pensatore ribelle tra gli eretici del Cinquecento
FRANCESCO BENIGNO
Ci sono pochi storici che hanno legato il proprio no- me a un intero campo di stu- di, da loro non solo indagato ma addirittura reimpostato, e anzi, per così dire, forgiato.
Tra questi pochi e anzi po- chissimi - si pensi a Franco Venturi per le ricerche sull'Il- luminismo o a Renzo De Feli- ce per gli studi sul Fascismo - c'è senz'altro Delio Cantimo- ri, le cui ricerche sugli eretici nel primo Cinquecento han- no fondato tanta parte degli studi di storia religiosa italia- na della prima età moderna.
MOLTO OPPORTUNAMENTE per- ciò, in occasione del cinquan- tenario della morte, la Scuola Normale di Pisa ha scelto di onorarne la figura, valoriz- zando i materiali autografi depositati nell'Archivio Can- timori, conservato presso quella prestigiosa istituzio- ne, e offrendoli agli studiosi e al pubblico in un prezioso vo- lume curato da un'equipe di studiosi coordinata da Danie- le Menozzi (Delio Cantimori,
(1904-1966), Libii, documenti e immagini dai fondi della Scuola Normale Superiore, a cura di Da- niele Menozzi e Francesco Torchiani, Edizioni della Nor- male, pp. 128, euro 15).
L'IDEA CHE GUIDA l'iniziativa è
quella di restituire una rap- presentazione biografica ar- ticolata e «mossa» di Canti- mori come storico, intellet- tuale impegnato, saggista, polemista, collaboratore edi- toriale e maestro di genera- zioni di studiosi.
Lettere, appunti, disegni, fotografie offrono del percor- so intellettuale di Cantimori una visione slargata, che ri- sulta particolarmente apprez- zabile in quanto, dopo un pe- riodo di forte interesse per la sua figura (spesso condiziona- to dal tormentato itinerario
Lettere, appunti, disegni: una
molto
«mossa» di studioso e polem ista
politico di ex fascista divenu- to comunista per poi uscire dal Pci dopo i fatti di Unghe- ria) si nota negli ultimi anni una sorta di caduta di atten- zione. La lettura di queste pa- gine, invece, offre non pochi stimoli per un ripensamento di una figura-chiave della cul- tura italiana dei decenni cen- trali del secolo scorso, la cui leggendaria autorevolezza ri- sulta qui ribadita: i suoi pare- ri editoriali alle celebri riunio- ni del mercoledì in Einaudi non suscitavano discussioni ma erano sempre accolti co- me definitivi: «Ascoltato in si- lenzio l'oracolo, Einaudi mi indica le nuove questioni da sottoporti - racconta in una lettera Giulio Bollati - e non succede altro».
MA SOPRATTUTTO queste pagi-
ne offrono importanti sugge- stioni sul radicamento terri- toriale nella formazione di chi sarà poi celebre «storico, di perseguitati, di utopisti, di ribelli». Nato in una fami- glia romagnola di chiare tra- dizioni mazziniane, Canti- mori appare assai consapevo-
le dell'influenza di una terra dove si «nasce con un mazzo di carte da gioco in mano, un bicchiere di vino nell'altra, e la politica in bocca».
Sicché tra eretici cinque- centeschi e utopisti e riforma- tori settecenteschi, gli inte- ressi di Cantimori corrono lungo un crinale che è in veri- tà tutto politico, e che ruota attorno al tormentoso e irri- solto problema del rapporto tra l'intellettuale e il potere, tra il fedele e la sua chiesa. Sic- ché non stupisce davvero l'acredine delle sue ultime pa- role: «Non voglio morire né come cattolico né come cri- stiano, né come membro di nessuna chiesa o confessione o setta religiosa... Detto, pen- sato, scritto e sottoscritto: De- lio Cantimori».