: «Mal feustes vous commis a cestui convoy faire biaux doulz amis, fait il, et trop a fait grant mesproison qui ainsy vous coucha mort lez ceste fontaine, sy vueille Dieux que j’en aye vengement».

Il commanda aler retenir le conte Macaire ad ce qu’il par aventure ne se destournast, puis fist amener une littiere d’un vilage procaina pour chargier le corps de son chevalier et conduire en Paris aprés lui.

Mais du levrier veoir estoit chose piteuse, car il se demenoit naturellement comme beste sensible, et jamais n’esloingnast le corps en maniere qu’il ne feust tousjours au plus prés. Macaire fut mis prisonnier aufort qui moult estoit dolant qu’il ne s’en estoit alé, mais il avoit fiance en ce qu’il cuidoit certainement que loups ou autres bestes sauvages l’eussent devouré et transporté du lieu depuis le jour qu’il l’avoit a mort mis. Et quant la compagnie entra en Paris, lors eust l’en veu du peuple innumerablement venir au devant de l’empereur et du corps mort pour esgarder la pitié et veoir la chiere que le levrier faisoit. Sy pria chascun pour l’ame du chevalier Aulbery en priant Dieu que le cas peust estre ataint et cellui congneu qui occis l’avoit. Or estoit l’empereur a cheval comme --- et parmy les autres regardant le peuple et oyant les priore que hommes et femmes faisoient voire plorant piteusement pour l’ame du chevalier et reclamant a haulte voix Sebille la noble empereis, disant: «Dieux tu vueilles par ta sainte grace avoir en ta garde la noble dame Sebille laquelle est demouree seulle et

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sans compagnie. Sire Dieu tu la vueilles de tout mal garder et son corps conduire a sauveté comme la plus vaillant dame du monde».

Sy ne mist mie Charlemaine ces paroles en oubliance, ains, les recorda tellement en son cuer que plorer le couvint a grosse set chiude larmes, et moult se repentit en son courage de ce qu’ainsy avoit envers elle esploitié.

[…Il cane] si mise per i campi guardando se lo seguivano, e finalmente tanto proseguì e quelli dietro, fino a quando arrivò alla fontana e si mise sul corpo del suo padrone e lo pulì con la sua lingua il meglio che poté, dimenandosi e scodinzolando a quelli che non osavano avvicinarsi per via del vento che gli portava il cattivo odore del corpo che già era infetto e putrido. L’imperatore si portò sottovento e riconobbe chiaramente che si trattava di Aubry. Dovete sapere che nessun re fu mai più addolorato, lo pianse a lungo allora e assai lo compianse lì in quel luogo, dicendo: «Per vostra disgrazia foste prescelto per quest’incarico dolce caro amico, disse, e un oltraggio troppo grande ha fatto chi vi ha lasciato morto a lato di questa fontana, voglia Dio che ne possa averne vendetta».

Egli comandò di trattenere il conte Macaire affinché per caso non si allontanasse, poi fece portare una lettiga da un villaggio vicino per caricare il corpo del suo cavaliere e condurlo a Parigi con lui.

Ma vedere il levriero era una cosa pietosa, poiché si comportava come una bestia sensibile e non sarebbe allontanato mai dal corpo in modo da essere sempre il più vicino possibile.

Macaire fu fatto prigioniero ed era molto dispiaciuto di essersene andato ma aveva confidato nel fatto che sicuramente i lupi od altre bestie selvatiche l’avessero divorato e trascinato via da quel luogo dopo il giorno in cui l’aveva ucciso.

E quando la compagnia entrò a Parigi, allora si sarebbe potuto vedere una folla numerosa venire incontro all’imperatore e al cadavere per osservare l’espressione pietosa che il levriero faceva. Così ciascuno pregò per l’anima del cavaliere Aubry, pregando Dio che il caso potesse essere risolto e conosciuto il nome di chi l’aveva ucciso. L’imperatore stava a cavallo come--- e in mezzo agli altri guardando il popolo ed ascoltando le preghiere che uomini e donne facevano piangendo pietosamente per l’anima del cavaliere e reclamando ad alta voce Sebille la nobile imperatrice, dicendo: - Dio voglia tu per la tua santa grazia di avere in tua custodia la nobile dama Sebille, la quale è rimasta sola e senza compagnia. Signore Iddio, voglia tu preservarla da tutti i mali e la sua persona condurre a salvezza, trattandosi della più valente dama del mondo.

Non dimenticò Carlo Magno queste parole, anzi, le ricordò talmente nel profondo del suo cuore, che lo portarono a piangere a calde e grosse lacrime e a pentirsi molto nel suo animo di ciò che le aveva imposto.

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[… il cane viene affidato alle cure di Geuffroy il Danese, mentre un Maganzese, Galeran de

Beaucaire, parla agli altri baroni in consiglio che aspettano il re per ricordar loro l’importanza della stirpe di Macaire e sottolineare l’infondatezza dell’accusa mossagli, basata in fondo solo su un cane. Gli risponde Namo: tutti dovranno dire la verità se non vogliono rendersi complici di tradimento e il comportamento del cane non può passare indifferente; non solo, ma può essere considerato prova perfettamente attendibile]

[…] Mais pour vous montrer que il y a cause de soupchon et que ung chien est beste aucunnement raisonnable et qui a juste et bonne cause het ceulx qui son signeur n’aiment mie, racompte une histoire que j’ay leue que du temps Julles Cesar fut ungs hons que alcun nomment Merlin et autres dient que cellui Merlins le conseilla au bon homme. L’empereur Cesar tenoit cellui prisonnier pour son sens esprouver ou autrement pou ce qu’il parloit de coses merveilleuses, et lui dit ung jour: «Pour toy delivrer de prison beaux preudons, fait il, te couvient devant moy amener ton amy ton ennemy ton feal et ton serf». Sy s’en parti ly preudons et vint a son hostel et au jour que promis avoit, comme tout conseillié mena son asne, son petit filz dessus sa feme et son chien.

Et quant l’empereur le vist il lui demanda s’il avoit fait ce que commandé lui avoit pour soy acquiter de prison: «Ouy certes sire, fait il, voirement ay amené ce que demnadé m’avez: veez cy ma femme que on pouroit prendre pour mon amy, non est certes, ains, est tout le contraire et le prens pour mon ennemy, car quelque amistié qu’entre elle et moy doye avoir se je l’avoie par maltalent atouchiee ou lui fait quelque autre mendre desplaisir, et elle savoit que j’eusse ung homme ou deux occis dont je deusse mort recepvoir, elle le feroit assavoir a tous les voisins haultement avant ce que justice ne me prenist.

De mon asne qui cy est, c’est mon serf, car je ne le sçay tant chargier qu’il en rechigne et si ne le say tant battre ne devant ne derriere qu’il ne soit aussy cointe ung jour que l’autre et si en porte mieulx son fardel par droite nature et telle est la condicion d’un asne.

Je vous ay fait il pareillement amené mon feal: c’est mon filz que cy veez. C’est ma joie, c’est tout ma plaisance, c’est mon esbatement, et devez savoir que quant ung enfens est jeunes, c’est toute l’amour du pere et de la mere, mais quant il est hors de la verge et il ne veult plus endurer discipline, lors a la pere sa joie perdue, car le filz ne feroit pour lui nient plus que la singe fait pour le mauvais il leur fait la moue, et ainsi fait le mauvais enfant a son pere, et lui hoche le chief en derriere par sa mauvaise nature.

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En aprés, fait il, sire ay je mon chien amené. Sachiés que je n’ay nul amy si non lui, et se la raison voulez oïr, je vous dy que quant je vois quelque part et mon chien me voit partir jamais il ne me laissera; se je m’endors il se couchera dalez moy et gardera qu’on ne me mefface;, se je me courouce a lui par aucunne aventure je ne le saveray batre tant que se je le vueil rapeller il vendra a moy et me fera plus grant joie que par avant, et s’il est aucun qui s’efforce de moy mal faire de fait je say de vray que jamais mon chien ne l’aimera, ains, lui courra seure en tous lieux et la est approuvee la bonté et mauvaistié d’un chien».

Ma per mostrarvi che c’è motivo di sospettare e che il cane è una bestia affidabile, che odia a buon motivo coloro che non amano il suo padrone, racconto una storia che ho letto che al tempo di Giulio Cesare ci fu un uomo che alcuni chiamano Merlino, altri dicono che Merlino fu quello che consigliò il buon uomo. L’imperatore Cesare teneva costui prigioniero, per metterlo alla prova o forse perché parlava di cose meravigliose, e gli disse un giorno: «Per liberarti dalla tua prigionia, nobiluomo, dovrai condurmi davanti il tuo amico, il tuo nemico, il tuo vassallo e il tuo servo».

Così il nobiluomo parte e torna alla sua casa, e il giorno che aveva concordato col re, come persona molto avveduta condusse il suo asino, suo figlio piccolo, sua moglie e il suo cane. Quando l’imperatore lo vide gli domandò se avesse fatto ciò che gli era stato comandato per liberarsi di prigione. «Sì certo sire, risponde quello, ho veramente portato ciò che mi avevate chiesto.

Vedete qui mia moglie che si potrebbe credere il mio amico, non è così, anzi, è tutto il contrario e dovete prenderlo per il mio nemico, dal momento che per quanta amicizia fra di noi possa esserci, se io la colpissi in qualche modo o le procurassi qualsiasi altro minimo dispiacere, e lei sapesse che io ho ucciso uno o due uomini per la qual cosa sarei condannato a morte, lei lo farebbe sapere a tutti i vicini ad alta voce prima che la giustizia mi abbia preso.

Quanto al mio asino che è qui è il mio servo, poiché non potrei caricarlo tanto che lui si tiri indietro, e e non potrei batterlo tanto davanti o dietro che lui non sia mansueto un giorno come l’altro, e porta anzi meglio il suo fardello perché è la sua natura e tale è la condizione di un asino. Io vi ho portato anche, fa egli, il mio vassallo : è mio figlio che qui vedete. È la mia gioia, è tutto il mio piacere, è il mio divertimento, e dovete sapere che quando un bebé è piccolo è tutto l’amore del padre e della madre, ma quando esce dalla pubertà e non vuole più sopportare la disciplina, allora il padre perde la sua gioia perché il figlio non farà per lui nulla di più di quello che fa la scimmia per i cattivi – gli fa le smorfie; e così fa il figlio ingrato a suo padre e gli scuote il capo alle spalle per la sua natura malvagia.

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E infine sire, ho portato il mio cane. Sappiate che non ho nessun amico al di fuori di lui e se volete saperne la ragione vi dico che quando vado da qualche parte e il mio cane mi vede partire, non mi lascerà mai; se mi addormento si sdraierà al mio fianco e farà la guardia perché nessuno mi minacci; se mi arrabbio con lui per qualche motivo, non lo batterò mai tanto che se lo richiamo lui non torni da me e mi faccia le feste più di prima, e se qualcuno tenta di farmi del male io so per certo che il mio cane non lo amerà mai, anzi, lo assalirà in tutti i luoghi; e questo prova la bontà e malvagità di un cane.» [Il re arriva e dice ai suoi baroni che ha fatto imprigionare

Machario insospettito dal comportamento del cane; gli diano un’opinione a questo proposito. Tutti tacciono, finchè Namo non consiglia di ascoltare prima la difesa del Maganzese].

[…] Maquaire se mist a genoulx lors e dit a l’enpereur: «Prisonnier m’avez fait sire, fait il, si ne say que demander me voulez ne a quelle cause on a mon corps empeschiér. Se je doy argent finance ou autre tresor j’ay mercy Dieu terre assez pour en faire paiement. Et s’il y a aucun qui mon corps ait chargié ou vueille chargier d’aucunne mauvaistié ou traviso je sui cy pour en respondre et mon corps exposer en bataille cotre le plus vaillant de vostre court».

Et quant Charlemaine eust entendu le parler du conte Maquaire, il respondi lors si haultement que chascun le peust bien ouïr: «Vous ne acuse je mie Maquaire, fait il, car du fait ne say je rien, ains, vous acuse cestui blancq levrier le quel vous a couru seure et courroit encore asprement comme veoir le pouez qui de lui ne se tendroit saisi. Il nous mena droit au lieu ou son maistre gesoit mort, ne veult homme de ma court maintenir que occis l’ayés, mais il vous encouvendra respondre ce que savoir en pouez selon l’oppinion et conseil de mes barons».

Maquaire si inginocchiò allora e disse all’imperatore: «Mi avete fatto prigioniero e non so cosa volete chiedermi né per quale motivo sono stato incarcerato. Se devo del denaro, soldi o qualsiasi altro debito, ho grazie a Dio abbastanza possedimenti per saldarlo. Se invece qualcuno mi ha accusato o mi vuole accusare di alcun oltraggio o tradimento io sono qui per risponderne ed espormi in duello contro il più valoroso della vostra corte».

Quando Carlo Magno ebbe inteso le parole del conte Maquaire, rispose allora, a voce alta così che ciascuno potesse sentirlo: «Io non vi accuso affatto Maquaire, gli dice, dal momento che di quanto avvenuto io non so nulla, anzi, vi accusa questo bianco levriero il quale vi è saltato addosso e lo farebbe ancora violentemente come potete vedere lo trattiene a fatica. Esso ci ha portato dritto al luogo dove il suo padrone giaceva morto, e non vuole ora nessuno della mia corte giurare che l’avete ucciso, ma dovrete rispondere di ciò che ne sapete secondo il giudizio e il consiglio dei miei baroni».

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9. MACAIRE. BLANÇIFLOR E VAROCHER, IL PRIMO INCONTRO - vv. 14727-14790

La regina è fuggita nel bosco quando ha visto il combattimento fra Machario e

Albaris volgere a sfavore di quest’ultimo. È sconvolta e dolorosamente affaticata

dalla gravidanza avanzata, ma all’uscita dal bosco incontra il boscaiolo Varocher.

Il quale si presta ad accompagnarla fino a Costantinopoli, e insieme partono.

Via vait la raine à dolo e à torment.

A grant mervile ela estoit dolent De Albaris dont vi le finiment.

M’ela no soit mie de le gran çuçement 14730 Qe estoit fato del traito puelent, Qe au n’aust qualche restorament. Tant est alea por li bois en avent, A l’ensua del bois en un pre verdoient Ela vide un hom venir erament, 14735 De li gran bois un faso portent De legne por soi norisement, Por no[r]ir sa feme e ses petit enfent. Quando vi la raine à demander la prent:

«Dama», fait il, «vu alé malement 14740 Così sole sença homo vivent,

Semblai moi la raina, se eo non ment, Como alez vos? V’è fato noiament? Dites le moi, si ne prendrò vençament». «Ami», dist la raina, «tu parli de nient 14745

De mon afaire te dirai le covent. E so ben la raine e de ço no te ment; Acusea son à li rois duramente Por un traites, qe li cor Deo crevent! Qe me fait aler si malement. 14750 Unde eo te prego, çentil homo valent, Qe tu me façi qualche restorament, Qe aler poust par toi segurement En Costantinopoli, o son li me parent. E se tu le fa, bon guierdon n’atent, 14755

Fugge via la regina con dolore e tormento. Ella è straordinariamente addolorata Per Albaris di cui ha visto la fine. Ma ella non sa ancora della gran condanna Che è stato inflitta al fetido traditore, così che possa averne qualche consolazione. Tanto è andata avanti per il bosco, All’uscita del bosco in un prato verde, Ella vide un uomo venire velocemente, portando dal folto del bosco un fascio Di legna per il suo sostentamento, Per nutrire sua moglie e i suoi bambini. Quando vide la regina le domanda: «Dama, voi andate pericolosamente,

Così sola senza nessuno al mondo, Mi sembrate la regina, se non mi sbaglio,

Come state? Vi è stato dato fastidio? Ditemelo, così vi farò giustizia». «Amico», rispose la regina, «non dite altro. Ti racconterò la mia situazione. Son proprio la regina e non te lo nascondo;

sono accusata duramente dal re A causa di un traditore, che Dio lo uccida!

Che mi fa vagare così disgraziatamente. Perciò io ti prego, gentil uomo valoroso,

Che tu mi dia un po’di ristoro, Così che possa grazie a te andare sicura A Costantinopoli, dove sono i miei genitori. Se tu lo fai, buona ricompensa ti attende,

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Ancora por moi sera rico e manent».

Dist Veroche[r]: «Vu parla de nient; Ne vos ò abandoner à tot mon vivent. Venez rer moi, eo alirò avent

Trosqua à ma mason qe est qui davent, 14760 O aço ma muler e dos beli enfent. Conçé eo demandrò, pois aliren avent». Dist la raine: «Soia à li ves coment». Adoncha s’en vait anbés comunelment,

Tant qe à sa mason i se vait aprosment.14765

Quant Varocher fu à sa mason venu, El entra en la mason, la soma deponu. «Dama», fait il, «no m’atendez plu Si seroit ben tot li mes complu».

E quela li demande: «Mon sir, o alez vu?» 14770

E cil le dist: «Or sta la Deo salu; Del revenir eo no te so dir plu». En soa man oit un gran baston prendu; Grant fu e groso e quaré e menbru, La teste oit grose, le çavi borfolu: 14775 Si strançes hon ne fo unches veu. Via s’en vait à força et à vertu, E la raine si vait derer lu. I pase Françe, qe aresté non fu, E la Proençe q’i no fo conou, 14780 E la Lonbardie tota quanta por menu.

Tant son alé, q’i no sont arestu, Qe è Veneze i se sont venu. En neve entrent, oltra forent metu.

Çascun qe Varocher avoient veu 14785 Çascun li guarde, si s’en rise rer lu.

Tant alirent por cele poi agu, Pasent ces porti, le vals e le erbu, En Ongarie i se sont venu. A cha d’un bon oster i sonto desendu 14790

Grazie a me sarai ricco e benestante». Disse Varocher: «Non aggiungete altro; Non vi abbandonerò finchè avrò vita. Venitemi dietro, io andrò avanti» Fino a casa mia che è qui poco più avanti, Dove ho mia moglie e due bei bambini. Domanderò congedo, poi proseguiremo». Disse la regina: «Sono ai vostri ordini». Dunque se ne vanno insieme entrambi,

Fino a quando non raggiungono la sua casa. Quando Varocher fu giunto a casa sua,

Entra in casa e depone la fascina. «Signora», disse, «non mi aspettate prima

che sia passato più di un mese». Lei gli chiede :«Marito mio, dove andate?»

E quello le rispose: «Ti affido a Dio; Del ritornare non ti so dire di più». Prese in mano un grande bastone; era grande e grosso e squadrato e robusto La testa aveva grossa, i capelli arruffati: Un uomo così strano non fu mai visto. Per via s’incammina per forza di fretta, E la regina gli va dietro. Attraversano la Francia, nessuno li arresta,

E la Provenza dove non furono riconosciuti, E la Lombardia tutta in lunghezza. Tanto sono andati, non si son mai fermati,

Che a Venezia sono arrivati. Salgono su una nave, superano i confini.

Chiunque avesse visto Varocher Chiunque lo guardava, gli rideva dietro. Tanto andaron fra quelle montagne aguzze, Passarono i valichi, le valli ed i prati, In Ungheria sono infine arrivati. A casa di un buon oste essi sono alloggiati…

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10. MACAIRE. L’ASSEDIO DI PARIGI VISTO DAI FRANCHI - vv. 15725-55.

L’esercito greco è arrivato alle porte di Parigi. La situazione è giunta a tal punto

che Namo non ha più consigli da dare, se non di combattere valorosamente.

Naimes parole, ni a talent q’en rie: 15725

«Droit enperer, nen lairò nen vos die: Qui de Magançe e soa segnorie Nos oit metu en si malvasia vie Qe je non sai qe de lor en m’en die. Trai vos oit Macario e fato tel vilanie 15730 De Blançiflor qe non so qe m’en die. Or n’è sovravenu una tel çivalerie Qe deveroit eser non privé et amie, Et i seroit mortel enemie, A nos en croit e bataila e brie, 15735

Qe mais in França non vene tel stoltie. Or ne secora la santa Mere pie, Qe da mo en avant e no so qe m’en die. Quant me remembra de ma ancesorie Qe por traitor no sen toti finie, 15740 Se n’ò dolor e tristeça e irie, De çela colse no m’en demandés mie. Ne sai qe dire, se Deo me beneie». «Enperer sire», ço dist li cont Naimon, «E no so pais coment nu la faron 15745 Ni bon consel doner non poit hon.

Quant l’on porpense la gran menespreson E li gran dol e la confosion Qe vos avés fato de sa fila Blançiflon, Le milor conseil qe prender poson 15750 Estoit, rois, qe nu se parilon Et ensemo fora à la defension, Qe meio est morir qe star qi en preson, Pois q’el no vole merçé ni perdon De soa file avoir la reençon». 15755

Namo parla, non ha voglia di scherzare: «Giusto imperatore, non posso non dirvi: Quelli di Maganza e della loro schiera Ci hanno messo in così grave situazione Che io non so che dire di loro. Tradito vi ha Macario e fatto un’offesa tale Di Blançiflor che io non so che dire. Ora è sopraggiunto un esercito numeroso Che dovrebbe esserci alleato e amico,

Mentre ci è mortale nemico, Che vuole darci guerra e battaglie, Mai in Francia avvenne una tale stoltezza. Ora ci soccorra la santa Madre di Dio, Che da ora in avanti non so che dire. Quando mi sovvengo dei miei antenati Che per un traditore noi siamo tutti finiti, Se ne ho dolore, tristezza e rabbia, Non è nemmeno da domandarmelo. Non so che dire, che Dio mi benedica.» «Sire imperatore», ciò disse il conte Namo,

«io non so ora come faremo Nessuno potrebbe darvi un buon consiglio.

Quando si ripensa alla grande ingiuria E al gran dolore e alla confusione Che voi avete fatto di sua figlia Blançiflor, Il miglior consiglio che possiamo seguire

È, mio re, di prepararci alle armi E di uscir fuori pronti a difenderci, Che meglio è morire che star qui assediati, Poiché egli non concede grazia o perdono Di sua figlia vuole fare vendetta».

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11. MACAIRE. DURANTE LA BATTAGLIA FINALE – vv. 15855-80.

Floriamon guida l’esercito greco contro i Francesi di Carlo e nello scontro durissimo

molti cavalieri perdono la vita, tutto per colpa di Machario. Il male fatto dal Maganzese

supera anche la battaglia causata da Gano, che tradizionalmente rappresenta l’apice

della malvagità maganzese: la guerra provocata in questo caso vede infatti scontrarsi

Cristiani contro altri Cristiani.

A grant mervile fo Floriamon orgolos, 15855 Fort et ardi e de mal inartos E de bataile estoit molto ençegnos. Quant il oit mort cil çivaler de blos, Elo dist à sa jent: «Segnur, qe faites vos? Car or me vençes la bela Blançiflos, 15860

Qe K[arles] el maine n’oit fato tel desenors» E cil le font, quant oent li contors.

Doncha oisés di colpi gran sons, E qui de Françe le ferent ad estors. Doncha verisés un stormeno dolors. 15865

Mant çivaler furent del çevo blos; Mal vide K[arles] li culverti traitors En cui senpre a metu son amors Ço fo qui de Magançe e de ses parentors, Qe senpre fe à K[arlo] onta e desenors.15870 Mes Damenedé, li pere glorios, Le fi asa avoir onta e desenors

E à mala mort çuçe li ses milors. Le primer fu dan Gaines li contors

Qe trai in Spagne li doçe compagnos, 15875 Rolant et Oliver, Belençer et Otos, E li vinte mille qe oncis Marsilions. Mais por Machario vene tal tençons Qe Cristian cum Cristian avoit tel perdons

Qe non fust estoré par nesun hon del mons. 15880

Incredibilmente era orgoglioso Floriamon,

Forte, ardito e infido stratega E delle battaglie era molto esperto.

Dopo aver ucciso in breve quel cavaliere Disse alla sua gente: «Signori, che fate? Perché ora vendicherete la bella Blançiflor, Che Carlo Magno ha tanto disonorato» E quelli lo fanno, quando odono il nobile. Allora avreste sentito di colpi gran rumore, E quelli di Francia gli andarono contro. Allora avreste visto una battaglia dolorosa. Molti cavalieri furono privati della testa, Con dolore Carlo vide i vili traditori In cui sempre aveva riposto il suo amore Ovvero quello di Maganza e i suoi parenti, Che sempre portarono a Carlo vdisonore. Ma Domeniddio, il Padre glorioso, Fece loro avere vergogna e disonore E a morte dolorosa condannò i maggiori. Il primo fu il conte Gano Che tradì in Spagna i dodici compagni, Rolando e Olivieri, Berengario e Ottone , E i ventimila che uccise Marsilio. Ma per Machario scoppiò una tale guerra

Che Cristiani contro Cristiani ebbero perdite tali Che da nessuno al mondo furono riparate.

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12. MACAIRE. IL MONOLOGO DEL NEOCAVALIERE VAROCHER - vv. 16406-36.

Acclamato dall’esercito greco come suo campione dovrà affrontare in duello

Ogier il Danese. Blançiflor e Bernard lo mettono in guardia perché si tratta del

cavaliere più forte del mondo e l’impresa che lo aspetta è delle più ardue.

Dist Varocher : «Ben l’ò oldu nomer,

Mais portant e no’l doto un diner. E d’una ren vos voio creenter : Pois qe mon sir me donò li corer,

Eo deventé si argolos e fer, 16410

Quando de le bois me ven à remenbrer Qe sor li doso portava tel somer Como faroit un corant destrer, De retorner plus à quel mester,

Saçés par voir, se Deo vole aider, 16415

De retorner al bois e non faço penser. Soloia aler vestì de pani de paltoner Et in man portoie un baston de pomer ; E mo si son vesti à lo de çivaler

E à mon là li brando forbi d’açer. 16420

Quando ço voi, e[n] mon cor son si fer Qe non redoto homo vivo de mer. Converser soloie cun bestie averser ; Ora demoro en çambra d’inperer,

E quando voio, sonto so camarler». 16425

Dist la raine : « Tu a molt bona sper ; Nen so q’en die ne respondert’ arer. Tant é tu saço en dir e en parler Le to parole e non voio amender ;

Ma totafois averò par toi proier 16430

Jesu de glorie, li vor justisier, Qe de la bataile te lasi arer torner E sano e salvo dever le dux Oger. » Dist Varocher : « Or lason li parler E si me faites le arme aporter. » 16435

Dist la raine : « De grez e volunter».

Disse Varocher: «L’ho ben udito nominare,

tuttavia non lo valuto un soldo bucato. E di una cosa vi voglio assicurare: da che il mio signore mi donò l’armatura,

io son diventato così orgoglioso e fiero, che quando del bosco mi viene il ricordo che portavo sulla schiena un carico tale come farebbe un destriero veloce, di ritornare mai a quel mestiere, sappiate per vero, se Dio mi voglia aiutare,

di tornare nel bosco non ho intenzione. Solevo vestirmi con panni da miserabile e in mano portavo un bastone di melo; e ora sono vestito al modo dei cavalieri e al mio lato ho un spada forgiata d’acciaio. Quando vedo ciò, nel mio cuore son sì fiero che non temo alcun uomo al mondo. Ero solito stare in mezzo alle bestie feroci; ora vivo in una camera da imperatore, e quando voglio sono il suo ciambellano». Disse la regina: «Tu hai fortissima speranza; non so cosa dirti né risponderti in replica. Tanto sei stato saggio nel dire e parlare che le tue parole non saprei render migliori;

Tuttavia continuamente pregherò per te al glorioso Gesù, unico vero giustiziere,

che dalla battaglia ti lasci tornare indietro e sano e salvo dal duca Ogier». Disse Varocher: «Ora smettiamo di parlare

e fatemi invece portare le armi». Disse la regina: «D’accordo e volentieri».

(24)

24

13. MACAIRE. IL RICONGIUNGIMENTO DI CARLO E BLANÇIFLOR GRAZIE A NAMO,

LIETO FINE - vv. 16916-78.

Si è quasi al termine della vicenda, dopo il duello fra i campioni e la scoperta che

Blançiflor è viva . Namo ha convinto la regina a perdonare il marito nonostante il

rancore ed ad ottenere da suo padre un accordo di pace: a questo punto Carlo

deve solo accettarne i termini, poiché tutto è stato causato da un suo errore.

«Emperer sire», ço dist le duc Naimon,

«Cun la raine sonto ste à tençon, Tot m’a conté de soa entencion; Un parlamento vo fare, qi ne pisi o non. Vu e l’altro enperer serez à un bolçon,16920

L’acordo farés per bona entencion, Prenderés la raine à la clera façon». Dist l’inperer: «E nu li otrion». Adoncha N[aimes] e Oçer li baron Se departent sens nosa e tençon, 16925

A l’oste de Costantinople s’en vent à bandon.

O vi li rois, s’il mist por rason: «Enperer sire», ço dist le duc N[aimon], «Salu vos mande l’imperaor K[arlon],

Qe à vos vol parler par bona entençion.16930 S’el v’a mesfait, en vol fare amendason. Sa dama li donés, qe droit est et rason». E cil le dist: «E nu li otrion. Ren qe vos plaçe nen sera se ben non».

Adoncha N[aimes] mis Oçer por K[arlon], 16935

Qe à lu vegne por far acordason Cum l’inperer qe de Costantinople son. Quant la novella oi li rois K[arlon] El çura Deo, san Polo e san Simon Qe mais non fu ni sera in ste mon 16940 De seno e de savoir e de bona rason, Qe somiler se posa à N[aimon].

Quant l’inperer à cui França apent

«Sire imperatore», disse il duca Namo, «Con la regina sono stato a colloquio, mi ha detto tutto delle sue intenzioni; vuole parlare con voi, che piaccia o no. Voi e l’altro imperatore sarete a distanza, L’accordo farete con buone intenzioni, Riprenderete con voi la bella regina». Disse l’imperatore: «E così sia». Allora Namo e Ogier il barone, Si congedano senza dispute e litigi,

Vanno veloci all’esercito di Costantinopoli.

Dove videro il re, per informarlo: «Sire imperatore», disse il duca Namo, «Vi manda i suoi saluti l’imperatore Carlo, che vi vuole parlare con buone intenzioni. Se vi ha fatto torto, vuole farne ammenda. Dategli sua moglie, come è giusto». E quello disse: «E così sia. Ciò che volete non può essere che giusto».

Allora Namo mandò Ogier da Carlo Magno, che venga da lui per siglare l’accordo Con l’imperatore che regge Costantinopoli.

Quando re Carlo udì la notizia Giura su Dio, San Paolo e San Simone Che mai fu ne ci sarà mai in questo mondo Chi per senno sapienza e buon senso si possa paragonare a Namo.

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Vi le mesaje, molto s’en fait çoient.

Adoncha apelle li meltri de sa jent, 16945 Si fo vesti d’un palio d’Orient E fo monté sor un palafroi anblent. A l’oste l’inperer à cui Costantinople apent Est venu tosto et isnellement. Li rois le vi venir, non fait arestament; 16950

Contre li vait cun di ses plus de çent: L’un ver l’autre se mostra bel senblent, De pax faire entro lor se content. Atant ven la raine qe parti li parlament.

K[arles], quando la vi, s’en rise bellement,16955

Et ella li dist: «Çentil rois posent, Non voio recorder la ira e ‘l maltalent. A vu fo calonçea à torto vilment,

Machario de Losana, le traitor seduent, Onir vos volse à torto falsament: 16960

Albaris onçis à la spea trençent,

Vengança ne prendisi, cum dise tota la jent.

E son vestra muler, altro segnor non atent; Da moia part fat è l’acordament». E dist N[aimes]: «Vu parlé saçement. 16965 L’ira e ‘l maltalent nu meten por nient». Li rois si la guarda, tot li cor li sorprent; Ça parlira à lo d’omo valent: «Enperer sire», dist K[arles] li posent,

«Non voio avec vos tençere lungement; 16970

S’e ò fato nul ren à vestre noiament, Parilé sui à farne mendament. Nen so qe dire, à Deo et à vos me rent, Enprimement eo fu vestre parent;

Apreso sui, se la dama li consent». 16975 Dist la raine: «Nen fu ma si çoient. Mais d’une ren vos di apertement: De plus en faire ne vos vegna en talent».

Vide il messaggero, si rallegrò molto. Chiama allora i migliori del suo seguito, che lo vestono con stoffe d’Oriente,

lo fan montare su palafreno che va all’ambio. All’accampamento del re di Costantinopoli

è venuto subito e rapidamente. Il re lo vide venire, non indugia un istante;

gli va incontro con più di cento dei suoi: l’uno all’altro si mostrano ben disposti, di fare pace fra di loro si rallegrano. Intanto arriva la regina che iniziò a parlare. Carlo, quando la vide, sorrise apertamente, e lei gli disse: «Nobile re potente, non voglio ricordare l’ira e il rancore. Presso voi fui calunniata a torto vilmente, Machario di Losanna, il traditore vizioso, vi volle svergognare a torto e falsamente: Uccise Albaris con la sua spada tagliente, vendetta ne prendeste, come dicono tutti. Son vostra moglie, altro signore non voglio;

da parte mia l’accordo è fatto». E disse Namo: «Voi parlate saggiamente.

L’ira e il rancore non portano a nulla». Il re la guarda, tutto il cuore è sopraffatto; ora parlerà come un uomo valente: «Sire imperatore», disse Carlo il potente, «non voglio con voi discutere a lungo; se ho fatto qualcosa che vi ha danneggiato, sono pronto a farne ammenda. Non so dire altro, a Dio e a voi mi affido, prima di tutto io ero vostro parente, lo sarò ancora, se la dama acconsente». Disse la regina: «Non fui mai così felice. Ma una cosa vi dico apertamente: di rifarlo non vi venga più in mente».

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